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Archive for marzo 2012

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Il tunnel che porta al campo è lungo, quasi infinito.

Percorrerlo stando a un metro dai tuoi avversari ti fa capire che è arrivato il tuo momento.

Sono anni che lo sogni, e finalmente la realizzazione è vicina: ancora pochi passi e il tintinnio dei tacchetti sulle piastrelle verrà soffocato dall’erba.

Un manto erboso curato alla perfezione, regolare, senza buche né zolle.

E una volta lì il tuo sguardo si alzerà sull’imperiosità di quelle tribune, dove i seggiolini bianchi e rossi giocando a rimpiattino fra loro finisco col disegnare un immenso cannone, simbolo di una delle più gloriose società calcistiche d’Inghilterra, patria dei maestri del pallone.

E lì il tambureggiamento del tuo cuore diventerà irregolare come in uno stallo alla messicana, la gola ti si seccherà come se ti fossi perso nel deserto e le gambe tremeranno più che se ti trovassi ad esplorare il polo…

Un susseguirsi di emozioni che stimoleranno le tue ghiandole surrenali come mai prima, per un’inondazione di adrenalina capace di defibrillare un cuore in arresto.

Tu, il pallone, l’Emirates Stadium… un sogno.

Ma non c’è sogno che non possa essere realizzato.

Io l’anno scorso ci andai vicino, ma i tempi non erano ancora maturi.

Come qualcuno forse ricorderà, infatti, la scorsa estate sbarcai a Londra come ospite di Indesit, che presentò i suoi accordi di sponsorizzazione con tre delle principali squadre del continente: Milan, Arsenal, PSG e Shakhtar Donetsk.

Inutile dirlo: fu una grandissima esperienza. Che cominciò con un torneo di calciotto in cui potei giocare assieme ad un mito come Pietro Vierchowood e contro a due ex calciatori di alto livello come il francese Alain Roche e l’inglese Ray Parlour.

Il giorno dopo, poi, fummo ospitati nel Diamond Club dell’Emirates, dove mi potei godere la seconda giornata dell’Emirates Cup. In un certo qual senso conquistando – almeno – gli spalti dello stadio londinese.

Quest’anno, però, Indesit ha deciso di puntare ancora più in alto. E dare la possibilità a qualcuno di voi di conquistare il terreno di gioco di uno degli stadi più affascinanti che il panorama calcistico europeo offre al giorno d’oggi.

E chi non sogna di poter giocare in un campo importante come quello dell’Arsenal, calcato da grandi giocatori come Robin Van Persie e in cui solo poche settimane fa il Milan stava per lasciarci le penne nel ritorno degli ottavi di finale di Champions League?

E allora proprio per provare a ricalcare le orme di Ibrahimovic e soci non posso che consigliarvi di andare sul sito Indesit Football Talents e partecipare al concorso.

I migliori di voi saranno selezionati e sottoposti a una giuria di eccezione.

Chi supererà quest’ulteriore scrematura realizzerà il sogno di tanti di noi: calcare il terreno di uno stadio tra i più importanti d’Europa, il magico Emirates di Londra.

E allora… buona fortuna! Magari ci vedremo lì…

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Lo ripeto spesso, tanto che i miei amici ormai ne sono nauseati: il nostro calcio, inteso come movimento a tutto tondo, è ormai vecchio ed imbolsito. Ed ha bisogno di essere svecchiato a tutti i livelli.

Strutture nuove e più adeguate ai tempi e alle esigenze odierne, fiducia ai giovani, metodi di preparazione moderni, ecc.

Non nascondiamoci dietro a un dito: per anni siamo stati il punto di riferimento mondiale – o quantomeno continentale – in ambito calcistico.

Le nostre squadre di club facevano paura a chiunque, la nostra nazionale era tra le più talentuose e il gap esistente erano gli altri a doverlo colmare.

E poi?

Poi ci siamo fermati.

Mentre gli altri movimenti crescevano a vista d’occhio (basti pensare all’accoppiata Mondiale-Europeo centrata dalla Francia alla fine degli anni novanta, alla stessa accoppiata messa a segno recentemente dalla Spagna e al movimento tedesco tornato ai fasti di una ventina d’anni fa) noi ci siamo seduti sugli allori, convinti che il nostro predominio fosse tale per diritto divino e che mai nessuno al mondo – brasiliani a parte – avrebbe potuto giocarsela con noi.

Del resto il Milan dell’epoca Berlusconi ha dettato legge ovunque, la Juventus di Moggi si è insediata stabilmente tra le migliori compagini d’Europa, tante altre squadre, anche nelle competizioni continentali minori, hanno saputo fare la voce grossa un po’ ovunque. E la nostra nazionale, ancor prima di centrare la vittoria Mondiale nel 2006, è stata capace, a partire dagli anni novanta, di raccogliere un secondo e un terzo posto Mondiale oltre a quella finale disgraziatamente persa all’Europeo del 2000.

Quando però non ti sai rinnovare, dicevamo, ci vuole poco a dilapidare tutto il vantaggio accumulato sugli avversari.

Lo ha dimostrato bene l’Inter del Triplete, che dopo un’annata straordinaria non ha avuto il coraggio di rifondarsi ed è finita con l’affondare nel pantano che tutti noi oggi conosciamo.

Ma proprio dalle ultime vicissitudini di casa Nerazzura parte una qualche speranza per il futuro.

Gli indizi, in realtà, si possono trovare già da prima della cacciata di Ranieri.

Innanzitutto la questione stadi: qualcosa si muove.

Certo, siamo anni luce lontani dalle situazioni che si vivono in Inghilterra o Germania, ma lo Juventus Stadium è l’esemplificazione di come anche in Italia possiamo avere strutture moderne, di proprietà e confortevoli per ogni esigenza.
Una via, quella tracciata dalla società di Corso Galileo Ferraris, che va assolutamente seguita quanto più possibile.

Ma non solo. Quest’anno, come per magia, si sono imposti all’attenzione due giovanissimi (per i nostri standard) come Fabio Borini e Stephan El Sharaawy.

E ultimo, non certo in ordine di importanza, il siluramento di Claudio Ranieri in favore di Andrea Stramaccioni. Altra ventata di giovinezza dopo che in estate la panchina del Catania era stata affidata a Vincenzo Montella e quella della Roma a Luis Enrique.

Investire sui giovani, del resto, vuol dire garantirsi un futuro.

Due progetti in tal senso lo mostrano benissimo, molto meglio di quanto potrei fare io versando fiumi di inchiostro.

Da una parte, a livello di club, il Barcellona. Che quindici anni fa, o giù di lì, decise di impostare tutta la propria società di modo da garantire sì un sostegno importante alla prima squadra, centrando però buona parte dei propri sforzi sul settore giovanile. Con i risultati che tutti conosciamo: Messi, Xavi, Iniesta, Puyol, Piquè, Fabregas, trionfi a non finire e una squadra e una filosofia che segnano quest’epoca calcistica come pochi club al mondo sono stati capaci di fare nel corso della storia.

Dall’altra, esempio forse ancor più importante in relazione al nostro discorso, il movimento calcistico tedesco.
Che dopo aver trascorso un ventennio complicato si sta risollevando alla grande, con un lavoro strutturale che parte da lontano.

Del resto negli ultimi vent’anni se escludiamo la nazionale (capace di vincere un Europeo e giocarsi una finale Mondiale, comunque sempre più per qualità caratteriali che non tecnico-tattiche) vediamo come le figure rimediate dai club non siano state proprio delle migliori: una imposizione (Bayern 1996) in Europa League (o Coppa Uefa che dir si voglia), una nella defunta Coppa delle Coppe (Werder 1992) e due in Champions (Borussia 1997 e Bayern 2001). Poco, se rapportato  alle sette UEFA, tre Coppe delle Coppe e cinque Champions italiane.

Eppure oggi, scemato il momento d’oro vissuto negli anni novanta dalle nostre compagini, la situazione si è ribaltata: le nostre mediamente ricevono schiaffoni su ogni campo che visitano, tanto che il ranking UEFA vede oggi la Germania aver scavalcato (e continuare ad accumulare terreno) l’Italia.

E proprio quello tedesco è un modello da seguire: investimenti su giovani e strutture, per rimodernare un movimento che oggi ha poco da dire.

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Arrivo lungo, ma un commentino su Milan – Roma non potevo non farlo.

E allora parafrasando un ritornello cantato da Primo Brown… Roma chiama, Ibra risponde!

Qualcuno in estate aveva immaginato di vedere la sponda Giallorossa del Tevere trasformarsi magicamente in una piccola grande Barcellona, diventando così Mecca di un calcio italiano sempre più imbolsito.

Beh, a conti fatti quel qualcuno è stato quantomeno un po’ troppo ottimista.

Del resto era sciocco pensare che, di punto in bianco, Luis Enrique potesse fare di una squadra qualsiasi un nuovo Barça.

Perché ciò che è oggi la squadra di Guardiola è stato costruito quantomeno nell’arco degli ultimi quindici anni, con un lavoro capillare di costruzione di un’idea di calcio che parte da lontano e che si radica fin dai pulcini.

Barcellona, insomma, è un mondo a sé. Non è una semplice squadra di calcio.

Se a questo si aggiunge il fatto che gli interpreti non sono propriamente dello stesso livello la frittata è fatta. E nessuno si deve stupire nel vedere che la Roma di Luis Enrique sta attraversando non poche difficoltà nell’affrontare questo campionato.

Non ultima la sconfitta patita nei confronti di un Milan sempre più lanciato, nonostante il 2 a 0 della Juventus su di un’Inter sempre più in crisi, alla vittoria dello Scudetto.

Alla “Scala del calcio” va infatti in scena uno spettacolo cui ormai i tifosi Rossoneri sono – ben – abituati: il solito Zlatan Ibrahimovic sale in cattedra e affonda la compagine romanista con una doppietta che palesa tutte le incredibili lacune della retroguardia ospite, forse il principale punto dolente della sinora comunque non proprio soddisfacente esperienza italiana di Lucho.

E così a fare da contraltare ad un Ibrahimovic sempre più dominante tra i nostri confini c’è un Kjaer che ha spiegato bene a tutti perché dalle parti di Wolfsburg nessuno voglia più vederlo. Incredibile anche pensare come uno dei difensori più interessanti del nostro campionato solo un paio di stagioni or sono giochi oggi su livelli così infimi.

La corazzata di Allegri quindi dopo aver tremato in chiusura di primo tempo sull’1 a 0 targato Osvaldo si rifà alla grande nella ripresa, tagliando come burro la difesa romanista, guidata dal suo alfiere principe.

Una partita che nel complesso non ha comunque potuto entusiasmare gli amanti del bel calcio in quanto segnata in maniera più che significativa dagli errori dei singoli, più che dal bel gioco.

Ma una partita che ha anche lanciato un paio di note positive per il movimento calcistico italiano nel suo complesso: perché da una parte ha dato bella mostra di sé il piccolo Faraone, quello Stephan El Shaarawy che nonostante i vent’anni non ancora compiuti dimostra di saper calcare senza remora alcuna un palcoscenico importante come quello di San Siro e di giocare con la sfacciataggine propria di ogni predestinato anche contro un avversario comunque ostico e blasonato come la Roma.

Dall’altra trova invece spazio, ormai come d’abitudine, il quasi ventunenne Fabio Borini (che compirà gli anni giusto giovedì), che dopo una già buona dose di prestazioni di livello e diversi goal non riesce ad essere incisivo come ci ha abituati, anche per via della scarsa incisività di tutta la squadra.

Due giovani, questi, che rappresentano davvero il futuro di un movimento che ha grandissimo bisogno di rinnovarsi, a tutti i livelli.

Se poi a questi due ragazzi di belle prospettive si aggiunge anche quel Manolo Gabbiadini che ha favorito la digestione dei tifosi bergamaschi rifilando a quelli bolognesi una “pera” piuttosto indigesta… ecco che forse il futuro sembra non essere poi così nero.

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Il calcio italiano sta attraversando un momento di grossissima difficoltà.
E non servo certo io a certificarlo.

Strutture obsolete, difficoltà economiche, incapacità di puntare – ed investire – sui giovani, di produrre calcio, preparazioni atletiche ancora non all’avanguardia, ecc.

Tanti i problemi che si possono ravvisare.

Eppure non mancherebbe il talento.

Di questo, almeno, ne sono sicuri gli sviluppatori di Fifa12, videogame di EA Sports tra i più venduti al mondo (posto che non è un articolo pubblicitario ma solo curioso, faccio anche il nome del gioco che fa concorrenza a Fifa di modo da dare un colpo al cerchio ed uno alla botte: PES).

Visitando il sito Fifanatic, infatti, è possibile consultare una tabella che riporta il potenziale di buona parte dei giovani inseriti nel database del gioco.

Consultando questo database appare chiaro come, se le cose andranno come ipotizzato dai creatori di Fifa, le cose per la nostra nazionale potranno essere abbastanza rosee in futuro.

Ecco, quindi, la nazionale italiana del futuro secondo Fifa12…

(N.B.: per chi non conoscesse il gioco dico che Messi arriva ad un valore overall di 95, partendo da 93. Fatevi i vostri paragoni)

Nicola Leali

In molti lo pensano da tempo: è lui il “nuovo Buffon”.
Definizione che, in effetti, non ha portato molto bene a Vincenzo Fiorillo, tre anni più vecchio, forse ormai bruciatosi dopo una sfolgorante carriera giovanile in quel di Genova (sponda Blucerchiata).
Leali che nel gioco EA arriva a 88, risultando essere il migliore tra i giocatori italiani assieme a Marchisio, Balotelli, El Sharaawy e Ranocchia. Nonché il quarto miglior portiere al mondo dopo i tedeschi Neuer e Ter Stegen ed il francese Lloris.

Ezequiel Schelotto

Il tornante atalantino ha già dimostrato di poter giocare anche in difesa. E allora eccolo qui, a presidiare la fascia destra con licenza di spingere. Il tutto per un incremento di 11 punti, che in Fifa12 lo porta a crescere dal 76 iniziale all’87 finale.
Pochi esterni come lui.

Andrea Ranocchia

A Bari sembrava effettivamente destinato ad una carriera sfavillante. Poi l’infortunio che gli fece perdere il Mondiale, il passaggio al Genoa dove non fece nemmeno in tempo ad ambientarsi alla difesa a tre che si trasferì a Milano, sponda Nerazzurra.
Qui squadra da rifare dalle fondamenta e poco spazio per la presenza del duo Samuel-Lucio.
Speriamo abbiano ragione i creatori di Fifa: 88 per lui, che sarebbe uno dei migliori centrali al mondo assieme al Viola Nastasic, al tedesco Hummels, al belga Kompany e di poco inferiore all’inglese Jones, e agli spagnolo Ramos e Piquè.

Angelo Ogbonna

Il centrale del Torino è accreditato di un valore globale di 87.
Atletismo e forza fisica non gli mancano certo. In generale dà effettivamente l’impressione di avere i mezzi per diventare uno dei migliori difensore al mondo.
Ci riuscirà davvero?

Domenico Criscito

Il terzino ex Genoa oggi ai russi dello Zenit diventa in Fifa quello che sarebbe dovuto diventare secondo le promesse di inizio carriera: un grande difensore.
Purtroppo poi le cose non sono andate esattamente così ed ho paura che l’86 che raggiunge in Fifa sia un valore piuttosto gonfiato rispetto alla realtà.

Claudio Marchisio

Centrocampista completo, iniziò a livelli stratosferici la stagione. Trovasse continuità su quei livelli finirebbe forse con l’essere anche meglio di quell’88 che gli accreditano in Electronic Arts…

Luca Marrone

Il regista della nazionale, o comunque il giocatore che potrebbe porsi al centro del centrocampo per provare a dettare i tempi, sarebbe Luca Marrone. Il giocatore cresciuto nelle giovanili della Juve, esattamente come Marchisio, cresce infatti sino a raggiungere il valore di 86.

Andrea Poli

L’ex capitano delle giovanili doriane è passato in estate all’Inter ed in realtà qualche difficoltà la sta trovando (certo, probabilmente anche dovute alle difficoltà che dimostra la compagine tutta).
A Fifa è accreditato di un bell’86, che lo porterebbe ad essere giocatore di livello assoluto.

Stephan El Sharaawy

Quando è sceso in campo ha dimostrato di avere colpi, rapidità e carattere per potersi imporre ad alto livello. La cosa non è sfuggita ai creatori di Fifa, che l’hanno premiato con un incremento di 13 punti, facendolo passare dal 75 attuale all’88 che raggiunge al massimo del suo splendore.
Questo solo in Italia può non essere titolare fisso nonostante la giovane età.

Mario Balotelli

Potenzialmente il migliore tra i giovani italiani nati tra fine ottanta ed inizio novanta.
A Fifa, però, arriva “solo” ad 88, come Ranocchia, Leali, El Sharaawy e Marchisio.
Peccato, era l’unico che potenzialmente poteva sfondare il muro dei 90.

Giuseppe Rossi

Pepito, che rischia di saltare gli Europei per infortunio (dopo essere stato lasciato incredibilmente a casa due anni fa da Lippi), è accreditato di un bell’87. Di certo con Balotelli potrebbe formare una coppia tecnicamente sopraffina e con un mix di rapidità e potenza molto interessante…

Non solo 11 titolari di livello assoluto, però. Ma anche una rosa che si completa in maniera molto interessante:

Salvatore Sirigu (85), Emiliano Viviano (85), Luca Caldirola (84), Ignazio Abate (85), Davide Santon (85), Lorenzo Crisetig (84), Luca Cigarini (84), Alessio Cerci (85), Cristian Pasquato (86), Sebastian Giovinco (87), Mattia Destro (87), Alberto Paloschi (86), Ciro Immobile (85), Fabio Borini (84).

Quindi insomma… un 4-3-1-2 di livello assoluto con uno dei migliori portieri al mondo protetto da una difesa-muraglia di qualità e quantità, un centrocampo a tre dinamico e tecnicamente più che discreto ed un reparto offensivo col Faraone a dare qualità e supportare il duo Balotelli-Rossi.

Se le cose andassero come pronosticato dagli sviluppatori di EA Sports… l’Italia entro breve potrebbe tornare a recitare un ruolo da protagonista…

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