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Posts Tagged ‘Milan’

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Chi segue il calcio con un’attenzione minima che va oltre il semplice “straparlo di calcio al bar e do un occhio alle partite della mia presunta squadra del cuore quando capita” avrà sicuramente sentito parlare più volte dei cosiddetti “giocatori di sistema”. Ovvero quei calciatori capaci di rendere anche oltre il 100% del proprio valore in determinati contesti, ma totalmente incapaci di ripetersi altrove, come pesci fuor d’acqua.

La storia del calcio stesso ci pone davanti ad un numero infinito di casi. Tra tutti ricorderete senz’altro buona parte dei giocatori del Valencia di Cuper. Gente che, come Mendieta, sembrava assolutamente inarrestabile in quel contesto. Ma poi, anche strapagata, non ha saputo nemmeno lontanamente ripetersi altrove.

Del resto è facilmente capibile questo meccanismo: quando si è ben integrati in un contesto tattico è logico che il proprio rendimento sia portato a migliorare. Cambiare contesto può quindi spesso interrompere la magia.

Definiti i contorni di quello che intendo per “giocatore di sistema”, vorrei focalizzare oggi l’attenzione sul milanista Jeremy Menez, sicuramente tra i giocatori più positivi della compagine rossonera quest’anno.

Arrivato certo non in pompa magna in estate, a parametro zero, sarebbe stato poco più di una riserva nei tanti Milan del passato (da quello del trio Gre-No-Li sino alla più recente versione ancelottiana).

La pochezza tecnica attuale dei Rossoneri, però, lo ha fatto diventare da subito giocatore assolutamente imprescindibile nel “non-contesto” tattico di Inzaghi.
Del resto nessun altro, in rosa, ha i suoi colpi. Nessuno come lui, insomma, può decidere i match con una giocata.

Fino a qui tutto bene. Ma certo, per stare nel Milan di oggi significa anche che a queste qualità sicuramente positive Menez deve affiancare degli aspetti totalmente negativi.

Tra questi, da sempre, una atavica incostanza di rendimento, in realtà in qualche modo mascherata – almeno – dal buon numero di goal realizzato sin qui quest’anno.
Ma non solo. I difetti del suo gioco sono svariati. Tra tutti sicuramente la sua vena “veneziana”: solista assoluto, predilige lo spunto in totale solitudine al cercare la manovra di squadra.

Certo, mi si potrà ribattere: in un contesto tecnicamente povero come quella milanista non può fare altrimenti.

Vero, i compagni non lo invogliano sicuramente a modificare il suo gioco. E’ altrettanto vero, però, che chi lo conosce da prima del suo sbarco a Milano sa bene che il tratto fondante del suo gioco è sempre stata una certa anarchia. Insomma, se cerchi un giocatore abile a dialogare coi compagni di certo non puoi andare a rivolgerti a lui.

In tutto ciò, però, Jeremy Menez è finito col trovare l’ambiente ideale per esprimersi proprio sulla sponda Rossonera di Milano.

Qui, infatti, ha trovato una squadra totalmente disorganizzata, con un allenatore neofita ad oggi assolutamente incapace di dare un gioco alla proprio equipe e dei compagni che, di fatto, si sono spesso aggrappati alle sue giocate individuali per provare a sfangarla.

Insomma, in un contesto totalmente destrutturato come quello rappresentato dal Milan di oggi Jeremy Menez, anarchico del rettangolo verde e solista della giocata, trova la sua massima esaltazione.

Se in una situazione organizzata i suoi acuti finirebbero col suonare stonati, infatti, nella sconclusionatezza milanista le sue prove risultano invece dei reali toccasana.

Insomma, preso sulla carta per essere inserito in una certa idea di gioco, Jeremy Menez si è rivelato essere il miglior paracadute di questo Milan proprio grazie la totale assenza di idee di gioco comuni.

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Lo scarso rendimento del Milan attuale è un dato di fatto sotto gli occhi di tutti.

Allo stesso modo credo sia palese come questo scarso rendimento sia sicuramente dovuto a limiti palesi di qualità della rosa, così come ad un allenatore che – ad oggi, almeno – non si sta rivelando all’altezza della situazione.

Quando si parla di uno sport sempre più tattico come il calcio, però, non si può nemmeno ignorare proprio questo aspetto. Spesso, infatti, la disposizione tattica di una squadra incide fortemente sulla resa della stessa nel suo complesso quanto dei singoli che la compongono.

Proprio da questo presupposto, ed in seguito alla breve analisi fatta della situazione Inter, vi propongo questo video che illustra alcune differenti disposizioni che potrebbero essere scelte da Inzaghi per provare a ritrovare un po’ di continuità da qui a giugno. Quando, personalmente, farei scattare una rivoluzione tecnica a tutti i livelli, per provare a ritrovare la via che il Milan sembra aver smarrito ormai da qualche anno…

4-3-3: il modulo utilizzato in questo inizio di stagione. Sicuramente una soluzione plausibile, visti soprattutto i tanti esterni offensivi a disposizione. Qualche dubbio, però, lo lascia il centrocampo. Ma più che una questione di modulo, in questo caso, è proprio un problema di uomini.
Questo modulo, per altro, potrebbe vedere il Faraone e Bonaventura alternarsi da una parte e Cerci ed Honda dall’altra, con Menez e Destro a far staffetta a seconda delle richieste del mister.
Trovando una miglior quadratura in fase di non possesso, sicuramente un modulo da riproporre.

4-2-3-1: anche qui il problema resta il centrocampo. Un problema in questo caso ancor più acuito dalla presenza di due soli uomini in mediana. Questo schema, però, sarebbe una scelta logica guardando il parco trequartisti, che potrebbe essere sfruttato ancora più a fondo. Del resto centralmente si potrebbero impiegare i vari Honda, Bonaventura e Suso, più lo stesso Menez…

4-4-2: modulo classico che in fase di transizione negativa permetterebbe sicuramente di coprire meglio il campo. Davanti, poi, darebbe spazio a Destro col supporto di una seconda punta mobile, che potrebbe essere rappresentata dai vari Menez, Cerci o El Shaarawy.
Sicuramente un modulo equilibrato che potrebbe dare qualche certezza in più alla squadra. Ma che, nel contempo, rischia di rinsecchire ulteriormente la fase offensiva.
In più se a sinistra Bonaventura potrebbe tranquillamente fare l’esterno – ruolo già ricoperto a Bergamo – a destra non vedrei benissimo i vari Cerci, Honda o Suso.

4-3-1-2: uno dei miei moduli preferiti in assoluto, ma che certo non si adatta alla perfezione a questo Milan. E’ presto detto: con tutti i trequartisti, soprattutto esterni, a disposizione sarebbe un delitto scegliere un modulo di questo genere.
I tempi del Milan di Ancelotti sono lontanissimi, in tutti i sensi.

4-3-2-1: anche questo è un modulo che ricorda l’epopea ancelottiana. Albero di Natale che però, per lo stesso motivo che ho citato parlando del 4-3-1-2, non sembra il modulo migliore da scegliere. Anche se certo, tra questi ultimi due sarebbe sicuramente quello che prediligerei.

3-4-3: che la difesa a tre non sia ben vista dalle parti di Milanello è un dato di fatto. Anzi, che la difesa debba schierarsi a quattro sembra essere un diktat presidenziale/societario.
Nel contempo, però, bisognerebbe avere la giusta flessibilità per cercare di far rendere al meglio il materiale a disposizione.
In questo senso, quindi, trovo che una delle soluzioni migliori in assoluto per questo Milan potrebbe essere proprio il passaggio alla difesa a 3.Il 3-4-3 mutaforma di gasperiniana ispirazione, in particolare, permetterebbe alla squadra di variare il proprio approccio tattico in continuazione a seconda della situazione di gioco. Si potrebbe così passare facilmente al 4-4-2 con lo slittamente laterale del centrale di destra (Rami) ed il conseguente arretramento della catena di sinistra (Antonelli a terzino e Bonaventura / El Sharaawy ad esterni di centrocampo). Con l’ala destra che, in questo caso, diventerebbe ovviamente seconda punta (Cerci). O trequartista (Honda, col modulo che diventerebbe un 4-4-1-1).
Ma non solo. Con l’abbassamento di entrambe le catene laterali la squadra potrebbe chiudersi ancora di più, per poi puntare tutto sul contropiede, passando al 5-4-1.

3-5-2: variante del 3-4-3, anche se dal mio punto di vista meno adatta alla rosa attuale del Milan, è ovviamente il 3-5-2 con cui la Juve ha vinto gli ultimi tre Scudetti. Certo, quella era tutta un’altra squadra. Ma del resto il gap coi Bianconeri non è tattico, ma proprio di qualità della rosa.

E voi? Quale modulo scegliereste, allenaste il Milan al posto di Inzaghi?

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Era il 29 agosto del 2010 quando Salvatore Bocchetti, all’epoca non ancora ventiquattrenne, lasciò l’Italia dopo un paio di ottimi campionati nel Genoa (in precedenza aveva giocato a Lanciano in C1, un paio di presenze nell’Ascoli in A e due stagioni a Frosinone in B) per trovare fortuna – almeno economica – in Russia, più precisamente al Rubin.

Dopo quattro anni e mezzo passati tra Kazan e lo Spartak Mosca, dove approdò nel 2013, pare proprio che Bocchetti, a lungo inseguito da molte italiane (Napoli e lo stesso Genoa su tutte), sia sul punto di tornare nel Belpaese.

Pare sia infatti ormai chiuso l’accordo con il Milan, che lo preleverebbe in prestito sino a giugno con un probabile diritto di riscattarne l’intero cartellino alla fine della stagione.

Ma che giocatore è Bocchetti?

Ai tempi dell’under 21 prometteva sicuramente bene. Probabilmente proprio la decisione di andare a giocare in Russia gli ha tagliato un po’ le gambe: quello italiano è un calcio molto conservatore, in cui spesso chi va a giocare all’estero (gli esempi sono molteplici) finisce per essere tagliato fuori dal giro Azzurro.

Non è un caso quindi se tra il terzo posto ottenuto con l’under 21 all’Europeo del 2009 e la sua partenza per l’est Europa Bocchetti mise assieme cinque presenze in nazionale. L’ultima delle quali il 5 giugno del 2010, proprio un paio di mesi prima di lasciare l’Italia.

Una decisione, quella di accettare il principesco contratto offerto dai tatari, che ha sicuramente segnato profondamente la sua carriera. Se da una parte ha contribuito a far lievitare fortemente il suo portafoglio, dall’altra ha contribuito a non fargli spiccare mai quel salto di qualità che in molti si aspettavano.

Oggi, ormai ventottenne, è ai margini dello Spartak. Deluso e malinconico, quindi, pare ormai pronto a rientrare in Italia.

Ma com’è andata la sua esperienza russa e cosa ci si può aspettare dal suo ritorno in Italia? L’ho chiesto a chi la Premier Liga la segue costantemente, con amore e passione.

“Bocchetti partì molto bene al Rubin – dice Alberto Farinone, amministratore del forum “Calcio Russo” – con cui disputò da titolare anche la CL, non sfigurando. La stagione 2011-12 è stata probabilmente la migliore della sua carriera. Fu tra i pre-convocati di Prandelli per EURO 2012, anche se alla fine venne tagliato insieme a Ranocchia (partecipò comunque al Mondiale sudafricano con Lippi, anche se nessuno lo ricorda). Impiegato da Berdyev prevalentemente come centrale di sinistra in una difesa a 4, raramente da terzino (ruolo in cui è assolutamente adattato, per non dire improponibile). Nell’inverno del 2013 passa poi allo Spartak, parte forte ma si rompe il ginocchio e rimane fuori sei mesi abbondanti. Così così nella scorsa annata. In questa stagione ha giocato poco, il neo-tecnico dei moscoviti Yakin lo ha bocciato quasi subito. Non gioca da parecchi mesi, praticamente da agosto. Appena 226 minuti in RPL e 172′ in Coppa di Russia.”

A fargli eco anche Matteo Mongelli, grande appassionato ed esperto di calcio russo, che traccia un bilancio simile dell’avventura di Bocchetti in Russia: “Due volti: decisamente bene a Kazan, dove si è affermato come uno dei centrali difensivi più validi di tutta la RPL. Esperienza invece a dir poco drammatica quella allo Spartak: male lo scorso anno, fino ad arrivare all’esclusione dai titolari in questa stagione, dove ha influito anche il pessimo rapporto con Yakin (si è detto che lo stesso svizzero – dopo una lite con Tino Costa, Shirokov e Bocchetti stesso avesse posto un aut aut alla dirigenza: o le loro cessioni o le sue dimissioni)”.

Cosa dire, invece, delle sue prospettive italiane?

“Per me – riprende Alberto Farinone – è un centrale più che discreto, potrebbe rivelarsi anche un buon acquisto per il Milan (di sicuro non vale meno di Bonera, Zapata o del Mexés attuale), però ha bisogno di tempo per recuperare la forma, considera che è indietro in quanto a preparazione, essendo il calcio russo fermo da fine novembre. Spero per lui non l’abbiano preso per impiegarlo come terzino sinistro al posto di Armero, come temo.”

Insomma, cosa aspettarsi da questo rientro in Italia di Bocchetti?

Difficile a dirsi. Di certo se tornasse a giocare sui suoi migliori livelli sarebbe un ottimo acquisto per questo Milan. Andrebbe infatti ad aumentare la – scarsa – qualità della squadra e, riscattato, potrebbe dare un po’ di continuità tecnica là dietro, avendo ancora almeno tre o quattro anni di carriera importanti, davanti a sé.

Attenzione, però. Leggevo oggi che qualcuno pensa possa essere stato preso come terzino. Beh, fosse così mi preoccuperei, cari amici milanisti. Vero è che in passato gli è anche capitato di giocare in fascia, ma Salvatore Bocchetti è un centrale fatto e finito. A che pro prenderlo per farlo poi giocare fuori posizione?

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Secondo i vari esperti di mercato nostrani la trattativa che dovrebbe portare Mattia Destro dalla Roma al Milan sarebbe ormai cosa fatta e se ne aspetterebbe solo l’ufficializzazione (le visite mediche sarebbero già state organizzate per domani).

Ma può essere l’attaccante ascolano la punta giusta per questo Milan?

Il valore assoluto del giocatore non è in dubbio. Destro è un attaccante dotato di uno spiccato senso del goal, come già dimostrato sia a livello giovanile (all’interno dei patri confini quanto anche con le maglie delle varie rappresentative Azzurre, in particolar modo l’under 19) che tra i professionisti (bene a Siena, ottima media minuti/goal lo scorso anno). Però ha anche molti limiti.

In primis il fatto che sia proprio un attaccante più finalizzatore che non di manovra. Un giocatore, quindi, che ha bisogno di essere fornito negli ultimi sedici metri con costanza, per poter segnare con continuità. Certo non un ragazzo capace di dare una mano alla costruzione del gioco, né tantomeno di crearsi goal dal nulla, con spunti personali.

Proprio questo ritratto piuttosto chiaro di Mattia Destro spiega bene i problemi cui potrebbe andare incontro una volta tornato a Milano, anche se questa volta sulla sponda rossonera del naviglio.

Come già ampiamente dimostrato in tutta questa prima parte della stagione il Milan è una squadra senza la minima identità di gioco, gestita da un allenatore ancora totalmente inadeguato a sedersi su di una panchina di Serie A e per lo più incapace di creare trame efficaci. Non è quindi un caso se a splendere là davanti siano stati più che altro il redivivo Honda, dotato di una tecnica di tiro che gli ha permesso di trovare conclusioni efficaci anche senza il supporto del team, e Menez, stellina capace di accendersi a fasi alterne con però delle giocate da trascinatore assoluto nella faretra.

Ecco, Mattia Destro ha un grande killer instinct, ma nessuna di queste qualità che hanno permesso ai suoi due futuri – potenziali – compagni di salvarsi nel marasma Rossonero di quest’inizio di stagione.

Di per sé, quindi, non possiamo negare il fatto che il profilo dell’ex nerazzurro non sia quello migliore, da inserire nell’attuale contesto Rossonero.

Questo discorso va anche tenuto quindi in considerazione rispetto a quelli che saranno i giudizi che verranno tirati a proposito dell’impatto che Destro avrà a Milano. Pensate proprio ad un Pippo Inzaghi scarsamente rifornito dalla squadra (ricordando che all’Atalanta aveva un grande Morfeo a sostegno e che tra Juve, Milan e Nazionale ha giocato con fior di Campioni a rifornirlo): che giocatore sarebbe stato?

Quindi, acquisto bocciato?

Non direi, per più motivi. In primis per il fatto che nel grigiore delle ultime campagne acquisti milaniste questo resta comunque un raggio di sole importante, trattandosi di un ragazzo di talento.

Poi perché, vista l’età, si tratta di un investimento a medio-lungo termine: se anche Destro dovesse fallire in questi primi sei mesi, avrà tutto il tempo per ritrovarsi, integrarsi e tornare a timbrare con continuità.

Insomma, credo che quello di Mattia Destro sia un buon acquisto, di per sé. Ora però il Milan dovrà lavorare molto sull’impalcatura generale, per fare in modo che il ragazzo di Ascoli non sia abbandonato a sé stesso, là davanti.

Di certo inserito nel giusto contesto potrà rivelarsi una buona presa per il Milan, che si garantirebbe così un discreto goleador per diversi anni a venire.

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La cessione sul filo di lana di Bryan Cristante ha scosso molto l’ambiente del tifo Rossonero.

Non poteva essere altrimenti.

Del resto una volta chiusa del tutto l’epopea del Milan di Ancelotti era chiaro come la società dovesse iniziare a riprogrammare il proprio futuro. Quel gruppo fantastico capace di vincere tutto non poteva certo durare per sempre.

Il ricambio generazionale non è però stato gestito nel migliore dei modi. E soprattutto, col passare del tempo, il Milan ha risentito della crisi del nostro paese così come del nostro calcio, andando in difficoltà in maniera lampante.

Gli acquisti di Ibrahimovic e Robinho, che permisero ai Rossoneri di Allegri di vincere un campionato e qualificarsi nei due anni successivi alla Champions sono stati forse l’ultimo vero sussulto di quello che era il “grande Milan”.

Con la partenza dello svedese e di Thiago Silva si è quindi aperta definitivamente la crisi per uno dei club più vincenti e conosciuti al mondo.

Una crisi da cui la stessa società disse a più riprese di voler uscire seguendo una linea verde: basta sprechi e spazio a giovani che potessero aprire un ciclo nuovo.

L’acquisto di Balotelli, da parte mia ampiamente criticato da subito, poteva in un certo qual senso andare in quella direzione.

La realtà dei fatti, però, è che anche al netto di quell’investimento sbagliato il Milan non ha (ancora) dimostrato di puntare davvero sulla linea verde, e proprio la cessione del gioiellino di centrocampo fatto in casa lo dimostra ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno.

E attenzione, questo varrebbe anche qualora Cristante non dovesse dimostrare, in carriera, di valere un posto nel Milan. Perché i discorsi col senno del poi sono facili. Il punto è dimostrare oggi fiducia ai propri giovani. Ed il Milan qualcuno da provare (in primis proprio Bryan) l’avrebbe (o aveva, nel suo caso).

Proprio nelle ore che hanno accompagnato l’addio del ragazzo a Milano, direzione Lisbona, si è scatenato un gran can can su Twitter, come ampiamente preventivabile. Ed è su questa ridda di voci che vorrei far vertere questo pezzo, tardivo ma doveroso.

Partiamo quindi dal famoso, decantato e già citato progetto giovani.

Non sarà finissimo, ma questo tweet di @cecio10 rappresenta abbastanza bene la dissonanza milanista: quando si parla di progetto giovani non si può cedere il proprio miglior prodotto delle giovanili lanciabile in prima squadra al momento. Passi per De Sciglio e l’ex genoano El Shaarawy, ma un Cristante non può non essere tenuto ed inserito in rotazione, se si deve costruire un ciclo nuovo e vincente.

Questo a prescindere dal fatto che, come giustamente detto da qualcuno, Cristante non aveva ancora dimostrato di meritare il Milan. Ma del resto finché non gli si da la possibilità di farlo…

Sempre a questo proposito riporto un mio tweet in cui citavo @milannight. La questione è la medesima: non puoi partire dicendo che i fenomeni vanno costruiti in casa per poi cedere Cristante alla prima offerta buona. E’ un controsenso.

Lo è anche partendo dalla consapevolezza che Cristante non è e non sarà un nuovo Messi. Ma del resto, non è solo sui Messi che si fondano le squadre vincenti.

Comunque, l’incoerenza è palese.

Veniamo quindi alle questioni economiche. Ok, il Milan ha sicuramente un problema inerente il tetto ingaggi e la scarsa liquidità. Quindi, per fare mercato ha bisogno di tagliare i costi da una parte e cedere giocatori capaci di portare cash nelle proprie casse dall’altra.

Ma partendo dal presupposto che l’idea iniziale era quella di cedere Cristante per pagarsi l’acquisizione di Biabiany… ecco, lascio ad @AleStefanelli87 il commento, che personalmente trovo azzeccato:

Non solo. Tornando a @milannight, ecco una giustissima riflessione sulla questione costi (con relativa gestione da parte della società):

Perché spendere quei soldi per un giocatore praticamente finito quando si potevano usare per trattenere Cristante, girandoli sulle operazioni Biabiany-Bonaventura?

Purtroppo alla base sembra mancare una vera vision, un respiro ampio, una capacità di programmazione che vada oltre il semplice oggi.

A darmi ragione in questo discorso, ecco il tweet di @DiaVoltaire:

Una fondamentale miopia di base di cui parlo da almeno due o tre anni, personalmente. Cosa che mi ha portato ad essere anche accusato di essere, non si capisce per quale motivo poi, “anti-Galliani”.

Beh, credo invece che proprio questa cessione con tutto ciò che ha comportato ben dimostri come le cose che vado ripetendo da tempo sono, bene o male, fondate. E che non c’è un sentimento di “odio” nei confronti di nessuno, ma una semplice valutazione di quella che è la situazione-Milan.

In ultimo, altre tre considerazioni.

La prima viene direttamente da me:

E’ assolutamente probabile che Bryan Cristante giocherà molti più minuti in Portogallo di quanti non ne avrebbe giocati in Italia. Per altro là avrà la possibilità di esprimersi anche sul palcoscenico europeo, sicuramente una vetrina importante nonché un banco di prova fondamentale per lui.

Quindi se osserviamo le cose non dal punto di vista della società, che a mio avviso ha compiuto un errore, quanto da quello del giocatore ecco che si può prendere questa cessione come una cosa positiva. Il tutto sperando che il Benfica, per una volta, sia rampa di lancio anche per un nostro giovane calciatore.

Tornando invece per un attimo a parlare della “politica verde” che dovrebbe seguire il Milan, una giustissima considerazione – ci avevo pensato anche io – di @intenditore11. La classe 98 Rossonera è talentuosa ed interessante. Ci sono giocatori come Mastour, Cutrone e Llamas (ma anche Locatelli, Malberti, La Ferrara ed altri) che hanno il potenziale per arrivare a giocare in Serie A.

Beh, se io fossi un top club europeo aprire subito il libretto degli assegni, e vedrei di acquistarne il più possibile. Del resto il Milan ha dimostrato che sta vivendo una crisi (economica e di idee) tale per cui un assalto di questo genere non è detto verrebbe respinto.

Infine @augustociardi torna sul solito vecchio problema italiano: la mancanza di fiducia nei giovani.

Che dire? Siamo un paese che non vuole più costruirsi un futuro.

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Ricordo bene quel 31 gennaio 2013.

Uscito dal lavoro mi incontro con un paio di amici, entrambi milanisti, e parte l’immancabile discussione calcistica. Che quel tardo pomeriggio di inverno non può non ruotare attorno al colpo di mercato del giorno: Mario Balotelli.

Acquistato per 20 milioni (rateizzati in cinque anni) più 3 di bonus l’ex stellina del vivaio dei cugini Nerazzurri sembra, agli occhi di molti, destinato a guidare il Milan verso la rinascita.

In quel preciso momento storico, infatti, la squadra di Allegri non naviga in buone acque, nonostante l’ottimo inizio di stagione di El Shaarawy.

Ma il discorso è più ampio: il Milan ha bisogno di un nuovo leader tecnico che non solo guidi la rimonta Champions quell’anno, ma che rappresenti una sicurezza per gli anni a venire, in cui i Rossoneri sarebberro stati chiamati a recuperare la propria dimensione calcistica.

Beh, navigando parecchio controcorrente (sia rispetto ai miei amici che anche e soprattutto rispetto a media ed opinione pubblica in genere) io dissi chiaramente che reputavo l’acquisto di Balotelli un investimento sbagliato.

Il motivo era semplice: il Milan era ormai palese fosse senza fondi e quello rischiava di essere l’ultimo investimento economicamente pesante di lì a qualche anno.
Ok acquistare un giovane con ancora moltissimi anni di carriera davanti, ma perché farlo puntando su un giocatore assolutamente inaffidabile sotto tutti i punti di vista (tecnico, tattico ed umano) come Balotelli?

Qualcuno magari mi prese per gufo, ma espressi semplicemente la mia opinione: Balotelli non ha mai avuto una collocazione tattica chiara, è sempre stato pieno di limiti, era – ed è – una perla grezza che vive di colpi, fiammate.
Inoltre era risaputo potesse creare problemi anche a livello d’ambiente, con i suoi atteggiamenti da star non supportati poi dai risultati in campo.

Insomma, l’antitesi di quanto serviva al Milan.

Spiegato perché ritenevo quello di Balotelli un fallimento annunciato, eccomi a spiegare perché è stato un fallimento effettivo: media goal solo discreta, per altro gonfiata molto da un numero di rigori certo non trascurabile.

Non solo.

Cartellini a profusione, atteggiamenti insolenti, snobismo, inadeguatezza tattica (fondamentalmente non ha un ruolo chiaro e non sa muoversi senza palla) e chi più ne ha più ne metta. Il tutto unito ad una totale incapacità di fare da faro e trascinatore della squadra, cosa che invece l’investimento affrontato per acquistarlo avrebbe dovuto presupporre.

Per spiegare quindi il fallimento di Balotelli a Milano mi permetto un paragone cestistico: non seguo approfonditamente il basket, ma ho sempre sentito criticare Chris Bosh in quanto incapace di essere uomo franchigia. Ma, di contro, letale come secondo/terzo violino.

Ecco. Mario Balotelli è il Chris Bosh del calcio italiano.

Assolutamente incapace di caricarsi una squadra sulle spalle. Fortemente inadeguato in moltissime situazioni di gioco. Ma altresì dotato di un talento sconfinato, lo stesso che gli permette di mantenersi su buoni livelli di marcatura nonostante i suoi molteplici difetti. Lo stesso che gli rende facile segnare con bombe all’incrocio da quaranta metri. Lo stesso che lo ha portato a crearsi il personaggio che, oggi, è anche il suo più grande limite.

Ecco, proprio in questo aspetto – l’incapacità di essere uomo franchigia – si consuma il fallimento di Mario Balotelli al Milan.

Chissà se Brendan Rodgers l’ha capito e saprà agire di conseguenza…

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Radiomercato parla con insistenza della possibilità che il Milan acquisti Roman Eremenko, ex Udinese e Siena, dal Rubin Kazan.

Un acquisto che, secondo più fonti, sarebbe utile per “scaricare” Birsa. La volontà dei Rossoneri sarebbe infatti quella di scambiare i due giocatori, cedendo lo sloveno – che non ha avuto molto spazio se non per via degli infortuni dei suoi compagni – per inserire in rosa il finlandese.

Il ragazzo, ormai 27enne, ha il contratto in scadenza tra un anno. Va da sé che il suo valore di mercato non possa essere tanto altro.

Giusto ieri, poi, sarebbe spuntata una clausola presente nel contratto secondo cui il giocatore potrebbe liberarsi per una cifra vicina ai cinque milioni di euro in caso di offerta da una squadra europea (extra Russia, ovviamente).

Insomma, la fattibilità dell’acquisto sembra esserci tutta.

Nelle ultime ore si era diffusa la notizia secondo cui, in passato, i Tatari avrebbero rifiutato 20 milioni per lui. Notizia che pare vera, intendiamoci, ma che va letta per quella che è: ad offrire quei soldi fu lo Zenit di Spalletti. E ben sappiamo come i prezzi nel mercato interno russo, altamente concorrenziali, tendano a salire ben oltre il reale valore dei giocatori.
Del resto, chi non si ricorda dei 30 milioni che proprio la squadra di San Pietroburgo spese qualche stagione fa per acquistare il portoghese Danny dalla Dinamo Mosca!?

Ma che giocatore è Roman Eremenko?

Fondamentalmente un centrocampista dalle doti spiccatamente offensive che può agire tanto centralmente, anche a ridosso della trequarti, quanto più defilato, sulla fascia di sinistra.

Nell’ipotetico 4-3-3 di Inzaghi, quindi, potrebbe probabilmente occupare il ruolo di mezz’ala sinistra. O magari di ala, anche se non mi sembra il giocatore più adatto (il paragone con un El Sharaawy in forma sarebbe impietoso, per altro) per ricoprire il ruolo.

Ora, dando per scontato che non ci si aspetta che Eremenko possa tornare in Italia a “fare onde”, come si dice, perché il Milan dovrebbe scaricare un giocatore “inutile” per prendersene un altro che rischia di non dare un vero “quid” in più?

Io, come è noto, amo e seguo abbastanza il calcio giovanile. E mi chiedo: passino gli acquisti di giocatori come De Jong, che hanno esperienza e qualità (che nel caso di De Jong è più tattica che tecnica, ovviamente). Ma piuttosto che acquistare gente che difficilmente potrà spostare gli equilibri, perché non provare a lanciare qualche giovane?

Faccio tre nomi.

Il primo è quello di Marco Ezio Fossati, giocatore che presentai già nel 2009 – quando era ritenuto uno dei migliori 92 al mondo, e non solo dal sottoscritto – e di cui ho parlato anche recentemente, proprio in ottica Milan.

Stante il fatto che varie vicissitudini ne hanno sin qui impedito la giusta maturazione con definitiva consacrazione, probabilmente non sarà mai ciò che avrebbe potuto essere (ovvero, una delle migliori mezz’ali al mondo). Però è pur vero che a furia di non dargli fiducia, a questi giocatori, si finisce col bruciarli. Cosa che in Italia succede sistematicamente da 10-15 anni, con i risultati che sono oggi sotto gli occhi di tutti.

Il secondo è quello di Bryan Cristante, ragazzo di fisico e tecnica, sicuramente tra i giovani centrocampisti più interessanti del – pur triste – panorama italico.

Già lanciato in prima squadra lo scorso anno, Cristante ha dimostrato di poter reggere il confronto su di un palcoscenico importante come la Serie A. Oggi diciannovenne, deve essere svezzato, responsabilizzato e coperto di fiducia da subito, onde evitare possa in qualche modo perdersi come – ad ora – sembra aver almeno parzialmente fatto Fossati.

Il terzo, infine, è quello di Mario Piccinocchi, giocatore che ho anche potuto ammirare dal vivo nel corso dell’ultimo campionato Primavera.

L’impressione che ho avuto è stata questa: fosse nato nei dintorni di Barcellona, dove i giocatori della sua taglia sono stati il punto di forza della squadra in Blaugrana negli ultimi anni, avrebbe grandissimi e reali chance di essere aggregato alla prima squadra fin da… ieri.
Purtroppo per lui, invece, è italiano. Un paese in cui già si fa fatica a dare spazio ad un giovane, figuriamoci se in più non ha un fisico da corazziere.

Beh, trottolino instancabile, è sagace tatticamente e tutt’altro che disprezzabile da un punto di vista tecnico. Temo però che il suo futuro prossimo sia addirittura lontano dalla Serie A. Colpa delle tare del nostro calcio.

Insomma, senza voler gettare discredito addosso ad Eremenko, che magari in un campionato sempre più tecnicamente povero come è il nostro potrebbe anche dire la sua, vorrei che almeno chi ha giovani interessanti provasse a valorizzarli.

Per la Nazionale, certo, ma non solo. Sistemi come la Germania, che ormai ci ha sorpassato in tutto e per tutto, dimostrano come si possano andare a valorizzare e scandagliare anche mercati esteri. Anche inusuali, rispetto ai classici Argentina e Brasile cui siamo invece irrimediabilmente aggrappati noi.

Come questi Mondiali stanno dimostrando c’è un mondo là fuori (dalla Costa Rica agli Stati Uniti, passando per il Messico e l’Iran) che aspetta solo di essere esplorato…

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Cinque anni e due settimane fa scrissi un articolo su di un sedicenne che tra Europei e Mondiali under 17 mi aveva colpito molto: l’allora interista Marco Ezio Fossati.

Da allora moltissima acqua è passata sotto i ponti. In primis il ragazzo è tornato al Milan, che aveva “tradito” poco prima. Qui però l’amore non è mai sbocciato davvero.

Così dopo un anno in Primavera, condito da 8 goal in 25 presenze, il giovane nativo di Monza accetta di scendere addirittura in Lega Pro, giocando un anno a Latina. Per passare poi, la scorsa stagione, all’Ascoli. E diventare quest’anno uno dei protagonisti della cavalcata de la Bari, che dopo essere arrivata ai preliminari ha asfaltato il Crotone, centrando la semifinale dei playoff e facendo continuare il proprio sogno.

Diciamolo subito: cinque anni fa Fossati era considerabile indubbiamente uno dei migliori classe ’92 al mondo. Magari non al livello del già – almeno mediaticamente – fenomenale Neymar, ma sicuramente alla pari dei vari Ter Stegen, Gotze, Perin, El Shaarawy, Coutinho, Ben Khalifa (un altro un po’ persosi), ecc.

Poi?

Poi il ragazzo – che nel frattempo ricevette una super offerta dal Manchester City, rispedita però al mittente – decise di mollare l’Inter per tornare al suo primo amore. Nel farlo, però, perse praticamente un anno di gioco. E chissà, forse questa cosa contò.

Sia quello che sia, è indubbio che ad oggi il ragazzo non abbia ancora mantenuto le promesse fatte allora.

Però, c’è sempre un però.

Se vi dico Matteo Darmian cosa vi viene in mente?

A me un ragazzo di Rescaldina – cittadina delle mie zone, per altro – cresciuto, guarda caso, nel Milan, che dopo un discreto peregrinare ha trovato sulla sponda Granata di Torino la propria consacrazione, conquistandosi addirittura la chiamata per il Mondiale.

Il tutto, a 24 anni.

Perché signori, il problema è alla radice. Sarà pur vero che negli ultimi anni c’è stato un certo calo di talento nel nostro calcio e nei nostri giovani, ma è ancor più certo che il nostro sistema non punta su di loro e non li valorizza.

Così un giocatore che altrove potrebbe tranquillamente giocare titolare in una massima serie a vent’anni, da noi solitamente è perso in mille prestiti, per lo più nelle serie minori.

Poi in qualche modo, sgomitando, riescono a farsi largo, come Darmian. E allora, alla fine, qualcuno capisce, riconosce e premia il loro talento.

Tutto questo per dire cosa?

Fossati oggi non fa “la differenza” in Serie B. Perché dovrebbe tornare utile al Milan?

Beh, io una chance gliela darei.

Posto che vada come vada di certo non potrà stare ancora in Serie B, ma DEVE giocare in A, è ora che i Rossoneri inizino a programmare il futuro con oculatezza, valorizzando in primis quanto prodotto dal proprio settore giovanile (che resta tra i più interessanti d’Italia).

A questo punto perché non dare una chance, almeno come backup, ad un giocatore così tecnico e dinamico al tempo stesso?

La mediana milanista quest’anno non ha brillato in nessuno dei due aspetti. Capisco che un Montolivo o un De Jong (che dopo le dichiarazioni rilasciate oggi immagino partirà) siano più affidabili, ma è ora di rischiare un pochino.

Così se dalla Primavera si potrebbero promuovere giocatori come Iotti, Tamas, Cristante e Petagna, ecco che far rientrare dal prestito e valorizzare Fossati potrebbe essere un’altra ottima idea.

Perché del resto il Milan vuole tagliare i costi. Benissimo.

Venda un po’ di giocatori di una certa età e/o palesemente inadeguati, e punti su qualche giovane.

Se è vero che Fossati non ha ancora mantenuto le promesse, è altrettanto vero che resta un giocatore molto interessante, che potrebbe a breve consolidarsi come fatto da Darmian. E allora anche in quel caso, poi, partirebbero i “perché non ci abbiamo puntato?” del caso…

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La classe 1998 del Milan merita un pezzo tutto per sé, da un appassionatissimo di calcio giovanile come il sottoscritto.

Anche nel recentissimo (giocato tra venerdì e sabato) torneo di Madrid in memoria di Luis Aragones, infatti, i ragazzi di mister Brocchi hanno messo in mostra le loro grandi capacità, già ampiamente mostrate nel corso di questo campionato.

Week-end tutto sommato positivo, per loro. Che nonostante si trovano a perdere la finale del Memorial in onore dell’ex C.T. della Spagna, tornano in Italia con due vittorie importanti contro Atletico e Barcellona, e soprattutto la consapevolezza di aver vinto il proprio girone di campionato grazie alla sconfitta interista con il Lumezzane.

Ma andiamo con ordine.

Al torneo madrileno il Milan viene inserito nel gruppo con Atletico Madrid ed Alcobendas. I primi vengono battuti agevolmente 3 a 1, i secondi fanno penare un pochino di più i Rossoneri, che però alla fine si impongono.

In semifinale è quindi la volta del Barcellona. Che passa in svantaggio ma poi mette in mostra più qualità dei rivali. Alla fine le due squadre devono giocarsela ai rigori, e qui esce la maggior freddezza milanista.

L’ultimo atto dovrebbe poter essere una formalità, contro i già battutti Colchoneros. Invece la partita è tirata. La stanchezza (quarta partita in due giorni) probabilmente si fa anche sentire. Ne esce un 1 a 0 tirato per i madridisti, che come puntano schierano quel Salomon Obama di cui ho raccontato ne La carica dei 201, quando ancora nessuno oltre me (su questo blog) ne aveva mai parlato prima, in Italia.

Ma scendiamo un po’ più nel concreto di quanto i giovani Rossoneri hanno mostrato in quel di Madrid. Partendo dai portieri.

L’impressione migliore me l’ha data sicuramente Francesco Fabio Cancelli, che invece nel corso dell’Al Kass Cup che ero riuscito a seguire lo scorso gennaio mi aveva fatto una non buona impressione.
Intendiamoci, l’inizio è un po’ stentoreo. Ma poi si riprende alla grande. Mettendo in mostra una grande qualità nelle uscite, in special modo basse, e grandissima sicurezza (e tecnica) sui rigori. Nella semifinale contro il Barça, infatti, ne para ben quattro, anche se uno viene fatto ricalciare finendo in rete. La strada è quella giusta. Ma per un portiere è anche sempre particolarmente tortuosa.

Gianluigi Donnarumma ha invece il pregio di essere aggregato agli Allievi I/II Divisione pur sottoetà, essendo nato il 25 febbraio del 1999. Di lui posso dire poco. Prestazione senza infamia e senza lode. Sicuramente da rivedere.

Chi invece non mi ha destato grandissima impressione è stato Luca Crosta, che avrà comunque sicuramente modo di rifarsi. A sua parziale discolpa, il fatto di venire da un infortunio che ne aveva condizionato la preparazione nelle ultime settimane.
L’impressione è stata quella di trovarsi di fronte ad un giocatore sicuramente poco sicuro, che ha anche commesso un errore tecnico ad esempio in occasione del primo goal dell’Alcobendas. Il tempo, comunque, è dalla sua.

Prestazioni senza infamia né lode, passando alla difesa, per Marco Iudica. Buone indicazioni, ma me l’aspettavo, dal solito Andrea Malberti, che già avevo apprezzato nel già citato Al Kass Tournament oltre che in Nazionale under 16 giusto settimana scorsa, contro la Polonia. Giocatore attento e discretamente dotato tecnicamente, è sicuramente un capitale su cui la società Rossonera farebbe bene ad investire.

Bene, nel reparto arretrato, anche Michele Spinelli, puntuale in diverse chiusure, e Matteo Trentino, autore anche di una rete.

Infine ottima come sempre la prestazione dell’italospagnolo Andres Acuna Llamas, terzino sinistro anch’esso già nel giro della nazionale con un repertorio già molto completo: quasi mai in difficoltà in fase difensiva, spinta costante in transizione positiva. In più un bel goal in contropiede contro l’Atletico, dove ha messo in mostra tutta la sua forza e la sua esplosività.

Il dominatore senza se e senza ma del centrocampo è stato invece Niccolò Zanellato, già protagonista di una buona Al Kass Cup, e che personalmente fossi in Tedino terrei in considerazione anche in ottica Nazionale. Il ragazzo ha infatti un’ottima struttura fisica, cui abbina dinamismo e buona qualità. Tre i suoi goal nel corso del torneo, dove ha dominato nel gioco aereo le aree avversarie, ed un titolo di miglior centrocampista del Torneo che sicuramente lo ripaga delle belle prestazioni messe in mostra.

Buone cose le hanno messe in mostra anche i vari Raul Zucchetti, Federico De Piano, Mattia El Hilali e Cristian Hadziosmanovic. Che, chi più chi meno, hanno coadiuvato Zanellato nel reparto nevralgico del campo.

Non mi ha trasmesso nulla di che, invece, Abdou Diouf Ndiaye.

Per quello che riguarda il reparto offensivo, poi, complimenti da spargere un po’ su tutto il reparto, pur con parsimonia.

Cosimo Marco La Ferrara fa un gran goal contro l’Atletico Madrid. Punta esterna mobile e vivace, deve trovare però più continuità nel pungere efficacemente le difese avversarie.

Zakaria Hamadi e Mihael Modic hanno invece messo in evidenza il loro ottimo bagaglio di doti tecniche: controllo palla, dribbling, piede educato. Anche in questo caso però quello che si deve richiedere a questi due ragazzi è una maggiore incisività.

Marcello Jones l’ho visto poco per poterlo giudicare, mentre Juvenal Junior Agnero ha sì grandissime doti fisico-atletiche, ma da un punto di vista tecnico è una pepita assolutamente grezzissima e su cui bisognerà lavorare moltissimo onde riuscire a farne un giocatore di livello.

In tutto questo va comunque ricordato che non c’erano quelli che sono probabilmente indicabili come i tre migliori classe ’98 milanisti in assoluto: Patrick Cutrone, Manuel Locatelli ed il già celebratissimo nonché famosissimo Hachem Mastour.

Il primo è un attaccante di rango. Intelligente, essenziale, fiuto di primo livello. Non è andato a Madrid, ma in compenso ha giocato mezz’ora con la Primavera di mister Inzaghi.

Il secondo è invece un centrocampista molto completo, che però ho potuto vedere solo una volta con la maglia della Nazionale. Ma, ancora quattordicenne, mi impressionò moltissimo.

Il terzo lo conoscono tutti, e ne parlo anche nel mio libro. Gran funambolo. Però attenzione, non sempre i funamboli diventano giocatori di calcio! Anche qui ci sarà molto da lavorare, soprattutto da un punto di vista mentale. Perché tecnicamente il ragazzo c’è.

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Ieri molti di voi avranno sicuramente assistito alla disfatta madridista del Milan, nobile decaduta del nostro calcio (nobile decaduto anch’esso, potremmo dire).

Sia per chi il match l’ha potuto seguire che per chi ha avuto altro da fare, queste alcune mie considerazioni sul match che ha sancito la prematura eliminazione del nostro ultimo portacolori nel trofeo – per club – più ambito al mondo.

Ovviamente, un tweet da prendere con le pinze. Perché letto così qualcuno potrebbe assumere il fatto ch’io creda che la differenza tra Atletico e Milan stia tutta nel portiere.
Invece, non sono così sprovveduto.

Credo però, anche se non avremo mai la controprova e quindi restano ipotesi campate per aria (ma del resto, è il bello dello scrivere e discutere di calcio), che questo doppio confronto sia l’esempio classico in cui si rimpiange l’assenza di un portiere che, in gergo, si dice capace di “portare punti alla squadra”.

Se andiamo a vedere nel doppio confronto, infatti, sono almeno tre i goal su cui Abbiati avrebbe potuto fare di più. Di contro, nel corso dell’andata l’Atletico fu palesemente salvato da Courtois.

Ora non è certo scontato che ad invertire i portieri anche il risultato sarebbe cambiato, ma sono abbastanza convinto che con qualche “miracolo” del portierino belga pro Milan e qualche goal rivedibile preso da un Abbiati in Colchoneros avrebbero davvero potuto cambiare le sorti del match.

Un dato: ieri il Milan ha subito 6 tiri nello specchio. E 4 goal.

A margine: Abbiati è un ottimo professionista, ma per quanto mi riguarda è sempre stato portiere non più che discreto, che ha costruito una carriera “sopra le sue possibilità” per una parata. Quella di Perugia.

Quando si dice sliding doors…

Logico che perdere palla come ha fatto Essien in occasione dell’1 a 0 può sempre portare a situazioni pericolose per la difesa. Che però, nel caso specifico, era posizionata piuttosto bene.

L’errore a mio avviso macroscopico è quindi venuto dopo.

A marcare Diego Costa è Rami. Che poco prima del cross sembra però distrarsi, lasciandosi sfilare la punta avversaria alle proprie spalle. Un errore marchiano, sicuramente non accettabile a questi livelli. Che pesa tantissimo.

Poi certo, arriva anche la commistione di un Abbiati sempre lentissimo a muoversi. Un portiere reattivo e temerario potrebbe anche provare l’uscita (del resto, si tratta di area piccola). Un portiere un po’ più svelto di lui, quantomeno chiuderebbe sul palo con più prontezza, aumentando di molto le proprie chance di arrivare sul pallone.

Ma nulla di questo accade. E così dopo un paio di minuti arriva il primo triplice errore milanista (Essien perde palla, Rami perde l’avversario, Abbiati si muove lentamente) che porta all’immediato vantaggio della squadra di casa.

Sul secondo goal che prende il Milan, quello che in un certo senso mette forse la parola fine (o quasi) alle speranze Rossonere, c’è, ancora una volta, un errore a mio avviso marchiano di Rami.

Arda Turan arriva infatti in una situazione di agio totale: sul lancio in avanti arriva la sponda di un compagno (credo Raul Garcia), che stoppa la palla di petto verso lo stesso turco. Proprio lì, in quel momento, i due centrali difensivi dovrebbero aggredire. E sull’ala Colchoneros dovrebbe fiondarsi proprio l’ex Valencia. Che, invece, resta piantato sul posto.

Così la conclusione di Turan può essere solo deviata – qui sì, con sfortuna – alle spalle di Abbiati.

Ma se solo Rami avesse fatto un passo in avanti subito, nel momento della “smorzata” di petto, il pallone non avrebbe trovato la porta, finendo la sua corsa proprio contro al roccioso difensore francese.

Ovviamente anche in questo caso ci può essere una commistione di responsabilità con i mediani, i quali non rientrano prontamente. Uno dei due, infatti, avrebbe potuto portarsi sull’avversario per tamponare.

Ma l’errore, lampante, è tutto di Rami, che di fatto regala i primi due goal agli avversari.

Certo è che in occasione del goal del momentaneo pareggio anche la difesa Colchoneros sbanda un pochino. Balotelli fa l’unica cosa interessante del suo match, aprendo bene di prima su Poli. Che, con piedino educato, pennella sul secondo palo, il tutto dopo essersi infilato nel buco lasciato da Luis Filipe.

Per Kakà, bravo a lanciarsi nello spazio, è quindi un gioco da ragazzi infilare la rete di testa.

Insomma, giustissimo elogiare un comunque ottimo Atletico Madrid.

Ma, come si dice, non tutto è oro ciò che luccica!

Quel del Milan sta diventando un “deserto” tecnico. E’ questa la sensazione che si ha nel vedere una squadra che nel corso dell’ultimo decennio sta andando letteralmente a catafascio.

Proprio in questo deserto, nelle ultime settimane, stava provando ad imporsi uno dei nuovi arrivi, Rami. Che però ieri sera, come ho potuto dire poc’anzi, è stato uno dei peggiori in campo, con due errori gravissimi ed ingiustificabili.

E se quello che viene da più parti – se non unanimemente, nella pochezza della rosa Rossonera – ritenuto essere il miglior difensore della rosa se ne esce con una prestazione così, ecco che si capisce come la rifondazione debba partire subito, a maggior ragione oggi che affidarsi a qualche “nome” non basta più. E debba essere davvero epocale.

Poi, intendiamoci. Se Rami avesse giocato nel Milan di qualche anno fa, magari al fianco di un Sandro Nesta, avrebbe sicuramente fatto una figura migliore di quella che gli è capitata ieri.

Ma questa non può essere una giustificazione. Il Milan, per ritrovare la propria dimensione, ha bisogno di giocatori affidabili sempre.

Su questo tweet poco da aggiungere.

Ragazzi, Essien venne preso apposta e specificatamente per l’ottavo di finale contro l’Atletico.

Ora, al netto dei tifosi che a prescindere difendono sempre l’operato della società, salvo poi – alla lunga – ricredersi quando il campo emette giudizi amari, credo che nessuno si aspettasse che questa potesse essere una mossa vincente, per il Milan.

Un giocatore che sembra essere arrivato ad un precoce declino. E che comunque, visti gli ultimi mesi di carriera, difficilmente avrebbe potuto incidere positivamente ieri.

Vero fantasma che ha vagato per il campo senza una meta, capace di lanciare l’azione dell’1 a 0 perdendo male una palla sulla propria trequarti.

L’emblema, per quanto mi riguarda, della disgrazia di questo Milan: la non programmazione, che porta a cercare giocatori sul finire di carriera ma con un passato glorioso, anziché provare a darsi una progettualità per il futuro (come ha invece fatto l’Atletico).

E se il giochino per un po’ ha funzionato, ora sembra essersi rotto del tutto. Fuori ancora una volta agli ottavi, non ci sarà la Champions l’anno prossimo.

Ora non si può più aspettare. La proprietà DEVE rifondare.

Un discorso a mio avviso simile lo si può fare con Kakà, altro colpo sbagliato di una società che cerca simboli più che giocatori, progetto e futuribilità.

All’ex campione brasiliano, però, va riconosciuto il grande cuore e l’estrema professionalità. Là dove non arrivano più le gambe lui prova ad arrivarci con il cuore.

I risultati non sono gli stessi, ma chapeau comunque.

I due migliori, nell’Atletico, sono sicuramente stati i due davanti. Diego Costa si è confermato in formissima. Punta di ottima tecnica, molto mobile e duttile, energia infinita.

Un po’ il contrario di Balotelli. Che magari potrebbe avere anche alcuni colpi più importanti dell’omologo brasiliano (ah no, spagnolo…). Ma che si perde nel suo nulla cosmico ad – più o meno – ogni azione.

Partita sontuosa, poi, anche per Garcia. Giocatore tecnicamente raffinato, testa che sembra fatta per il calcio, lotta ed illumina il campo del Calderon.

Certo, va pure detto che ieri questi due hanno giocato contro una non-difesa. Anzi, contro una non-fase difensiva…

Infine, questa ultima considerazione.

Chi, come al solito (e scioccamente), si appella ad un problema economico del nostro calcio dice una cosa solo in parte vera.

Perché se sicuramente in questo momento le nostre compagini non possono – per incapacità loro e del sistema tutto – competere con i top club europei, è altrettanto vero che dovrebbero fare di un sol boccone una squadra come l’Atletico Madrid.

Invece, nella sostanza, le cose si rivelano essere molto diverse.

Delle tre grandi solo la Juventus sembra avere una progettualità. Inter e Milan sono invece alle prese con una sorta di rifondazione mai davvero compiuta (anche se credo Thohir ora stia provando a dare un’accelerata in questo senso) che le sta lasciando in un limbo in cui una squadra che fattura la metà, come appunto l’Atleti, può costruirsi negli anni, con un progetto solido alla base, una squadra indubbiamente più forte.

Perché ragazzi, molti tifosi milanisti gioirono quando dall’urna uscirono i Colchoneros. Ma che questa squadra nonostante abbia risorse economiche inferiori fosse superiore al Milan era chiaro, come dissi ancor prima che i sorteggi venissero effettuati.

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