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Archive for ottobre 2014

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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La Major League Soccer sta entrando nel vivo proprio in questi giorni.

Per portarvi a scoprire meglio questo mondo, e più nello specifico l’andamento della stagione, mi sono fatto una chiacchierata con uno dei blogger più competenti, corretti ed educati della rete: Giacomo Costa, uno dei massimi esperti di MLS in Italia.

Partiamo dalla struttura: spiega un po’ a chi la MLS la conosce poco come è organizzato il campionato.

Comprendere la struttura del campionato può essere difficile per chi non lo mastica, sicuramente meno per chi segue gli altri sport americani. Infatti prende spunto dalle altre leghe con le “conference”, in questo caso Eastern e Western. Attualmente hanno rispettivamente 10 e 9 squadre, ma dalla prossima stagione (il campionato inizia a marzo e finisce ad inizio dicembre) entreranno Orlando City e New York City; inoltre il Chivas USA (ceduto per circa 100 milioni a degli imprenditori locali e a Tan Lian del Cardiff City) darà l’addio portando la lega a 20 squadre con lo Sporting Kansas City e gli Houston Dynamo che traslocheranno nella Western Conference. Entreranno nel 2017 Atlanta (che ha già 16,000 abbonati) e la nuova squadra di Los Angeles. Sacramento (20.000 spettatori in USL Pro) dovrebbe essere la 4° californiana. Ancora qualche dubbio per Miami, soprattutto per lo stadio e per la fan base. David Beckham potrebbe essere costretto a cambiare location, magari per il molto meno “glamour” Minnesota.
Fino a questa stagione le squadre hanno affrontato 24 volte le avversarie della stessa conference e 10 quelle dell’altra andando a comporre 34 giornate. Questo per quanto riguarda la Regular Season, ovviamente. Dall’anno prossimo dovrebbe cambiare il tutto dato che le squadre saranno 20. A fine stagione partono i classici play off dove si qualificano direttamente le prime tre classificate delle due conference, più le due vincitrici dello spareggio tra la 4° e la 5° classificata di ciascuna conference. Si arriva poi alla finale, chiamata MLS Cup, che è una partita secca che si disputa nello stadio della miglior classificata tra le due finaliste nella regular season.
Altra regola fondamentale del campionato è il salary cap, che molti non capiscono, mentre altri vorrebbero anche in Europa. Attualmente il limite è basso, troppo basso, ma già dalla prossima stagione dovrebbe salire grazie anche al nuovo contratto televisivo di 7 anni che porterà nelle casse del campionato circa 530 milioni in più rispetto a quello del periodo 2007-2014. Le regole hanno un solo obiettivo: rendere il campionato il più equilibrato possibile.

Veniamo all’edizione che sta entrando nel vivo in queste settimane: ad est si sono imposti i D.C. United davanti a New England Revolution e Columbus Crew. Al Knockout round vanno invece New York Red Bulls e Sporting Kansas City. La classifica rispecchia il valore effettivo delle squadre?

Per quanto mi riguarda lo Sporting Kansas City resta la squadra più collaudata, cazzuta ed equilibrata del campionato. Dopo aver trionfato lo scorso anno sono finiti al knockout stage anche per un pizzico di sfortuna. Hanno perso Zusi e Besler, convocati da Klinsmann per il Mondiale, da metà maggio a inizio luglio, il terzino destro Myers è fuori da inizio stagione, hanno ceduto Rosell allo Sporting Lisbona e hanno giocato qualche partita con un solo centrale di ruolo. Per il resto la classifica credo rispecchi i valori delle squadre; quelle rimaste fuori avevano qualcosa in meno delle altre, anche Toronto che ha speso tutto il budget per pochi giocatori. Il DC United ha fatto l’esatto contrario e ha chiuso al primo posto, ma ci sarà modo di parlarne più avanti dei Black & Red. Il New England e il Columbus Crew sono molti simili non avendo nomi che spiccano, ma questo vuol dire davvero poco. Al Knockout stage i newyorkesi hanno il vantaggio di giocare in casa, ma io punterei sullo Sporting Kansas City, anche se fare pronostici è davvero dura. Di solito la squadra di New York nel momento che conta davvero fallisce miseramente, ma il calcio è bello perché hai sempre l’opportunità di rimediare.

Ad ovest invece sono stati i Sounders a spuntarla, tre punti avanti ai Galaxy ed otto sui Real Salt Lake. Allo spareggio Dallas e Vancouver. Anche qui, è questo un ranking veritiero delle forze in campo?

La Western Conference la reputo di qualità migliore rispetto alla Eastern. Credo che anche in questo caso i valori siano stati rispettati quasi del tutto. I Seattle Sounders hanno visto finalmente l’esplosione di Martins e Dempsey dopo un 2013 di certo non brillantissimo e in difesa hanno aggiunto il veterano Chad Marshall, che si è rivelato un vero e proprio colpaccio. Sono una grande realtà che spesso e volentieri gioca di fronte a quasi 70.000 spettatori, sicuramente candidati a vincere la loro prima MLS Cup. I Galaxy a inizio stagione faticavano e non poco; li ritenevo una squadra con grosse lacune. Anche perché Omar Gonzalez, Donovan e Keane stavano giocando malino, e loro tre sono gli uomini fondamentali della squadra. Invece Bruce Arena ha fatto uno dei suoi soliti lavoroni, aiutato anche da un Omar Gonzalez rientrato in gran forma dal Mondiale, e quando è al 100% è insuperabile in difesa, e dall’orgoglio di Donovan dopo la porta che gli ha sbattuto in faccia Klinsmann e dopo il ritiro annunciato ad agosto. Tra i meriti dell’allenatore americano anche l’essersi inventato Robbie Rogers terzino sinistro e l’aver spostato il 23enne Gyasi Zardes in attacco che ha chiuso con 16 goal in 22 partite da titolare. La delusione in questa conference è senza dubbio Portland. Io li avevo addirittura dati come vincitori ad inizio stagione, dopo un gran 2013 nel quale si erano imposti come squadra con il miglior gioco con un offensivo 4-2-1-3. Statisticamente per vincere la MLS hai bisogno di almeno 3 difensori americani; loro dovevano rinforzarsi in quel ruolo e prendere un giocatore come Chad Marshall, che ha acquistato Seattle. Un centrale collaudato, abituato ai lunghi viaggi del campionato e alle difficoltà climatiche. Invece hanno puntato su Paparatto, arrivato dal campionato argentino, che difficilmente poteva fare bene in un campionato con uno stile di gioco come quello americano viste le sue caratteristiche. Infatti è finita male, anche se sono rimasti fuori per un solo punto. Tra Dallas e Vancouver, parlando dello spareggio, credo che siano più meritevoli i texani che giocheranno anche la partita in casa. Attenzione però ai canadesi che hanno giocatori imprevedibili come il 20enne Manneh (se non lo conoscete scaricate il mio ultimo ebook, La carica dei 301, ndr).

La classifica dei marcatori ad oggi è dominata da Bradley Wright-Phillips, autore di ben 27 reti. Quella degli assist dal solito Landon Donovan con 19 passaggi decisivi all’attivo.
Se dovessi fare qualche nome, chi sono stati i migliori giocatori della regular season?

Penso che nessuno, nessuno, si sarebbe immaginato 27 goal (6 su rigore) da parte di Bradley Wright-Phillips. In un certo senso ha anche fatto la storia dato che è il primo europeo a vincere il titolo di capocannoniere nella Major League Soccer. Ora lo seguono diverse squadre di Premier League ma dovrebbe rimanere a New York. Donovan dopo un inizio opaco ha tirato fuori l’orgoglio dopo l’esclusione dal Mondiale e grazie anche all’annuncio del ritiro. Purtroppo uno dei miei calciatori preferiti dal 2006 sta per chiudere una carriera che lo ha reso il vero simbolo del soccer americano.
Per farti qualche nome per ruolo credo che il miglior portiere sia stato Bill Hamid, una vera e propria saracinesca in questa stagione. In difesa premierei Omar Gonzalez e Matt Hedges di Dallas. A centrocampo Nguyen che ha siglato 18 goal da centrocampista centrale e in attacco, oltre a Bradley Wright-Phillips, direi Dom Dwyer, che ha siglato 22 reti, e Martins che mi ha colpito molto per la sua grande forma fisica.

Quando si parla di calcio con me, il discorso non può che finire anche sui giovani. Di americani ne ho inseriti molti nella mia carica dei 301. Ma dicci, quali sono stati i più interessanti di questo campionato, a tuo avviso?

Limitandoci solo alla Major League Soccer ne ho un paio da menzionare. Tra i più “piccolini” uno è sicuramente Erik Palmer-Brown, probabilmente conosciuto per essere un obiettivo di mercato della Juventus da almeno un anno. Ma anche Haji Wright dell’academy dei LA Galaxy che tu hai inserito nel tuo ultimo libro. Passando ai più grandi con buona esperienza come non citare DeAndre Yedlin, apprezzato da tutti al Mondiale? Lo seguo dal 2012 quando ancora giocava nel college e sono contento che avrà l’opportunità di giocare per il Tottenham. Nato nello stesso anno di Yedlin, nel 1993, quindi nemmeno così giovane, anche Wil Trapp. Questo centrocampista di Columbus mi ha stregato perché è un leader nato, sembra di guardare un 35enne a fine carriera quando gioca, ovviamente per l’aspetto carismatico. Leggevo giusto qualche giorno fa un articolo che prendeva in esame i migliori centrocampisti U24 dei migliori campionati del mondo e lui era l’unico con una percentuale di passaggi lunghi (25 o più metri) riusciti dell’86%. Ce ne sarebbero molti altri da citare ma chiudo con Diego Fagundez, il ragazzo che pare essere cercato da Fiorentina e Roma. A 19 anni conta già 88 presenze, 22 goal e 14 passaggi decisivi in campionato. Sicuramente un giovane dal grande talento che può ancora migliorare molto. Spero che che nel caso in cui venga acquistato da una squadra italiana non finisca a marcire in primavera da fuori quota.

Facciamo ora un passo indietro. Brasile 2014: un Mondiale sicuramente positivo per il movimento calcistico statunitense. In quanti anni pensi che la Nazionale a stelle e strisce possa arrivare a costruire una rosa che sia competitiva per, quantomeno, arrivare in semifinale e quindi potersi giocare l’accesso all’ultimo atto?

La semifinale la sfiorarono già nel 2002 quando al comando c’era Bruce Arena, quel match contro la Germania grida ancora vendetta nelle menti degli appassionati americani per quel pallone che finì sul braccio di Frings sulla linea di porta. Il Mondiale passato è stato positivo, ma lo stesso Klinsmann ha commesso qualche errore, a mio modo di vedere. A partire dall’esclusione di Donovan, che meritava sicuramente il posto. E’ ovvio che se a lui ha preferito Brad Davis nella decisione finale ha pesato il rapporto difficile tra i due. Discutibile anche la gestione di Bradley che ha dovuto correre molto (alla fine dei gironi era il calciatore che aveva corso di più in tutta la competizione) per scelta dello stesso Klinsmann che lo ha schierato in un ruolo inedito per lui con una condizione fisica precaria (infatti si è operato ieri a New York). Ma oltre a questo il Mondiale è stato positivo, considerando che si sono ritrovati senza una punta di riferimento dall’inizio. Personalmente pensavo dall’inizio che l’avrebbero spuntata nel girone, mi sono fidato molto di giocatori, soprattutto della MLS, come Zusi, che ha servito assist decisivi, che seguivo da tempo.
Una rosa competitiva ai massimi livelli credo che la avranno nel 2022 quando diversi talenti come Green, Zelalem, Junior Flores, Hyndman, Pulisic, Rubin e via dicendo avranno 25-26 anni. Anche se è presto per dirlo. Prima o poi trionferanno anche in questo sport, credo sia quasi inevitabile.

Ultima domanda, un po’ d’obbligo, sul patron dei D.C. United. Una squadra che l’anno scorso, con Thohir al timone, ha stentato molto. Mentre quest’anno, con l’indonesiano più concentrato sulle vicende interiste, sta volando.
Eventuali coincidenze a parte, come è visto il Presidente dell’Inter nell’ambiente del calcio professionistico americano? E ancora, qual è il tuo pensiero al riguardo?

C’è un po’ di indecisione su di lui da parte dei tifosi del D.C. United, almeno per quel che ho potuto vedere io. Il fatto che abbia trascurato la squadra per l’Inter non è piaciuto, più che altro perché lo ha dichiarato pubblicamente, e anche la trattativa per lo stadio da 300 milioni sta un po’ stufando i tifosi che sono costretti a giocare in una struttura davvero pessima per gli standard del campionato. Sicuramente su questo ultimo punto si giocherà moltissima credibilità. Io credo che Thohir sia un ottimo businessman ma è meglio che per la questione tecnica lasci fare agli altri, non a uomini di sua fiducia, proprio ad altri che sanno fare il proprio lavoro. La sua prima stagione nella capitale statunitense è stata disastrosa, poi, complice l’acquisto dell’Inter, si è defilato dando più potere a terzi che, devo dire, hanno operato perfettamente senza acquistare “nomi” ma solo giocatori di sostanza che li hanno portati in testa alla Eastern Conference con un budget normalissimo.

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Addio, Klas.

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Klas sbarcò in Italia quasi due decenni fa.

Di anni ne aveva 27 ed in carriera, a livello professionistico, aveva vestito le maglie del Goteborg, del Mechelen, del PSV e dello Sheffield Wednesday.

Proprio dall’Inghilterra salpò per Bari.

Nel giro della Nazionale da anni, era arrivato il momento di misurarsi con il campionato che all’epoca era probabilmente quello più bramato al mondo: la Serie A.

La scintilla, tra me e lui, scoccò subito.

Troppo innamorato di un certo tipo di giocatori per non farmi rapire da quello svedesone di centonovanta centimetri per quasi novanta chilogrammi che imperava sulla mediana dei Biancorossi.

Così dalla prima volta che giocai ad un Fantacalcio sino all’ultima in cui lui fu disponibile lo acquistai sempre. Perché certi amori travalicano le barriere della logicità e si spingono nell’intangibilità dei sentimenti, di ciò che un giocatore ti trasmette al di là del suo effettivo rendimento in campo.

Così non passava anno che non affidassi a lui le chiavi del mio centrocampo.

Certo, i campioni non mancavano. Ma uno dei punti fissi della mia squadra non poteva non essere questo vichingo forgiato nella lonsdaleite.

In Italia ci rimase sino al 2000, per poi trasferirsi a Marsiglia. Pochi mesi, ed ecco il ritorno nel Belpaese, dove chiuse la carriera.

Perché la storia sportiva di Klas Ingesson è fortemente legata al nostro paese.

57 presenze e 13 goal con la maglia dei Blågult, fu uno dei punti fermi della – potremmo dire – trionfale spedizione svedese ad USA 94.

Titolare in tutti e sette i match, infatti, contribuì fattivamente all’ottimo terzo posto finale della sua nazionale. Andando anche a realizzare un rigore nella serie consumatasi contro la Romania di Hagi. Uno scontro molto combattuto in cui lui, dall’alto della sua grandezza, andò a battere il quinto penalty della sua squadra.

Smessi i panni da calciatore nel 2001, nel 2009 arrivò la malattia che, dopo anni di combattimenti, ce lo ha portato via: mieloma multiplo.

Diventato nel frattempo allenatore, Klas Ingesson ha combattuto il suo male con la stessa vigoria che ha sempre messo in campo. Quella voglia di lottare e di vincere che lo fece diventare un idolo dei tifosi tanto a Bologna quanto, soprattutto, a Bari.

E che, ancor di più, lo fece diventare pedina inamovibile di ogni mia Fantasquadra…

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Tre giorni fa ho pubblicato l’intervista al giovane blogger albanese Enxhi Fero sui fatti di Serbia-Albania: l’invasione del drone con la bandiera della “Grande Albania”, il parapiglia tra i giocatori, l’invasione dei tifosi, le tristi scene di violenza.

Beh, non parteggiando per nessuno, e volendo semplicemente provare ad approfondire quella triste vicenda, ho voluto sentire anche la cosiddetta “altra campana”.

Ho quindi contattato un grande conoscitore di calcio come Lazar Perovic per affrontare anche con lui la questione. Vista, questa volta, con gli occhi di un giovane serbo.

Partiamo dalla bandiera: avrebbe fatto differenza se al posto di quella della “Grande Albania” fosse volata sul campo la bandiera dell’Albania per come la conosciamo oggi? Insomma, l’affronto è stato il volo di una bandiera straniera o il volo di QUELLA bandiera?

Inizialmente, nessuno aveva capito che si fosse trattato di una bandiera raffigurante la “grande Albania”: ciò che si intravedeva era solamente l’aquila nera a due teste su sfondo rosso. Di conseguenza, ritengo che non avrebbe fatto molta differenza. Ciò che per me è stato assolutamente geniale, per quanto concerne il loro gesto, è l’aver fatto volare proprio nel centro di Belgrado e di fronte al presidente Nikolić e a tutti i vertici serbi, una bandiera raffigurante l’Albania “etnica”, così come la chiamano e considerano gli albanesi. Meriterebbero la vittoria a tavolino solo per aver pensato e organizzato in modo così perfetto tutto quanto. Era impossibile aspettarsi una cosa simile. È lampante che alla base di questa vicenda ci sia stata un’organizzazione non indifferente. Sono convinto che abbiano iniziato a pensarci sin dal momento del sorteggio e che tale progetto disfattista non sia stato architettato da uno o due albanesi qualsiasi, bensì da qualcuno di decisamente importante. Non sapremo mai la verità, probabilmente.

Legittimabile un atto violento non può esserlo mai. Ma quanto è capibile, da chi ha radici in quei luoghi, che il “semplice” volo di una bandiera possa scatenare la violenza che abbiamo potuto vedere in campo?

Non si tratta del “semplice volo di una bandiera”. Il gesto provocatorio degli albanesi non è da sottovalutare. Il loro sogno irrealizzabile è la creazione di ciò che la bandiera rappresentava, tale “Albania etnica”: uno stato popolato da soli albanesi e comprendente territori storicamente sempre appartenuti a stati quali la Serbia, la Grecia, la Macedonia e il Montenegro. Il “semplice volo di una bandiera” è stato motivo di orgoglio e giubilo negli incredibili festeggiamenti tenutisi successivamente a Tirana; i giocatori sono stati accolti come eroi nazionali per aver difeso una bandiera della quale, a mio parere, il 95% degli albanesi non conosceva nemmeno l’esistenza, o quantomeno il significato, prima che scoccasse il quarantaduesimo minuto della partita. Quella bandiera, effettivamente, non rappresenta alcunché di tangibile, se non il sogno “sovversivo” di una popolazione, e perciò mi ha stupito negativamente Cana per aver dichiarato che “quella della Grande Albania è la bandiera più bella del mondo”. Chi invece ho veramente apprezzato è stato Ivanović che, prima dell’inizio della partita, si è recato nello spogliatoio della squadra albanese per stringere la mano a ciascun giocatore avversario e ricordare il reale scopo della partita stessa: il calcio è uno sport e, in quanto tale, dovrebbe alimentare una sana competizione in grado di eludere i conflitti politici, etnici o religiosi; il match in questione avrebbe dovuto rimanere tale e non degenerare in un trionfo di violenza. Io, dal canto mio, la penso come il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, che ha dichiarato che si è trattata di una “provocazione irresponsabile”. È stato un gesto gravissimo ed inoltre estremamente pericoloso, che solo per l’intervento dei giocatori serbi non è ulteriormente degenerato. Poteva finire in tragedia, e non esagererei nel dire che ci sarebbe potuto “scappare” anche il morto.

Il volo della bandiera è stato letto come una provocazione. La violenza che ne è scaturita resta comunque totalmente esecrabile. Cosa pensi della decisione presa dalla UEFA al riguardo? E ancora, cosa avresti fatto tu, se avessi potuto decidere?

Si è trattato chiaramente di una gesto provocatorio. Agli avversari non interessava la partita, basti notare la foga con la quale tre giocatori albanesi si sono avventati su Stefan Mitrović, il quale aveva raccolto la bandiera per consegnarla al quarto uomo e riprendere l’incontro. Se avessero voluto giocare veramente, avrebbero lasciato Mitrović agire in tal modo. Invece no. Non è evidentemente andata così. La vicenda è degenerata: alcuni tifosi serbi sono riusciti ad arrivare in campo, eludendo la sorveglianza; altri, sono stati allontanati dagli stessi giocatori della squadra di casa, i quali hanno difeso, contro ogni aspettativa, i giocatori albanesi. L’UEFA ha preso la decisione più giusta. Penso che l’aver concesso il 3-0 a tavolino in favore della Serbia, il farle disputare due partite a porte chiuse, e l’aver multato entrambe le federazioni con 100.000€ ciascuna, siano state decisioni complessivamente equilibrate. Io, personalmente, avrei evitato di togliere i 3 punti alla squadra serba per una questione di correttezza nei confronti della scelta precedente di assegnare la vittoria a tavolino.

Giusto ieri ci sono stati disordini tra tifosi anche in un’altra “zona calda” dell’est Europa, l’ex Cecoslovacchia. Dove evidentemente alcuni dissapori continuano a sfrigolare sotto la cenere. Ancor più era quindi preventivabile che Serbia-Albani potesse essere una partita a rischio. Tre posizione: giusto giocarla, meglio non giocarla o era opportuno scegliere una via di mezzo come disputarla a porte chiuse o in campo neutro?

L’errore è stato quello di permettere che Serbia e Albania si affrontassero nel medesimo girone. La trovo una scelta assurda, dettata dall’irresponsabilità organizzativa della UEFA. Si sapeva sin dal momento del sorteggio che sarebbe successo qualcosa. Ciò che più mi spiace è che l’incontro tra i due premier Vučić e Rama, previsto per il 22 ottobre a Belgrado, è stato rinviato a data da destinarsi. È dal 1949, anno in cui Tito e Henver Xoxha si incontrarono, che ciò non accade. Stiamo parlando di ben più di mezzo secolo. Quello che sarebbe dovuto accadere il 22 ottobre 2014, avrebbe potuto essere un piccolo segnale di distensione e un modo per normalizzare i rapporti.

Infine, il pensiero corre già al match dell’anno prossimo, la gara di ritorno. Certo non sarà una partita normale. Come agire onde evitare si ripetano i problemi visti settimana scorsa?

Manca un anno a quella partita, ma credo sia praticamente certo che essa verrà giocata o in campo neutro o a porte chiuse. Perciò, ritengo che, salvo imprevisti, non ci saranno problemi di grossa portata. Confido in una organizzazione più efficace e sicura per i giocatori.

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Ci eravamo lasciati due settimane fa con questa situazione: Italia al primo posto del ranking stagionale

e quindi ancor più salda al quarto del ranking quinquennale, quello che a fine stagione fa fede in merito alle squadre da qualificare alle competizioni europee.

Beh, la seconda giornata di questa stagione, del resto, era stata particolarmente positiva. Ovvero, più o meno l’esatto contrario di quanto non sia stata quest’ultima, che ha visto due sole compagini italiani riportare la vittoria (Torino e Fiorentina), una pareggiare (Inter) e ben tre perdere (Napoli, Juventus e Roma).

Così i nostri colori sono rientrati in una situazione più “normale”, rispetto a quanto visto al termine delle prime due giornate. Infatti oggi il ranking stagionale ci vede al terzo posto dietro alle solite Germania e Spagna e davanti alla malcapitata Inghilterra, che però ha ancora molto tempo per riuscire nel sorpasso ai nostri danni.

Come al solito, però, più che alle tre nazioni che ci precedono nel ranking quinquennale è bene dare uno sguardo a chi ci insegue, più precisamente il Portogallo. Che dopo aver ridotto di qualcosina il gap nella due giorni di Champions lo ha visto allargarsi di nuovo ieri.

Così se due settimane fa il nostro vantaggio sui lusitani era di 1,1 punti, oggi lo troviamo aumentato di ulteriori 0,4 punti.

E gli altri?

La Croazia sta vivendo una buonissima stagione, già la migliore degli ultimi cinque anni. Ad oggi è addirittura la quinta miglior nazione d’Europa, nel ranking stagionale. Un salto in avanti notevole, rispetto al ventesimo posto dello scorso anno. Un salto in avanti che si è concretizzato in due posizioni guadagnate su base quinquennale.

Un’altra nazione che sta andando molto bene rispetto al solito è la Bielorussia, ottava nel ranking annuale. Una prestazione notevole per chi ad inizio stagione occupava il ventiduesimo posto in classifica generale, oggi migliorato di una posizione.

Molto male, invece, i nostri avversari diretti per il quarto posto. Il Portogallo ha infatti cominciato stentando questa stagione. Ad oggi è addirittura undicesimo (dietro anche a Russia, Francia, Belgio e Grecia) con 4.250 punti guadagnati.
Ma certo, la stagione è così lunga che le loro sorti potrebbero cambiare di molto!

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Tra il 15 ed il 20 ottobre (quindi settimana scorsa) la nostra under 17 (quella formata da giocatori nati dopo il 1 gennio 1998) ha affrontato il primo turno di qualificazione all’Europeo di categoria.

Inserita nel Gruppo 3 disputatosi in Moldavia i nostri ragazzi hanno ottenuto due vittorie ed un pareggio, prendendosi la vetta della classifica e qualificandosi comodamente (lo erano già prima di giocare l’ultimo match) alla Fase Elite.

Quella dei ’98 è una classe molto interessante, come ebbi già modo di dire in passato. Vi ci sono nati ragazzi di grande talento e prospettive (alcuni dei quali sono stati raccontanti nel mio secondo libro, “La carica dei 301″, ebook che vi invito a comprare costando solo 99 centesimi) che hanno tutte le possibilità di andare a giocarsi anche, perché no, il titolo Europeo l’anno prossimo tra Sofia e dintorni.

Quanto visto in questa prima fase di qualificazione, però, non mi lascia per nulla tranquillo.

Ma iniziamo con un breve racconto di com’è andata.

L’esordio è stato morbido, un 3 a 0 facile (firmato da una doppietta di Cutrone e da una rete del classe 99 Scamacca) contro la squadra peggiore del raggruppamento, quell’Armenia che chiuderà questa prima fase a zero punti con ben 9 reti subite in 3 match.

La seconda partita ha presentato già qualche difficoltà in più. Contro i padroni di casa moldavi i nostri ragazzi hanno infatti disputato un primo tempo opaco, mettendo in mostra una circolazione di palla difficoltosa e perché no un pochino di affanno anche in fase di non possesso. Il rigore di Llamas a nove dal termine della prima frazione ha comunque portato avanti gli Azzurrini, che hanno messo al sicuro la vittoria nella ripresa grazie ad una doppietta del solito Cutrone.

Infine, il match con l’Islanda. Preso magari un po’ sottogamba in quanto già qualificati alla Fase Elite, ecco i nostri giochicchiare in controllo del match per subire però il goal del vantaggio islandese.
La reazione arriva nella ripresa, abbastanza veemente. I nostri mettono sotto gli avversari e trovano il pareggio con – guarda caso – Patrick Cutrone. Ma perché subire un goal prima di mettere in mostra la propria superiorità?

Un primo problema, quindi, è questo: l’approccio.

Ancora non si possono sapere quali saranno gli avversari che dovremo incontrare nel corso della Fase Elite, ma una cosa è chiara: solo la squadra migliore, quella capace di vincere il girone, passerà.
Ed a differenza di questo primo turno, come al solito piuttosto morbido, non ci saranno tutte queste avversarie abbordabili. Il livello si alzerà molto, e con esso dovrà alzarsi anche quello delle nostre prestazioni. O il risultato potrebbe essere la non qualificazione all’Europeo.

Un secondo problema è sicuramente di gioco: nonostante la discreta qualità dei nostri interpreti, infatti, l’Italia ha messo in mostra le sue classiche lacune nello sviluppo dell’azione.
Ci sono tanti modi di giocare a calcio dominando una partita. Negli ultimi anni quello che è andato più di moda è stato il famoso “tiki-taka” in salsa catalana, ma Bayern e Germania hanno dimostrato che si può dominare anche con un gioco più verticale. L’importante è giocare.

I nostri ragazzi, invece, hanno spesso faticato a manovrare, nonostante qualità tecniche superiori agli avversari. E qui escono i classici limiti del nostro calcio, sempre più bravo ad agire di rimessa che ad imporsi. Una strategia che se può funzionare contro squadre di alto lignaggio certo diventa deficitaria quando gli avversari sono inferiori al proprio livello.

Il terzo problema, poi, mi permetto di individuarlo nelle convocazioni.

Certo, qui uscirà la storia del “siamo tutti CT”, “tu non sei un allenatore”, ecc. Ma a che cosa servirebbe un blog se non ad esprimere opinioni?

E allora ecco il quesito che pongo: perché di questa squadra non hanno fatto parte tre degli elementi in assoluto più qualitativi della classe italiana 1998?

Sto parlando degli interisti Piscopo e Taufer e del milanista Mastour.

Sarebbe cambiato qualcosa con la loro presenza? Magari no, forse sì. Di certo soprattutto con avversari di livello così sensibilmente inferiore mettere ancora maggiore qualità in campo avrebbe potuto aiutare a vincere ancora più nettamente il girone.

E se su Mastour è evidente che debbano esserci problemi alla base (non gioca nemmeno nel suo club, né in prima squadra, né in Primavera, né con gli Allievi Nazionali) davvero stento a capire perché Piscopo e Taufer, che invece mi risulta siano tra i punti di forza degli A.N. dell’Inter, non siano stati convocati.

Logico, il C.T. è pagato per fare le sue scelte. Ma mettere in dubbio quelle che sembrano sbagliate penso sia altrettanto legittimo.

Quindi, che squadra avrei schierato in questo primo turno di qualificazione? E’ presto detto:

Ed ora?

Ora c’è da elevare il livello di gioco, possibilmente convocare gli esclusi di cui ho parlato e poi studiare la formazione di partita in partita, anche in base agli avversari che si affronteranno.

Di certo questo gruppo ha il potenziale per arrivare all’Europeo. E lì giocarsela.

Che dire? Speriamo bene.

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Il match tra Serbia  e Albania, culminato con gli scontri tra campo e tunnel che porta agli spogliatoi, ha segnato una triste serata per il calcio europeo.

Tanto se ne è parlato, un po’ su tutti i media. E nonostante solitamente prediliga occuparmi di situazioni prettamente calcistiche in questo caso non potevo esimermi dal parlarne anche io. Con un po’ di ritardo, ma il tempo è quello che è per tutti.

Perché dico per tutti?

Perché per affrontare questo discorso così spinoso mi sono rivolto ad un grande conoscitore di calcio albanese, il blogger Enxhi Fero.

Con lui ho provato, nella chiacchierata che segue, ad esplorare i perché ed i riverberi dell’invasione da parte del drone con tanto di drappo, e di tutto quello che ne è conseguito e potrebbe conseguirne nei prossimi mesi.

Ma prima, per poter contestualizzare il conflitto e l’odio latente che vive ancora oggi tra serbi ed albanesi vi invito a fare un giro su Wikipedia, più precisamente a leggere questa pagina.

Enxhi, veniamo al match. Perché il volo di quel drone sullo stadio, con i fatti che ne sono seguiti a stretto giro di posta, ha scatenato il pandemonio, violento, che si è poi visto in campo?

Teoricamente perché rappresenta la “Grande Albania”: ovvero l’immaginaria Albania che comprenderebbe tutti i territori di etnia albanese. Come per esempio la parte Nord-Ovest della Macedonia, quella Nord della Grecia e gran parte del Kosovo. Dico teoricamente perché secondo me il drone con la bandiera è stato soltanto una scusante per scatenare tutto quello che il mondo ha visto. Per due semplici motivi: prima di tutto sono sicurissimo che in mezzo al campo nessun giocatore “abbia fatto” caso se la bandiera raffigurasse la grande, la media o la piccola Albania. Io penso che quello che abbia fatto surriscaldare la tifoseria di casa, come anche i giocatori albanesi, sia stata la bandiera. Per i serbi, perché volevano reagire a questa sorta di “affronto”. Quale affronto? La UEFA aveva proibito a qualsiasi tifoso albanese di arrivare a Belgrado, e inoltre aveva proibito qualsiasi manifestazione (bandiere, striscioni e così via) pro-Albania da parte dei quarantacinque albanesi presenti. Questo è l’unico motivo. I tifosi serbi non sono scesi in campo perché hanno visto raffigurata “la Grande Albania”, quello è apparso dopo attraverso tv, giornali, media. Proprio seguendo questa linea, infatti, si spiega il perché della reazione dei giocatori albanesi come Xhaka, Lila e Balaj. Nessun atto politico, soltanto il voler portare “la propria bandiera in salvo”, e di fatti fino a quando la questione è rimasta tra i giocatori in campo, brutte scene non si sono viste. Il secondo motivo invece che mi induce a non pensare che il caos si sia scatenato da una “provocazione politica” sono le immagini e i video dei quarantadue minuti di gioco. Se proprio vogliamo metterla sul piano politico, lo stadio era pieno di striscioni come “il Kosovo è Serbia”, oppure di bandiere come quella della Grecia, nazione storicamente “avversaria” dell’Albania. Per non parlare poi dei cori “uccidi l’albanese” e così via. Ripeto, a mio parere il drone con la bandiera è stato soltanto una scusante. Chi ha visto la partita sa che poteva succedere qualcosa da un momento all’altro.

Si è scritto molto della vicenda, imputando anche persone che con ogni probabilità non c’entravano nulla con il volo del drone. Cosa si sa, ad oggi, degli organizzatori di questo volo?

Il primo che è stato indicato come colpevole è stato il fratello del primo ministro albanese, Orfi Rama. Notizia assolutamente falsa, pubblicata dai media serbi proprio per alimentare questo clima di tensione e per mettere la questione su un piano politico. Nonostante ripetute smentite, molti media serbi hanno pubblicato che comunque Orfi Rama è stato arrestato. Vorrei smentire una volta per tutte: come dichiarato dallo stesso fratello del primo ministro, lui stava riprendendo i fatti con il suo tablet e questo ha indotto a pensare che fosse lui a pilotare il drone. Dopo esser stato controllato dalla polizia per un paio di minuti, tutto è tornato alla normalità. Quindi, nessun arresto! Per quanto riguarda chi sia stato veramente, l’ipotesi ora più plausibile sembra essere un ultras della storica tifoseria organizzata “Ballistet”. Piccola presentazione. I Ballistet sono gli ultras dello Shkendija Tetove, squadra del campionato macedone ma fondata da albanesi, e proprio la città di Tetove appartiene a quella zona del territorio macedone di etnia albanese. Dicevamo, le “colpe” sembrano ricadere su di lui perché in un commento di un mese fa su Facebook, aveva annunciato già che “stava concentrando tutte le sue forze per Belgrado”. Con annessa bandiera che poi si è vista nello stadio del Partizan. Vero o no questo non lo so, anche perché io penso che il vero “colpevole” non si saprà mai. Personalmente non escludo nemmeno l’ipotesi che il drone sia partito dalla tifoseria di casa. In queste situazioni tutto può essere, mai dire mai.

La gara è stata troncata proprio per le violenze che si sono susseguite al volo del drone. Cosa ti aspetti ora dalla UEFA? Si rigiocherà o verrà assegnata la vittoria a tavolino all’Albania?

Se fossi la UEFA penso che non ci dovrebbero essere dubbi. I fatti sono chiarissimi, e se per loro non lo sono ci sono le immagini e i video che lo testimoniano. Io assegnerei la vittoria per zero a tre a tavolino per l’Albania, con conseguente squalifica del campo per qualche anno per la Serbia. Tutto questo, non perché sono albanese ma perché penso davvero che i fatti parlino chiaro. Ci sono troppi elementi che vanno contro la squadra di casa, mentre per l’Albania c’è soltanto “la provocazione politica”, che secondo me è non è stata tale ma va bene lo stesso. Questo è il mio pensiero, ma se dovessi pensare a cosa realmente deciderà la UEFA tutto cambierebbe: ascoltando le dichiarazioni di Platini (“e se ci fosse stata una bomba?”) e Blatter, penso che i provvedimenti verranno divisi in ugual maniera. A quanto pare, per loro il drone con la bandiera è più da punire rispetto a quel tifoso che con un seggiolino di plastica ha colpito Bekim Balaj. Per questo, non so in che modo però, dal verdetto della UEFA non ne uscirà un “vincitore”.

Gli appassionati, nelle giornate susseguenti al match, hanno discusso molto sull’accaduto, anche sui miei account social. Le posizione sono le più disparate. Due vanno per la maggiore: da una parte c’è chi pensa che l’UEFA avrebbe dovuto impedire che Serbia ed Albania finissero nello stesso girone. Dall’altra chi dice che quantomeno il match andasse giocato a porte chiuse / in campo neutro. Secondo te come avrebbe dovuto gestire la cosa la UEFA?

Inutile fare i moralisti, Serbia-Albania è una partita che non si doveva giocare. Io prima del sorteggio, scherzavo con i miei amici proprio su questo fatto: “Vi immaginate Serbia e Albania in uno stesso girone?” con la certezza però che tutto ciò non sarebbe potuto accadere. Platini a mio parere si dovrebbe dimettere, perché è lui il principale (se non unico) responsabile di tutto quello che è successo martedì. Non puoi decidere di non inserire Spagna e Gibilterra nello stesso girone, e poi fare il contrario con Serbia e Albania che sono in conflitto tra loro da secoli e secoli. Niente campo neutro e porte chiuse: Serbia in un girone e Albania in un altro. Fare i moralisti non serve a nulla, perché poi ci ritroviamo a commentare situazioni del genere.

A prescindere da come finirà questa vicenda, in teoria l’8 ottobre dell’anno prossimo si dovrà giocare il ritorno del match, questa volta in Albania. Posto che le tensioni tra i due popoli sono molto radicate, è difficile pensare che la questione possa sopirsi per allora. Come agire?

Riguardo a questo, penso che la partita di ritorno si disputerà sicuramente a porte chiuse, se non in campo neutro. Dispiace molto per i tifosi albanesi, perché il primo ministro aveva promesso che la partita contro la Serbia si sarebbe disputata nel nuovo “Loro Boriçi” di Scutari che arriverà ad ospitare all’incirca 20.000 persone. Lo sport dovrebbe servire ad unire i popoli, ma quando si ha a che fare con “bestie selvatiche” fare pensieri o ragionare non serve proprio a nulla…

Ovviamente, sono dispostissimo ad ospitare su questo blog anche l’opinione di chi vede le cose dall’altra parte della barricata, ovvero sia da quella dei serbi.

Quindi, ci fosse qualche serbo intenzionato a portare il proprio punto di vista riguardo a quanto accaduto settimana scorsa non deve far altro che contattarmi via mail: francescofedericopagani@gmail.com

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A un anno di distanza dalla fase qualificatoria si sta giocando in Myanmar proprio in queste settimane il campionato asiatico under 19.

La formula è quella tipica: 16 squadre divise in 4 gironi all’italiana. Match di sola andata, le prime due accedono al turno successivo.

Io ho dato uno sguardo a diversi match, per capire quale sia il livello attuale dei giovani asiatici, e voglio fare un po’ il punto della situazione ora, al termine della prima fase e prima che inizi quella ad eliminazione diretta (venerdì).

Gruppo A

Fa scalpore l’eliminazione dell’Iran, senza dubbio la squadra che avrei indicato come potenziale vincitrice del raggruppamento. Iraniani che dopo un grande girone di qualificazione (tre vittorie in altrettanti match contro Arabia Saudita, Tagikistan e Libano) hanno impressionato sì, ma negativamente.
Sconfitta per 2 a 1 nel primo match con la Thailandia, zero punti alla seconda giornata contro lo Yemen. Inutile, quindi, la vittoria finale contro i padroni di casa.
Certo deve essersi fatta sentire l’assenza del carica 301 Azmoun (Compra il libro per conoscerlo meglio, costa solo 1 euro), giocatore di un’altra categoria a quelle latitudini. Ma non può essere un’alibi ad un’eliminazione così cocente.

Vittoria iraniana che non ha comunque nuociuto a Myanmar. La contemporanea tripletta di Patipan ha infatti permesso si delineasse la classifica di cui sopra, coi giovani thai al primo posto del girone, qualificati al turno successivo proprio assieme ai padroni di casa.

Gruppo B

Finale thrilling nel gruppo B, con altra esclusa eccellente: l’Australia.

La presenza di una squadra materasso come l’Indonesia ha infatti portato le altre tre squadre, che tra di loro hanno pareggiato tutti i match, a delineare la classifica secondo la differenza reti.

Alla fine a spuntare il primo posto sono stati gli Emirati Arabi Uniti, capaci di battere gli indonesiani per 4 a 1 nel corso dell’ultimo match.
Al secondo ecco invece Uzbekistan, capace di aprire il proprio girone di qualificazione con una vittoria per 3 a 1 sulla malcapitata Indonesia.
Il misero 1 a 0 rimediato dagli australiani ha invece sancito l’eliminazione degli Aussie dal torneo. Australia che, in realtà, sino ad otto minuti dalla fine dell’ultimo match, giocato contro gli uzbeki, era ai quarti. Poi una rete di Urinboev ha pareggiato il conto e portato a delineare la classifica per come la vedete qui sopra.

Gruppo C

Che dire? Non poteva non esserci un’esclusa eccellente anche nel terzo girone. In questo caso, la Sud Corea, regina assoluta della competizione (12 vittorie all’attivo, nessuno come loro).

La roboante vittoria della prima giornata (un 6 a 0 rifilato al Vietnam) aveva forse illuso un po’ tutto l’ambiente coreano, probabilmente sentitosi già con un piede ai quarti. Così si è forse presa un po’ sotto gamba la gara giocata nel corso della seconda giornata con la Cina, chiusa sullo 0 a 0.
La doppietta del carica 301 Takumi Minamino ha quindi sancito l’eliminazione dei giovani Taeguk Warriors, che probabilmente si interrogheranno a lungo su questa cocente eliminazione.

A passare come prima della classe è quindi il Giappone: partito male contro la Cina (sconfitta 2 a 1) ha quindi saputo rialzare la testa contro il Vietnam (3 a 1) per poi compiere il “miracolo” nel corso dell’ultima giornata.

Accede ai quarti anche la Cina, che ha mostrato un certo scarto nella fisicità ed anche due o tre elementi ben dotati tecnicamente.

Gruppo D

A vincere il quarto e ultimo raggruppamento è il Qatar, che batte 3 a 1 la Corea del Nord all’esordio per poi impattare 1 a 1 con l’Iraq. Nel corso dell’ultima giornata, poi, un secco 2 a 0 all’Oman, e primo posto assicurato.

A fargli compagnia proprio i giovani coreani. Decisiva la vittoria sull’Iraq dell’ultima giornata. Un pareggio avrebbe qualificato i Giovani Leoni della Mesopotamia, che sprecano così un chance d’oro di fare strada in un torneo vinto 5 volte nella propria storia, l’ultima delle quali nell’ormai sempre più lontano anno 2000.

Eliminazione diretta

E adesso?

Beh, adesso – anzi, venerdì – si giocheranno i quarti di finale. Gli accoppiamenti, come potete vedere, prevedono molte sfide interessanti e dal risultato incerto.

Personalmente – posto che non ci azzecco mai – mi aspetterei di veder passare l’Uzbekistan nel primo quarto, il Giappone nel secondo, gli Emirati nel terzo ed il Qatar dell’attuale capocannoniere della manifestazione Ahmed Al Saadi nel quarto.
Tutte le gare, però, si preannunciano combattute. In particolar modo, sulla carta, quelle tra Giappone e Nord Corea e tra qatarioti e cinesi.

Il tutto con un grande interrogativo: riuscirà il Giappone ad imporsi per la prima volta nella storia in questa competizione? Ad oggi i giovani Samurai Blu hanno infatti giocato sei finali, tutte perse.
Sei (su otto tornei disputati in quel lasso di tempo) le ha giocate tra il 1994 ed il 2006.

Va anche ricordato che l’eventuale vittoria coi nordcoreani porterebbe il Giappone in semifinale per la quindicesima volta. Solo la Sud Corea ne ha disputate di più (23).

Che dire? Forse è arrivato il momento di sfatare questo tabù.

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Correva l’anno 1989.

Anno in cui nacque ufficialmente il World Wide Web, in cui a Sheffield 96 tifosi perdono la vita nella tragedia di Hillsborough, in cui il Milan conquista la sua terza Coppa dei Campioni battendo 4 a 0 in finale lo Steaua Bucarest, ed in cui, soprattutto, cade il muro di Berlino.

Proprio per quest’ultimo avvenimento noi, ancora oggi, ricordiamo quell’anno.

Eppure… eppure calcisticamente parlando proprio nel 1989 si giocò un Mondiale in cui vennero sovvertiti i valori che un qualunque appassionato di calcio conosce.
Proprio in quel 1989 si giocò un Mondiale che vide Portogallo, Brasile, Argentina e Germania venir spazzate via da avversari dal valore teoricamente molto più modesto.
Proprio in quel 1989, soprattutto, l’Arabia Saudita salì inopinatamente sul tetto del mondo.

Ma partiamo dal principio.

Ovviamente, non stiamo parlando di un Campionato Mondiale riservato alle nazionali maggiori, bensì di uno riservato alla categoria under 16 (oggi under 17).

In quell’ormai lontano 1989, infatti, proprio nei giorni in cui la Birmania viene rinominata in Myanmar ed in cui fallisce un attentato ai danni del giudice Giovanni Falcone alcune delle rappresentative giovanili di diversi paesi del mondo – qualificatesi tramite i propri tornei continentali – si ritrovano in Scozia per darsi battaglia nella terza edizione di questo torneo.

Le favorite d’obbligo non possono che essere Brasile, Argentina e Portogallo sopra a tutte. Con, eventualmente, Germania (dell’est) e Nigeria (vincitrice della prima edizione, quattro anni prima) a fare da clienti scomodi.

La realtà dei fatti, però, è che il tasso tecnico non è elevatissimo. Scorrendo le liste dei calciatori convocati, infatti, si scopre che anche le nazionali dalla tradizione solida non presentano un gran numero di talenti eccezionali.

Il Gruppo A è quello dei padroni di casa scozzesi. Con loro Bahrein, Cuba e Ghana.
Sulla carta non dovrebbe esserci molto da discutere: via asiatici e centramericani, al turno successivo la compagine europea e quella africana.

Impresa riuscita solo a metà: se dopo lo 0 a 0 iniziale tra le due compagini gli scozzesi cambiano marcia contro Cuba (3 a 0) per poi assicurarsi il secondo posto pareggiando col Bahrein, i ghanesi rimediano solo una sconfitta ed un altro pareggio. Il raggruppamento è quindi vinto dal Bahrein, che passa alla fase ad eliminazione diretta a braccetto con la nazionale ospitante.

Ghana di Nii Lamptey che sfrutterà quindi l’occasione più che altro per accumulare esperienza internazionale. Una scoppola che aiuterà questi ragazzi, in vero mediamente più giovani rispetto agli avversari, a presentarsi pronti due anni più tardi in Italia, quando vinceranno il primo Mondiale under 17 della storia (con l’allora giocatore degli Young Corners votato miglior giocatore del torneo).

Nel Girone B le cose vanno invece come ci si aspetterebbe: la Germania dell’Est, in cui spicca giusto il nome di Frank Rost, regola prima l’Australia (1 a 0) e poi gli Stati Uniti (5 a 2), prima di perdere 2 a 1 col Brasile, passando comunque come prima del girone.
Verdeoro che dal canto loro presentano una squadra assolutamente non all’altezza della situazione (il giocatore che ha compiuto la carriera migliore è Anderson Lima Veiga, un’ottantina di presenze nel Gremio). Sconfitti 1 a 0 dagli USA all’esordio si rifanno col 3 a 1 all’Australia, prima di centrare il secondo posto grazie alla vittoria succitata contro i tedeschi.

A casa ci vanno così, ma come era lecito attendersi a bocce ferme, l’Australia di Schwarzer, Kalac, Popovic e Corica e gli Stati Uniti di Claudio Reyna.

Anche il Gruppo C non regala grandi sorprese: la Nigeria spazza 4 a 0 il Canada all’esordio, impatta 0 a 0 con l’Argentina e poi vince 3 a 0 contro la Cina. La Seleccion invece non va oltre lo 0 a 0 anche contro gli asiatici, ma si rifà all’ultima giornata, col 4 a 1 sul Canada.
Cina che viene così quindi eliminata nonostante sia stata capace di raccogliere 3 punti.

Il Gruppo D, infine, vede una seconda sorpresa: Colombia a casa.

A passare è quindi, come preventivabile, il Portogallo di Figo, che si prende la testa del girone grazie al 2 a 2 con l’Arabia Saudita, al 3 a 2 proprio sui colombiani ed all’1 a 1 finale contro la Guinea. Assieme ai lusitani accedono ai quarti anche gli arabi, che chiudono il proprio cammino in questa fase pareggiando anche con gli africani (2 a 2) per vincere poi l’ultima gara contro la Colombia.

Ma è a partire dai quarti che si capisce come questo Mondiale sia deputato a cambiare, almeno per un’estate, la geografia pallonara globale.

Nella prima gara il Bahrein riesce ad imporsi, in maniera più che sorprendente, sul Brasile. Solo ai calci di rigore, ok, ma chi mai potrebbe scommettere che una rappresentativa giovanile del piccolo arcipelago del Golfo Persico possa battere non dico una nazionale verdeoro, ma anche solo undici parietà brasiliani qualsiasi?

Il secondo quarto non è da meno: la Nigeria di Ikpeba deve inchinarsi, anche in questo caso ai rigori, all’Arabia Saudita.
E probabilmente fu proprio qui, il 17 giugno del 1989, che nacque la leggenda di Mohamed Al-Deayea, estremo difensore capace di raccogliere poi ben 172 caps con la nazionale maggiore.
Quattro rigori vennero battuti dagli africani (Edon, Umoru, Mancha, Anazonwu), nessuna rete. Quanti possano essere stati parati dal portierone ex Al Ta’ee ed Al-Hilal non mi è dato saperlo. Ma di certo ci avrà messo del suo.

Anche il terzo quarto riserva una piccola sorpresa: la Scozia di Paul Dickov si impone sulla Germania Est per 1 a 0, rete di John Lindsay all’ottantesimo.

L’ultimo quarto di finale, infine, è il più equilibrato: l’Argentina di Roberto Abbondanzieri passa in vantaggio all’ottavo minuto, ma prima Figo e poi Tulipa ribaltano il risultato, regalando il passaggio del turno ai lusitani.

Che, a questo punto, restano l’unica squadra tra quelle accreditate ancora in corsa. In pratica, una vittoria scontata.

E invece il Dio del Pallone ha proprio deciso che questo non possa essere un Mondiale come gli altri.

Così in semifinale i portoghesi devono inchinarsi ad un goal di Brian O’Neil, ed accontentarsi della finalina.

Nell’altro match, invece, le due squadre arabe si fronteggiano nella riedizione dell’AFC under 16 Championship dell’anno precedente. Il risultato è simile: si passa dal 2 a 0 all’1 a 0, sempre in favore dei sauditi.

Così mentre il Portogallo, a quel punto senza più tensioni, si sbarazza facilmente dello stesso Bahrein e si aggiudica la medaglia di bronzo (doppietta di Tulipa e goal di Gil Gomes, Figo suo malgrado perdente in nazionale anche a livello giovanile).

Dalla finale non si sa invece cosa aspettarsi: la Scozia ha dimostrato solidità e determinazione, e certo è aiutata dal fattore campo. Un aspetto che molti valutano come determinante.
Nel contempo, però, questo è stato il Mondiale delle sorprese assolute: il Portogallo di Figo ed Abel Xavier sul gradino più basso del podio, Brasile, Argentina e Germania (per quanto dell’est) estromesse anzitempo. Che possa essere un segno divino a favore di una carta che non era accreditata di grosse chance, alla vigilia?

Beh, come avrete capito quello del 1989 fu un Mondiale in cui davvero ne successero di cotte e di crude. Ed in cui, alla fine, furono proprio i sauditi ad arrampicarsi sul tetto del mondo, grazie al solito Al-Deayea. La partita si risolse infatti ai rigori, con due parate del portierone arabo.

Certo, va detto che qualche scozzese – almeno tra quelli presenti in campo – probabilmente ripenserà ancora oggi a quella partita, che avrebbe potuto rappresentare forse anche il punto più alto in carriera raggiungibile da molti di loro.

Dopo venticinque minuti, infatti, la Scozia padrona di casa conduceva 2 a 0, grazie alle reti di Downie e Dickov. Poi, nella ripresa, il crack, i goal di Sulaiman ed Al Teriar a ristabilire il pareggio e, dopo due tempi supplementari ininfluenti ecco lo psicodramma dei rigori.

Ed il Mondiale che così, inusitatamente, vola in Arabia Saudita.

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Lo spettacolo di cui abbiamo goduto venerdì sera nel match che ha visto gli Azzurri opposti al modestissimo Azerbaigian è stato ai limiti del raccapricciante (ne ho parlato su Twitter e su Facebook, più precisamente in questo post).

Cinque difensori schierati contro una squadra che ha rinunciato dal primo minuto ad attaccare. Col risultato che o hanno provato a riconvertirsi tatticamente, o si sono trovati a doversi marcare tra loro.

Per altro, ciliegina sulla torta, la Nazionale italiana è riuscita anche a prendere un goal, sommando gli errori di ben quattro giocatori diversi sino a compiere il patatrac finale (prima Bonucci che regala palla, poi Ranocchia che entra molle e perde il rimpallo dovendo concedere l’angolo; infine l’uscita sbagliata di Buffon ed il conseguente stop maldestro di Chiellini, con relativo autogoal).

Ci sono tre cose che stento a capire dell’approccio avuto a quel match.

  1. Perché schierare due terzini come fluidificanti per poi farli giocare spesso quasi in linea con le punte?
    Non sarebbe stato meglio, a quel punto, varare davvero una sorta di 3-3-4 (prendendo a modello quello del profeta Ezio Glerean, che ho spiegato approfonditamente in questo video) con esterni dalle doti spiccatamente offensive? Del resto Darmian e De Sciglio nascono terzini. E’ logico si trovino nella condizione degli adattati, a dover giocare costantemente così alti.
  2. Perché schierare ben tre difensori centrali a fronte, di fatto, di nessuna vera punta in campo per gli azeri?
    Per l’amor di Dio, sulla carta avevano un trequartista (fisso a uomo su Pirlo) ed un paio di punte, praticamente costantemente dietro la linea della palla. Così che Bonucci si trovava spesso a staccarsi centralmente, un po’ in stile Lucio, per gettarsi nella metà campo avversaria. Anche qui, non era forse meglio togliere un uomo alla difesa ed aggiungerlo più avanti?
  3. Il terzo punto è un semplice riflesso dei primi due: perché schierare solo due giocatori dalle doti spiccatamente offensive (le punte) contro una squadra modesta e riluttante al gioco offensivo come l’Azerbaigian?

Problemi di questo tipo sono evidentemente imputabili alla pervicace ossessione del calcio italiano rispetto al motto “Primo: non prenderle”. Che diventa quasi penosa, quando ci si trova a doversi confrontare con squadre dal così basso potenziale tecnico. Come si è dimostrato l’Azerbaigian e come si dimostrerà, per l’ennesima volta, la piccola Malta (al netto di Mifsud, giocatore di livello molto più alto rispetto ai propri compatrioti).

Qualcuno mi risponderà: “Il calcio italiano ha sempre vinto così, col Catenaccio: tre Mondiali, un’Olimpiade, un Europeo. Più tanti altri piazzamenti comunque importati e di prestigio”.

Vero, ma solo in parte. Ed anche la parte vera va comunque interpretata e riletta con gli occhi di un appassionato del 2014.
Ma andiamo con ordine.

In primo luogo non è vero che l’Italia ha sempre vinto col “Catenaccio”, come si dice.

Lo stesso venne proposto per la prima volta nell’ormai lontanissimo 1932 dall’austriaco Karl Rappan, all’epoca allenatore del Servette. Catenaccio che approdò nel calcio tra nazionali sei anni più tardi, quando il mister nativo di Vienna sedette sulla panca della Svizzera.
In Italia questo metodo approdò quindi solo all’inizio degli anni ’40, importato dall’allora coach della Triestina Mario Villini nel Campionato Alta Italia.

Nel frattempo la Nazionale aveva vinto metà di quanto è riuscita a vincere nel corso della sua storia: l’epopea Pozzo (che giocava con una sorta di 2-3-2-3) portò infatti due titoli Mondiali (’34 e ’38, proprio l’anno in cui Rappan propose il Catenaccio a livello Mondiale) inframezzati da uno Olimpico (1936).

In secondo luogo, il calcio cambia ed è in continua evoluzione. Giudicare tutto con gli occhi del passato ha poco senso.

Negli ultimi decenni infatti molte cose sono cambiate. C’è stata ad esempio l’era del tiki-taka, che ha segnato molto profondamente sia il calcio di club che quello internazionale.
Ma non solo.

C’è stato anche uno scadimento generale della qualità del nostro calcio. Così da super star come i pionieri Meazza e Piola si è arrivati al duo Immobile-Zaza. Con tutto il rispetto – ad oggi – inferiore anche ai vari Riva, Rossi, Baggio Vieri, Del Piero, Totti e compagnia cantante.

Da qui si evincono due cose: una, si può anche pensare di evolvere i propri fondamenti di gioco. Discostandosi così sia dal Catenaccio ad ogni costo, che però anche dal Sacchismo sfrenato, con il sistema sempre e comunque al di sopra di ogni invidualità.

L’altra, che se una volta giocare col freno a mano contro le piccole pagava comunque, perché avevi dei fenomeni capaci di risolverti le partite, oggi rischi di fare figuracce assolute (come contro Haiti) o comunque sfiorarle, affidandoti più alle situazioni di palla inattiva che ad altro.

Quindi, cosa vorrei vedere contro Malta?

Semplicemente, una squadra con più giocatori dalle doti spiccatamente offensive in campo. Una squadra che, un po’ come successo al Belgio contro Andorra, scenda in campo e prenda a pallate l’avversario dal primo all’ultimo minuto. Perché quando il divario tecnico è così ampio (la nostra qualità è scaduta, ma resta imparagonabile a cenerentole come Malta ed Azerbaigian) la partita la vinci anche se attacchi per novanta minuti, magari pur concedendo una ripartenza in più all’avversario.

Potrebbe bastare poco. Pensiamo alla semplice sostituzione dei terzini De Sciglio – Darmian con due giocatori spiccatamente offensivi come Candreva e Giovinco, schierati sì quasi in linea con le punte. Il 3-5-2 diventerebbe un 3-3-4 quasi effettivo, e pur senza seguire i principi di gioco di Glerean qualche grattacapo in più ai nostri avversari lo produrremmo sicuramente.

Questo pur salvaguardando i tre difensori dietro. Perché volendo si potrebbe calcare ancor più la mano, facendo uscire una roba del genere:

Ovvero una formazione che vedrebbe una sola sostituzione rispetto quella cui starebbe pensando Conte (Giovinco per uno dei centrali di difesa) ma che sarebbe molto più offensiva (volendo una sorta di 4-2-4, modulo un tempo prediletto dallo stesso C.T. leccese).
L’idea di gioco è questa: due terzini (con Florenzi adattato) molto offensivi, con licenza di salire moltissimo. Due soli centrali di difesa (personalmente schiererei Ogbonna al fianco di Bonucci, sono i due centrali tecnicamente più dotati). Il genietto Verratti a fare taglia e cuci a centrocampo, dove ci sarebbe la sostanza di Marchisio. E poi il duo Candreva-Giovinco a partire larghi ma con licenza di svariare (col primo che in caso di necessità potrebbe anche scalare mezz’ala a dare una mano al centrocampo) e la coppia prescelta in attacco a finalizzare (io, dato che Pellè dovrebbe essere certo del posto, leverei Immobile: Zaza fa molto meglio il lavoro di raccordo col centrocampo, scendendo bene tra le linee).

Contro una squadra che sicuramente penserà solo a difendere, come già fatto dall’Azerbaigian, non varrebbe la pena provare a spingere di più?

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Si sono giocate tra ieri ed oggi le gare di andata  del playoff di qualificazione al prossimo Campionato Europeo under 21.

Le quattordici squadre qualificate si sono quindi fronteggiate in questo primo match che porterà le nazionali migliori in Repubblica Ceca tra il 17 ed il 30 giugno dell’anno prossimo.

Iniziamo con la nostra Italia, impegnata a Zlaté Moravce contro i “cugini” dei padroni di casa, la Slovacchia.

Beh, la squadra di Di Biagio ha iniziato il match in maniera non esattamente decisa, lasciando sin troppo l’iniziativa ai padroni di casa, che comunque non hanno creato particolari grattacapi alla nostra retroguardia.

Italia schierata con l’ormai classico 4-2-3-1 col solito Bardi in porta, Zappacosta e Biraghi come terzini, Bianchetti ed il rientrante Rugani (aggregato alla Nazionale maggiore, ha lasciato il ritiro di Palermo a seguito dell’infortunio di Romagnoli) a completare il pacchetto difensivo. I due mediani sono stati invece Viviani e Baselli, con la tripla B sulla trequarti (Berardi-Bernardeschi-Battocchio) a supporto della quarta B, Belotti (curioso, otto titolari su undici hanno il cognome che inizia con questa lettera).

Con il passare dei minuti l’Italia ha quindi iniziato a mettere la testa fuori dal guscio, sbagliando però molto. In particolar modo Berardi e Belotti hanno sprecato almeno tre o quattro chance nitide per aprire e chiudere il match.

Il vantaggio è quindi arrivato sugli sviluppi di un corner, proprio grazie alla punta del Palermo. Una volta in vantaggio il match non è comunque cambiato: i nostri ragazzi l’hanno fatta da padrone, senza però riuscire a trovare il colpo del K.O.

Su uno dei tanti errori di Belotti, per me peggiore in campo nonostante il goal, è quindi partito il contropiede letale dei padroni di casa, capaci di trovare il pareggio con l’unico vero tiro in porta del match. Nell’occasione Zappacosta non difende benissimo su Zrelak, che controlla in maniera anche un po’ fortunosa e poi trafigge Bardi con un buon diagonale dal limite.

Al ritorno servirà una prova molto più pragmatica per strappare l’accesso alla fase finale, sempre ricordando che siamo i vicecampioni in carica dopo il discreto Europeo disputato dall’under di Mangia lo scorso anno.

Giovedì era invece stata la volta di Olanda – Portogallo, affrontatesi in quel di Alkmaar agli ordini del greco Tasos Sidiropoulos.

Una gara in cui gli ospiti si sono addirittura permessi di schierare un classe ’97, quel Ruben Neves che inserii nella Top XI dell’ultimo Europeo under 17 e che ho schedato anche nel mio ultimo libro, (“La carica dei 301″, vi invito a comprarlo, costa solo 1 euro!). Un giocatore quindi di ben cinque anni più piccolo rispetto ai più “vecchi” in campo (questo è infatti il biennio dei 92-93).

Olanda che nonostante i molti giocatori di valore in campo palesa una generazione non all’altezza degli ultimi trent’anni della propria storia. Così sebbene possa schierare giocatori come Rekik, l’ex interista Castaignos, Maher (schedato nel mio primo libro, “La carica dei 201″ ) e la coppia Willems-Aké (entrambi, anch’essi, presenti ne “La carica dei 301″) l’Olanda non entra mai davvero in partita, ed alla fine è battuta con un sonoro – e probabilmente risolutivo – 2 a 0 dai portoghesi.

Di Sergio Oliveira e Carlos Mané le reti che regalano questa importantissima vittoria esterna ai giovani lusitani.

Terza gara che sono riuscito a gustarmi è stata quindi Francia – Svezia, disputatasi a Le Mans agli ordini del danese Kenn Hansen.

Una gara con davvero poca storia, in cui la superiorità transalpina è emersa in ogni reparto ed in ogni aspetto di gioco.

Francesi in campo con il filippino Areola a difesa dei pali ed una difesa a quattro composta da Kurzawa, Umtiti, Laporta e Zouma (questi ultimi due presenti ne La carica dei 301, assieme ai compagni Martial e Coman).
A centrocampo ecco schierati invece Imbula e Kondogbia come diga in mediana, con Ntep e Sanson ad inventare e rifinire e Thauvin e Martial a provare a pungere.

Una gara come detto a senso quasi unico, in cui i padroni di casa si sono imposti grazie alle reti di Thauvin (rigore) e Kondogbia (testa sugli sviluppi di un corner).

Ed in cui hanno corso qualche pericolo solo per l’ottima prestazione mostrata dall’ex Manchester City Guidetti, che ha fatto il diavolo a quattro per provare a vestire i panni dell’Ibrahimovic dell’under 21, non riuscendo però nell’impresa di trascinare i propri compagni a risultato.

La vittoria più larga è quindi maturata in Ucraina – Germania, giocata a Cerkasy e diretta dal turco Halis Ozkahya.

Il vantaggio arriva già nel primo tempo, al 35esimo, ed è firmato da Philipp Hoffmann. All’intervallo Hrubesch inserisce dalla panca il talento del #carica301 Meyer e la Germania mette al sicuro il passaggio del turno, con le reti realizzate da Volland e dall’altro Hoffmann, Jonas.

Vince anche l’Inghilterra, impegnata al Molineaux Stadium di Wolverhampton contro la Croazia, gara diretta dallo spagnolo Javier Estrada.

Croati che in realtà passano in vantaggio dopo soli tredici minuti quando l’ex interista Livaja gela il pubblico di casa e regala una speranza agli ospiti.

Speranza messa però in ghiacciaia al 58esimo, quando Kane trovare il pareggio. A cinque dal termine, quindi, è un rigore di Berahino a fissare il punteggio sul 2 a 1 finale, che da un certo vantaggio ai giovani d’Albione in vista del ritorno di martedì.

Chiudono il lotto delle gare di playoff due 0 a 0.

Il primo è stato fatto registrare a Jagodina, dove Serbia e Spagna hanno impattato senza riuscire a violare le rispettive reti.

Iberici che schieravano una potenza di fuoco devastante, con Deulofeu, Isco, Muniain e Morata in campo contemporaneamente dal primo minuto, ma che nonostante questo non sono riusciti a bucare la resistenza della sempre arcigna Serbia, nazionale che almeno a livello giovanile è sempre un bruttissimo cliente da affrontare.

Il secondo è invece maturato all’Aalborg Stadion, dove si sono affrontate Danimarca ed Islanda.

Tutto rinviato a martedì, quindi.

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