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Archive for aprile 2010

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Niente remontada.

L’Inter va a Barcellona e scrive la storia, la sua storia: dopo trentotto anni è finale.

Il Barça segna sì una rete, con Piquè (eccone il video), ma non basta: la squadra più forte del mondo è stata lungamente annichilita dal catenaccio italo-portoghese dell’Inter, che si difende lungamente con praticamente tutti gli effetti non dando per la maggior parte del tempo possibilità di trovare la via della rete.

Intendiamoci, di questa partita posso dire poco perché ne ho visto solo il secondo tempo. Ma il secondo tempo è stata una cosa praticamente perfetta: pur rimasti in dieci uomini per la sciocca espulsione di Motta (sciocco il gesto del giocatore, intendo) i Nerazzurri si piazzano nella propria trequarti e chiudono praticamente tutti i buchi. La prima parata di Julio Cesar arriva praticamente all’ottantaquattresimo. Prima solo una spizzata fuori di Bojan ed il goal, appunto.

Concedere così poco in quarantacinque minuti vuol dire aver portato ad uno stadio superiore il classico catenaccio anni sessanta.

Ho visto qualcosa di notevole, stasera.

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Il Lione scende in campo per scrivere la storia: c’è infatti la prima finale di Champions da conquistare.

Tifosi lionesi attendono l'inizio del match davanti ad un maxi schermo

CRONACA
Due soli minuti di gioco e il Bayern Monaco potrebbe già chiudere il discorso qualificazione: Cris perde una palla sanguinosissima sul lato sinistro della propria area con Olic che dopo avergli rubato palla la centra per l’accorrente Muller. Il tiro del giovane tedesco non trova però lo specchio di porta, spegnendosi di poco a lato del palo alla sinistra di un immobile Lloris, freddato dalla conclusione dell’avversario.

Al settimo sono quindi i francesi a provarci: Boumsong spizza una palla proveniente da corner prolungandone la traiettoria fin sul secondo palo dove a colpirla incornandola c’è Cris. Il colpo di testa del centrale carioca non trova però la porta, risolvendosi in un nulla di fatto.

Il match non è comunque giocato su ritmi elevatissimi e le due squadre sembrano studiarsi più che volersi far male. In particolare il Lione non sembra essere incisivo a sufficienza per poter far male agli avversari.

Al ventiseiesimo, quindi, il Bayern passa ed ipoteca virtualmente la finale: Muller è lanciato in area e difende caparbiamente palla per poi servirla centralmente in direzione di Olic che dopo averla stoppa si gira su sè stesso per calciare poi bucando Lloris.

I padroni di casa reagiscono e quattro soli minuti più tardi costruiscono una grande occasione. Tutto solo sul secondo palo alle spalle di Lahm, però, Bastos colpisce al volo con scarsa precisione, senza riuscire a trovare la porta. Erroraccio per l’esterno lionese, che si mangia un goal che sembrava già fatto.

Di lì in poi sarà il Lione, spronato dal vantaggio bavarese, a costruire qualcosina di più, ma senza riuscire mai davvero a pungere.

Giusto appena prima del fischio Makoun lancerà in area di rigore Delgado che dopo aver stoppato il pallone non riuscirà però a liberarsi al tiro, facendosi chiudere la conclusione dai due difensori paratiglisi davanti per chiudergli lo specchio.

Olic scocca il tiro con cui riesce a bucare Lloris per l'1 a 0

In apertura di ripresa è Gomis, appena entrato, a provarci. Disturbato dal tentativo di anticipo di un difensore, però, il giovane colored ex ASSE si coordinerà male, spedendo il pallone alle stelle.

Il Bayern comunque non rinuncia a provarci, attendendo sornione il momento di colpire. Momento che pare arrivare al cinquantatreesimo quando Robben scende affianco dell’area per appoggiare un pallone al limite a Schweinsteiger, arrivato a rimorchio. Il tiro di prima intenzione del forte centrocampista tedesco è sì forte ma non sufficentemente preciso, tanto da spegnersi a pochi centimetri sopra la traversa della porta difesa dall’ex portiere del Nizza.

La partita finisce quindi del tutto al sessantesimo: Cris interviene in scivolata per contrare Olic. Il centrale lionese prende nettamente prima il pallone, facendo però volare poi la punta croata gambe all’aria. Personalmente, anche nel rivedere il replay, non avrei nemmeno fischiato fallo. Busacca, però, decide di ammonire il difensore carioca che, per tutta risposta, inizia una serie di proteste che lo porteranno al rosso. Perché inizialmente l’arbitro ticinese decide di non intervenire disciplinarmente per reprimere quelle proteste. Quando le stesse da verbali si trasformano in un applauso palese, reiterato quanto sarcastico, però, il quarantunenne di Bellinzona non può far altro che estrarre il secondo giallo nel giro di pochi secondi, espellendo il capitano lionese che spegne quindi le già minime e residue speranze dei suoi.

Al sessantasettesimo i bavaresi, quindi, raddoppiano: a segnare è ancora Olic che dopo aver bucato Lloris di destro ci riprova, ma questa volta con l’altro piede. Giusto per dimostrare di saper colpire il pallone indistintamente con entrambi i piedi.

Tre minuti più tardi Robben prova a griffare anche il match dello Stade de Gerland ma la sua conclusione mancina scoccata sul centrodestra dell’area avversaria gli viene respinta dal tuffo di Lloris, che gli negherà il goal in bello stile.
Bayern che è però decisissimo a triplicare tanto che proverà in più occasioni a cercare la via della rete. Il tutto si concretizzerà al settantasettesimo minuto quando Olic dimostrerà di non saper colpire solo coi piedi ma anche di testa: proprio una sua incornata, infatti, firmerà la rete del 3 a 0 che chiuderà il match.

Contento ci prova in acrobazia

COMMENTO
Olic tre, Lione zero.

Questo basta per descrivere un match in cui il Lione non è quasi nemmeno sceso in campo.

Forse era troppa la pressione sulle spalle di giocatori che a certe temperature non erano mai arrivati, o forse semplicemente il Lione, nonostante i meriti, non è una squadra che vale una semifinale di Champions e non può reggere il confrontro contro l’ottimo Bayern Monaco allestito da Van Gaal quest’anno.

Fattostà, comunque, che la sua impresa il Lione l’ha compiuta. I tifosi avrebbero quindi solo di che festeggiare.

MVP
Tripletta in semifinale di Champions League.

Devo dire altro?

TABELLINO
Lione vs. Bayern Monaco
Marcatore: 26′, 67′, 77′ Olic

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Scontro fondamentale per il prosieguo del campionato: da una parte la Roma deve assolutamente vincere per effettuare il controsorpasso sull’Inter, a sua volta vittoriosa nell’anticipo delle 18 contro l’Atalanta. Dall’altra la Sampdoria è costretta a fare altrettanto per poter effettuare il suo controsorpasso, quello ai danni di un Palermo capace di battere il Milan nell’anticipo delle 20.45.

L'Imperatore Claudio, come viene ultimamente chiamato a Roma di questi tempi l'allenatore dei Giallorossi

CRONACA
Le due squadre iniziano studiandosi più che aggredendosi. I ritmi che ne escono ad inizio match non sono quindi frenetici, ma l’interesse nei confronti un match che può risultare decisivo per l’assegnazione di Scudetto e quarto posto Champions resta altissima.

Per vedere la prima occasione degna di nota bisogna quindi aspettare una decina di minuti. E’ lì che Juan, portatosi in avanti per provare a sfruttare un eventuale cross da corner, va a trovarsi tutto solo ad un passo dall’area piccola. Il centrale verdeoro può quindi andare a rovesciare su di una palla scodellata in mezzo da un compagno, coordinandosi non male ma senza trovare la precisione nella conclusione.
Tre minuti ed è Perrotta a provarci in girata, ma il suo tiro si spegne tra le braccia di un attento Storari.

Il goal è comunque nell’aria ed arriva dopo quattoridici minuti di gioco a suggellare la crescita graduale dei padroni di casa: Vucinic penetra in area da sinistra ed offre il pallone al suo capitano che lo colpisce in diagonale di prima intenzione, bucando il portiere avversario.

Al diciannovesimo le cose si ripetono in maniera piuttosto simile: è sempre Vucinic, al solito decentrato sulla sinistra del fronte offensivo giallorosso, a liberare Totti al tiro. Questa volta, però, la conclusione del capitano romanista è chiusa in angolo dal portiere avversario.

Per vedere la prima occasione interessante pro-Sampdoria dobbiamo aspettare il ventitreesimo minuto. E’ proprio allora che Zauri mette in mezzo un pallone interessante per Pazzini che nel saltare di testa travolge Cassetti. Niente fallo, ma non riuscendo a dare forza al pallone incornandolo la punta ex Fiorentina prova a ribadirlo in rete col piede, trovando però l’involontaria opposizione proprio del terzino giallorosso, caduto a terra dopo lo scontro con Pazzini. Il rimpallo fa quindi terminare la palla tra i piedi di Cassano, la cui conclusione sarà però schermata dalla scivolata di Burdisso, che s’immolerà liberando la propria area.

Totti esulta dopo aver sbloccato il match

E’ comunque la Roma a fare la partita. Al ventinovesimo, quindi, doppia opportunità per i padroni di casa: dapprima Menez si libera al tiro, trovando però la pronta risposta di Storari, poi Totti non riesce a coordinarsi a modo cercando un tap-in volante con cui fa però terminare il pallone sul fondo.
Di lì in poi il pallino del gioco resterà proprio in mano Giallorossa, con Vucinic assoluto protagonista tanto in postivo quanto in negativo: la troppa voglia di trovare la rete dell’attaccante montenegrino, infatti, lo porterà a cercare di strafare senza però combinare effettivamente nulla di che andando anzi a penalizzare in un certo qual modo la squadra. Significativo, in tal senso, il teatrino messo su con Perrotta, con l’ex nazionale Azzurro che si lamentava delle tante corse a vuoto che era costretto a fare per proporsi senza che però il compagno gli scaricasse mai il pallone, battibecco prontamente sedato dal capitano capitolino.

La ripresa si apre così come si era chiuso il primo tempo, con una Roma in pieno controllo del match ed un Vucinic piuttosto abulico.

Il tutto fino al cinquantaduesimo quando Cassano riceve palla in area e dopo essersi liberato la scodella sul secondo palo dove pesca un Pazzini dimenticato da Riise che può andare in cielo per bucare Julio Sergio e trovare un pareggio tanto bello quanto immeritato.

La Roma però non ci sta e nemmeno un minuto più tardi Vucinic va sul fondo per crossare in mezzo un pallone su cui arriva Menez di gran carriera, ma il fantasista francese viene anticipato in angolo da un difensore. Sugli sviluppi del corner è quindi Juan a provarci di testa, ma l’incornata del difensore carioca termina sul fondo.
Sul ribaltamento di fronte, quindi, è Palombo a provarci calciando dal limite, ma la conclusione del capitano blucerchiato si spegne sul fondo.

Il ritrovato pareggio non fa comunque modificare l’approccio degli ospiti al match. Il Doria resta infatti piuttosto remissivo, lasciando il pallino del gioco in mano ad una Roma che non riesce comunque a pungere come dovrebbe.

Pazzini va a festeggiare alle spalle di Julio Sergio e Riise, affranti per il goal subito

Ad un quarto d’ora dal termine la Roma troverebbe anche la rete che la riporta in vantaggio, ma sul filtrante di Menez Toni è palesemente in posizione di fuorigioco. Impossibile non ravvisarlo, così l’arbitro, su segnalazione del guardalinee di destra, decide giustamente di invalidare la segnatura della punta Campione del Mondo in carica.
Un minuto e Vucinic parte palla al piede sulla sinistra portandosi in area dopo aver saltato Gastaldello e Zauri per farsi però fermare dall’uscita bassa e perentoria di Storari.

Sul ribaltamento di fronte è quindi Semioli a rendersi pericoloso: il diagonale dell’ala ex Chievo è però respinta da Julio Sergio, bravo a distendersi per disinnescare la conclusione dell’avversario.

La Roma si riversa comunque per intero nella trequarti avversaria. A rendersi pericolosissimo a dieci dal termine è Riise che libera il suo sinistro al fulmicotone dal limite trovando però la pronta reazione di Storari, bravo a distendersi per alzare la palla in angolo.

Sbilanciatissimi in avanti per trovare il goal vittoria i Giallorossi finiscono col prendere il secondo goal: Mannini se ne va a sinistra e centra un pallone basso che Pazzini corregge in rete in spaccata.

La partita finisce praticamente lì: la Roma non riuscirà più infatti a trovare la forza, soprattutto mentale, di riportarsi in partita e chiuderà mestamente il match con una sconfitta tutto sommato immeritata.

COMMENTO
Ranieri e i suoi non potranno che mangiarsi le mani: quanto fatto sino ad oggi, infatti, aveva del miracoloso. Certo, un andamento non proprio irresistibile da parte dell’Inter aveva aiutato non poco la squadra capitolina. Da parte sua, però, la Lupa aveva giocato a tratti davvero molto bene, andando tutto sommato a meritarsi di lottare per lo Scudetto.

Dopo la vittoria nel derby di settimana scorsa, quindi, i Giallorossi avrebbero dovuto chiudere ogni discorso oggi. Pompatissimi da un punto di vista psicologico, con tutto lo stadio a sostenerli, si sarebbero dovuti imporre senza colpo ferire al cospetto di una Samp piuttosto rinunciataria.

Pazzini festeggia coi compagni: la sua doppietta vale la vittoria all'Olimpico

Certo, non che il Doria non avesse la sua dose di motivazioni importanti, ma tutto lasciava presagire ad una vittoria Giallorossa.

Non chiudere il match quando si può e deve, però, risulta penalizzante, spesso fatale. E proprio questo è accaduto oggi alla Lupa: primo tempo praticamente dominato in lungo ed in largo ma chiuso con un solo goal di vantaggio, secondo tempo non giocato su livelli poi così diversi dal primo ma il solo goal di differenza ha contato moltissimo, riportando in partita i doriani. E’ bastato una sola disattenzione difensiva, infatti, a far ritrovare il pareggio agli ospiti. Da lì, quindi, la partita è cambiata: la Roma si è riversata in attacco per andare a riprendersi quel primo posto tanto agognato, la Sampdoria ha colpito in contropiede andando a sfruttare proprio la mancanza di equilibrio nello schieramento Giallorosso.

La matematica non condanna certo la Roma, per ora. Obiettivamente, però, dopo stasera le possibilità di imporsi si ridurranno notevolmente.

Personalmente, comunque, aspetterei a dare per finita questa squadra: l’Inter è ancora in corsa per la Champions e in settimana avrà una partita durissima che comunque finisca assorbirà tantissime energie psicofisiche ai giocatori. E la cosa potrebbe pesare.

Certo che da oggi i Giallorossi non potranno limitarsi a pensare solo a sè stessi…

MVP
Non che abbia giocato in maniera perfetta, anche perché fondamentalmente si può dire non sia stato aiutatissimo dai suoi.

Quando segni però una doppietta all’Olimpico davanti ad uno stadio gremito bloccando la corsa Scudetto di una Roma che erano ventitrè match di campionato che non perdeva… beh, non è per caso.

Chi è il mio man of the match è quindi facile capirlo. Del resto Giampaolo Pazzini è maturato tantissimo dal suo approdo a Genova, tanto che può ora sperare seriamente in un posto in nazionale per i prossimi Mondiali, cosa che solo un anno e mezzo fa quasi nessuno gli avrebbe predetto.

Pazzini, MVP del match, svetta per firmare l'1 a 1

Personalmente sono davvero contento di quanto sta facendo questo ragazzo: ho sempre avuto grande stima per lui, giocatore che pur non essendo fenomenale in nulla fa bene un po’ tutto e cui prima di arrivare in Liguria mancava solo il feeling con il goal. Il suo spirito di sacrificio, poi, è qualcosa di più unico che raro in una punta.
Alle buone prestazione ed ai tanti chilometri macinati, quindi, sta oggi cominciando ad aggiungere anche i goal. Forse non è ancora pronto per una grande piazza, ed un annetto almeno a segnare in provincia, a maggior ragione se arriverà la Champions, potrà fargli solo bene. Detto questo comunque non mi stupirei se entro i prossimi dodici mesi e rotti Giampaolo finirà con l’essere un punto fermo nelle convocazioni della nostra nazionale e, magari, nella rosa di qualche grande club.

TABELLINO
Roma vs. Sampdoria
Marcatori: 14′ Totti, 52′, 85′ Pazzini
Roma: Julio Sergio; Cassetti(74′ Taddei) Burdisso Juan Riise; Pizarro De Rossi; Menez Perrotta(66′Toni) Vucinic; Totti. A disposizione: Lobont, Mexes, Tonetto, Brighi, Baptista. Allenatore: Ranieri
Sampdoria: Storari; Zauri Gastaldello Lucchini Ziegler; Semioli Palombo Poli(46′ Tissone) Guberti(46′ Mannini); Pazzini A.Cassano(80′ Testardi). A disposizione: Guardalben, Cacciatore, Rossi, Padalino. Allenatore: Del Neri
Arbitro: Damato
Ammoniti: Ziegler(sam)

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Il Milan scende in campo all’ex La Favorita per provare a bissare quanto fatto poco prima dai cugini Nerazzurri, vincere la propria trentacinquesima di campionato. Impresa certo non facile, comunque, posto che per centrare i tre punti dovrà imporsi su di un ottimo Palermo in piena corsa per un posto in Champions League.

Bovo segna l'1 a 0 sottomisura

CRONACA
Per vedere la prima occasione di una certa importanza dobbiamo aspettare otto soli minuti di gioco. E’ a quel punto, infatti, che Liverani si impossessa di un pallone respinto dalla barriera milanista successivamente ad una punizione calciata malamente da Miccoli e dopo averlo controllato lo scodella al centro dell’area in direzione di Hernandez, che è però anticipato da da un difensore giusto all’ultimo.
Un solo minuto e il Palermo passa: è proprio la giovanissima punta uruguagia in forza al Palermo ad andare a spizzare il pallone al centro dell’area sugli sviluppi di un calcio d’angolo, girando lo stesso sul secondo palo. Dove, tutto solo, lo attende Bovo, che ha buon gioco e grande facilità nel battere Dida per l’1 a 0.

I padroni di casa non sembrano comunque volersi accontentare così tanto che poco dopo il quarto d’ora sono proprio i Rosanero a costruire una bella azione con cui si portano vicini al goal: Balzaretti spinge a sinistra ed effettua un cross liftato per Hernandez che vedendo sopraggiungere di gran carriera Nocerino decide intelligentemente di servirlo con una tanto bella quanto efficace sponda di testa con cui libera il centrocampista ex Juventus, il cui destro al volo termina però alto.
Il Palermo comunque ci crede ed arriva subito al raddoppio: al diciottesimo minuto Oddo perde una palla sanguinosissima sul pressing della giovane punta uruguagia che triangola poi col suo capitano per chiudere il tutto con un diagonale con cui buca Dida. 2 a 0.

Al venticinquesimo si fa quindi vedere il Milan: Huntelaar riceve palla in area e dopo averla ben difesa riesce a trovare lo spazio ed il tempo per potersi girare e calciare verso la porta Rosanero, trovando però l’attenta risposta di un buon Salvatore Sirigu, che arriva sul pallone per bloccarlo poi in un secondo tempo.
Quattro minuti più tardi, invece, Ronaldinho fa suo il pallone sulla trequarti sinistra e si libera al tiro, ma la conclusione del fantasista carioca è ribattuta proprio da Huntelaar, che senza volerlo si frappone sulla traiettoria del pallone. Non contento, quindi, Dinho prova poco dopo a liberare Seedorf in area, ma il centrocampista oranje viene bloccato dall’uscita bassa di Sirigu dopo l’ottimo stop di cui si era reso protagonista.

Abel Hernandez raddoppia

Il Milan sembra comunque essersi svegliato, anche grazie ad un momento di stacco dei padroni di casa. Alla mezz’ora, quindi, è Pirlo a rendersi pericoloso, ma la conclusione da fuori del regista Azzurro viene alzata in angolo dal portiere nativo di Nuoro.
Sugli sviluppi del corner stesso, quindi, Huntelaar va a colpire di testa sul primo palo ma venendo ostacolato da Bovo non trova lo specchio di porta, lasciando che la palla si spenga a lato.

A questo punto torna quindi a farsi vedere il Palermo. Sul ribaltamento di fronte, quindi, è Miccoli, servito da Pastore, a cercare la rete con un tiro basso diretto a filo del primo palo, su cui interviene però Dida salvando in angolo.

In chisura di tempo torna a rendersi pericoloso il Milan: i Rossoneri portano infatti palla sulla sinistra per poi girarla, a furia di passaggini precisi, dalla parte opposta dove Zambrotta la crossa centralmente per Huntelaar, chiuso però in angolo da Sirigu. Proprio dagli sviluppi del corner, quindi, Seedorf calcia una gran castagna in controbalzo, mettendo però palla sul fondo.
Di lì a poco Migliaccio recuperando un pallone a centrocampo dà invece il la ad un ribaltamento di fronte che porta Pastore a farsi cinquanta metri palla al piede ed entrare in area dopo aver saltato due uomini, per venire però chiuso proprio all’interno della stessa. Avesse avuto il tempo di calciare e fosse riuscito a trovare la porta…

In apertura di ripresa è subito il Palermo a rendersi pericoloso: la ripartenza dei Rosanero è infatti firmata da Pastore, Hernandez e Nocerino, con il loro giropalla che libera sulla sinistra un sempre pimpante Miccoli. Il capitano palermitano, quindi, entra in area per calciare con forza ma vedendosi chiudere la conclusione da un difensore rossonero.

Il Milan è però ancora vivo e lo dimostra dieci minuti dopo l’inizio della ripresa quando Pirlo serve Ronaldinho che dal limite taglia la retroguardia Rosanero imbeccando Seedorf, abile poi a bucare Sirigu per il goal che riapre il match.

Clarence Seedorf gioisce coi compagni dopo aver realizzato la rete della bandiera milanista

A chiudere il discorso è quindi il capitano del Palermo, Fabrizio Miccoli: il Maradona del Salento riceve palla in area e si gira senza l’opposizione di un Oddo che tentenna. Faccia alla porta, quindi, l’ex punta del Benfica accarezza il pallone spedendolo come avesse scoccato un colpo da biliardo giusto sotto all’incrocio dei pali, imparabile.

I padroni di casa vorrebbero comunque fare la goleada. Al settantaquattresimo, quindi, Pastore fa un uno-due con Liverani che lo libera da solo davanti a Dida. Pur essendoci Miccoli tutto solo sul secondo palo, però, il trequartista ex Huracan decide di cercare la rete personale, affrettando una conclusione che si infrange però contro il portiere carioca. Occasione ben costruita ma sprecata piuttosto malamente.
Subito dopo Inzaghi troverebbe anche la rete, ma la sua posizione di partenza sul filtrante di Ronaldinho è palesemente irregolare, tanto che l’arbitro non può far altro che annullare la rete dell’ex centravanti Bianconero.

Le due squadre sono quindi lunghissime, ed è un susseguirsi di occasioni. Subito dopo la rete annullata ad Inzaghi, quindi, Cavani si presenta tutto solo di fronte a Dida, che ne para però la conclusione.
Sul ribaltamento di fronte è ancora la premiata coppia Ronaldinho-Inzaghi a farsi vedere, con il trequartista verdeoro che libera benissimo Inzaghi a tu per tu con Sirigu. La punta piacentina subisce però la pressione di Cassani, finendo col mettere incredibilmente a lato un pallone che sembrava forse più difficile da sbagliare che non da segnare.

Dopo una serie di ribaltamenti di fronte si conclude quindi un match molto amaro per il Milan e, in particolare, per Massimo Oddo.

COMMENTO
Lo dissi già commentando l’ultimo match di campionato dei Rossoneri – quello perso con la Sampdoria – e non posso che ripetermi oggi: perché schierare Oddo centrale difensivo lasciando in panchina due tra i giovani più interessanti dell’intero campionato Primavera come Romagnoli (capitano della formazione giovanile Rossonera che ha da poco vinto la Coppa Italia di categoria) ed Albertazzi (già lasciato in panca tutto il match proprio nell’ultima di campionato)?

I tifosi palermitani possono giustamente coltivare a covare il loro sogno Champions

Da amante del calcio giovanile sono il primo a dirlo: i giovani vanno gestiti, per evitare che possano bruciarsi.

Gestirli, però, non significa non schierarli in partite importanti come sicuramente erano e sono state le ultime due affrontate dal club di via Turati. Perché è vero che la pressione in una squadra come il Milan è tanta già di per sè e cresce in determinati momenti della stagione, ma è altrettanto vero che dare un senso di sfiducia tale ad un giovane può essere letale per la sua crescita stessa.

Obiettivamente come può sentirsi un Albertazzi che per quanto sia da anni ritenuto come uno dei migliori giovani difensori italiani vede il proprio allenatore che in situazione di emergenza estrema preferisce schierare un Oddo, qualcosa meno di un modesto marcatore, centrale difensivo al suo posto? Quale fiducia nei propri mezzi può avere un ragazzo che dopo aver visto proprio quel suo compagno regalare il goal vittoria agli avversari viene riconfermato, sciaguratamente, per il match seguente?

Personalmente ho grande rispetto per Leonardo, persona squisita a livello umano e sempre molto corretta ed educata in ogni sua esternazione.
Così come settimana scorsa, però, il Milan si trova a pagare ancora salatissima una sua scelta: proprio quella di schierare Oddo fuori posizione anziché dare fiducia ad uno dei suoi ragazzi.

Intendiamoci, non ho la sfera di cristallo e non posso certo dire che sarebbe finita meglio. Il Palermo, del resto, gioca una buona partita ed a parte un breve momento di appannamento tiene benissimo il campo e merita indubbiamente questa vittoria.
Altrettanto obiettivamente, però, non si può dire che la prestazione di Oddo non pesi pesantamente sul risultato: in occasione del primo goal si perde Bovo sugli sviluppi dell’angolo, in occasione del secondo perde malamente un pallone che spiana la strada al raddoppio Rosanero ed in occasione della terza rete lascia che Miccoli possa girarsi tranquillamente per battere poi Dida.

Davvero Albertazzi o Romagnoli avrebbero potuto fare molto peggio di così?

Miccoli esulta dopo aver realizzato la sua splendida rete

MVP
La palma di migliori in campo se la contendono, a mio avviso, Fabrizio Miccoli ed Javier Pastore, con il primo che, forse, lo merita un pochino di più.

Entrambi i giocatori più fantasiosi della squadra di Delio Rossi disputano una gran partita: il primo è una vera e propria spina nel fianco della difesa Rossonera, partendo largo a sinistra mette infatti più volte in affanno gli avversari e risulta anche decisivo in ben due occasioni. Suo, infatti, è l’assist che Hernandez trasforma poi nella rete del due a zero. Sempre suo è anche lo splendido terzo goal del Palermo, quello che affossa definitivamente le velleità di rimonta rossonere.

Il trequartista di Cordoba dimostra ancora una volta, invece, come i soldi spesi per lui siano stati un investimento assolutamente meritevole. Pastore gestisce infatti molto bene un po’ tutti i palloni che si trova a toccare, rendendosi anche lui spina nel fianco in più di un’occasione con le sue discese centrali che, in qualche frangente, mi hanno un po’ ricordato, pur con le dovute differenze, il primo Kakà milanista.

Miccoli e Pastore sono i simboli di un Palermo che meriterebbe sicuramente un posto in Champions League per quanto fatto vedere sino ad ora. Posto che sarebbe importantissimo per la società di Zamparini, che troverebbe un ulteriore stimolo verso una crescita che si fa di anno in anno più interessante.

TABELLINO
Palermo vs. Milan 3 – 1
Marcatori: 9′ Bovo, 18′ Hernandez, 54′ Seedorf, 68′ Miccoli
Palermo: Sirigu; Cassani, Kjaer, Bovo, Balzaretti; Migliaccio (20′ st Bertolo), Liverani (44′ st Blasi), Nocerino; Pastore; Hernandez (12′ st Cavani), Miccoli. A disp.: Benussi, Celutska, Calderoni, Budan. All.: D.Rossi.
Milan: Dida; Zambrotta (17′ st Inzaghi), Oddo, Thiago Silva, Antonini; Gattuso, Pirlo, Jankulovski (34′ st De Vito); Seedorf (42′ st Mancini); Huntelaar, Ronaldinho. A disp.: Abbiati, Albertazzi, Romagnoli, Strasser. All.: Leonardo
Arbitro: Romeo
Ammoniti: Huntelaar (M)

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L’Inter scende in campo in quel di San Siro per provare a far perdurare la lotta Scudetto con la Roma che, con ogni probabilità, non si esaurirà che l’ultima giornata di campionato.

Mourinho dà spazio ad un robusto turn over contro l'Atalanta per assorbire le fatiche di coppa

CRONACA
E’ un’Atalanta che non t’aspetti quella che scende in campo a San Siro. I bergamaschi provano infatti a far valere il proprio gioco anziché giocare esclusivamente di rimessa. Ed è un atteggiamento positivo questo che paga: dopo cinque soli minuti di gioco gli ospiti passano infatti quando Manfredini verticalizza da metàcampo bucando una difesa alta e approssimativa e pescando un Tiribocchi che partito alle spalle di Materazzi brucia l’ex centrale Azzurro per bucare poi Julio Cesar dal limite.

Giusto un paio di minuti ed è ancora una volta la punta atalantina, questa volta sugli sviluppi di una punizione battuta dalla sinistra, ad andare a concludere a rete: il suo colpo di testa non trova però lo specchio della porta.
Al decimo è invece Valdes a provare a mettere scompiglio nella retroguardia nerazzurra: l’esterno sinistro cileno parte infatti palla al piede per andare a portarsi a fianco dell’area e centrare un pallone basso per Doni, che non riuscirà però a controllarlo a modo perdendolo subito.

E’ quindi un’Inter piuttosto affaticata dopo il match di Champions contro il Barcellona. Fatica che si fa sentire sia sotto l’aspetto di un turn over forzato – che costringe Mourinho a schierare una squadra profondamente rimaneggiata rispetto al solito, con tutto ciò che ne consegue – che per quanto riguarda i giocatori che nell’ultimo periodo hanno giocato moltissimo, come quel Milito palesemente appannatosi in questo ultimissimo periodo.

Nonostante questo è proprio il Principe a trovare il pareggio: i padroni di casa partono infatti in contropiede con Sneijder che lancia in profondità Milito da poco prima della linea di metà campo. Sulla linea di passaggio si frappone quindi Bianco che potrebbe far suo il pallone anticipando la punta nerazzurra. Il centrale atalantino buca però malamente il pallone, spianando la strada a Milito: la punta argentina batte quindi Coppola con un pallonetto morbido.

Milito effettua un pallonetto con cui sigla la rete dell'1 a 1

Alla mezz’ora l’Inter si porta vicino al vantaggio: sugli sviluppi di un corner è Cordoba a colpire a rete di destro, ma il pallone si schianta contro la schiena di Materazzi e finisce quindi sul fondo.
La rete è comunque nell’aria ed arriva al trentaquattresimo minuto quando Sneijder salta un avversario per fare poi filtrare il pallone per Eto’o che lo restituisce al centro proprio al trequartista olandese. Wesley buca però il pallone ma, fortunatamente per lui, gli sopraggiunge alle spalle il giovane keniano che, arrivato a rimorchio, si butta in spaccata per segnare la rete che ribalta il match.

E’ comunque una Inter completamente fuori dall’impasse in cui aveva cominciato il match tanto che al quarantesimo è ancora una volta Cordoba, sempre sugli sviluppi di un calcio d’angolo, a provarci. Questa volta il centrale colombiano fa valere tutta la sua elevazione svettando più alto del diretto marcatore per colpire con forza di testa. Incornata potente sì, ma anche centrale. Tanto che Coppola non ha gran difficoltà a fare suo il pallone.

E’ un’Inter che prova comunque in tutti i modi a portare a due i goal di vantaggio sugli ospiti tanto che proprio in chiusura prima Eto’o al volo sottomisura non trova la porta e poi Mariga viene anticipato in area su tocca invitante di Sneijder.

La ripresa inizia un po’ sulla falsariga del primo tempo, anche se con una Inter che forte del vantaggio ottenuto nella prima frazione riesce a mantenere una solidità maggiore non facendosi colpire dagli avanti atalantini.
Atalanta che, per altro, si sbilancia molto con gli ingressi a stretto giro di posta di Amoruso e Ceravolo finendo con l’allungarsi piuttosto sensibilmente. La cosa, comunque, non comporta effettivi benefici sul piano delle occasioni: gli ospiti aumentano sì la pressione, ma senza riuscire a creare veri e propri problemi o apprensioni al portiere brasiliano dell’Inter.

Inter che, comunque, non è che sia completamente remissiva e passi la seconda metà del tempo ad aspettare il triplice fischio finale. Forte del vantaggio di cui dicevamo, però, i ragazzi di Mourinho non si affannano nemmeno particolarmente per costruire azioni pericolose, limitandosi a provare a colpire con sparute azioni offensive.

Zanetti disputa l'ennesima solida partita della sua stagione

Al settantacinquesimo sono quindi proprio i Nerazzurri a costruire un’azione degnissima di nota: sugli sviluppi di un corner, infatti, i giocatori meneghini fanno circolare la palla all’esterno dell’area avversaria recapitandola sui piedi di Muntari. Il centrocampista ghanese dopo averla controllata decide quindi di scodellarla centralmente al limite dell’area in favore di Thiago Motta, con il centrocampista brasiliano che si coordinerà al meglio per girarla verso la porta avversaria, trovando però la pronta risposta di un attentissimo Coppola.

Il goal, ancora una volta, è comunque nell’aria. A realizzarlo e Christian Chivu, che sigla una rete importantissima soprattutto a livello personale, dopo il grave infortunio di qualche tempo fa. Dopo aver ricevuto palla a qualcosa più di venti metri dalla porta il difensore romeno spara una sassata sul primo palo, bucando il portiere avversario e chiudendo il match.

Il terzino romeno cerca quindi la doppietta poco più tardi, cercando la porta direttamente su calcio di punizione. Il suo tiro mancino termina però a lato del palo alla destra di Coppola.
In chiusura è invece Arnautovic, entrato poco prima al posto di Milito, a provarci: dopo aver rubato il pallone calcia da poco oltre la trequarti, riuscendo però solo a sfiorare il palo a Coppola comunque battuto.

COMMENTO
Nel leggere la formazione ad inizio match ammetto di aver avuto non poche perplessità.

Innanzitutto per quanto riguarda la difesa: Chivu non è più lui ma era giustissimo ripoporlo ancora, perché solo giocando potrà ritrovarsi (e il goal realizzato gli auguro possa aiutarlo a crescere e ritrovare fiducia e spavalderia). In un reparto in cui hai però un terzino sinistro che non è ancora al massimo, però, sostituire entrambi i centrali può essere molto pericoloso, perché a risentirne è tutta la squadra.

Personalmente non sono certo un tecnico, però provandomi a calare nei panni di allenatore nel calcio a 11 debbo dire che i giocatori che avrei più riluttanza a cambiare sarebbero proprio i due centrali, perché è da loro (e dal portiere) che parte e si dirama la sicurezza di una squadra.

Manfredini gioca molto bene ma, purtroppo per lui, viene ammonito, cosa che lo costringerà a saltare il match di settimana prossima contro il Bologna

E la scelta di schierare Cordoba-Materazzi (quest’ultimo, soprattutto) al posto del duo titolare dà subito i suoi frutti negativi: la squadra è palesemente sfilacciata – anche per colpa di un centrocampo inedito – e il Campione del Mondo uscente ha notevoli colpe rispetto al goal di Tiribocchi.

Per fortuna dell’Inter, comunque, le cose si sistemano poi col passare dei minuti, sintomo di una grande sicurezza che ha contagiato anche chi il campo lo vede pochino.

Altra perplessità, forse anche maggiore, era invece inerente a Milito. Che, intendiamoci, non meritava certo la panca per demeriti, anzi. Così come era scontato avrebbe potuto segnare, come poi ha fatto. Ma è ormai palese da almeno due o tre partite a questa parte che il Principe ha assoluta necessità di tirare un po’ il fiato ed in vista del match che vale oro, quello di mercoledì al Camp Nou, farlo riposare sarebbe stato importante, a mio personalissimo avviso.

Nonostante tutto, comunque, l’Inter, pur vivendo un paio di momenti non brillantissimi nel corso dei novanta minuti, porta a casa senza eccessivi affanni i tre punti e mette pressione ad una Roma che domani sera avrà uno scontro molto delicato contro la Sampdoria.

Nerazzurri che, quindi, pur dando largo spazio al turn over potrebbero trovarsi tra poco più di ventiquattro ore nuovamente soli in testa alla classifica.

MVP
Più che migliori in campo è giusto citare due giocatori che, per motivi diversi, hanno molti motivi per gioire pensando ai propri goal: da una parte il keniano Mariga, sottutilizzato da quando giunto a Milano e che gioca una prestazione tutta sostanza condita anche da un goal, dall’altra il rumeno Chivu, che dopo il grave infortunio di qualche mese fa trova una splendida rete che, si spera, possa dare ulteriore fiducia al giocatore.

Mariga batte Coppola per il 2 a 1

TABELLINO
Inter vs. Atalanta
Marcatori: 5′ Tiribocchi, 23′ Milito, 34′ Mariga, 77′ Chivu
Inter: Julio Cesar; Zanetti, Cordoba, Materazzi, Chivu; Mariga, Stankovic (69′ Motta), Muntari; Sneijder (46′ Cambiasso); Milito (80′ Arnautovic), Eto’o. A disposizione: Orlandoni, Lucio, Quaresma, Samuel. Allenatore: José Mourinho.
Atalanta: Coppola; Capelli, Bianco, Manfredini, Peluso; Ferreira Pinto (56′ Ceravolo), Guarente, Padoin, Valdes (56′ Amoruso); Doni (70′ Radovanovic), Tiribocchi. A disposizione: Rossi, Bellini, De Ascentis, Chevanton. Allenatore: Bortolo Mutti.
Arbitro: Orsato
Ammoniti: Bianco (A), Stankovic (I), Coppola (A), Cordoba (I), Manfredini (A), Materazzi (I).

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Nel 1917 Bertie Charles Forbes fondava una rivista di economia e finanza che portava il suo nome.
Oggi questa rivista ha anche una versione online ed è proprio lì che possiamo trovare la classifica dei 20 club più ricchi del mondo.

Questa lista è stata stilata dai giornalisti della rivista americana prendendo in considerazione tutte le voci portatrici di utili: diritti tv, merchandising, sponsor, etc.
Andiamo quindi a vedere cosa è uscito da questa ricerca…

Il club più ricco del mondo, e per il sesto anno consecutivo, è il Manchester United, che guida la classifica con un valore stimato sui 1835 milioni di dollari, ovvero sia quasi due miliardi di dollari.

Un risultato notevolissimo per un club che nonostante abbia una voragine debitoria pazzesca si piazza al vertice della classifica.

Qui c’è comunque da dare una spiegazione: come può il club più ricco del mondo avere un debito pazzesco come quello da quasi 800 milioni di euro che grava appunto sui Red Devils? Semplicissimo: come raccontato benissimo da Gianni Dragoni sul Sole 24 ore Glazer si indebitò per scalare uno United all’epoca quotato in borsa per sfruttare poi una “regoletta molto discutibile” – detta anche spremitura del limone – con cui ha potuto scaricare il suo debito sulla società scalata. Il Manchester United, appunto.

Dal settembre 2005, momento in cui Glazer completò la sua scalata, i debiti gravanti sulla società sono andati via via aumentando a causa dei salatissimi interessi che le banche chiedono ai Red Devils.

Se da una parte questo colosso inglese sembra una vera e propria macchina da soldi dall’altra i debiti si stanno mangiando la società.

Per ora, comunque, resta proprio lo United il club più ricco del mondo: sempre secondo Dragoni, infatti, i ricavi sono aumentati del 10,9% nell’ultimo anno, risultando la squadra con il più alto fatturato d’Europa.

La valutazione del club, invece, è scesa nell’ultimo anno secondo Forbes passando dai 1870 milioni di dollari dello scorso ai 1835 di quest’anno con una perdita del 2%.

Questo calo colpisce comunque anche il Real Madrid, squadra che si piazza al secondo posto nella classifica redatta da Forbes. La Casa Blanca passa infatti dai 1353 milioni di dollari dello scorso anno ai 1323 di quello attuale.

Chiude il podio, forse un po’ a sorpresa, l’Arsenal di Arsene Wenger.
Nemmeno i Gunners, però, si salvano dal calo del 2% che ha colpito le prime due squadre di questa classifica. Anche la società londinese vede infatti il suo valore calare dai 1200 milioni dello scorso anno ai 1181 di quello attuale.

Le cose vanno meglio, invece, per il Barcellona: i Blaugrana si piazzano al quarto posto, giusto ai piedi del podio, con un valore tondo che si attesta sul miliardo di dollari. Niente calo, però, per la società catalana: nell’ultimo anno, infatti, il club di Laporta è cresciuto del 4%, dai 960 milioni dello scorso anno ai 1000 di quello attuale.

Brutto passo indietro, invece, per il Bayern Monaco, che perde una posizione attestandosi al quinto posto. Il valore della società teutonica passa infatti dai 1110 milioni di dollari del 2009 ai 990 del 2010, con una perdita che si attesta su di un significativo 11%.

Ancora peggiore il risultato del Liverpool. I Reds crollano infatti di ben un 19% passando dai 1010 milioni dello scorso anno agli 822 di quest’anno. E’ il secondo anno di fila che la squadra del Mersey vede il proprio valore decrescere: nel 2008, infatti, lo stesso si attestava sui 1050 milioni.

La prima delle italiane si piazza quindi in settima posizione: è il Milan, che con i suoi 800 milioni di dollari si piazza ad un’incollatura dai Reds. Il calo, comunque, è lo stesso: 19%. I Rossoneri lo scorso anno fecero infatti registrare un risultato che si attesto sui 990 milioni di dollari.

Giusto alle spalle della società meneghina si piazza un’altra società italiana, la Juventus. I Bianconeri sono tra i pochi club a crescere, in netta controtendenza rispetto al risultato medio (sceso dai 691 ai 632 milioni di dollari) dei principali club europei, vedendo il proprio valore aumentare del 9%: dai 600 milioni dello scorso anno ai 656 di quest’anno. Un risultato sicuramente importante quello fatto registrare dal club di Corso Galileo Ferraris, un risultato che però non avvicina di molto il club torinese alla testa della classifica: lo United continua infatti ad avere un valore di tre volte superiore rispetto a quello juventino.
Certo è, però, che le cose potrebbero cominciare a migliorare ancor più sensibilmente una volta che lo stadio di proprietà sarà una realtà consolidata e potrà essere sfruttato per aumentare le entrate societarie. Ed in questo la Juventus è indubbiamente una precursice dei tempi, nel Belpaese.

E’ invece in linea con i risultati fatti registrare da Liverpool e Milan il Chelsea di Abrahmovic, che perde anch’esso un pesantissimo 19% passando dagli 800 milioni dello scorso anno ai 64 della stagione attuale.

Chiude quindi la top ten un’altra italiana, l’Inter: i Nerazzurri cresco di ben il 12%, dai 370 milioni della scorsa stagione ai 413 di quest’anno.

Inter e Juventus vanno in controtendenza rispetto alle altre squadre

Completano quindi la classifica lo Schalke 04 undicesimo (-25%, da 510 a 384 milioni), il Tottenham dodicesimo (-16%, da 445 a 372 milioni), l’Olympique Lione tredicesimo (-21%, da 423 a 333 milioni), l’Amburgo quattordicesimo (praticamente invariato, da 330 a 329 milioni), la Roma quindicesima (-19% da 381 a 308 milioni), il Werder Brema sedicesimo (-6%, da 292 a 274 milioni), l’Olympique Marsiglia diciassettesimo (+9%, da 240 a 262 milioni), il Borussia Dortmund diciottesimo (-20%, da 325 a 261 milioni), il Manchester City diciannovesimo (-17%, da 310 a 258 milioni) e il Newcastle United (-30%, da 285 a 198 milioni), oggi in Championship – la Serie B inglese -, ventesimo.

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Ho poche certezze nella mia vita. Una di queste è sicuramente che servano progetti sportivi chiari e ben studiati per poter raccogliere risultati rilevanti. Per poter vincere, nel caso di grandi squadre come lo è la Juventus.

Come ho già avuto modo di scrivere in passato proprio su questo blog personalmente mi pare che dopo Calciopoli le cose in seno al club di Corso Galileo Ferraris sia andate male principalmente proprio per via di una mancanza da questo punto di vista. Per questo motivo ho sempre creduto, e credo ancora, che la prima mossa da fare sia quella di riorganizzare i quadri societari, affidando la gestione della società a persone competenti, ognuno secondo il proprio ruolo.

Perché di errori, è inutile negarlo, ne sono stati fatti davvero parecchi dal giorno in cui il club Bianconero ottenne la promozione in A ad oggi. Errori che hanno ampliato il gap tecnico rispetto all’Inter. Differenza questa che va colmata con operazioni oculate: partire cercando un regista (Xabi Alonso) per poi acquistare un mediano di rottura (Poulsen) mi fa pensare proprio che il progetto alla base sia poco chiaro, se non inesistente.

A questo si è aggiunto, quest’anno, anche un errore di valutazione nella scelta del tecnico: il buon Ciro Ferrara, persona squisita ma quantomeno acerba per quell’incarico, ha infatti bucato clamorosamente facendo cadere la squadra in un vortice in cui la Juventus resta invischiata tutt’ora, senza che nemmeno il cambio di allenatore abbia potuto nulla.

Il tutto si è tradotto in un fallimento quasi totale: uscita prematura dalla Champions League, figuraccia in Europa League, quarto posto quasi impossibile da raggiungere. Davvero pessimo per una delle squadre più blasonate d’Italia.

Oggi però sembra che le cose possano finalmente cambiare: secondo quando riportato da La Stampa, infatti, le possibilità che il prossimo anno la Juventus possa inserire nei propri quadri societari un dirigente esperto come il varesino Giuseppe Marotta sono molte ed in continuo aumento.

Marotta che è da ormai trentadue anni nel mondo del calcio: cominciò infatti la sua vita da dirigente come Direttore del Settore Giovanile del Varese nell’ormai lontano 1978. L’anno successivo, quindi, venne subito promosso a Direttore Generale della società buosina, ruolo questo che ricoprì sino al 1986.
Da lì in poi, quindi, proprio il ruolo di Direttore Generale fu quello che gli venne sempre cucito addosso: Monza, Como, Ravenna, Venezia ed Atalanta sono state le tappe della sua carriera da quando lasciò Varese a quando sbarcò, nel 2002, a Genova. Due anni come D.G. prima per ricoprire il doppio ruolo di Direttore Generale ed Amministratore Delegato poi, sino ad oggi. Sino a quest’estate, almeno.

Potrebbe essere Marotta l'innesto giusto per la dirigenza juventina

Poi?

Poi potrebbe decidere di dare una svolta decisiva alla sua carriera effettuando l’ultimo step che gli manca: sbarcare in una delle società più importanti d’Italia per provare ad imporsi come uno dei migliori dirigenti calcistici del nostro paese.

Riguardo a questa cosa sono diverse le cose da prendere in considerazione. Innanzitutto la capacità di un dirigente, Marotta appunto, che non scopriamo certo oggi essere competentissimo. Sono infatti convinto che se messo in condizione di lavorare potrebbe far bene in qualunque squadra d’Italia. Juventus compresa, quindi.

Proprio qui però si apre una delle parentesi più importanti riguardo alla possibilità di contrattualizzare un nuovo dirigente: metterlo in condizione di lavorare. Perché poi il punto è tutto lì: la competenza da sola non basta se mancano le basi per poter agire. Ecco quindi che risulterebbe inutile, a mio avviso, ingaggiare un dirigente esperto come Marotta se poi non ci fosse una proprietà pronta a supportare il suo operato in tutto e per tutto.

Perché, appunto, sono i progetti sportivi seri, studiati e ben messi in pratica a fare la differenza.

Una volta che si sarà scelto un nuovo Direttore Generale e lo si sarà messo in condizione di lavorare al meglio, quindi, si dovrà pensare al resto: all’allenatore, innanzitutto, ed alla campagna acquisti-cessioni della prossima estate.

Rispetto alla prima questione si fanno sempre più insistenti le voci che danno un possibile arrivo di Rafa Benitez sulla panchina Bianconera. E qui sorgono delle perplessità: il manager spagnolo ha indubbiamente fatto piuttosto bene in Europa da quando è sulle rive del Mersey, per quanto però abbia dimostrato, a mio avviso, qualche limite nella scelta dei giocatori. Un fine tattico, insomma, ma con capacità manageriali non alla stessa altezza della sua preparazione come allenatore.

Sarà Benitez il nuovo allenatore Bianconero?

Bisogna quindi capire se Benitez sbarcherebbe a Torino con la pretesa di fare da solo il mercato o meno. Anche perché intendiamoci: a quel punto l’utilità di Marotta andrebbe a limitarsi notevolmente, dato che rischierebbe di non poter mettere becco in materia di nuovi acquisti.

Per quello che riguarda il mercato, invece, i dirigenti Bianconeri si stanno muovendo già oggi, almeno per quanto riguarda alcune operazioni di contorno. Pare infatti che sia ormai scontato il riscatto di Molinaro da parte dello Stoccarda, così come quasi sicuramente l’Atletico Madrid farà lo stesso con Tiago. Situazione simile anche per Almiron: il Bari dovrebbe infatti esercitare il diritto di riscatto sulla metà del cartellino del centrocampista argentino, affare questo che porterebbe 2,5 milioni di euro nelle casse del club di Corso Galileo Ferraris.

Ancora un po’ fermo, invece, il mercato in entrata, proprio in attesa di capire quali saranno gli sviluppi societari e a livello di guida tecnica.

L’unica trattativa in via di definizione sembra quindi essere quella riguardante Martin Caceres: secondo quanto riporta la versione web del quotidiano sportivo uruguagio Ovacion, infatti, Bettega e Secco si sarebbero incontrati con Txiki Begiristain con cui si sarebbero accordati sul futuro del Pelado. Il giovane difensore Celeste, quindi, pare sia destinato a rimanere alla Juventus in prestito per un altro anno (operazione questa che costerebbe solo 300mila euro al club torinese). Ma non solo: il riscatto per l’acquisto dell’intero cartellino verrebbe quasi dimezzato, passando ad una cifra vicina ai sette milioni di euro, indubbiamente molto più abbordabile rispetto a quello che sarebbe il costo da sostenere attualmente per il suo riscatto.

Il futuro della Juventus, quindi, pare stia cominciando a delinearsi in maniera un po’ più chiara. E anche più serena: dopo qualche stagione in cui le cose sembrava venissero fatte con approssimazione, infatti, potrebbe esserci una svolta importante in tal senso.

Caceres dovrebbe restare a Torino in prestito anche il prossimo anno

E, nel caso, i tifosi bianconeri avrebbero di che gioire.

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Il quattro dicembre scorso Adidas presentò Jabulani, il pallone ufficiale del prossimo Mondiale e che campeggia attualmente nell’header di questo blog. Non contenti di aver creato il pallone esclusivo della rassegna iridata, però, quelli della casa fondata nel 1949 da Adolf Dassler hanno compiuto uno sforzo ulteriore creando il pallone che verrà usato solo e soltanto il giorno della finale: Jo’bulani.

Jo'bulani, ultimo nato in casa Adidas

Nome molto simile a quello del proprio genitore, quindi, per il pallone dell’ultimo atto di Sudafrica 2010. Ma è un nome che, comunque, non è stato dato a caso: lo stesso richiama infatti Johannesburg, città in cui avrà luogo la finale il prossimo 11 luglio.
Johannesburg, dicevamo, conosciuta anche come Jo’burg: la Città dell’Oro.

Perché sebbene mantenga il design iconico d’ispirazione sudafricana di Jabulani il colore dominante dello Jo’bulani è proprio l’oro.

Dopo aver progettato quattro anni fa il Teamgeist Berlin, pallone ufficiale esclusivo per la finale vinta dagli Azzurri, arriva quindi il secondo pallone della storia di Adidas creato apposta per l’ultimo atto di un Mondiale.

Se esteticamente il design resta lo stesso pur con l’inserimento dell’oro come colore principale anche a livello tecnico non ci sono grandi cambiamenti rispetto allo Jabulani, progenitore di questo nuovo nato in casa Adidas.

La caratteristica principale dello Jo’bulani è infatti il profilo Grip’n’Grooves, letteralmente “attrito e scanalature”.

Herbert Hainer (CEO Adidas), Franz Beckenbauer e Carlos Alberto Parreira (con i suoi ragazzi della nazionale sudafricana) presentano Jo'bulani, il pallone della finale di Sudafrica 2010

I tecnici dell’Adidas Innovation Team, infatti, hanno puntato tutto su due aspetti fondamentali: l’attrito che la superficie del pallone avrebbe dovuto avere in particolar modo rispetto ai piedi dei calciatori, che sarebbero dovuti essere facilatati al massimo nel controllo di palla, e la capacità di fendere l’aria al meglio.

Per il primo aspetto, quindi, si è rivisto il caratteristico aspetto a “pelle d’oca” già applicato sul pallone degli scorsi Europei: il rimodellamento notevole della microstruttura del rivestimento esterno garantirà quindi un ottimo grip ed offrirà ai giocatori un controllo del pallone ottimale con qualsiasi condizione atmosferica.

Per il secondo aspetto, invece, sono state create le aero grooves, scanalature chiaramente visibili sulla superficie del pallone stesso che lo circondano in modo ottimale conferendo allo stesso proprietà pare ineguagliabili di stabilità in volo e rendendolo, assieme al suo progenitore, il più preciso tra quelli mai realizzati dalla casa tedesca.

Continua, insomma, il grande lavoro portato avanti da Adidas per migliorare sempre più il materiale tecnico da mettere a disposizione degli atleti.

Uno dei tanti test svolti su Jo'bulani all'interno dei laboratori dell'Adidas Innovation Team

Secondo le indiscrezioni che filtrano proprio da Herzogenaurach, per altro, pare che Adidas abbia inoltre in progetto di presentare innovazioni rivoluzionarie nella produzione di palloni. Innovazioni che dovrebbe rivelare in occasione delle prossime competizioni UEFA, CAF e FIFA.

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Negli ultimi tempi ho un po’ accantonato una delle rubriche portanti di questo blog, quella denominata Stars of the future riguardante i giovani più interessanti in circolazione nel panorama mondiale. Così come è dallo scorso dicembre che non propongo una nuova intervista.

Oggi, quindi, vedrò di porre rimedio ad entrambe le cose in un sol colpo: vado infatti a presentarvi Paride Addario, interessantimo prospetto della Primavera empolese con cui ho potuto scambiare due chiacchiere.

Prima di introdurlo nel pezzo, però, debbo fare una doverosa premessa: questo ragazzo mi era infatti sconosciuto fin solo allo scorso febbraio, quando lo conobbi, calcisticamente parlando, nel corso dell’ultimo Torneo di Viareggio.
Prima di allora, infatti, non avevo assolutamente mai sentito parlare di lui. Mi ci è voluto pochissimo, però, per intravvedere le potenzialità di questo portiere tutto reattività ed esplosività che con le sue parate è riuscito a trascinare la squadra toscana sino in finale.

A mia parziale discolpa, comunque, va detta una cosa: è ormai noto che dopo Buffon vi è stato un buco generazionale notevole in Italia, patria di grandi portieri da sempre. Se una volta c’era l’imbarazzo della scelta su chi convocare, infatti, oggi l’imbarazzo sembra essere più che altro relativo a chi si possa meritare il posto di secondo dietro all’unica sicurezza rappresentata dal nostro Gigione nazionale.

Gli esperti di calcio giovanile, però, è già qualche anno che predicono un ritorno al passato in questo senso: secondo molti di loro, infatti, c’è un notevole numero di portieri nati nei primi anni novanta che ha potenzialità per non far rimpiangere i vari Pagliuca, Peruzzi, Galli, ecc.
Già da qualche tempo, quindi, si sente insistemente parlare di alcuni di questi ragazzi. Su tutti è sempre svettato il nome di Vincenzo Fiorillo, portiere classe 90 cresciuto nelle giovanili della Sampdoria e da sempre ritenuto il candidato principale per ricoprire il ruolo di erede di Buffon a difesa dei pali della nostra nazionale. Allo stesso modo, comunque, si è parlato molto anche di altri giovani portieri: Andrea Seculin della Fiorentina, Carlo Pinsoglio della Juventus, Vito Mannone dell’Arsenal, Luigi Sepe del Napoli, Simone Colombi dell’Atalanta (oggi in prestito al Pergocrema), Mattia Perin del Genoa…

Tutti portieri, questi, con all’attivo almeno qualche convocazione nelle rappresentative giovanili Azzurre.

Di lui, però, nessuna traccia.

E proprio in relazione a questa cosa mi verrebbe anche da chiedermi come sia possibile che nessuno mi avesse mai parlato prima di questo ragazzo nato ad Andria diciannove anni fa ed arrivato ad Empoli all’età di 15 anni. Perché le potenzialità per fare una carriera di livello le ha tutte, come dimostrato proprio nel corso dello stupefacente Torneo di Viareggio disputato solo un paio di mesi or sono.

Ma andiamo a conoscerlo meglio, Paride.

Nato ad Andria, come detto, il 15 febbraio del 1991 iniziò “a giocare per la strada con i miei amici quando avevo solo sei anni”, racconta. Un sogno partito da lontano, quindi. Lontano nel tempo ma anche nello spazio, dato che si trova oggi a coltivare l’ambizione di diventare un calciatore professionista a centinaia di chilometri da casa.

“Dopo qualche anno andai alla scuola calcio della Fidelis Andria, dove iniziai come attaccante”. Vi ricorda nulla? “Ero anche abbastanza bravino. Un giorno, però, andai per caso in porta nel corso di una partitella. Mi piacque un mondo, tanto che decisi di non uscirne più”.
Non leggete quanto sto per dire come un paragone diretto, ma se il fatto che abbia iniziato in un ruolo di movimento non vi ricorda nulla provo a rinfrescarvi la memoria io: anche Gianluigi Buffon iniziò a giocare fuori, per poi avere nel corso degli anni una conversione totale che lo portò a diventare portiere. E che portiere.

Non solo il calcio nella vita di Paride, comunque. Nei suoi anni pugliesi, infatti, il ragazzo frequenta regolarmente la scuola dell’obbligo ed il primo anno della scuola superiore, mentre seconda e terza le compirà in Toscana, salvo poi decidere di fermarsi lì.

In Toscana, sì, perché “A quindici anni mi trasferii ad Empoli dove venni aggregato alla formazione Allievi”. Dopo due anni, quindi, il passaggio alla formazione Primavera, dove sta per chiudere il suo secondo anno di militanza. Annata abbastanza fortunata, questa. Sicuramente più della prima, quando si infortunò piuttosto gravemente: “L’anno scorso stetti fermo cinque mesi a causa di una lesione al crociato posteriore. Fortunatamente però non dovetti operarmi, limitandomi a fare un lavoro di riabilitazione e potenziamento”.

Al di là di questo problema, comunque, Addario si è già potuto togliere notevoli soddisfazioni dal suo arrivo in Toscana: “Da quando sono ad Empoli abbiamo vinto molti tornei, tra cui il Trofeo Gaetano Scirea, anche se ancora nessuna competizione importante. Ci siamo andati comunque già più volte vicini: due anni fa perdemmo contro l’Inter la finale che attribuiva il titolo nazionale della categoria Allievi, quest’anno, come ben sai, abbiamo perso la finale del Torneo di Viareggio”.
Il tutto a sottolineare come ad Empoli curino molto le proprie giovanili. Paride Addario, infatti, non è certo l’unico talento che in questi anni sta militando nella cantera Azzurra, e chi segue il calcio giovanile lo sa bene.

Il discorso, quindi, non poteva che andare a parare proprio sull’ultima edizione della Coppa Carnevale, anche solo perché è in quella competizione che questo ragazzo si è rivelato ai miei occhi.
Autore di un Viareggio da incorniciare, almeno sino alla semifinale, il portierino pugliese trapiantato in Toscana ha infatti messo in mostra grandi potenzialità, affermandosi anche come straordinario pararigori. Peccato solo per la prestazione un po’ sottotono della finale, partita che comunque difficilmente sarebbe stata vincibile anche con una sua prestazione all’altezza di quelle precedenti.

“Dall’ultimo Viareggio ho imparato molte cose. La più importante è sicuramente che non si devono mai staccare i piedi da terra. Io personalmente ho disputato un buon torneo, senza però mai staccare i piedi da terra. Ero consapevole che avevo creato attorno a me delle pressioni dovute alle attenzioni che si erano focalizzate su di me per via delle mie prestazioni e ad ogni partita davo il massimo, senza accontentarmi mai di quanto fatto in precedenza. Volevo infatti fare sempre meglio, migliorare di volta in volta. La finale purtroppo è andata male, ma a tutti può capitare di sbagliare ed è successo anche a me. Quello, comunque, è stato uno stimolo per lavorare ancora più duramente”.

Non pare lasciare nulla al caso, insomma. Nel parlarmi, infatti, dà dimostrazione di avere ben chiaro in testa che le qualità innate non possono essere tutto nel calcio, a maggior ragione quando non hai il talento di Maradona (giocatore con cui, per altro, sognerebbe di giocare avesse una macchina stile la DeLorean di Ritorno al Futuro con cui tornare a ritroso nel tempo). E che per poter arrivare si debbano avere ben chiari in testa i concetti di umiltà e sacrificio.

Sempre parlando di Viareggio – proprio il Torneo di quest’anno, tra l’altro, viene definito dal ragazzo come il momento più bello della sua vita calcistica – era d’obbligo gli chiedessi anche cosa ne pensasse del premio di miglior portiere della competizione, asseggnato a Pinsoglio anziché a lui; che pure con i suoi cinque rigori parati a Roma e Rappresentativa di Serie D era stato forse più decisivo per l’approdo della propria squadra in finale rispetto al portiere juventino: “Pinsoglio è un bravissimo portiere ed è stato anche lui decisivo per la sua squadra nel corso del torneo, ad esempio nel corso della semifinale con l’Atalanta. Ovviamente sarei stato felicissimo qualora la giuria avesse deciso di votare me, però credo che il premio a Pinsoglio sia meritato quindi non ho nulla da eccepire a questa decisione”.

Personalmente, però, non sono proprio d’accordissimo con la decisione della giuria. Certo, la prestazione in finale probabilmente avrà contato moltissimo, ma nel redigere la mia Top 11 del Torneo, pubblicata anche da goal.com, ho comunque deciso di scegliere lui come difensore dello specchio di porta a dispetto di un Pinsoglio che, appunto, ho visto meno decisivo rispetto al portiere empolese.

E qui mi permetto di aprire una parentesi che centra poco con il resto del discorso: l’anno scorso fu Fiorillo, che ne prese quattro in finale, ad essere votato come miglior portiere proprio ai danni di un Pinsoglio che, a mio avviso, giocò meglio del Falco di Oregina. Allo stesso modo, quindi, quest’anno si sarebbe tranquillamente potuto votare il ragazzo nativo di Andria. Ma, forse, anche l’hype mediatico che crea il nome conta nell’attribuzione di questo premio (del resto come lo scorso anno Fiorillo era il portiere più atteso, per quest’anno si può dire lo stesso di Pinsoglio).

Proprio in relazione al fatto di averlo inserito nella Top 11, comunque, verteva la domanda successiva. Perché Addario aveva sì impressionato me ma anche, e soprattutto, Andrea Pazzagli, telecronista Rai per l’occasione nonché collaboratore di mister Massimo Piscedda, attuale C.T. della nostra under 19. Un commento in merito a questo non poteva non essere fatto, perché se Pazzagli ci mettesse una buona parola…
“Ti ringrazio moltissimo per avermi inserito nella Top 11 del Torneo. Certo, sarebbe un sogno se ricevessi una convocazione in nazionale… io continuerò comunque a lavorare come ho sempre fatto e se un giorno dovesse arrivare la chiamata… si realizzerà un mio sogno”.

Purtroppo, però, sembra che Piscedda preferisca ancora affidarsi ad altri ragazzi per difendere la porta della propria rappresentativa under 19. Per l’amichevole del prossimo mercoledì, infatti, il C.T. dell’under 19 ha convocato Colombi e Perin, decidendo quindi ancora una volta di soprassedere rispetto all’eventualità di chiamare Paride.

Sempre parlando di calcio giovanile italiano mi sono quindi permesso di chiedergli il suo punto di vista sul livello medio dello stesso oltre che qualche nome di compagni e avversari che secondo lui possono arrivare lontano: “Credo che il livello medio del calcio giovanile italiano sia molto alto. Il campionato Primavera è diventato molto competitivo e troviamo grandissimi talenti che hanno anche già esordito in prima squadra. Noi abbiamo un grandissimo gruppo: siamo una squadra molto ben affiatata. Personalmente, poi, ho legato molto bene con tutti”, racconta, anche a proposito del suo Empoli. “Credo che Tonelli, Guitto e Dumitru – tutti suoi attuali compagni di squadra, ndr – potranno fare grandi cose se continueranno così”. Per quanto riguarda l’avversario più ostico il discorso torna invece al fil rouge di questa intervista, il Viareggio: “Sicuramente Immobile, che nella finale della Coppa Carnevale ha realizzato una tripletta. Credo che anche lui possa arrivare in alto se continuerà così. Come ho detto in precedenza, comunque, questo campionato Primavera ha molti talenti. Penso ad esempio che anche Carraro e Babacar – entrambi in forza alla Fiorentina, ndr – arriveranno molto in alto”.

Ma che tipo di giocatore è, Addario? Facciamocelo raccontare da lui: “Mi ispiro a Peruzzi: anche lui, infatti, non era particolarmente alto per il ruolo ma compensava la mancanza di centimetri con una notevole forza esplosiva. Allo stesso modo anche io lavoro molto su questo aspetto: reattività, esplosività, rapidità… un portiere con le mie caratteristiche fisiche deve puntare tutto su queste qualità”.

Detto di che giocatore sia, quindi, è bene sapere anche dove voglia arrivare: “Il mio sogno è quello di arrivare in Serie A e, soprattutto, in nazionale maggiore”.

Insomma, un ragazzo di quasi vent’anni con la testa sulle spalle, la cultura del lavoro e la voglia di arrivare. Tutte qualità importantissime in ogni campo, in special mondo nel calcio di oggi.

Per chiudere questo viaggio alla scoperta di Paride, quindi, era doverosa qualche domandina riguardante la sua vita privata, i suoi gusti, i suoi pensieri… “Il prossimo febbraio festeggerò i vent’anni. Ho la ragazza ad Andria, il mio paese, quindi ogni qualvolta ho qualche giorno libero torno giù per passare del tempo con lei. Per il resto sono un ragazzo come tanti: amo le canzoni di Ligabue, adoro stare con gli amici e mi piace molto andare al cinema”.

Un portiere, però, non può essere fino in fondo una persona normale. O, almeno, così dicono: pare infatti che ci sia una caretteristica comune ad ogni numero 1, una certa “pazzia” di fondo, innata, propria di tutti gli estremi difensori. Così come, del resto, di grandissimi portieri è piena la storia del calcio. Due questioni riguardo alle quali ho voluto interrogare anche lui: (ride) Eh sì, la pazzia è una caratteristica riscontrata comunemente nei portieri… ed in effetti credo di averne anche io la mia parte. Per quanto riguarda il miglior portiere di sempre, invece, dico che sicuramente ce ne sono stati diversi molto forti ma credo che il migliore in assoluto sia Buffon”.
Buffon. Proprio quel portiere che iniziò da bimbo come giocatore di movimento, salvo poi scalare tra i pali crescendo.
Proprio quel portiere che qualcuno della generazione di Paride dovrà finire col sostituire tra i pali della nostra nazionale.

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La strutturazione di molte coppe nazionali permette la coltivazione di sogni anche da parte di squadre della provincia profonda, di paesini sperduti, fatte da giocatori che giocano per passione e non per soldi e con giusto poco più di parenti ed amici come seguito di tifosi.

In paesi come la Francia, infatti, non sono solo le squadre delle due o tre serie principali a giocarsi la vittoria finale: la corsa è aperta a tutti, dilettanti compresi.

I giocatori del Quevilly esultano nel corso del match col Boulogne

E’ proprio da qui, quindi, che nasce la favola dell’US Quevilly e dei suoi tifosi, dalla possibilità cioè di provare a giocarsi un posto al sole nel calcio che conta.

L’avventura del piccolo club di Le Petit Quevilly, piccola cittadina di poco più di ventimila abitanti del dipartimento della Senna Marittima, parte da lontano.
Fondato nel 1902 fu finalista in Coppa di Francia nel 1927 e semifinalista nel 1968. Nessuno, però, si sarebbe mai potuto aspettare che i ragazzi di Régis Brouard sarebbero stati in grado di bissare proprio quanto fatto nella famosa primavera del 1968, andando a centrare un’altra semifinale.

E invece…

Il primo impegno nella Coppa di quest’anno risale allo scorso novembre quando il Quevilly si scontrò con il Kaweni imponendosi con un secco 6 a 0 senza storia. A febbraio, quindi, fu la volta di andare a giocare allo Stade Pacy-Ménilles di Pacy-sur-Eure per affrontare la squadra di casa, battuta 2 a 0. Ai trentaduesimi arrivò invece un altro 6 a 0, questa volta ai danni dell’Olympique Saint-Quentin.

E’ però dai sedicesimi di finale che iniziano ad esserci gli impegni un po’ più seri: ad attendere il Quevilly a questo punto del torneo è infatti l’Angers, che arriva allo Stade Amable Lozai piuttosto sicuro di uscirne col bottino pieno. Les Scoïstes, infatti, fanno parte di quell’elite calcistica francese che va sotto il nome di “calcio professionistico”. Niente lavoro in officina, cantiere o negozio per i ragazzi di Jean-Louis Garcia, calciatori a tutti gli effetti, per professione.
Angers che nonostante sia fissa nella prima metà della Ligue 2, quando l’US Quevilly gioca nel campionato amatoriale francese, non riesce però a sopraffarre gli avversari, facendosi sconfiggere per 1 a 0.

Cosa ancora più incredibile, poi, quella che accade ai sedicesimi: l’imperforabile retroguardia della squadra del Presidente Mallet resiste anche contro l’attacco del Rennes, equipe transalpina che troviamo oggi al settimo posto della Ligue 1. Non possiamo dire lo stesso, invece, della difesa dei Rouges et Noirs, che si fa bucare una volta.

Una squadretta di dilettanti, insomma, sta mettendo in subbuglio il calcio francese: nemmeno le squadre della massima divisione transalpina riescono a frenarne l’incedere.

Quanto accade allo Stade Robert Diochon di Rouen (preso in prestito apposta per questo match) il 23 marzo scorso è quindi già storia. Anche se, forse, a quel punto i giocatori di Brouard probabilmente non si aspettavano certo potesse andare altrimenti.

Ad arrivare a Rouen è il modesto Boulogne. Modesto se paragonato alle grandi del calcio francese, un colosso rispetto alla squadra di Le Petit Quevilly. Che però dopo aver eliminato uno dei club in corsa per un posto in Europa non poteva certo temere nulla al cospetto della penultima della Ligue 1.

Sarà stata proprio questa convinzione ad aiutare Beaugrard e compagni nel corso di questi quarti di finale, forse, fattostà che i tifosi dell’USQ hanno potuto assistere ad un trionfo assoluto.
Davanti ai 10490 del Diochon, quindi, è stata scritta una pagina storica del calcio transalpino, a suo modo.

Il 4-5-1 di mister Brouard funziona: dopo soli undici minuti, infatti, Agouazi, mediano ospite, perde un pallone sanguinoso che è quindi recapitato a Anthony Laup, ala destra della formazione di casa, che lo gira a sua volta su Florian Coquio, punta della squadra, che lo deposita in rete. 1 a 0, entusiasmo alle stelle.

Ed è proprio cavalcando quest’entusiamo che alla mezz’ora arriva il raddoppio, ancora una volta propiziato da un errore ospite: Bellaid perde infatti un pallone con un errore grossolano favorendo Laup, che dopo averlo recuperato fredda quindi Bédenik con un piatto destro senza scampo né appello. E’ il delirio.

Tutte le favole, però, prima o poi finiscono. Ed anche quella dell’insormontabile retroguardia dell’USQ trova la sua fine. Nel recupero del primo tempo, infatti, Locointe, su cui non va in pressione la difesa di casa, effettua un cross teso per Marcq che arrivando da dietro all’altezza del dischetto del rigore incorna di testa. E’ una conclusione imparabile per Rhoufir, bucato per la prima volta nel corso di questa edizione della Coppa di Francia.

Se la favola della retroguardia dell’USQ finisce non si può dire lo stesso per quanto riguarda la cavalcata della modesta squadra della Senna Marittima. Che, non contenta del solo goal di vantaggio rispetto agli avversari, decide di triplicare al sessantasettesimo: Vaugeois fa infatti un buon lavoro in mediana e lancia Corbard, subentrato solo sei minuti prima a Colinet, che appoggia a Laup. L’ala destra dell’USQ, quindi, centra per Ouahbi, che spinge il pallone in fondo alla rete per chiudere il match in tripudio.

Anche la favola del Quevilly, comunque, ha trovato una fine: si è infatti chiusa proprio pochi giorni fa, giusto settimana scorsa.

Per l’occasione la società aveva predisposto di giocare nello stadio del Caen, nemmeno più in quello del Rouen. Una semifinale di Coppa di Francia contro niente popò di meno che il PSG, infatti, avrebbe accolto un pubblico ancora maggiore rispetto ai quarti.

E così lo scorso 14 aprile le due squadre si sono scontrate al Michel d’Ornano per decidere chi si sarebbe trovato di fronte al Monaco il prossimo primo maggio allo Stade de France, per la finalissima.

A spuntarla, quindi, è stato proprio il club della capitale, che è riuscito ad imporsi grazie ad un goal realizzato al cinquantesimo da Erdinç.

Erdinç esulta coi compagni dopo aver segnato il goal che sancisce l'eliminazione del Quevilly

Una cavalcata comunque trionfale quella dell’USQ, che ha compiuto un atto successo poche volte nel corso della storia ad una società di dilettanti.

E se fosse arrivata la vittoria finale…

A margine: quanto sarebbe bello se queste cose potessero accadere anche in Italia?

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