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Archive for gennaio 2012

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Il trasferimento, concretizzatosi ieri sera, è stato ufficializzato oggi, con tanto di presentazione del giocatore.

Ormai lo possiamo quindi dire senza timore di smentita: Simone Padoin è a tutti gli effetti un giocatore della Juventus.

E proprio ieri sera, rientrato a casa da lavoro intorno alle undici, sono stato investito da questa notizia. E, soprattutto, dalle disquisizioni dei tifosi Bianconeri, per lo più scontentissimi di questo acquisto.

Doveroso quindi riordinare un po’ i miei pensieri ed esprimere un giudizio sulla questione.

Allora partiamo subito dal fondo. Col dire che la delusione dei tifosi juventini è parzialmente capibile.

Perché, non me ne voglia il buon Padoin, dopo che le alternative ventilate da Capodanno in poi si riducevano soprattutto al dualismo Guarin-Nainggolan ecco che l’acquisto del jolly ex Atalanta sa tanto di ripiego dell’ultim’ora a basso costo.

Lamentele quindi capibili soprattutto perché questa situazione si è venuta a creare proprio per via del modus operandi della Dirigenza.

Che prima ha escluso la possibilità di raggiungere Guarin (mezz’ala tutt’altro che disprezzabile soprattutto nel modulo che utilizza attualmente Conte) acquistando Caceres (ed occupando così lo slot extracomunitario a disposizione), poi ha tentennato sino all’ultimo sull’affare Nainggolan, forse cercando di strappare un prezzo quanto più vantaggioso possibile.

Finendo però col trovarsi in braghe di tela quando, a poche ore dalla chiusura del mercato, si sono visti Cellino sbattere loro la porta in faccia, chiudendo ogni spiraglio che potesse portare Radja Nainggolan in Piemonte. Almeno prima di giugno.

Scelte strategiche, quindi, che hanno pagato, nel nome di quel principio che vuole che “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale o contraria”.

Proprio di qui è capibile un po’ di risentimento da parte dei tifosi.

Così come posso capirlo da un punto di vista tecnico, posto che Guarin e Nainggolan sembrano giocatori qualitativamente superiori a Padoin, e che quindi stuzzicavano di più il loro palato.

Detto questo, però, bisogna anche guardare con un po’ di obiettività ai movimenti di mercato. Svestire i panni del tifoso e soppesare bene tutti i vari aspetti.

Posto che Padoin non è certo il miglior acquisto che si potesse fare è altrettanto vero che a Torino sbarca un ragazzo capace di dare calci ad un pallone, con una bella facilità di corsa e soprattutto sempre molto diligente nel fare il proprio lavoro. Cosa non proprio da tutti.

Insomma, se è vero che Nainggolan aveva le qualità per provare a mettere in difficoltà, soprattutto in previsione futura, le scelte di Conte è altrettanto vero che oggi Padoin non sembra essere nella stessa condizione, perché è inutile negare che parta un bel gradino sotto a Vidal, Marchisio e Pirlo.

Nel contempo, però, si tratta pur sempre di un grande lavoratore, di un giocatore molto duttile e di un bravo ragazzo. Qualità importanti per un allenatore che sembra aver trovato una bella quadratura del cerchio e che, nel complesso, ha forse anche paura di effettuare inserimenti che possano alterare gli equilibri e far crollare il castello.

Perché è inutile dire che spendere una dozzina di milioni per Nainggolan avrebbe voluto dire fare un investimento da proteggere. E come proteggi un investimento se non metti mai il ragazzo in campo?

Differente, invece, il discorso per Padoin. Che se è vero che non è stato pagato pochissimo, si parla di un’operazione totale da 5 milioni di euro per il solo cartellino, cui aggiungere poi lo stipendio quinquennale del ragazzo, è altrettanto vero che può essere considerato un investimento nel complesso modesto e che difficilmente potrà subire pesanti svalutazioni.

Per concretizzare il tutto: se prendi X a 15 milioni e non gioca mai dopo un anno varrà la metà. E avrai perso un bel gruzzolo. Se invece ingaggi Y a 5 puoi anche permetterti di usarlo come rincalzo. Anche qualora perdesse il cinquanta percento di valore sul mercato sarebbe comunque una perdita relativa dal punto di vista economico-finanziario.

Padoin, poi, è conosciuto – e probabilmente stimato – da Antonio Conte.

Che, vorrei ricordarlo, nelle sue valutazioni antepone spesso la sagacia tattica al talento tecnico puro, cosa che altri purosangue – stile Krasic o Elia – non dimostrano di avere in campo.

Anche questo è quindi un aspetto da non sottovalutare.

Nel complesso, insomma, sono capibilissime le obiezioni e le lamentele che tanti tifosi Bianconeri hanno opposto all’arrivo del centrocampista friulano.

Però:

  • tecnica discreta;
  • intelligenza tattica spiccata;
  • duttilità;
  • rischio di svalutazione relativo;
  • quantità (sul campo);
  • conoscenza dei dettami tattici e delle volontà del mister;

sono tutti fattori che ne fanno un investimento interessante.

Prima di giudicare questo trasferimento come così fallimentare, insomma, aspetterei quantomeno di vedere il ragazzo all’opera per qualche tempo.

Del resto, è bene sottolinearlo, Padoin arriva a Torino in sostituzione di Pazienza (prestato all’Udinese, dove giocando potrebbe vedere crescere il suo valore di mercato… e nel caso, vendendolo, si tratterebbe di plusvalenza pura, essendo arrivato in Piemonte a parametro zero), che non si era integrato con le idee del tecnico pugliese.

Upgrade piuttosto sicuro, insomma.

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Sembrava una questione chiusa.

E invece le ultime ore del mercato di riparazione potrebbero riservare una sorpresa ai tanti tifosi milanisti rimasti delusi dopo aver visto sfumare il sogno-Tevez.

Secondo quanto si vocifera, infatti, proprio oggi sarebbe in corso un vertice a casa Berlusconi per discutere di un possibile colpo di coda che la società di corso Turati potrebbe mettere in atto tra oggi e domani per assicurarsi il talento di Ciudadela.

Un ingaggio, quello di Tevez, che dal punto di vista tecnico non si può proprio discutere.

Pensate ad un attacco Ibrahimovic-Tevez e provate a citarmi una coppia superiore a questa che gioca in Serie A.

Esatto, non ce ne sono.

Anche a livello tattico, nel complesso, Tevez, viste le sue caratteristiche, sembra poter essere un giocatore in grado di amalgamarsi bene nel meccanismo costruito in quel di Milano dal buon Max Allegri.

Non è un caso, del resto, se ad Ibra e Boateng (ora fuori per infortunio) Allegri ami accompagnare un giocatore mobile. Il tanto discusso Pato quando gira o il fumoso, ma spesso determinante visto il tanto movimento che fa, Robinho.

E proprio Tevez, scheggia argentina che ha sempre fatto del movimento uno dei suoi punti di forza, potrebbe essere il giusto compromesso tra i due talenti carioca, unendo l’incisività sotto rete di Pato all’utilità di Binho.

Ai vantaggi tecnico-tattici che si trarrebbero, almeno sulla carta, da questo acquisto vanno poi uniti quelli economici. Perché sicuramente si tratterebbe di un’operazione piuttosto pesante per le casse milaniste, ma va pur detto che acquistare giocatori di prima fascia oggi non è uno scherzo per nessuno (petroldollari o superpotenze spagnole a parte) e che un Tevez in rotta con il Manchester City difficilmente non finirà con l’essere, se rapportato agli standard calcistici, un affare anche da questo punto di vista.

I pochi dubbi che restano, quindi, si risolvono più che altro in due punti.

Da una parte l’ingolfamento offensivo che verrebbe a crearsi sulla sponda Rossonera del naviglio, dall’altra i limiti caratteriali di un giocatore non propriamente facile da gestire da questo punto di vista.

Ma andiamo con ordine, partendo proprio da questo secondo aspetto.

Tevez è un ragazzo cresciuto nel quartiere Ejercito de los Andes, barrio poco raccomandabile di Buenos Aires soprannominato Fuerte Apache (da cui è stato tratto il suo stesso soprannome) proprio in virtù di un indice di criminalità tra i più alti del paese.

E crescere in una situazione del genere, inutile negarlo, non è uno scherzo e lascia i propri segni.

Così Carlitos ha da sempre un carattere non propriamente facile. Ed in questo senso potrebbe risultare un problema gestirlo.

E’ pur vero, però, che una società come il Milan non può non saper gestire le bizze di un proprio giocatore.

Altro aspetto, in questo senso più problematico, è invece quello relativo all’ingolfamento che si verrebbe a creare là davanti.

Una questione, questa, che mi fa anche particolarmente riflettere soprattutto in relazione alla fine che farà il buon Stephan El Sharaawy. Tanto poco utilizzato nei primi sei mesi di stagione quanto ormai in rampa di lancio adesso.

El Sharaawy che come dicevo sulle mie pagine Twitter (https://twitter.com/#!/Mahor17 e https://twitter.com/#!/sciabolatablog) meriterebbe già oggi un posto da titolare in quel di Milano. Magari alternandosi un po’ con Robinho o, in questo momento in cui Boateng è out, formando un tandem col talento verdeoro a sostegno dell’inamovibile Ibrahimovic.

Tevez a Milano però cambierebbe ulteriormente le carte in tavola. Sarebbe il secondo inamovibile dell’attacco Rossonero e a quel punto non ci sarebbe più molto spazio per gli altri.

El Sharaawy rischierebbe di cadere nel dimenticatoio, Robinho potrebbe giusto fare da rincalzo (sia al Boa che all’Apache), Pato continuerebbe nella sua crisi mistica ed Inzaghi a fare da spettatore.

Difficile dire no all’ipotesi Tevez, abbiamo detto.

Giusto però sottolineare anche i contro.

E in particolar modo sottolineerei ancora una volta la questione El Sharaawy… patrimonio milanista sì, ma di tutto il calcio italiano direi… speriamo non si bruci!

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Romano di Roma, ala dalle spiccate doti offensive, tecnica raffinata, classe 1993.

E’ questo l’identikit di Gianluca Caprari, guizzante esterno romanista in procinto di trasferirsi sulle rive dell’Adriatico, più precisamente in quel di Pescara.

Dove troverà niente popò di meno che Zdenek Zeman ad aspettarlo a braccia aperte.

Un allenatore, il boemo, che vede proprio nella capacità di far crescere i giovani uno dei propri punti di forza.

In particolare, poi, Zeman fa del gioco offensivo la propria peculiarità principale.

Da che mondo è mondo, infatti, Zdenek è sinonimo di gioco spettacolare e goal segnati.

Lo sa bene, ultimo in ordine di tempo, Ciro Immobile, sbarcato a Pescara carico di speranza e subito diventando bomber principe di questa Serie B.

Caprari, quindi, ha di fronte a sé una grandissima opportunità.

Perché Zeman ha fatto la fortuna di diversi ragazzi passati tra le sue mani.

E oggi potrebbe essere la sua volta.

Gianluca non può quindi che mettersi a completa disposizione del tecnico boemo, che potrà plasmarlo al meglio, facendone di lui un giocatore di alto profilo.

E in un paese come l’Italia, dove posto per i giovani sembra non essercene nemmeno nel calcio, uomini come Zeman andrebbero clonati.

Buona fortuna, Gianluca. E che tu possa sfruttare al meglio l’occasione che ti si presenta.

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“Spero solo che tutto si possa chiudere in fretta”.

Non usa mezze misure il brasiliano Amauri nel commentare le voci sul suo possibile approdo a Firenze.

Intervenuto a Lady-Radio, infatti, l’ex centravanti del Palermo ha parlato chiaramente della sua situazione attuale e di ciò che si aspetta dal futuro: “Sapete bene cosa sta succedendo. Le società si stanno parlando e io spero che tutto si possa risolvere il prima possibile. So che a Firenze c’è grande stima nei miei confronti ed io non posso far altro che ricambiare. Al momento mi sto allenando in attesa di evoluzioni. Ripeto, la mia speranza è che tutto si possa chiudere velocemente, vedremo cosa succederà”.

Così dopo aver buttato via altri sei mesi di carriera in quel di Torino, dove per altro era sicuro non avrebbe giocato, il 31enne nativo di Carapicuíba si sarebbe finalmente deciso a lasciare la Juventus. E dopo la mezza stagione disputata a Parma sarebbe pronto, stavolta, a vestirsi di Viola.

Il tutto sancirebbe quindi la chiusura di un bel valzer di punte che andrebbe a completarsi così: Borriello lascia Roma per Torino, da dove, a sua volta, parte Amauri in direzione Toscana. Perché a Firenze c’è da colmare il vuoto lasciato dal trasferimento di Alberto Gilardino sulla sponda rossoblu di Genova.

Ma non solo.

Al trasferimento di Amauri in Viola sono infatti legate almeno altre due operazioni di mercato.

Da una parte quella che vuole Grosso in procinto di trasferirsi a Novara. Dall’altra quella che potrebbe portare Behrami in Bianconero.

Ma perché il trasferimento di Grosso agli Azzurri piemontesi si interseca con quello di Amauri?

Perché, secondo alcune fonti, proprio il risparmio derivante dalla cessione del terzino Campione del Mondo nel 2006 permetterebbe a Marotta & Co. di avere liquidi con cui poter venire incontro alle richieste di Amauri e della Fiorentina.
Pare infatti che tra le due parti ballino circa 300 mila euro, che potrebbero essere rimediati proprio dalla cessione dell’ex esterno sinistro palermitano.

La connessione con la trattativa Behrami, invece, credo sia molto più immediata.

Agevolare l’approdo di Amauri a Firenze servirebbe infatti a favorire il possibile accordo tra Bianconeri e Viola per il trasferimento del jolly di origine kosovara in quel di Torino.

Il giocatore sarebbe infatti una delle prime scelte di Conte, che dopo aver optato per un uso massivo di Vidal, Marchisio e Pirlo ed aver in qualche modo bocciato Pazienza si trova a dover a tutti i costi chiedere a Marotta un rinforzo a centrocampo.

In questo senso, comunque, credo si debba anche essere chiari. Difficilmente al trasferimento di Amauri in Viola si opporrebbe quello di Behrami alla Juventus.

Perché lo svizzero è amato dalla piazza ed apprezzato da società e guida tecnica.

Però certo, la prospettiva di trasferirsi alla Juventus potrebbe ingolosire il ragazzo…

Amauri alla Fiorentina, comunque, è una soluzione che potrebbe fare comodo a tutte le parti in gioco.

Il giocatore di riffa o di raffa dovrebbe ottenere comunque tutti i soldi che, per contratto, la Juventus doveva versargli quest’anno.

Una parte gli verranno corrisposti dalla Fiorentina, certo, ma a lui questo non vedo come possa interessare, da un punto di vista meramente pratico, economico e finanziario.

Se non bastasse, poi, c’è l’aspetto tecnico da considerare.

Perché Amauri a Torino non trova né troverà mai spazio, tantomeno finché Antonio Conte siedrà su quella panchina.

A Firenze, invece, la musica potrebbe cambiare. E chissà che non possa ripetere l’esperienza vissuta l’anno scorso a Parma.

Nel contempo, poi, questa operazione di mercato alleggerirebbe anche il monte stipendi juventino, e non potrebbe che essere quindi manna dal cielo per la società di Corso Galileo Ferraris.

In ultimo il passaggio di Amauri alla Fiorentina sarebbe un bel colpo anche per gli stessi Viola, che dopo la succitata cessione di Gilardino si trovano coi soli Babacar e Santi Silva come punte di ruolo.

Insomma, parafrasando i Promessi Sposi… un matrimonio che s’ha da fare!

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Partiamo da un dato assodato: Pato è giocatore tra i più talentuosi al mondo della sua generazione.

Se a questo ci uniamo il fatto che si tratta di un ragazzo di soli 22 anni ecco che non dovrebbero nascere dubbi di sorta: su Pato non si può che puntare ad occhi più che chiusi, bendati.

Però… c’è sempre un però. O, per citare una famosa pubblicità, “c’è sempre qualcosa dietro”.

E i problemi che rendono sempre più complicato il rapporto tra Pato e il Milan sembra si stiano accumulando. O comunque crescono d’intensità.

Perché poi il talento non è l’unico fattore in ballo, quando si valuta il futuro di un giocatore.

E allora se da un punto di vista tecnico il giocatore non si discute è altrettanto vero che i problemi ad esso correlati possono – o potranno in un prossimo futuro – sancire la fine del rapporto tra il Papero ed il Milan.

Da dove cominciare?

Uno dei problemi principali, dal mio punto di vista, emerge proprio dal campo.

Può sembrare un bel controsenso, dato che come abbiamo detto si tratta di uno dei giovani più talentuosi al mondo, ma Pato non sembra essere inserito a dovere nel contesto Milan.

Qui mi si potrebbe rispondere che a vedere la media realizzativa del ragazzo non sembrerebbe.

51 reti in 112 partite di Serie A, che diventano 60 in 139 cap se si considerano le coppe.

Un bottino di tutto rispetto, frutto proprio di quelle doti tecnico-atletiche sopra la norma.

Ma i numeri nel calcio non spiegano tutto. E chi guarda giocare il Milan non può che notare come il Papero risulti quasi fuori contesto.

In primis il rapporto con Ibrahimovic non è dei migliori.

Problema non da poco, dato che lo svedese è elemento “pesante” dentro al campo quanto allo spogliatoio.

E poi… e poi al di là della possibile incompatibilità caratteriale con alcuni compagni emerge chiaro come la squadra benefici della presenza di un giocatore mobile come Robinho o portato al dialogo come Cassano (prima dell’infortunio, s’intende) piuttosto che di un “solista” come Pato.

Perché parliamoci chiaro, Robinho lavora tantissimo per la squadra, facendo un movimento tale da integrarsi perfettamente con lo strapotere fisico-tecnico di Ibrahimovic e gli inserimenti di Boateng.
Il Pibe di Bari, invece, aveva dimostrato i sapersi calare alla grande nelle vesti della seconda punta da rifinitura, ruolo che dimostra di prediligere da sempre.

Le sue grandissime doti lo rendono quindi sempre e comunque giocatore pericoloso. Ma nel complesso i suoi acuti sembrano stonare, se contestualizzati nel coro milanista diretto da Massimiliano Allegri.

Che da grande direttore d’orchestra qual è pare sia il primo a voler spingere il Papero lontano da Milano.
Almeno, così vuole Radiomercato.

Il tecnico in realtà proprio oggi ha dichiarato che tra Pato ed Ibrahimovic non ci sarebbero problemi (cosa questa poco credibile per chiunque li veda giocare assieme), e che l’intesa tra i due crescerà col tempo.

Intanto però, come detto, sarebbe stato proprio lui a spingere per la cessione del brasiliano al PSG, saltata solo all’ultimo momento…

In ultimo, poi, i problemi relativi a Pato starebbero anche nella sua relazione con Barbara, la figlia del Presidente Berlusconi.

La cosa, almeno secondo i soliti sedicenti beninformati,  creerebbe malumori all’interno dello spogliatoio.

I due piatti della bilancia, insomma, sembrano parecchio sproporzionati.

Proprio questo amore con Barbara Berlusconi, però, sembra anche essere la cosa che, più tra tutte, lega il Papero al Milan.

Il suo futuro, quindi, potrebbe essere ancora tinto di Rossonero. Anche se per il suo bene – del Pato calciatore – sarebbe probabilmente meglio cambiare aria…

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Bulimia di mercato.

E’ questa la patologia che sembra attanagliare tutte quelle squadre che, di punto in bianco, si trovano ad essere in mano ad un ricco sceicco orientale.

Che, forte dei soldi derivanti dal petrolio, inizia a spendere e spandere per assicurarsi i migliori colpi disponibili sul mercato e, di conseguenza, qualche trofeo.

Bando ai romanticismi: il calcio di oggi, ormai, è sempre più questo.

Riprova ne è quanto sta accadendo oggi in quel di Parigi, dove la Qatar Investment Authority ha acquistato il PSG per poi dilapidare una vera e propria fortuna sul mercato.

Citare i nomi sbarcati nella capitale francese la scorsa estate sarebbe inutile. Da Pastore a Sirigu, li conoscete tutti.

Qatar Investment Authority che però non vuole fermarsi certo lì. E così dopo aver ingaggiato Carlo Ancelotti per guidare la squadra dalla panca i capitolini hanno rinnovato anche le loro ambizioni sul mercato.

Tanti i nomi altisonanti che si fanno Oltralpe in relazione al PSG.

Secondo il quotidiano Le Parisien, ad esempio, la proprietà si aspetta di acquistare almeno tre grandissimi giocatori proprio nel corso del mercato di gennaio.

Tanti i nomi altisonanti, dicevamo. Su tutti sicuramente quello di Alexandre Pato, che solo settimana scorsa pareva essere letteralmente ad un passo da Parigi.

Trattativa saltata, a quanto sembra. Ma chissà che da qui a fine mese le cose non mutino di nuovo, e che la Francia non si troverà ad accogliere uno dei talenti più cristallini – ed incostanti – dell’attuale panorama calcistico mondiale.

Pato che non è comunque l’unico brasiliano su cui Jean-Claud Blanc e Leonardo hanno messo gli occhi. Anzi.

Altro verdeoro che potrebbe presto sbarcare al Parco dei Principi è Kakà, che ritroverebbe così quel Carlo Ancelotti capace di farlo rendere come mai in carriera.

Kakà che lasciato Milano non ha certamente più trovato quella continuità di rendimento che l’aveva reso uno dei migliori giocatori al mondo.

E che, soprattutto, andrebbe a formare una coppia di trequartisti – potenzialmente – tra le migliori al mondo assieme ad Javier Pastore.

Sempre parlando di giocatori brasiliani è di oggi la notizia che il PSG potrebbe voler ricomporre sotto la Torre Eiffel la coppia di terzini delle Inter targate Mancini e Mourinho.

Così Leonardo starebbe seguendo anche Maxwell e Maicon, due giocatori che andrebbero ad arricchire notevolmente il parco giocatori a disposizione di Carletto Ancelotti, colmando nel contempo una delle lacune principali della compagine parigina (che, in particolar modo, ha assoluto bisogno di un terzino sinistro).

Sempre parlando di Brasile voci meno insistite ed insistenti fanno trapelare anche un vago interesse per Hulk e Leandro Damiao. Due giocatori che, dicono in Francia, ad oggi sono considerate solo delle seconde scelte.

Perché oltre a Pato e Kakà, il big che è in ballottaggio per rinforzare il reparto offensivo del PSG è quel Carlitos Tevez che sembra sempre più lontano da Milano.

In questo caso, in realtà, continuerei a seguire la pista Milan, che pur sembrando ormai chiusa del tutto credo continui a lavorare sottotraccia.

L’evidenza dei fatti in questo momento è però incontrovertibile: il trasferimento di Tevez al Milan è saltato in contemporanea proprio a quello di Pato ai parigini, che potrebbero così consolarsi con l’ex Xeneizes.

Perché, ed anche questa è notizia di oggi, anche la trattativa tra il giocatore e l’Inter non sarebbe andata a buon fine, a meno secondo quanto avrebbe rivelato Moratti.

Di fronte ad evidenze di questo genere, ed al fatto che Tevez se vuole giocare non può che lasciare Manchester, ecco che Parigi, meta probabilmente un po’ snobbata dall’ego di Carlitos, potrebbe finire col risultare praticamente l’unica opzione reale e realistica per l’ex capitano Citizens.

I fiumi d’inchiostro che si stanno spendendo Oltralpe per fantasticare sui possibili colpi di mercato parigini riportano poi anche i nomi di Mario Götze del Borussia Dortmund, Florent Malouda e Salomon Kalou del Chelsea, il tormentone palermitano riguardante Federico Balzaretti nonché quello della stella  Keisuke Honda, oggi in forza ai moscoviti del CSKA.

Come dicevo… bulimia di mercato!

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E’ l’attuale capocannoniere del campionato olandese.

E se segni 14 reti in 13 partite non passi inosservato, nemmeno se ti trovi a giocare in un campionato di seconda fascia come è l’Eredivisie.

Lui è Bas Dost, il gigante di Deventer.

Ex nazionale giovanile olandese, Bas mosse i primi passi nel Germanicus per passare poi all’Emmen, dove l’8 febbraio 2008 realizzò la sua prima rete ufficiale nel calcio professionistico in un match contro il Fortuna Sittard.

A fine stagione il trasferimento all’Heracles Almelo, che sborsò 300mila euro per assicurarsi le prestazioni, e soprattutto il cartellino, di questo centravanti d’area.

L’acquisto di Bas Dost non era infatti visto solo in funzione migliorativa del roster degli Heraclieden. Ma anche, e soprattutto, come un investimento per il futuro.

Investimento che ha pagato dividendi alti. Passano due anni e il ragazzo, seguito anche da Ajax e Twente, si accasa all’Heerenveen, squadra in cui milita – e soprattutto segna – tutt’ora.

Due milioni e mezzo il prezzo pagato per lui, praticamente il decuplo di quanto la squadra di Almelo dovette sborsare per acquistarlo ventiquattro mesi prima.

Bas che sta crescendo molto. Lo dicono le statistiche.

La stagione 2008/2009 la chiuse con tre sole reti all’attivo. Che in quella seguente divennero 14 in 34 match, tutti giocati da titolare.

L’anno scorso, alla sua prima stagione ai Trots van het Noorden, furono 13 i timbri posti sul cartellino, frutto però di 10 sole partite disputate da titolare più altre 13 giocate da subentrante.

E quest’anno, come detto, il boom definitivo, che ha messo il suo nome al centro dell’attenzione degli esperti di mercato. 14 goal in 13 partite, frutto soprattutto della spettacolare prestazione disputata lo scorso 10 dicembre contro l’Excelsior quando Bas mise a segno ben cinque reti, affondando così la malcapitata terza squadra di Rotterdam.

Allo score fatto registrare in campionato vanno poi aggiunte le cinque segnature realizzate in KNVB Beker, l’equivalente della nostra coppa Italia. Due doppiette (FC Oss e Harkemase Boys) e una rete nel match contro il VVV Venlo, per un totale di ben 19 goal messi a segno nell’arco di 16 match.

Ed è un repertorio completo, il suo. Da attaccante di razza.

Goal di testa, ovviamente. Perché quando madre natura ti dota di un fisico di quel genere non puoi che essere forte nel gioco aereo.
Non solo quello, comunque. Tocchi sotto misura, goal di rapina, calci di rigore.

Per un fiuto del goal spiccato, che lo può rendere una delle punte di spicco nel panorama calcistico europeo.

Ma come dice il titolo questo pezzo non vuol solamente celebrare lo splendido stato di forma di una delle giovani punte che più si stanno mettendo in mostra nel corso di questa stagione.

Perché il nome di Bas Dost sta salendo alla ribalta in questi giorni non tanto per le reti realizzate quanto più per le voci di mercato che si stanno susseguendo sul suo conto.

Perché secondo quanto si inizia a vociferare da più parti sul gigante di Deventer si stanno muovendo due compagini nostrane: Napoli e Fiorentina.

Due squadre che sono alla ricerca di una punta da inserire a roster e che potrebbero puntare proprio sull’attuale capocannoniere dell’Eredivisie.

Qualche dubbio, però, su quando potrebbe chiudersi il trasferimento.

Probabile che il talentino Oranje possa infatti essere lasciato in Olanda sino al termine della stagione.

Questa, almeno, potrebbe essere una soluzione ottimale un po’ per tutti. Perché così il ragazzo potrebbe terminare la stagione trionfalmente, continuando a questi ritmi. E l’Heerenveen, inoltre, non si priverebbe della sua punta di diamante proprio ora che è in piena corsa per cercare di centrare l’Europa.

Ma non solo: acquistarlo oggi che la sua valutazione di mercato oscilla tra i 6 e gli 8 milioni di euro permetterebbe anche all’acquirente di assicurarsi le prestazioni future di uno dei talenti più interessanti d’Olanda senza spendere una cifra allucinante.

Perché inutile negarlo: se da qui a giugno Bas dovesse fare altri venti goal, oltre ad assicurarsi un posto per Euro 2012 vedrebbe soprattutto crescere – e di molto – la sua valutazione…

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Sampdoria

Romero: 5,5
Praticamente incolpevole sul goal, non sembra però dare grossa sicurezza al reparto arretrato.

Volta: 4-
Non è in partita e lo si vede sin da subito. Tanti falli, tanti giri a vuoto. E’ il giocatore da puntare e non è un caso se è da una situazione di uno contro uno che lo vede coinvolto se esce il goal varesino.

Rossini: 4,5
La difesa non gira e lui, che ne è il centrale, non si salva di certo. Anzi.

Costa: 5
Prova da dimenticare anche per lui.

Rispoli: 5,5
Prova a contenere più che ripartire. Lo fa anche discretamente, ma non può che perdersi nel marasma Blucerchiato.

Padalino: 7
Un vero leone. Corre a perdifiato e lotta su ogni pallone. Almeno finché ha una stilla di forza nel corpo. Immenso e sprecato nel contesto in cui si trova a giocare.
(85′ Koman: 3
Di per sè il peggiore in campo è Volta. Ma Koman merita una menzione d’onore. Entra a partita praticamente finita giusto per effettuare un intervento spacca gambe dopo la rete varesina. E io che pensavo fosse entrato per dare qualità alla manovra.)

Palombo: 4,5
Che fine ha fatto l’ex centrocampista della Nazionale Azzurra?

Bentivoglio: 4
Partitaccia. Anche lui pensa più a tirare a calci che a giocare a calcio.
(Kristicic: 5
Fare meglio del Bentivoglio di ieri non è certo impresa titanica. Però anche lui può poco nella confusione doriana.)

Lazcko: 5
Poco propositivo, poco dinamico. Prova insufficiente (che lo rende comunque uno dei migliori della squadra).

Juan Antonio: 5
Parte bene ma si spegne presto. Peccato, avrebbe potuto dare verve all’incontro.
(45′ Pozzi: 5,5
Prova a dare nerbo alla manovra offensiva. Non ci riesce. Generoso.)

Bertani: 5,5
Lasciato veramente troppo solo. Cosa avrebbe potuto fare di più? In un paio d’occasioni riesce comunque a rendersi pericoloso, confermandosi attaccante tra i più interessanti della categoria.

Varese

 Bressan: 6,5
Poco impegnato, risponde comunque con sicurezza alle due conclusioni interessanti portate da Bertani.

Pucino: 6,5
Come ho detto in telecronaca è il più giovane in campo ma non lo dimostra. Disputa un primo tempo di altissimo livello per poi tirare un po’ i remi in barca nella ripresa. Affidabilissimo, qualora crescesse ulteriormente il suo livello di gioco finirebbe con lo sbarcare in Serie A senza problemi.

Troest: 6,5
Con Terlizzi compone una coppia di sicuro affidamento e grande valore. Una sola piccola sbavatura cui comunque rimedia lui stesso. Big Roccia.

Terlizzi: 7
Praticamente perfetto. Un solo appunto: alle volte si fida troppo di sè stesso, quando tratta il pallone.

Grillo: 7
Primo tempo su livelli accettabili, ripresa super. Ha da contenere il migliore dei doriani e lo fa alla grande. In più spinge come può, piazzando una discesa stile Zambrotta versione 2006.

Nadarevic: 6
Come detto è tutto sommato il giocatore meno in palla degli undici titolari. Disputa comunque una partita pienamente sufficiente.
(71′ Carrozza: 7
Un fattore. Entra, corre, dribbla. Bene isolarlo in uno contro uno con Volta. Situazione risolutiva, come da me predetto.)

Kurtic: 7
Finalmente una prestazione pienamente convincente per lui, che in B dovrebbe fare la differenza bendato.

Corti: 7-
Solito piccolo gigante del centrocampo!

Zecchin: 6,5
Quantità e qualità per la fascia sinistra (principalmente) biancorossa.

Neto: 6,5
Desse continuità durante tutto il match alla sua prestazione sarebbe da nazionale.
(85′ Damonte: 7
Una giornata che non scorderà mai.)

Martinetti: 6,5
Tra i migliori nel complesso. Centravanti di manovra che dovrebbe solo affinare le proprie doti di realizzatore per arrivare al sette fisso.
(65′ De Luca: 6
Mette un po’ di pressione alla retroguardia avversaria con la sua grande rapidità.)

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Aria di crisi, aria di contestazione.

Al triplice fischio finale della gara col Varese si taglia con un dito la tensione sulla sponda Blucerchiata di Genova.

Perché la squadra, partita per contendersi la vittoria finale col Torino, stenta. I risultati non arrivano come si pensava e il gioco non incoraggia per nulla.

Così al termine di novanta tristissimi minuti di gioco partono cori e insulti, che si protraggono anche fuori dallo stadio.

Situazione triste e spiacevole che non vorrei vedere mai in nessuna piazza italiana, tantomeno se passionale come quella di Genova.

E’ però pur vero che vanno capiti anche i tifosi: la scorsa ultima parte di stagione fu una vera e propria tragedia. La prima metà di questa non molto più positiva. La misura è evidentemente colma.

Certo, personalmente vorrei vedere il pubblico incitare sempre la propria squadra. Anche, e forse soprattutto, in momenti difficili come quelli che sta attraversando in questo momento la squadra Blucerchiata.

Perché poi la pressione che una piazza come quella doriana comporta si trasforma in una zavorra psicologica che si amplifica notevolmente in un clima come quello attuale.

E così non stupisce vedere una Sampdoria remissiva, confusa e confusionaria venire – a tratti – letteralmente annichilita da un Varese, di contro, assolutamente sgombro mentalmente, sceso in Liguria per giocare senza niente da perdere con un seguito di tifosi che per la Città Giardino è un piccolo esodo.

Perché in campo, specialmente nel primo tempo, c’è praticamente una squadra sola: quella guidata dalla sapiente mano di mister Rolando Maran.

Che prepara benissimo la partita: classico 4-4-2 ordinato e costruito per arginare le avanzate altrui ripartendo poi con scambi rapidi e precisi fino a cercare la conclusione sul fronte opposto.

La Sampdoria però, proprio per via di quella zavorra di cui parlavo, si mette fondamentalmente in difficoltà da sola.

Iachini schiera i suoi con un 3-5-2 che risulta da subito essere un 5-3-2 mascherato.

Juan Antonio, appena arrivato da Brescia, parte bene e si dimostra propositivo. Ma la sua verve dura poco, e sparisce presto nel marasma della sua squadra.

La difesa è un po’ in bambola e fatica a contenere a dovere gli avanti Biancorossi. In particolar modo, come ho avuto modo di dire in telecronaca, Volta è parso da subito molto in difficoltà.
Non a caso, commentando, usai un gioco di parole per far capire che la chiave di volta della partita sarebbe potuto essere proprio una situazione di uno contro uno col difensore doriano. Situazione, questa, che andava cercata quanto più possibile, in particolare con gli uomini più rapidi e dotati della squadra (come Neto e Carrozza, appunto).

Il centrocampo, poi, davvero male. Bentivoglio disputa una partitaccia, Palombo irriconiscibile rispetto a quello che vidi a Varese in un’amichevole di un paio d’anni fa.
A tirare la carretta, quindi, il solo Padalino, vero e proprio motorino della squadra. Il centrocampista svizzero dà tutto, ma è comunque ben contenuto da Grillo.

Infine male Bertani, lasciato però davvero troppo solo da tutti i suoi compagni. Qualcosina di meglio la fa vedere infatti nel secondo tempo. Non a caso quando mister Iachini gli affianca un’altra punta di ruolo, Pozzi.

Bene, invece, praticamente tutto il Varese.

Tra gli undici iniziali, infatti, non c’è nessuno che sfigura. Se non un pochino Nadarevic, sicuramente non in giornata di grazia.

La difesa regge invece benissimo, in particolare nel primo tempo, quando rischia zero.

Il centrocampo è guidato da un Kurtic in grande spolvero, ha in Corti il solito piccolo gigante e in Zecchin l’uomo di qualità che può dialogare col sempre ottimo Neto, le cui fiammate fanno tremare non poco i tifosi accorsi – in massa, come sempre – a Marassi.

E proprio l’attacco riserva una delle note per me più liete della giornata: quel Martinetti che si batte, è utilissimo alla costruzione della manovra e ci prova anche.
Certo, un po’ di incisività in più sottoporta non guasterebbe.

In particolar modo pensando al fatto che ci riferiamo ad una squadra che spesso riesce a mettere in campo un gioco interessante (basti pensare all’ultima prima della sosta, quando un Verona capace di vincere nove delle ultime dieci partite strappò un pareggio immeritatissimo al Franco Ossola, dove solo la poca lucidità dei Biancorossi sotto porta salvò gli Scaligeri) fino agli ultimi quindici metri.

In questo senso è ancora lontano dalla piena maturazione anche Beppe De Luca. Il gioiellino della cantera varesina, infatti, mette in mostra qualità realmente interessanti. Ma il feeling col goal è ancora tutto da costruire.

Nel primo tempo si vede comunque un grande Varese, che si disimpegna sempre alla grandissima, non rischia nulla e si rende pure pericoloso a folate.

La ripresa è invece un pochino più equilibrata ma la vittoria, arrivata allo scadere con goal di Damonte (su assist di Carrozza, in situazione – guarda caso – di uno contro uno con Volta), va giustamente alla squadra di Maran.

Più decisa, compatta e incisiva.

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Ancora non ha deciso cosa fare nel prossimo futuro.

Questo, almeno, è quanto ha dichiarato Pep Guardiola, padre dell’inarrestabile Barcellona che, trascinato dalle giocate di Xavi, Iniesta e Messi, sta scrivendo pagine incancellabili di storia di questo sport.

Guardiola che ha legato il proprio nome in maniera indissolubile ai Blaugrana fin da giovanissimo.

Approdato nel settore giovanile del Barça poco più che un bambino, infatti, il metronomo di Santpedor ha passato undici stagioni in prima squadra, diventando uno dei giocatori più rappresentativi degli anni 90.

Tornato ad avere un ruolo effettivo nel 2007, come allenatore della squadra B, Pep ha iniziato a guidare la prima squadra la stagione successiva, vincendo tre campionati e tre supercoppe di Spagna oltre ad una Copa del Re. Più due Champions, due Supercoppe Europee e due Mondiali per Club.

Un ciclone incredibile, che si è abbattuto sull’universo calcistico mondiale segnandolo profondamente.

Il suo Barça è già storia.

Sul suo conto, però, le malelingue dicono che non sia stato lui ad affinare la macchina-Barcellona. Quanto che una squadra di questo genere sarebbe capace di mietere vittime e inanellare vittorie con un qualsiasi allenatore a guidarla.

Dicono insomma che se lasciasse le Rambla la musica cambierebbe. E che l’aura da Santone del calcio capace di costruire una squadra pressoché infallibile svanirebbe come per magia.

Un po’ forse per questo, un po’ per il fatto che probabilmente allenare la migliore squadra del mondo alla lunga può dare un certo senso di noia ecco che Pep potrebbe presto andare in cerca di nuovi stimoli.

E bisogna dire che in effetti la prospettiva di vederlo allenare altrove, magari in Italia, affascina.

In questo senso è da tempo che si rincorrono le voci di un interessamento di Moratti nei suoi confronti.

Ancora alla ricerca di un post-Mourinho affidabile e soddisfacente, infatti, il patron Nerazzurro sarebbe molto ingolosito dall’opportunità di avere l’affabile catalano sulla panchina interista.

Ma, del resto, stiamo parlando di uno degli allenatori migliori del momento. E che, qualora continuasse così, entrerebbe indubbiamente nel gotha.

Chi non gli affiderebbe la propria panchina?

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