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Archive for Maggio 2014

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Non sono un esperto di Paesi Baschi, pur seguendo da sempre – e con un occhio di riguardo – le gesta dell’Athletic Bilbao, alfiere di una intera popolazione.
Però immagino che da quelle parti stiano trovando un motivo in più per sperare in una futura separazione dalla Spagna.

La storia che vi racconto oggi è questione recente, di pochi giorni fa. Quando cioè il piccolo SD Eibar ha battuto l’Alaves in un match valevole per la quarantesima giornata di Liga Adelante (la seconda divisione spagnola) ottenendo la matematica promozione nella Liga BBVA.

Guadagnandosi quindi, sul campo, la possibilità di sfidare due giganti del calcio mondiale come Real Madrid e Barcellona, oltre al rampantissimo Atletico Madrid del Cholo Simeone e, perché no, dare vita ad un interessantissimo derby con l’Athletic Bilbao.

Perché ho specificato “sul campo”?

Perché il piccolo Eibar – meno di 28mila abitanti – potrebbe vedere sfumare un diritto acquisito col sudore della fronte a causa di un decreto Reale promulgato quindici anni fa. Secondo cui, in soldoni, il capitale sociale dell’SD Eibar non sarebbe sufficiente a poter iscrivere la squadra alla prossima Liga.

Una vera e propria beffa per una società serie e sana (non risultano debiti, paga gli stipendi sempre in maniera puntuale) che nonostante un fatturato di soli 400mila euro l’anno (ovvero, l’ammontare del bonus che un singolo giocatore del Real Madrid ha percepito per la vittoria della Champions League) è riuscita nell’impresa di effettuare un doppio salto mortale nel corso di due anni.

La scorsa stagione, infatti, gli Armeros vinsero la Tercera davanti alle squadre B di Villareal ed Almeria.

Quest’anno, quando siamo praticamente giunti al termine di un campionato molto combattuto, l’Eibar guida la classifica con un punto di vantaggio sul nobile decaduto Deportivo La Coruna, ma soprattutto ha sette punti di vantaggio sul trio Las Palmas – Barcellona B – Sporting Gijon. Che, a due partite dal termine, significa promozione sicura.

O meglio, non così sicura proprio in merito a questa gatta da pelare che il Presidente del club, Alex Aranzábal, sta provando a risolvere.

Per farlo è necessario l’ingresso in società di nuovi soci. Che, con l’apporto di capitale fresco, permettano all’Eibar di regolarizzare la propria posizione rispetto al succitato decreto Reale, potendosi quindi iscrivere a tutti gli effetti alla Liga 2014/2015.

Armeros che dovrebbero aver tempo fino all’8 agosto per espletare quanto necessario. Un tempo credo sufficiente a liberarsi anche di questo inghippo, coronando così una splendida favola sportiva.

Senza grandi nomi tra le proprie fila, e basandosi appunto su una gestione oculata e corretta della società, l’Eibar ha infatti compiuto una sorta di miracolo, arrivando a meritarsi l’ingresso nell’olimpo del calcio spagnolo.

Sancito da una rete di José Ignacio “Jota” Peleteiro, capace di stendere il Deportivo Alaves e far partire la festa.

Allenatore della squadra è il bilbaino Gaizka Garitano, che dopo aver passato cinque anni all’Athletic girovagò un po’ per il paese, passando cinque stagioni anche nello stesso Eibar, oltre che tre nella Real Sociedad.

Appese le scarpe al chiodo nel 2009, quindi, subito fischietto al collo e via con tre anni da vice proprio negli Armeros, di cui, dal 2010 al 2012, ha allenato anche la squadra B.

Poi, la promozione a coach del primer equipo. E questo doppio, fantastico, salto mortale in avanti.

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Il nostro giro attorno al mondo continua. Tornando, ancora una volta, nel continente che ha forse sublimato il calcio: il Sud America.

Questa volta però non parliamo di un campionato o un movimento particolare. Ma, con Giuseppe Marzano di SudameriScout, andiamo alla scoperta dei talenti più interessanti di questo continente.

Ovviamente, andando a guardare oltre i classici nomi da copertina, che sono sulle bocche di tutti. Perché a noi piace sempre fare un passo oltre.

Partiamo dal gigante del Sud America, riferimento assoluto per il calcio Mondiale: il Brasile. Da sempre fucina di grandissimi talenti, negli ultimi anni ha sfornato grandi difensori, cosa piuttosto inusuale, perdendo però forse qualcosina davanti, dove a parte un ancora non maturissimo Neymar non si vedono grandi fenomeni. Chi sono gli under 20 più interessanti dell’intero Brasile?

Partirei dal Cruzeiro campione del Brasileirao 2013. A Belo Horizonte hanno assemblato una squadra molto competitiva. C’è il giusto mix di esperienza e giovani di talento. A me piace molto il centrocampista Lucas Silva, 21 anni, fa parte della spina dorsale della “Raposa”. E’ dotato di una gran visione di gioco e buon tiro.
A lui ci aggiungo Judivan, 19 anni, che presto potrebbe esordire in prima squadra. Si tratta di un attaccante molto rapido e tecnico che a livello giovanile ha fatto benissimo.

Nel Santos orfano di Neymar, presto dovrebbe esordire in prima squadra il terzino sinistro classe 1997 Diogo Vitor. Mostra una buona velocità ed è molto abile nei cross..

In mezzo al campo c’è da seguire Boschilia, 17 anni trequartista del Sao Paulo. Ha una tecnica incredibile ed è un bravo finalizzatore, ne sentiremo sicuramente parlare in futuro. Insieme a lui non posso non citare Nathan, classe 96 è il futuro numero dieci della Selecao. Attualmente milita nell’Atletico PR dove in questa stagione ha disputato 7 partite mettendo a segno un gol.

Per quel che riguarda il reparto offensivo è un piacere vedere giocare Thalles del Vasco da Gama. E’ un centravanti di 18 anni tecnico ma allo stesso tempo dotato di una buona struttura fisica. In questi giorni lo possiamo ammirare al torneo Giovani speranze di Tolone.

Ma l’astro nascente del calcio brasiliano a mio modo di vedere è Gabriel Barbosa soprannominato Gabigol. A soli 17 anni segna con una facilità disarmante. Su di lui ci sono già diverse grandi squadre Europee.

Chiudo la tournè in Brasile con un 18enne dell’Inter di Porto Alegre, Andrigo de Araujo. Ambidestro gran tecnica senso del gol assolutamente da tenere d’occhio, anche lui potrebbe presto esordire in prima squadra.

Quando si parla di Brasile non si può non parlare anche dei loro acerrimi nemici. Com’è messa, in ottica di giovani talenti, l’Argentina?

Inizierei dal portiere dell’Estudiantes Geronimo Rulli 22 anni, riflessi felini, abile tra i pali, ma deve migliorare nelle uscite. A mio avviso è stato il migliore nel suo ruolo nel campionato che si è appena concluso.

Il Lanus ha deciso di puntare sui giovani e i risultati si stanno vedendo. Molto bene il centrale difensivo Monteseirin, 19 anni già diverse presenze da titolare con gol e Astina esterno d’attacco di 18 anni ragazzo molto interessante che fa parte anche dell’U17.

Seguo sempre con entusiasmo Carlos Luque del Colon, ricorda il Rosarino Di Maria, abilissimo nello stretto ha un dribbling secco e in accelerazione è quasi imprendibile.

Altro giovanissimo che ha già esordito in Primera è il sedicenne Ezequiel Ponce soprannominato el Tanque. Gran fisico, grinta e personalità. Ad oggi è il marcatore più giovane della storia del Newells Old Boys.

A centrocampo stravedo per due ragazzi. Il primo è Lucas Romero 94 del Velez ormai titolare inamovibile, l’altro è Matias Kranevitter 93 del River Plate. Abili sia in fase di recupero palla che in impostazione.

Al River dopo un po’ di tempo hanno ripreso a sfornare talenti. Ci sono diversi giovani interessanti, uno su tutti è il centrale Emanuel Mammana classe 96 che nell’ultimo periodo è stato aggregato alla prima squadra, penso che molto presto lo vedremo calpestare l’erbetta del Monumental.

Dal River passiamo agli storici rivali del Boca Juniors dove non mi dispiace il centrale difensivo Tiago Casasola. Nato nel 1995, di chiare origini italiane, ha passaporto comunitario. Forte di testa, abile in marcatura, anche se per dirla tutta deve migliorare in velocità.
Altro giocatore da seguire negli xeneizes è Luciano Acosta “enganche” classe 94.Ha una tecnica straordinaria. Brevilineo, dotato di un dribbling che non ti lascia scampo. 2 gol per lui nell’ultima stagione.

Il terzo movimento per importanza è, classicamente, quello uruguagio, che in Brasile potrebbe schierare la coppia offensiva migliore del mondo (Suarez-Cavani). Chi sono i migliori giovani talenti che stanno sbocciando in Uruguay?

Partiamo con Guillerme de Amores, 19 anni del Liverpool di Montevideo che ha vinto il premio di miglior portiere del mondiale U20 disputatosi in Turchia.

A sinistra ci metto Lucas Olaza che adesso è andato a giocare in Brasile all’Atl.Paranaense. 20 anni, è molto abile sui calci da fermo tant’è che nell’ultima stagione in Uruguay ha realizzato 5 reti.

Tra i centrali difensivi spicca su tutti Emi Velazquez capitano della Celeste Under 20 forte nel gioco aereo, bravo in marcatura e in anticipo.

A centrocampo da poco ha esordito nel Danubio Gaston “Toto” Faber, 17anni, regista di centrocampo dotato di buona tecnica e visione di gioco.

Altro giovane da seguire è Gaston Pereiro, centrocampista mancino cresciuto con il mito di Alvaro Recoba. Ha 19 anni e gioca nel Nacional de Montevideo.

In attacco ci sono due ragazzi “terribili”: Franco Acosta e Kevin Mendez. Classe 96, sono già sui taccuini degli scout di mezza Europa.

Jaime Baez invece, 18enne attaccante dello Juventud de la Piedras, è il nuovo che avanza. Sicuramente un altro da tenere sotto osservazione.

La stella però gioca nel Defensor Sporting. Giorgian De Arrascaeta 19 anni trequartista dotato di una visione di gioco sublime. Ha una tecnica individuale spaventosa. Mi chiedo come faccia uno come lui a giocare ancora in Sudamerica anche perché dovrebbe avere passaporto comunitario. Pare ci sia lo United sulle sue tracce.

Uno dei movimenti in forte espansione è sicuramente quello colombiano. Che, Falcao a parte, ha messo in mostra giocatori molto interessanti nel corso degli ultimi anni. Chi sono under 20 da tenere d’occhio?

E’ incredibilmente interessante il movimento calcistico Colombiano.

Anche qui partirei con un portierino niente male: Cristian Bonilla dell’Atletico Nacional. E’ titolare nella sua squadra di club e della Colombia U20.  Reattivo, bravo nelle uscite. E’ sicuramente per età il migliore nel suo ruolo nel continente.

Come centrale si è distinto Felipe Aguilar classe 1993 del Alianza Petrolera. Sicuramente lo ricorderete perchè faceva coppia con il milanista Vergara nella Colombia U20.

Come terzino sinistro vedo bene Daniel Londono classe 1995 dell’Envigado, che ha un settore giovanile floridissimo. Da qui l’Udinese ha pescato il trequartista Alexis Zapata che quest’anno era in prestito al Sassuolo. A proposito di Envigado, seguo sempre con piacere Nico Rubio centrocampista offensivo. A febbraio ha partecipato al torneo di Viareggio. 17 anni, tecnica eccelsa, ottima visione di gioco, spesso finisce sul tabellino dei marcatori.

Altro giovane da monitorare è Gustavo Torres 17 anni centrocampista, ha una buona tecnica e un discreto rapporto col gol.

La stellina però, è senza dubbio il centravanti diciassettenne Jhon Fredy Miranda. Gioca nell’Independiente di Santa Fe e da poco fa parte della Colombia U17, dopo aver segnato a raffica con le giovanili.

Zamorano, Salas, Sanchez: sono solo alcuni dei giocatori cileni che sono passati nel nostro paese, lasciando sicuramente un ottimo ricordo di sé. Quali sono i giovani che potrebbero ripercorrere le loro orme?

In difesa mi piace molto come centrale Enzo Andia 21 anni della Universidad Catolica, 188 cm per 82 kg è quasi imbattibile sulle palle alte ed è bravo in marcatura, credo che lo vedremo al mondiale.

Uno dei miei pupilli in Cile è senza dubbio Sebastian Martinez, classe 93 della Universidad de Chile. Può giocare sia come centrocampista che in difesa. Ha una buona visione di gioco ma nello stesso tempo è abile nel recupero palla. Ha già esordito con la nazionale maggiore dopo aver fatto molto bene con la sub20.

Da seguire è anche Nicolas Maturana altro 93 mancino dotato di grandissima tecnica, quasi imprendibile palla al piede.

Il predestinato però sembra essere Hardy Cavero centrale difensivo del Colo Colo. 17 anni ma già strutturato bene fisicamente. Forte di testa e abile in marcatura. Ne sentiremo parlare.

Chiudo il viaggio in Cile con il giovanissimo Matias Ramirez attaccante 17enne del Palestino e della nazionale u17. Deve migliorare senza dubbio dal punto di vista fisico ma ha un istinto del gol da attaccante di razza. Sono sicuro che di questo ragazzo farà strada.

Bolivia, Ecuador, Paraguay, Perù e Venezuela sono probabilmente paesi un pochino più poveri di grandi talenti, pur con qualche eccezione interessante. Dando uno sguardo ai loro giovani, chi dovremmo tenere d’occhio?

In Ecuador, altro movimento calcistico in forte crescita, Junior Sornoza seconda punta nato nel 1994 dell’Independiente del Valle è senza dubbio il giovane più forte in circolazione. E’ lui la speranza del Fubol locale. 19 gol in campionato la scorsa stagione sono un bottino di tutto rispetto.
A lui aggiungo Johnny Uchuari, una sorta di Giovinco dotato di gran tecnica, bravo nel dribbling. Gioca nella Liga de Loja ed è spesso titolare nella sub20.
Chiudo con Pedro Velasco 20 anni. E’ il terzino destro titolare del Barcelona SC la squadra più titolata del paese. Ottimo in fase offensiva, ha corsa ed è bravo nei cross. Credo sia il migliore interprete del suo ruolo in Ecuador.

In Perù vi faccio 3 nomi su tutti: Gomez, Guarderas e Siucho.
Alexi Gomez è terzino sinistro dell’Universitario; ha una facilità di corsa disarmante, abile crossatore, è già tra i titolari della nazionale Peruana.
Rafael Guarderas è un centrocampista mancino di 20 anni dell’Universitario. È in possesso di ottima visione di gioco e sapienza tattica.
Roberto Siucho invece fa parte della nuovissima generazione di talenti che sta sfornando il Perù. Classe 97, è un attaccante moderno, bravo palla al piede, dotato di una buona tecnica.

Per quel che riguarda il Venezuela mi viene in mente un nome su tutti: Andres Ponce punta 17enne del Deportivo Tachira. Forte fisicamente, ha nel colpo di testa il suo punto forte ed è anche un ottimo finalizzatore.

In Paraguay c’è qualcosina di buono ma li hanno già presi Roma e Benfica. Uno è Tonny Sanabria e l’altro è Derlis Gonzalez che negli ultimi due campionati ha messo a segno 22 gol con le maglie di Guaranì e Olimpia.

Per quanto riguarda la Bolivia, beh ragazzi c’è poco da dire. Il movimento calcistico è molto arretrato rispetto alle grandi scuole calcio del Sud America, grossi talenti non ne vedo. Io a La Paz e dintorni ci andrei solo in vacanza.

 

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Negli ultimi mesi ho avuto un’idea: costituire una task force composta da una serie di esperti della rete per redigere una guida al prossimo Mondiale che fosse interessante e completa.

Le difficoltà sono state tante, e come potrete leggere nell’introduzione alla guida stessa, non tutto è andato come speravo. Anzi.

Il risultato è comunque molto interessante, nonostante molti pezzi siano stati scritti prima delle pre-convocazioni e poi non aggiornati.

Tra due anni torneremo. E forti dell’esperienza maturata in questi mesi, vi proporremo un prodotto ancora migliore.

Per intanto scaricate e fate scaricare la nostra guida, #Brasile2014. E’ gratis!

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Mercoledì è terminato l’Europeo under 17, una competizione sempre interessante in cui si mettono in mostra molti talenti destinati a far parlare di sé di lì a breve.

Io ho potuto vedere diversi match della competizione di quest’anno, di cui stilerò quindi una mia personalissima “top 11”.

Il modulo base sarà quindi il 4-2-3-1, ormai utilizzatissimo in lungo e in largo per tutto il Vecchio Continente. Ecco le mie scelte…

Yanick van Osch – Olanda
Titolarissimo fin dall’inizio delle qualificazioni alla competizione, il portierino delle giovanili del PSV ha messo in mostra discrete doti tecniche. La verità è che comunque non ho visto super interpreti del ruolo. Per dire, cinque anni fa in un solo Europeo si misero in mostra Perin, Ter Stegen e lo svizzero Benjamin Siegriest, votato miglior giocatore del torneo.

Jonjo Kenny – Inghilterra
L’Everton ha uno dei migliori terzini destri al mondo: Seamus Coleman. Ruolo che sembra poter essere ben coperto anche in ottica futura, con questo giovane terzino ordinato e dinamico autore di una grande prestazione in finale contro l’Olanda. Giocatore che non sembra avere le stimmate del fenomeno, ha comunque un potenziale interessante su cui costruire un professionista di livello.

Ertuğrul Ersoy – Turchia
Fisico già più che formato, abilità nel gioco aereo, basi tecniche discrete. Questo è Ersoy, difensore moderno che ben ha impressionato nel corso dell’ultimo torneo continentale under 17. La stellina del Bursaspor è una delle grandi speranze del calcio turco, che da sempre stenta a costruire reparti difensivi di livello.

Jack Breslin – Scozia
Colonna difensiva della nazionale scozzese, ha l’epicità giusta per diventare il nuovo Colin Hendry. Giocatore non ancora formatissimo da un punto di vista fisico, si è però disimpegnato più che bene là in mezzo in diverse situazioni di gioco, pur lasciando comunque intravvedere anche notevoli limiti, comunque limabili nel corso del tempo. Sicuramente un giocatore su cui il Celtic, che lo schiera nella formazione under 17, farebbe bene ad investire.

Tafari Moore – Inghilterra
Terzino sinistro della formazione under 18 Gunners, Tafari Moore ha messo in mostra capacità interessanti in entrambe le fasi di gioco. Atleticamente già discretamente sviluppato, molto appariscente con le sue treccine, deve ovviamente imparare a muoversi meglio ma ha già dimostrato di saper tenere un livello di gioco più che discreto.

Rúben Neves – Portogallo
Sicuramente uno dei giocatori più interessanti del torneo. Giocatore in grado di dettare i tempi quanto di fare del lavoro sporco, ha dimostrato anche una discreta capacità di rendersi pericoloso in fase offensiva, soprattutto grazie ad un destro potente e preciso con cui può cannoneggiare la porta avversaria. Tecnicamente molto dotato, è una delle ennesime perle che stanno per essere sfornate dalla pregevolissima bottega del Porto.

Jari Schuurman – Olanda
Quattro goal in cinque partite. Niente male per un centrocampista. Capocannoniere del torneo (assieme all’inglese Solanke), il ragazzino in forza al Feyenoord ha messo in mostra doti interessantissime, soprattutto da incursionista. Corridore instancabile, aiuta la squadra anche in fase di non possesso ma è proprio quando può partire da dietro ed infilarsi nelle maglie della difesa avversaria che dà il meglio di sé. In un calcio in cui l’apporto in zona goal dei centrocampisti sembra essere sempre più importante, il futuro di questo ragazzino sembra poter essere davvero roseo.

Steven Bergwijn – Olanda
Atleticamente devastante, almeno in relazione al livello in cui gioca, l’ala del PSV è dotata di velocità e potenza come pochi altri coetanei in Europa. Vero e proprio martello sulla fascia, può disimpegnarsi tanto a destra quanto a sinistra. Ha anche messo in mostra un discreto fiuto del goal, che gli è valso la realizzazione di tre reti in quattro match.

Dominic Solanke – Inghilterra
Capocannoniere al pari dell’olandese Schuurman, il trequartista di origine nigeriana in forza al Chelsea può disimpegnarsi tranquillamente anche come punta centrale. Forte di un fisico importante, è dotato di un bagaglio tecnico piuttosto completo, messo bene in mostra con lo splendido goal rifilato al Portogallo in semifinale.

Patrick Roberts – Inghilterra
Ala capace di disimpegnarsi tanto a destra quanto a sinistra mantenendo comunque un ottimo livello di gioco, Roberts è giocatore minuto e guizzante, abile nel dribbling e letale nelle conclusioni. Giocatore da tenere d’occhio, che personalmente lancerei in prima squadra già nel prossimo campionato (a maggior ragione posto che il Fulham è retrocesso in Championship), ha forse una pecca: è ancora abbastanza incostante all’interno del match. Un difetto che può comunque andare a correggere nel corso del suo processo di maturazione. 3 goal in 5 match sono comunque un bottino tutt’altro che disprezzabile.

Enes Ünal – Turchia
Di lui avevo già parlato nel mio primo libro, La carica dei 201. E lui ha ripagato la mia fiducia in questo Europeo, realizzando due reti in tre soli match e risultando indubbiamente come una delle punte più interessanti del lotto. Unica pecca, forse, il fatto che – probabilmente sapendo di essere forte – andava spesso a cercare la giocata difficile anziché quella migliore.

Questo l’11 migliore dell’Europeo secondo chi scrive. Con diverse honorable mention, però, che vanno a formare la panchina lunga: gli inglesi Woodman, Joe Gomez, Taylor Moore, Joshua Onomah, Adam Armstrong ed Izzy Brown. Gli olandesi Nouri ed Ould Chikh. Il turco Aktay ed il maltese Friggieri. I portoghesi Carvalho e Silva. Gli scozzesi Wighton e Wright. I tedeschi Besuschkow ed Henrichs. Gli svizzeri Oberlin ed Ajeti.

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Dopo qualche settimana di stop, riprendiamo il nostro giro del mondo. Questa volta facendo tappa nella vicina Germania, dove si è appena conclusa una stagione che ha visto il Bayern trionfare in campionato (in attesa della finale di coppa) ma non riuscire a ripetersi in Europa.

Ad accompagnarci in questo recap Matteo Sgarabottolo, grande esperto di Bundesliga nonché responsabile della sezione calcio di Eat Sport.

90 punti. Ancora una volta il Bayern Monaco ha ucciso la Bundesliga (+19 sul Borussia secondo). E a fine settimana potrebbe vincere anche la DFB Pokal. Il dato più importante, però, è che questo dominio sembra poter continuare ancora a lungo, almeno nei patrii confini…

Si, probabilmente sarà così. Il Bayern ha la società migliore, la rosa migliore e finanziariamente non ha problema alcuno. Abbiamo visto quest’anno come solo il Borussia Dortmund inizialmente sia riuscito tenere testa ai bavaresi, ma appena gli infortuni hanno decimato la squadra dei suoi titolarissimi, ecco che la banda Guardiola ha preso il largo. In queste due ultime stagioni si è creato un profondo solco tra la prima in classifica e tutte le altre, segno indistinto della schiacciante supremazia di Lahm e soci. Se poi consideriamo che l’anno prossimo si aggiungerà Lewandowski e molto probabilmente vi sarà l’assalto ad un difensore di livello (ne hanno bisogno eccome), ecco che le prossime edizioni della Bundesliga potrebbero essere interessanti solo dalla seconda posizione in giù.

Capitolo Guardiola: un’esperienza ad oggi con tante luci ma, di contro, anche tante ombre. Qual è la tua valutazione e soprattutto cosa ti aspetti per il futuro?

Molto è stato detto a riguardo, soprattutto dopo la batosta in Champions per mano del Real. Pep è arrivato in Germania portando il suo calcio, quello in cui crede e quello che lui pensa possa condurre alla vittoria la squadra: all’inizio ci son stati dei tentennamenti e delle prestazioni opache che sia Sammer, che Beckenbauer non si sono risparmiati dal farglielo notare, ma poi la squadra è decollata, distanziando tutti in campionato. Il gioco che ha espresso il Bayern quest’anno è quanto di più lontano ci sia da come un tedesco intende il calcio: il prolungato possesso palla e i tanti tocchi alla sfera non sono mai stati parte della cultura calcistica teutonica ed in molti hanno storto il naso nel vedere i bavaresi giocare. Nondimeno hanno stradominato il campionato e portato a casa la Supercoppa Europea e possono ancora vincere il Dfb Pokal: crocifiggere Guardiola solo perché non è riuscito a rivincere la “Coppa dalle grandi orecchie” mi pare eccessivo e prematuro. Dovessi dargli un voto gli darei un 7,5, tenendo conto che può e deve migliorare ancora l’anno prossimo: da lui infatti mi aspetto anche un cambio di modulo ed un diverso ritmo di gestione della gara da parte dei suoi ragazzi, più consono ai ritmi sia del campionato, che del gioco europeo; il Real Madrid ha vinto la doppia semifinale anche perché le Merengues correvano almeno il doppio degli avversari. Inoltre spero vivamente che rimetta Lahm a fare il terzino e Javi Martinez davanti alla difesa: questi due sono mancati molto nei rispettivi ruoli di competenza.

Oltre a Braunschweig e Norimberga, retrocesse direttamente, ci sarà l’Amburgo che dovrà giocare i playout. Retrocessione che sarebbe storica, dato che l’HSV ha disputato tutte le edizioni di questo campionato, dal 1963 in poi. A cosa è dovuta questa stagione così negativa?

Confusione societaria, mercato scellerato (tredici milioni per il ritorno di van der Vaart una follia), continui cambi in panchina e, soprattutto, assenza di un progetto vero e proprio. Da inizio stagione si sono succeduti tre allenatori (Fink, van Marwjik e Slomka), ma nessuno di questi sul piano tecnico/tattico ha saputo dare un’identità alla squadra. Gli evidenti problemi difensivi già palesati la scorsa stagione non sono stati risolti, anzi sono addirittura peggiorati (75 gol incassati in totale, peggior difesa del torneo), mentre davanti il solo Calhanoglu ha saputo mettere in mostra le proprie qualità, visto che il bomber Lasogga tornerà all’Hertha finito il prestito. Se la dovranno vedere con il Greuther Fürth nello spareggio: onestamente, visto il recente andazzo, non saprei cosa aspettarmi da questo doppio confronto. Potenzialmente può succedere di tutto. Di sicuro mi spiacerebbe molto vedere una società storica come l’Hsv relegata in Zweite.

Quest’anno le cose in Europa, per il calcio tedesco, non sono andate bene come negli ultimi anni. E’ l’inizio di una flessione che si confermerà in futuro o solo un caso isolato?

In Champions tre squadre su quattro sono state eliminate dal Real Madrid (Schalke, Dortmund e Bayern), la quarta (Bayer) dal Psg. Schalke e Leverkusen erano troppo inferiori ai rispettivi avversari, il Dortmund ci ha provato al ritorno, ma ha pagato la brutta gara d’andata e la serata storta di Mkhitaryan, mentre il Bayern ha subito una delle più sonore sconfitte della sua storia in una serata assurda. Non penso che sia l’inizio di una flessione: tutto sommato le quattro compagini hanno superato i gironi (alcuni anche complicati), confermando di essere ossi duri ed il prossimo anno saranno sempre loro (preliminari permettendo per il Bayer) a rappresentare la Germania in Europa. La finale di Berlino sarà uno stimolo in più per fare bene e scommetto che raggiungere la capitale a maggio sarà uno degli obiettivi di Bayern e Borussia. In Europa League invece il discorso è stato diverso, in quanto sia Friburgo che Eintracht Francoforte non erano squadre pronte ed attrezzate per sostenere il doppio impegno ed infatti a lungo hanno pagato dazio in campionato. Il prossimo anno però, Wolfsburg, Borussia Mönchengladbach (Mainz ai preliminari) saranno della competizione e la musica potrebbe suonare diversamente: i Lupi di Hecking saranno da tenere d’occhio sia in Germania che fuori.

Scorrendo la classifica marcatori troviamo Lewandowski al primo posto (20 goal) e Mandzukic al secondo (18). Due giocatori che l’anno prossimo potrebbero essere compagni, anche se uno sarà l’alternativa dell’altro. Come vedi il primo in Baviera? Credi che il secondo batterà i piedi per trovare più spazio altrove o si accontenterà di fare la riserva del polacco?

Vedendo come Guardiola vuole che si muova la punta e, soprattutto, quali caratteristiche preferisce che essa abbia, penso che Lewandowski potrà fare bene nella sua nuova avventura. Il polacco è un attaccante mobile, rapido, bravissimo coi piedi e che sa dialogare con i compagni molto bene. Mandzukic ha caratteristiche molto diverse, in quanto è più un attaccante d’area, ma il lavoro di sacrificio fatto soprattutto quest’anno nel rientrare e dare una mano a centrocampo è stato encomiabile. Proprio questa sua caratteristica, oltre al saper fare gol, ha fatto si che il croato attirasse attenzioni da parte di altri club: non escluderei a priori una sua cessione.

A quota 17 troviamo invece il giovane svizzero Josip Drmic, retrocesso col Norimberga. Dove giocherà l’anno prossimo?

Notizia recente che il Bayer Leverkusen si è assicurato per 6 milioni il giovane svizzero: vista la partenza di Sam e la non più giovane età del bomber Kieβling, di sicuro l’acquisto di Drmic è stata una gran mossa da parte di Völler e soci, sia per l’immediato presente, che per il futuro.

A 16 oltre a Firmino ci sono Reus e Adrian Ramos, giocatore deputato a sbarcare a Dortmund per prendere il posto di Lewandowski. Borussia che pare vorrebbe però acquistare anche Immobile. Come vedresti Ciro in Germania e, ancora, come potrebbe poi risolversi il dualismo tra lui e Ramos?

Immobile alla corte di Klopp lo vedrei molto bene: è un attaccante che svaria molto su tutto il fronte d’attacco, corre e piedi buoni, ideale da inserire nel contesto d’attacco del Borussia. Inoltre la Bundesliga è un campionato che dà molto spazio ai giovani e quindi, avendo avuto prima buoni maestri (Zeman e Ventura) e ora il buon Kloppo, per il giovane azzurro potrebbe essere l’occasione per crescere ancora e fare un importante salto di qualità. Per quanto riguarda il dualismo, non penso che sarà un grande problema: il Dortmund sarà impegnato in ben tre competizioni e vorrà fare di tutto per mettere il bastone tra le ruote al Bayern in Germania, ergo deve evitare di avere la rosa corta qualora si infortunassero degli elementi come in questa stagione. Ramos senza dubbio è già iniziato al calcio tedesco, ma, dovesse arrivare anche il napoletano, non penso che potrebbe costituire un problema.

Sempre in ottica mercato, ci sarà un trasferimento dalla Bundesliga alla Serie A: Maxim Choupo Moting, acquistato a parametro zero dalla Roma. Come vedi il suo inserimento in Italia?

Choupo-Moting ha disputato una grande stagione al Mainz, mettendo a segno dieci gol e soprattutto giocando con continuità durante tutto il campionato, aspetto da non sottovalutare viste le annate precedenti caratterizzate da numerosi infortuni che ne hanno segnato inevitabilmente il rendimento. È un’ala naturale, prevalentemente sinistra, quindi nel 4-3-3 di Garcia potrebbe entrarci bene, avendo anche caratteristiche diverse dai vari Gervinho, Florenzi o Ljajic. Potrebbe anche giocare come punta centrale, ruolo ricoperto a volte con discreti risultati, visto anche che è molto bravo nel gioco aereo.

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Questa mattina ho avuto il piacere di partecipare, naturalmente come pubblico, alla seconda conferenza annuale sul calcio professionistico in Europa organizzata dall’Università LIUC nell’ambito del percorso in Management dello Sport attivato lo scorso anno dall’ateneo.

Il convegno, cui è purtroppo mancata la partecipazione del Presidente UEFA Michel Platini, si è diviso in due momenti: dapprima il docente Liuc – nonché ex Direttore Generale dell’Inter – Ernesto Paolillo ed il partner di PwC Emanuele Grasso hanno illustrato i risultati della ricerca a loro commissionata da ECA (European Club Association) su “Trasferimenti dei calciatori e distribuzione dei risorse” (ne parlerò più approfonditamente in post ad hoc). Poi si è dato spazio al panel di esperti convocati per l’occasione: Giancarlo Abete (Presidente FIGC), Mario Macalli (Presidente Lega Pro, ha sostituito Maurizio Beretta, Presidente Lega Serie A), Michele Centenaro (Segretario Generale ECA), Umberto Gandini (Vicepresidente ECA e Direttore Organizzazione sportiva Milan), Giorgio Marchetti (Direttore competizioni UEFA) e Giuseppe Marotta (Amministratore Delegato Juventus).

Proprio da questa tavola rotonda sono usciti spunti e considerazioni interessanti, che vorrei condividere con chi di voi non è potuto essere presente stamattina a Castellanza.

Il discorso del Presidente Abete è partito sovvertendo un po’ l’incipit da cui erano partiti Paolillo e Grasso: “Quelle calcistiche sono aziende atipiche. L’aspetto economico deve essere strumentale a quello sportivo. Il calcio è un fenomeno sociale”.

Una considerazione con cui mi sento di concordare al cento per cento. Perché se è vero che i conti devono essere in ordine, è altrettanto vero che non si sta parlando di aziende il cui unico fine possa essere il profitto. Anzi, le stesse più che a produrre surplus di denaro dovrebbero tendere al raggiungimento dei migliori risultati sportivi. Cosa che ultimamente sembra quasi essere messa in secondo piano da qualcuno.

“Il saldo – di mercato – attivo dimostra le difficoltà del sistema Italia”, dice Abete. Ed è vero, laddove se introitiamo più di quello che spendiamo all’estero, significa con ogni probabilità – e così è – che dall’altra parte abbiamo una preoccupante emorragia di talento. “Le spese restano comunque sproporzionate rispetto alla qualità di ciò che viene acquistato”, ha continuato il Presidente Abete. Ed anche qui, come dargli torto? Come si evincerà dai dati che riporterò prossimamente emersi dalla ricerca di cui sopra, l’Italia investe molto all’estero, soprattutto in Sud America. Ma i risultati in ambito europeo scarseggiano. Ed anzi, rispetto a diversi anni fa, quando gli stranieri presenti sul nostro territorio erano circa la metà di oggi, sono peggiorati drasticamente.

Un altro problema sollevato da Abete è stato quello della redistribuzione, diciamo così, verticale: “La redistribuzione del denaro verso le società di B e Lega Pro non è sufficiente”, la considerazione di Abete. Con le società delle nostre serie minori sempre più in difficoltà, anche proprio per via di quel meccanismo che porta i nostri club più danarosi a spendere all’estero piuttosto che in Italia.

Ecco quindi, per tornare alla considerazione iniziale, che “Occorre una politica aggregata economia e sport”, nel calcio del domani. Affinché a buoni risultati economici possano tornare ad affiancarsi anche i trofei.

In ultimo il Presidente della FIGC è stato sollecitato, da uno dei ragazzi presenti in sala, in materia di comproprietà. La risposta, in questo caso, è stata inequivocabile: “L’istituto delle comproprietà rappresenta un unicum a livello internazionale e va superato, recando anche in seno problemi di natura fiscale. Sono convinto verrà comunque superato in tempi piuttosto brevi”.

Poi il noto giornalista Gianluca Di Marzio, moderatore del convegno, ha dato la parola al Segretario Generale dell’ECA Michele Centenaro, che ha espresso due concetti chiari: il calcio va sempre più verso una sorta di sovranità europea e non nazionale, e la politica di trasferimento attuale è vitale per i club medio-piccoli, che traggono spesso una fetta importante dei propri introiti dal mercato.

La parola è quindi passata al Direttore Competizioni UEFA Giorgio Marchetti, che ha ricordato come “L’attuale sistema dei trasferimenti fu salvato dalla Commissione Europea su pressione delle Leghe e della UEFA per due motivi: dare stabilità al roster delle squadre – cosa reputata necessaria per garantire uno svolgimento sensato a tutte le competizioni – e redistribuire le risorse”.

Nel suo intervento Marchetti ha poi sollevato altri due problemi su cui, personalmente, credo la Confederazione Europea delle Federazioni debba porre rimedio presto: i soldi che vengono intascati dagli agenti (il 15% è ritenuta una cifra spropositata) ed i fondi privati che, sempre più, intervengono sulla compravendita dei calciatori, ormai anche qui in Europa (in Spagna e Portogallo sono praticamente stati istituzionalizzati, laddove secondo me andrebbero assolutamente aboliti e vietati). Un meccanismo, quest’ultimo, che contribuisce alla crescita dei prezzi di mercato, che ormai gravitano su cifre sempre più folli.

Direttore Competizioni UEFA che ha chiuso il proprio intervento con una domanda, cui si è risposto da solo a nome della Confederazione che rappresenta: “Il calcio deve essere strumentale ai profitti privati? No”.

Stimolato da uno dei ragazzi presenti in sala sulla possibilità di costituire un salary cap a livello europeo, ha infine così risposto: “Sono almeno vent’anni che ci si pensa. Ma non è una soluzione attuabile. Negli Stati Uniti la legislazione è differente rispetto che in Europa. Il Financial Fair Play, comunque, può essere inteso come una sorta di salary cap”.

A fargli in qualche modo eco il Presidente della Lega Pro Mario Macalli, che ha dato vita ad un vero e proprio show (applauditissimo da tutti i presenti nell’aula magna).

Interessante, in particolare, la sua lettura della solita tiritera sui club che investono all’estero anziché acquistare dalle serie minori: “Non è vero che i nostri giocatori di Serie B e Lega Pro costano troppo. Si acquista all’estero perché più semplice farlo. Per acquistare all’estero non è necessario dare garanzie bancarie che sono invece indispensabili quando si acquista in Italia”.

Ecco risolto questo grande dilemma dai prezzi teoricamente più gonfi all’interno dei nostri confini…

Non solo questo, comunque: “Le leggi sono antiquate, risalgono a quando ancora si giocava con un pallone di pezza. Oggi si gioca con palloni tecnologici, eppure lo Stato non fa niente per cambiarle”. E ancora: “Le percentuali (15% circa, ndr) che leggete vanno in tasca agli agenti sono da raddoppiare”. “Non credete a chi dice che il calcio è una scienza esatta. Non può essere sottoposto alle classiche regole industriali. Va gestito col buon senso”.

La sua chiusura è invece stata riservata alla questione dei prestiti. In risposta alla considerazione fatta da Paolillo riguardante il fatto che la maggior parte dei prestiti in Europa viene effettuata a titolo gratuito il Presidente Macalli ha risposto con questa divertente ma soprattutto interessantissima metafora: “Vengo da una zona dove si produce molto prosciutto. Quando noi dobbiamo mandare un prosciutto a stagionare paghiamo per farlo. Perché con i calciatori succede il contrario?”

Quindi la parola è passata ad Umberto Gandini, come detto Vicepresidente di ECA e Direttore Organizzazione Sportiva del Milan.

Quattro sono stati i punti principali toccati dal suo discorso:

  1. Il sistema dei trasferimenti attuale funziona, ma è migliorabile.
  2. La libera circolazione dei giocatori, effetto della legge Bosman, produce un duplice effetto negativo: aumenta i costi per le società, diminuendo però nel contempo il fattore solidale all’interno del mondo del calcio.
  3. I fondi privati, come detto, portano ad una inflazione dei costi (necessaria a far guadagnare i fondi stessi).
  4. Altra distorsione creata dalla legge Bosman è stata la facilità di fare acquisti all’estero.

Infine è stata la volta dell’Amministratore Delegato della Juventus Giuseppe Marotta, che ci ha tenuto subito a sottolineare come la sua società sia la “Unica in Europa con un Liceo al proprio interno”. Chiaro anche il modello di riferimento: “Allestire una squadra competitiva per vincere. Mantenendo comunque, anche grazie ai successi, l’equilibrio economico”.

Una stoccata agli agenti dei calciatori è arrivata anche da parte sua: “Guadagnano più del servizio che offrono. Questa è una anomalia”. Non solo. Punto importante, almeno secondo chi scrive, quello dell’armonizzazione europea. In primis, a livello di tassazione: “Cinque milioni netti di stipendio equivalgono a dieci lordi in Italia. A sette lordi in Turchia”.

La chiosa, prima di rispondere all’immancabile domanda fatta da Di Marzio sul futuro di Conte, è stata riservata al movimento calcistico italiano: “L’Italia ha rappresentato un valore importante nella storia del calcio mondiale, per vittorie, allenatori e giocatori di talento. Ecco perché la Juventus si impegna nella valorizzazione dei giocatori piemontesi prima ed italiani in generale”.

E proprio con la risposta riguardante il futuro dell’attuale allenatore Bianconero si è chiusa questa interessantissima tavola rotonda: “La nostra priorità è trattenere Antonio Conte”.

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Sono arrivate ieri le trenta preconvocazioni ufficiali diramate da Cesare Prandelli in vista del Mondiale brasiliano che inizierà tra ormai meno di un mese. In questa grafica tutti i giocatori selezionati:

Ma che giudizio si può dare delle scelte di Prandelli?

Ovviamente ogni giudizio può essere puramente e meramente personale. Nel calcio non c’è nulla di certo e ciò che può sembrare giusto per il nostro CT potrebbe non esserlo per noi. Alla fine il giudice supremo di tutto è e resta sempre il campo.

Ma parlare a giochi fatti è facile. Quindi giusto esporsi prima, a bocce ancora ferme, e correre qualche rischio.

Queste, quindi, le mie considerazioni.

Partiamo dal principio. Da una cosa che esula direttamente dai nomi, ma che teoricamente dovrebbe incidere sulle scelte del C.T.: il codice etico.

Ecco, per me è un’assurdità. Intendiamoci, filosoficamente sarebbe giusto che un allenatore non valuti solo l’aspetto tecnico-tattico-fisico-atletico di un giocatore, ma anche comportamentale. L’applicazione prandelliana di questo codice, però, è assurda e dà costantemente adito a dicerie e maleinterpretazioni.

Del resto un codice con regole non scritte non può che produrre polemiche. Perché tutto è rimandato alle decisioni di Prandelli, che però decide di volta in volta secondo una sua logica sconosciuta al resto del mondo. Così è facile che la critica parli di figli e figliastri…

Detto di questo, a mio avviso, grande errore di gestione commesso da Prandelli, veniamo alle cose importanti: le convocazioni.

PORTIERI

Poco da dire. Scelte assolutamente condivisibili.

Perché il primo portiere è e non può che essere Gianluigi Buffon, che dopo aver pagato un inizio di stagione un po’ così si è ripreso alla grande, mettendo in mostra prestazioni di livello, parate importanti e conducendo in porto una ennesima buona stagione. Tra i pochi Campioni del Mondo rimasti in rosa, oltre ad essere considerabile ancora oggi uno dei migliori portieri esistenti in circolazione è anche uno dei leader carismatici di questa Nazionale.

Allo stesso modo scontato che il secondo portiere fosse Salvatore Sirigu, titolarissimo del PSG che ha sfiorato l’accesso alle semifinali di Champions. E personalmente sono molto contento, oltre a trovare giustissima la sua convocazione, per Mattia Perin.

Nel 2009 scommisi con alcuni amici che sarebbe presto arrivato in Nazionale. E beh, si troverà a partire per un Mondiale pur essendo ancora in età da under 21…

Un’ultima, credo doverosa, annotazione la faccio nei confronti di Simone Scuffet: ha esordito da predestinato, con grandi prestazioni e super parate (a fronte di qualche errore, ma che ci sta). In molti lo avrebbero voluto al Mondiale, e sicuramente sarebbe stato un bel segnale per l’intero movimento. Però in tutta sincerità anche io, oggi, avrei scelto quei tre. E poi Scuffet avrà sempre tempo. Oggi ha solo 18 anni. Al prossimo Mondiale ne avrà 22, sarà ancora – potenzialmente – nel giro dell’under21 come Perin ed esattamente come lui potrebbe allora partecipare al suo primo Mondiale (e chissà, magari prima farà anche in tempo a partecipare all’Europeo!).

DIFENSORI

Qui iniziano ad esserci i primi problemi. Anzi, forse è il reparto su cui si può dire di più in assoluto.

Perché se il trio juventino Barzagli-Bonucci-Chiellini è praticamente imprescindibile nell’Italia di oggi (ti permette di giocare a tre dietro ma anche a quattro, vista la duttilità del livornese) qualche dubbio in più nasce guardando in particolare gli esterni. Infatti, centralmente, ci sta che tra i preconvocati ci siano l’oriundo Paletta ed il redivivo Ranocchia. Il tutto a discapito di Astori, spesso convocato in passato da Prandelli ma mai particolarmente impegnato dallo stesso Commissario Tecnico Azzurro.
Il tutto partendo da un presupposto: i centrali di difesa potranno essere al massimo quattro, immaginiamo. Quindi almeno uno di questi, a meno che Chiellini non verrà portato come terzino sinistro, salterà. Nel caso, ovviamente, credo sarà uno degli ultimi due, probabilmente con l’interista primo indiziato.

I veri dubbi nascono sugli esterni. Posto che De Sciglio, per molti fattori, non poteva non essere convocato, non fanno impazzire i nomi di Abate, Darmian, Maggio e Pasqual. Soprattutto pensando al fatto che “a piedi” restano Criscito, che poteva tranquillamente essere titolare in questa Nazionale, e Santon.

Dei preconvocati, comunque, ne lascerei a piedi almeno due, contando poi Chiellini come bi-ruolo, ovviamente: Abate e Maggio.

Il primo non l’ho mai reputato giocatore da Nazionale, in secondo oltre ad essere più un fluidificante che un terzino non ha vissuto momenti particolarmente brillanti, ultimamente.

Paradossalmente, però, questi due sono i terzini che – al netto di Chiellini – hanno più esperienza in Nazionale. Presentarsi con un trio come De Sciglio – Darmian – Pasqual potrebbe forse non essere il massimo. Ma del resto…

CENTROCAMPISTI

Prima ancora dei presenti cito un assente, che io avrei come minimo preconvocato: Florenzi. Un giovane molto duttile e, a mio avviso, tra i migliori centrocampisti quantomeno europei dello scorso biennio di under 21. Un giocatore che in caso di estrema necessità avrebbe potuto scalare a terzino, ma che sa fare bene sia la mezz’ala, che l’esterno di centrocampo che, infine, l’ala in un 4-3-3.

Insomma, duttilità, fame e freschezza a servizio di una Nazionale che non brilla certo per talento. Sono giocatori come lui, a mio avviso, da cui doveva partire la nostra spedizione brasiliana.

Detto di questo, che secondo me è l’errore principale compiuto da Prandelli (del resto in Brasile non ci vai per vincere, quantomeno potresti far fare esperienza ai giocatori giovani ma già di livello, così da porre le basi per qualche – speriamo – trionfo a medio termine), veniamo a chi invece si radunerà a Coverciano per lavorare in vista della partenza.

Un giocatore che sicuramente lascerei a casa è Riccardo Montolivo. In vero uno tra i pochi a salvarsi quattro anni fa in Sudafrica, ma giocatore a mio avviso non all’altezza per certi livelli. Poco dinamismo, poca incisività, scarso carisma. Sbaglierò, ma è un giocatore che o ritrova gli standard dello scorso Mondiale (dove, comunque, non fece il fenomeno) o sarà più dannoso che inutile alla nostra Nazionale.

Un discorso simile lo si può fare rispetto ad un altro giocatore che in gioventù prometteva moltissimo, ma che non è mai esploso definitivamente: Alberto Aquilani. Dovessi scegliere uno dei due probabilmente direi quest’ultimo, ma certo il suo livello di gioco non è mai arrivato là dove prometteva.

Non mi fanno quindi impazzire nemmeno Parolo e Thiago Motta, per motivi diversi. Il primo è un buon soldatino, ma oltre a non avere un livello di gioco più alto dei due succitati non si è ancora misurato su grandi palcoscenici. Il secondo invece è giocatore lento, spesso falloso e soprattutto incline all’infortunio. In una competizione logorante come il Mondiale questo suo mix di aspetti negativi – a fare da contraltare ad esperienza, sapiente gestione della sfera e ottimo rendimento stagionale – lo rendono una scelta azzardata, ma che credo Prandelli farà al 100%. Il più, nel suo caso, è che venga portato come alternativa a Pirlo (giocando proprio centromediano metodista nel PSG), e non come mezz’ala.

Discorso a parte lo meritano poi Romulo e Verratti. Il primo è un giocatore che viene da un’ottima stagione a Verona, che può fare la mezz’ala come il fluidificante (e probabilmente, in caso di necessità, scalare terzino) e che sa dare intensità alla propria squadra. Ma, anche per il fatto che è un oriundo, non mi fa impazzire.

Il secondo invece lo porterei tutta la vita, per lo stesso motivo per cui porterei Florenzi: gioca già su buoni livelli ed è ancora molto giovane, avendo dieci anni buoni di carriera davanti. Però ammetto debba ancora maturare. E sebbene non accetterei di buon grado una sua possibile esclusione dai 23 che partiranno per il Brasile capisco anche che qualche riserva su di lui Prandelli possa averla.

Convocherei invece senza alcun dubbio i centrocampisti rimanenti: il Maestro Pirlo, il soldatino Marchisio, il sempre ottimo De Rossi ed il buon Candreva, giocatore che ti permette anche di giocare col 4-3-3 (e che gamba!).

ATTACCANTI

Balotelli è la perla irrinunciabile, croce e delizia di questa Nazionale. Cassano il genio svogliato che fa una fase sola, ma che con una giocata (leggasi semifinale dell’ultimo Europeo) può cambiarti una partita. Cerci è la sregolatezza fatta in persona, ma al pari del fiuto di Immobile non può essere lasciato a casa. Rossi in condizione è l’attaccante più solido del lotto.

A questo punto a rimanere in Italia potrebbero essere due dei tre attaccanti che fecero parte l’anno scorso dell’under 21 vicecampione d’Europa: Insigne e Destro.

Anche qui, come nel caso di Verratti, ci sono infatti delle possibile riserve riguardanti la loro convocazione: il primo è un giocatore “monotono”, che ancora non è esploso come ci aspettava, che tende sempre a fare la stessa giocata. Vero, in un ipotetico 4-3-3 sarebbe quello che meglio si adatterebbe al ruolo di ala sinistra, però qualche dubbio resta.

Il secondo invece ha avuto diversi problemi fisici in stagione, ma continua, esattamente come fece a livello giovanile, ad avere grandi medie goal. Il suo problema, riscontrato anche proprio nel corso della sua esperienza in under 21, mi sembra essere di testa: è un giocatore che quando non sente la fiducia massima attorno a lui tende a non rendere. E non vedo come potrebbe essere considerato titolare inamovibile, in questa Nazionale…

CONCLUSIONI

Questa Italia può fare più o meno tutto. Tranne, probabilmente, andare oltre una già comunque difficilissima semifinale.

Perché il gruppo c’è e credo sia abbastanza coeso. E soprattutto è discretamente completo.

Prendiamo ad esempio una Argentina. Attacco devastante, il migliore in assoluto su piazza. Ma per il resto, a partire da un trio di portieri assolutamente mediocre, una Nazionale battibilissima. Che dovrà quindi aggrapparsi alle proprie stelle offensive.

Ovvero, ciò che ci manca da qualche anno a questa parte. Una sorta di Roberto Baggio in versione Usa 94 che sappia esaltare un buon gruppo (certo, quello sicuramente più forte di questo) e spingerlo, con le proprie giocate, fino in fondo alla competizione.

Tutto lì.

Per il resto, potremmo davvero uscire subito, come bissare le buone cose dell’Europeo e fare quantomeno un po’ di strada.

Vedremo. Io, ovviamente, spero sempre di poter tornare a cantare “PO PO PO PO PO PO POOOOOOO”!

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Lo ricordo come fosse oggi. Era una sera di giugno di cinque anni fa. La mia vita era cambiata da poco, ma il calcio continuava ad essere la mia passione principe.

Al termine di una partitella, fuori dalla palestra delle ex medie del mio paese, un amico mi propone di creare una squadra di calcio a sette per la stagione che sarebbe iniziata da lì a pochi mesi. E di rendermi l’allenatore di questa squadra.

Proposta accettata immediatamente e senza il minimo tentennamento. E fu in quel momento, di fatto, che si costituirono i Venegono Metrostars.

Da lì partì un’opera di costruzione della rosa che ci vide presentarci ai nastri di partenza di quella stagione con tredici giocatori tesserati. Non sempre, però, tutte le ciambelle vengono col buco, e tra infortuni di lungo corso, scarsa voglia di qualcuno e problemi di vario genere quella stagione si chiuse, sportivamente parlando, in maniera piuttosto mesta.

Da allora è passata tantissima acqua sotto i ponti. Tante cose sono cambiate. In primis, da tempo non sono più il mister, ma solo il “fondatore” di questa squadra.

Che giusto nell’ultimo week-end, con un facile 8 a 1 contro avversari di retaggio sicuramente inferiore, si è laureata campione del proprio campionato.

E’ stata una cavalcata importante, che io ho vissuto solo a spizzichi e bocconi, ma che mi ha riempito di orgoglio.

Perché è come quando metti al mondo una creatura. Fragile. Ma piano piano questa cresce. Magari si allontana da te, esce di casa, cerca il proprio posto nel mondo. E alla fine quando lo trova… non puoi che esserne orgoglioso.

E così, dopo cinque anni, si compie il mio sogno. La squadra che creai sulle cenere dei Ramblas FC ha ripercorso proprio quelle orme, riportando, oggi come allora, Venegono sulla vetta di un campionato.

Così ai numeri funambolici di quel campione mancato che era Lore si è sostituita la concretezza del Brenz, capace di mettere a segno ben 58 reti nell’arco di una ventina di partite.

Ma lui è stato semplicemente il diamante di una squadra che ha corso e lottato, attraverso mille difficoltà, per raggiungere il tanto agognato obiettivo.

I complimenti vanno estesi a tutti, nessuno escluso.

Gnaccia, improvvisatosi portiere per l’occasione, che tra qualche alto e qualche basso ha comunque condotto in porto una stagione più che dignitosa, contribuendo in maniera fattiva alla vittoria finale (anzi, prima ancora alla composizione di una rosa che avrebbe potuto non esserci nemmeno, senza di lui).

A Baga, che nonostante verso fine campionato, per cause di forza maggiore, abbia tirato un po’ i remi in barca, ha dimostrato ancora una volta di essere difensore a tratti dominante a questi livelli.

A Moltra, che nonostante continui problemi al ginocchio si è sempre fatto trovare pronto quando è servito, mostrando come sempre grande concretezza e doti di leadership.

A Fabio, che con grande continuità ha contribuito a blindare la difesa. L’uomo giusto al posto giusto.

A Gianpi, che se pur a metà stagione ha dovuto mollare per andare in Australia ha contribuito a far decollare la stagione.

A Kap, che finalmente, dopo anni e anni di tentativi, è riuscito a centrare il suo sogno. Vincere un campionato da capitano. E che fosse coi Metrostars era scritto nel destino.

A Nitz, uno dei primissimi a fare parte della rosa dei Metrostars nell’anno zero. Perché di questa famiglia ha sempre fatto parte.

A Toti, che ha portato esperienza e malizia, mettendosi sempre al servizio della squadra e del mister.

A Ricky, non sempre continuo, ma cuore Metrostars. E soprattutto ha avuto il grande merito di esserci nel momento del bisogno massimo. Perché l’ultima gara, a discapito di quanto dice il risultato, è stata tirata e nervosa per quasi un tempo. Proprio una sua magia l’ha sbloccata. Sbloccando di fatto psicologicamente i propri compagni, che hanno quindi dato il via allo show.

A Gio, genio e sregolatezza per eccellenza. Peccato sia mancato il goal nell’ultima di campionato. Sarebbe stato giusto.

A Simo “nonèuncalciatore” Noto, panzer di sfondamento di un attacco senza di lui leggerino. Va’, ed insegna ai catalani a non passare un pallone!

A Mau, che anche se ha ceduto prima del tempo è e resterà per sempre un Metrostars.

A Salva, che con me fondò i Metrostars. Era ora che ci arrivassimo, in vetta.

E infine, soprattutto, ad Andre. Cuore Ramblas (entrambi giocammo l’ultima partita di quella squadra tanto gloriosa) prima, Metrostars della prima ora poi. Un’annata difficile per lui. Trenta soli minuti giocati, giusto l’ultima di campionato. In tempo per dare un assaggio a tutti della tua classe, e condire il ritorno in campo con il goal.

E ovviamente, prima di chiudere, anche al Mister e a Ciccio “ècalabresepurelui” Mirage, senza cui tutto ciò non sarebbe stato possibile.

Non so cosa riserverà il futuro a questi Metrostars. Probabilmente, come fu per i Ramblas, le vittorie lasceranno spazio a momenti meno fulgidi. E col tempo che passa inesorabile e cambia le vite di ciascuno, la pietra tombale potrebbe essere definitiva.

Però chi è Metrostars lo resta per tutta la vita. E così questa vittoria oltre che loro, che l’hanno guadagnata sul campo, è anche mia, di Jimbo, Jean, Palio, Memmi, Fede, Baga, Berto, ecc, ecc, ecc. Ovvero di tutti quelli che di qui sono passati, e che come noi Metrostars lo saranno per sempre.

Per aspera ad astra. Forza Metrostars!

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Stasera al Nuovo Cinema Palazzo San Lorenzo di Roma andrà in onda il docu-film di Paolo Geremei “Zero a zero”, una pellicola che parla dei tre classe 77 Daniele, Marco ed Andrea. Vite diverse ma un tratto comune: sono cresciuti nell’AS Roma e, giocando al fianco di campioni come Totti e Buffon, indossarono le maglie delle Nazionali under.

La vita, però, li ha messi di fronte a delle prove che non tutti, a quell’età, sono in grado di affrontare.

Proprio con l’autore del film, Geremei, ho fatto una chiacchierata in questi giorni, per parlare un po’ di questa interessantissima produzione…

Zero a Zero. Iniziamo da qui: di cosa si tratta?

E’ un film che parla della vita di tutti noi. Sembra un film sul calcio, ma in realtà è un film sulle sfide della vita: a volte si vincono, altre no. Spesso non lo capisci subito se hai vinto o perso, puoi metterci anche anni per capire che non è andata come pensavi… per apprezzare ciò che hai avuto la fortuna di vivere, comunque.

Come nasce questo progetto?

Dalla volontà di raccontare un lato sconosciuto del calcio, che nello sport è quasi tabù. Aggiungo incredibilmente, se pensi che in Italia, dove facciamo tutti gli espertoni, dovremmo avere film e libri su ogni aspetto del calcio. E invece…
Amo le storie vere, ho avuto la fortuna di conoscere Andrea Giulii Capponi molti anni fa, e raccontare la sua storia mi sembrava in qualche modo doveroso, necessario.

Perché hai deciso di fare un lavoro di questo tipo?

Perché l’ambiente del cosiddetto “spettacolo”, in cui vivo, è molto competitivo, come può essere quello dello sport. Attraverso il calcio ho voluto capire certe cose. In realtà poi questa spiegazione l’ho avuta a film finito, vedendolo e rivedendolo, sia da solo che coi ragazzi. Diciamo che ci siamo aiutati a vicenda.

Daniele, Marco, Andrea. Perché sono loro i protagonisti del tuo film e come hai fatto ad entrarci in contatto?

Andrea lo conoscevo da tempo, è stato il primo che ho contattato. Anche se all’inizio non credeva fossi serio.
Poi ho conosciuto un’altra decina di ragazzi, ma nessuno di questi, salvo loro tre, aveva il coraggio e l’umanità necessaria per un progetto del genere.

Qual è la morale di fondo di questo film?

Preferisco sia lo spettatore a darla. In un documentario puoi avere un punto di vista, ma la morale è bene che sia soggettiva, non dell’autore. Almeno, non troppo.
Posso però dirti quello che ho capito: non devi pensare che basti il talento per avere successo. Che prima o poi capiterà l’occasione giusta. Non è così. Anche se giochi in Nazionale e tutti riconosco le tue qualità non pensare che ti sia tutto dovuto. Anzi, forse è proprio per il talento che hai che sarai sempre sotto osservazione.
E qui sarò cinico: non è detto che chi ti osserva speri sempre per il tuo bene.

Dove è possibile vedere il film?

Dopo un anno in giro per l’Italia, i prossimi appuntamenti sono a Roma, Londra e Rio De Janeiro, dove sarò ospite – dal 22 al 27 maggio – al festival mondiale Cinefoot.

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Quello del “ranking UEFA” è diventato ormai uno spauracchio che colpisce tutti gli sportivi calciofili italiani.

Se una volta nei baretti di paese si sentiva parlare di goal e torti arbitrali, in questi ultimi anni, sempre più, sta imponendosi anche questo argomento.

Peccato che, come al solito, l’ignoranza – in senso letterale, senza voler insultare nessuno – sia tanta. Anche, e questa è la cosa più triste, tra i giornalisti.

Proviamo allora a fare un po’ di chiarezza, proprio parlando di quel tanto dibattuto “ranking per nazioni” che decide, di fatto, il numero di squadre che ogni paese qualificherà alle competizioni europee.

Iniziamo, innanzitutto, con lo spiegare COME i punteggi vengano attribuiti. Perché è da qui che parte tutto.

– Una vittoria vale 2 punti.
– Un pareggio vale 1 punto.
– L’accesso alla fase a gironi della Champions League vale 4 punti.
– La qualificazione agli ottavi di Champions vale 5 punti.
– Il raggiungimento di quarti, semifinali e finale di entrambe le coppe vale 1 punto per turno.

Per determinare il punteggio finale, però, non si sommano semplicemente tutti i punti raccolti dai vari club. Il punteggio totale, infatti, va diviso per il numero di club della singola nazione che partecipano alle competizioni quell’anno (esempio pratico: per l’Italia il punteggio totale va diviso per 6).

Altro fattore da sottolineare, in quest’ottica di semplice regolamento, riguarda il fatto che a fare fede, quindi a decidere le squadre qualificate, è il ranking delineato a fine stagione, posto che nel corso della stessa questo è soggetto a vari cambiamenti e non dà giudizi definitivi.

Proprio quest’ultima considerazione mi porta a sfatare il “mito” che si è creato in questi giorni: NO, il Portogallo NON ci ha superati.

Chi non ci credesse può semplicemente collegarsi sul sito ufficiale dell’UEFA, alla pagina inerente il ranking, e guardare da sé:

La cosa è semplice: tra Italia e Portogallo ci sono ancora quasi cinque punti di differenza, che il Benfica, pur vincendo eventualmente la finale di Europa League (e quindi guadagnando altri due punti, che però come detto andrebbero poi divisi per sei) non potrebbe colmare.

Allora perché in molti, anche giornali e giornalisti blasonati, hanno scritto titoloni a nove colonne dicendo che il calcio italiano sta cadendo sempre più in basso, tanto da essere diventato il quinto in Europa?

Semplice: questi, probabilmente per racimolare qualche click e qualche condivisione in più, hanno sovvertito uno dei punti fondamentali di cui parlavamo prima, ovvero sia il fatto che a fare fede e a contare siano i ranking di fine anno, non quelli, monchi, di inizio stagione.

Mi spiego meglio.

Il ranking qua sopra definirà il numero di squadre qualificate a Champions ed Europa League. Con lo scattare del primo luglio, diciamo giornata in cui inizia più o meno ufficialmente la nuova stagione, lo stesso verrà però modificato profondamente.

Costruito su base quinquennale, va da sé che ad ogni inizio stagione vengano tolti i punteggi di cinque anni prima (ovvero sia, nel nostro caso, della stagione 2009/2010) per far spazio a quelli dell’anno che va a cominciare.

Logico che il primo luglio, a bocce assolutamente fermi, i punteggi della stagione siano a 0, producendo un ranking di fatto monco, appunto, che verte su quattro sole stagioni.

Ecco, come mostra questa grafica:

il ranking aggiornato al primo luglio, ovvero senza la stagione in cui l’Inter di Mourinho completò il Triplete portando sicuramente punti importanti alla causa italiana, vedrà quindi il Portogallo davanti all’Italia.

Sorpasso, quindi!

No. Non si può parlare di sorpasso per un semplice motivo: il sorpasso sarà solo virtuale e diverrà concreto solamente nel momento in cui – se accadrà – il Portogallo ci sarà davanti anche alla fine della prossima stagione.

Se si confermasse il trend delle ultime due stagioni, per altro, ecco che il sorpasso non arriverebbe: come potete notare proprio da questa grafica, infatti, nell’ultimo paio di anni i portoghesi hanno sempre raccolto meno punti di noi. Quasi tre nel 2013, più di quattro e mezzo oggi.

Presto detto, quindi, che se i risultati delle due nazioni (e badate bene, il Portogallo ha raccolto meno di noi nonostante il Benfica sia arrivato in finale di Europa League, per altro eliminando una italiana) si confermeranno su questo livello la classifica finale dell’anno prossimo ci vedrà avanti di almeno due, se non tre punti netti.

E poi?

Beh, sempre osservando questa grafica è chiaro quanto accadrà ai portoghesi: senza nuovi exploit tra due stagioni andranno a perdere i punti guadagnati nel 2011, quella delle tre lusitane in semifinale di Europa League, con il Porto vincitore sul Braga all’Aviva Stadium, nella finalissima.

Quell’anno, infatti, i portoghesi fecero segnare la miglior performance europea in assoluto, non battendo – sulla singola stagione – solo noi, ma anche i mostri sacri spagnoli e inglesi (pur di decimali) oltre che i tedeschi.

Insomma, sfatiamo questo mito del sorpasso portoghese: è una possibile eventualità, per altro oggi abbastanza improbabile. Nulla di più.

Poi certo, se l’anno prossimo tutte le nostre rappresentanti dovessero fallire il discorso sarà diverso. Chiaro che se il Napoli dovesse fallire nei playoff di accesso alla Champions e, di lì in poi, un po’ tutte le squadre dovessero raccogliere risultati negativi, ecco che il sorpasso potrebbe concretizzarsi.

Però, dati alla mano, il grande baccano fatto intorno alla cosa fino ad oggi significa poco.

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