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Il possibile doppio acquisto dell’Inter, che sulla metà campo sembra stia per chiudere per la coppia francese Imbula-Kondogbia, mi stimola a provare a buttare l’occhio in avanti, per capire verso quale tipo di conformazione si sta cercando di portare l’Inter in vista della prossima stagione calcistica.
Prima di provare ad addentrarmi in qualche ipotesi, però, faccio un paio di doverose premesse: innanzitutto nel momento in cui scrivo nessuno dei due giocatori ha ancora firmato per l’Inter, quindi le mie saranno semplici speculazioni “fantacalcistiche”.
In secondo luogo è evidente che se anche i due firmeranno a breve il mercato dell’Inter continuerà e la squadra non verrà quindi schierata come da me ipotizzato. Ma del resto questo è un gioco fatto solo per provare a tracciare una direzione, non ho la minima intenzione di provare ad indovinare l’undici base del prossimo anno (cosa che credo oggi sarebbe impossibile per lo stesso Mancini, per altro).
Nel provare a tracciare il futuro dell’Inter darò quindi tre diverse opzioni tattiche – inteso come modulo base, posto che ovviamente il gioco lo determinano poi i compiti dei singoli e che il modulo è semplicemente una rappresentazione “stilizzata” di qualcosa di molto più complesso di come appare – utilizzando come base i giocatori attualmente in rosa, con due varianti: le coppie Murillo-Miranda ed Imbula-Kondogbia, che fa da stimolo a questo pezzo, e l’assenza di Kovacic, che con l’arrivo dei due francesi credo proprio sarebbe destinato a partire.
Veniamo quindi alla prima soluzione, quella che ad oggi mi sembrerebbe la più probabile: 4-3-3.
Detto che la difesa non la toccherò mai e quindi non ne parlerò oltre, credo potrebbe essere schierata a quattro con la coppia D’Ambrosio-Santon sugli esterni e Miranda-Murillo (altri due giocatori sul punto di arrivare a Milano) in mezzo. Con in porta, confermatissimo, Handanovic, fresco di rinnovo.
Bene. A centrocampo a questo punto si potrebbe utilizzare Kondogbia mezz’ala sinistra con uno tra Medel e Brozovic a destra, anche a seconda del tipo di avversario da affrontare. Logico che Medel porta meno qualità alla manovra, ma in compenso garantisce un livello altissimo di quantità. Brozovic è invece una mezz’ala più di palleggio, ma per quanto discreta anche in transizione negativa sicuramente non garantirebbe la corsa che può assicurare il cileno.
Tra i due, poi, si installerebbe l’ormai ex centrocampista dell’Olympique Marsiglia, che già in Francia ha messo in mostra doti interessanti come fautore di gioco. Certo non è un regista classico alla Pirlo, ma il suo gioco è sempre molto orientato a prendere per mano la squadra e provare a dettare i ritmi. Per di più pur non avando il talento puro dell’Azzurro è comunque giocatore più completo, essendo dotato di una fisicità di altissimo livello che gli permette di essere più incisivo in fase di non possesso.
In attacco a questo punto potrebbe schierarsi Shaqiri largo sulla destra, con licenza di rientrare e “uccidere”, Palacio sull’out opposto, ovviamente con licenza di tagliare, ed Icardi come punta centrale.
Cosa manca a questa formazione? Sicuramente un terzino andrebbe comprato per elevare il livello della linea – ma questo vale a prescindere dalla soluzione tattica -, poi anche un’ala sinistra che possa svolgere il compito meglio dell’improvvisato Palacio.
Già così, comunque, sarebbe un upgrade rispetto alla squadra di oggi.
La seconda opzione prevede invece il 4-3-1-2.
Una soluzione che di fatto cambia poco rispetto a quella precedente. Anche nulla in termini di uomini, qualora il trequartista fosse Shaqiri (con però Hernanes valida alternativa).
Una soluzione che garantirebbe così a Palacio la possibilità di giocare in un ruolo a lui più consono (quello di seconda punta). Ma che potrebbe limitare Shaqiri, che preferisce partire largo.
Per il resto la linea a tre di centrocampo potrebbe rimanere inalterata, con il solito ballottaggio Medel/Brozovic ad affiancare il duo francese.
Al netto di Shaqiri e del problema terzino, quindi, sarebbe forse questa la soluzione ad oggi migliore, sulla base della rosa a disposizione. La squadra sarebbe di per sé già pronta a giocare senza aver bisogno di adattare Palacio sulla fascia.
Una soluzione prevista anche dalla terza ipotesi che avanzo, il 4-2-3-1.
In questo caso la mediana passerebbe a due, con l’esclusione di Brozovic e Medel. Palacio andrebbe quindi nuovamente adattato a sinistra, come detto, mentre Hernanes potrebbe agire sulla trequarti (a meno di non voler avanzare il croato, avendo lui già ricoperto quel ruolo in passato) con Shaqiri largo a destra ed Icardi sulla sinistra.
In definitiva ad oggi si può dire che l’Inter acquistando i due francesi farebbe un passo avanti a prescindere dal modulo tattico che sceglierebbe, che per me ad oggi sarebbe il 4-3-3.
In realtà, come abbiamo visto, la soluzione probabilmente migliore sarebbe il 4-3-1-2, con licenza di allargarsi concessa al buon Shaqiri.
Come la si vuol mettere un passo avanti importante rispetto alla scorsa stagione. Sempre che oltre all’ormai probabilissima partenza di Kovacic non se ne aggiunga un’altra dello stesso livello.
In questo senso: io non credo alla partenza di Icardi. Ma se penso che Kondogbia + Imbula facciano fare un salto di qualità ad un reparto che pure perderebbe Kovacic (nell’immediato, perché a livello di potenziale quella di Kovacic potrebbe rivelarsi cessione sanguinosissima), credo anche che se la campagna di quest’anno portasse anche alla cessione di Icardi le possibilità di fare un passo indietro rispetto allo scorso anno diventerebbe a quel punto molte.
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L’uomo del momento viene dall’Egitto, spacca le difese italiane come fosse un cuneo, ha un cognome che si presta a facili giochi di parole ed è stato definito da Pradè l’acquisto invernale capace di spostare di più gli equilibri in Europa.
Come avrete capito sto parlando di Mohamed Salah, giunto a Firenze nell’affare Cuadrado e capace di stregare i tifosi Viola in sole sette partite (condite da sei realizzazioni).
Su di lui si sono quindi già scatenati i commenti di esperti veri o presunti, tifosi accaniti e occasionali, appassionati da bar, twitstar, ecc.
Logico, quando un giocatore impatta così col calcio italiano.
C’è però un aspetto che sembra, come al solito, pochi tengano in considerazione: la forma fisica.
Senza nulla togliere a Salah, giocatore che seguo dai tempi di Basilea avendo una predilezione per i RotBlau, è palese che oggi l’ex Chelsea goda di una condizione straordinaria. Capace di viaggiare a duecento all’ora palla al piede, di correre per 70 metri senza perdere potenza e di non sentire – almeno apparentemente – la fatica lungo tutti i 90 minuti, Salah sta con ogni probabilità giocando anche oltre il proprio 100% delle possibilità.
Casi come il suo ce ne sono già stati, e chi non ha la memoria corta se li ricorderà bene. L’ultimo in ordine cronologico solo una stagione fa, quando Gervinho – super-atleta ma calciatore molto modesto – sbarcò a Roma ed iniziò a fare il diavolo a quattro grazie ad una gamba che gli permetteva di saltare in velocità praticamente qualunque avversario.
Oggi che la forma non è più la stessa l’ex Arsenal è diventato di colpo giocatore modesto, totalmente incapace di fare la differenza come gli riusciva solo 12 mesi fa. Così da presunto fenomeno per molti è tornato ad essere un giocatore come tanti (a margine: reputo Salah un calciatore comunque globalmente migliore rispetto all’ivoriano).
— Sciabolata Morbida (@sciabolatablog) March 5, 2015
Andando ancora più indietro nel tempo si può invece risalire al buon Milos Krasic. Totalmente inarrestabile quando sbarcò a Torino direttamente da Mosca, giocatore ai margini del progetto tecnico juventino quando la condizione calò non permettendogli più di fare il bello ed il cattivo tempo sulla fascia.
Che giocatore è Salah ce lo dirà il tempo. Inviterei solo i tanti che oggi lo definiscono “Fenomeno” o “Campione” a restare fedeli alle proprie convinzioni anche qualora, se mai succederà, il ragazzo dovesse avere cali di forma, magari infilando quattro o cinque brutte partite.
Questo perché il malvezzo di ergere a star un giocatore per una manciata di partite per poi gettarlo nel fango dopo qualche prestazione opaca è qualcosa che, eufemisticamente, andrebbe evitato.
Un fenomeno è un fenomeno sempre, anche quando fuori forma.
In ultimo, chiudo con una considerazione sull’affare Cuadrado-Chelsea.
La realtà dei fatti è che Salah era ai margini della squadra di Mourinho (30 minuti giocati quest’anno in Premier). Quindi, un sacrificio assolutamente fattibile, ancor più con l’arrivo di un Cuadrado che gli avrebbe chiuso completamente le porte del campo.
Per la Fiorentina però, come ebbi modo di dire a suo tempo, la cessione di Cuadrado al Chelsea era un affare anche senza l’inserimento dell’egiziano, o comunque senza la sua esplosione così fragorosa. Questo per il semplice motivo che tutti quei soldi per l’ala colombiana erano assolutamente impossibili da rifiutare.
Certo, l’impatto in Italia di Salah avrà colpito lo staff tecnico del Chelsea. Ma nel contempo non credo nemmeno Mourinho si stia strappando i capelli: non credeva nel giocatore, che a Londra in un anno e mezzo aveva fatto oggettivamente poco.
Per la Fiorentina resta però una stupenda operazione di mercato. Che ad oggi sta pagando dividendi anche più alti di quanto gli stessi dirigenti non immaginassero.
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Chi segue il calcio con un’attenzione minima che va oltre il semplice “straparlo di calcio al bar e do un occhio alle partite della mia presunta squadra del cuore quando capita” avrà sicuramente sentito parlare più volte dei cosiddetti “giocatori di sistema”. Ovvero quei calciatori capaci di rendere anche oltre il 100% del proprio valore in determinati contesti, ma totalmente incapaci di ripetersi altrove, come pesci fuor d’acqua.
La storia del calcio stesso ci pone davanti ad un numero infinito di casi. Tra tutti ricorderete senz’altro buona parte dei giocatori del Valencia di Cuper. Gente che, come Mendieta, sembrava assolutamente inarrestabile in quel contesto. Ma poi, anche strapagata, non ha saputo nemmeno lontanamente ripetersi altrove.
Del resto è facilmente capibile questo meccanismo: quando si è ben integrati in un contesto tattico è logico che il proprio rendimento sia portato a migliorare. Cambiare contesto può quindi spesso interrompere la magia.
Definiti i contorni di quello che intendo per “giocatore di sistema”, vorrei focalizzare oggi l’attenzione sul milanista Jeremy Menez, sicuramente tra i giocatori più positivi della compagine rossonera quest’anno.
Arrivato certo non in pompa magna in estate, a parametro zero, sarebbe stato poco più di una riserva nei tanti Milan del passato (da quello del trio Gre-No-Li sino alla più recente versione ancelottiana).
La pochezza tecnica attuale dei Rossoneri, però, lo ha fatto diventare da subito giocatore assolutamente imprescindibile nel “non-contesto” tattico di Inzaghi.
Del resto nessun altro, in rosa, ha i suoi colpi. Nessuno come lui, insomma, può decidere i match con una giocata.
Fino a qui tutto bene. Ma certo, per stare nel Milan di oggi significa anche che a queste qualità sicuramente positive Menez deve affiancare degli aspetti totalmente negativi.
Tra questi, da sempre, una atavica incostanza di rendimento, in realtà in qualche modo mascherata – almeno – dal buon numero di goal realizzato sin qui quest’anno.
Ma non solo. I difetti del suo gioco sono svariati. Tra tutti sicuramente la sua vena “veneziana”: solista assoluto, predilige lo spunto in totale solitudine al cercare la manovra di squadra.
Certo, mi si potrà ribattere: in un contesto tecnicamente povero come quella milanista non può fare altrimenti.
Vero, i compagni non lo invogliano sicuramente a modificare il suo gioco. E’ altrettanto vero, però, che chi lo conosce da prima del suo sbarco a Milano sa bene che il tratto fondante del suo gioco è sempre stata una certa anarchia. Insomma, se cerchi un giocatore abile a dialogare coi compagni di certo non puoi andare a rivolgerti a lui.
In tutto ciò, però, Jeremy Menez è finito col trovare l’ambiente ideale per esprimersi proprio sulla sponda Rossonera di Milano.
Qui, infatti, ha trovato una squadra totalmente disorganizzata, con un allenatore neofita ad oggi assolutamente incapace di dare un gioco alla proprio equipe e dei compagni che, di fatto, si sono spesso aggrappati alle sue giocate individuali per provare a sfangarla.
Insomma, in un contesto totalmente destrutturato come quello rappresentato dal Milan di oggi Jeremy Menez, anarchico del rettangolo verde e solista della giocata, trova la sua massima esaltazione.
Se in una situazione organizzata i suoi acuti finirebbero col suonare stonati, infatti, nella sconclusionatezza milanista le sue prove risultano invece dei reali toccasana.
Insomma, preso sulla carta per essere inserito in una certa idea di gioco, Jeremy Menez si è rivelato essere il miglior paracadute di questo Milan proprio grazie la totale assenza di idee di gioco comuni.
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Lo scarso rendimento del Milan attuale è un dato di fatto sotto gli occhi di tutti.
Allo stesso modo credo sia palese come questo scarso rendimento sia sicuramente dovuto a limiti palesi di qualità della rosa, così come ad un allenatore che – ad oggi, almeno – non si sta rivelando all’altezza della situazione.
Quando si parla di uno sport sempre più tattico come il calcio, però, non si può nemmeno ignorare proprio questo aspetto. Spesso, infatti, la disposizione tattica di una squadra incide fortemente sulla resa della stessa nel suo complesso quanto dei singoli che la compongono.
Proprio da questo presupposto, ed in seguito alla breve analisi fatta della situazione Inter, vi propongo questo video che illustra alcune differenti disposizioni che potrebbero essere scelte da Inzaghi per provare a ritrovare un po’ di continuità da qui a giugno. Quando, personalmente, farei scattare una rivoluzione tecnica a tutti i livelli, per provare a ritrovare la via che il Milan sembra aver smarrito ormai da qualche anno…
4-3-3: il modulo utilizzato in questo inizio di stagione. Sicuramente una soluzione plausibile, visti soprattutto i tanti esterni offensivi a disposizione. Qualche dubbio, però, lo lascia il centrocampo. Ma più che una questione di modulo, in questo caso, è proprio un problema di uomini.
Questo modulo, per altro, potrebbe vedere il Faraone e Bonaventura alternarsi da una parte e Cerci ed Honda dall’altra, con Menez e Destro a far staffetta a seconda delle richieste del mister.
Trovando una miglior quadratura in fase di non possesso, sicuramente un modulo da riproporre.
4-2-3-1: anche qui il problema resta il centrocampo. Un problema in questo caso ancor più acuito dalla presenza di due soli uomini in mediana. Questo schema, però, sarebbe una scelta logica guardando il parco trequartisti, che potrebbe essere sfruttato ancora più a fondo. Del resto centralmente si potrebbero impiegare i vari Honda, Bonaventura e Suso, più lo stesso Menez…
4-4-2: modulo classico che in fase di transizione negativa permetterebbe sicuramente di coprire meglio il campo. Davanti, poi, darebbe spazio a Destro col supporto di una seconda punta mobile, che potrebbe essere rappresentata dai vari Menez, Cerci o El Shaarawy.
Sicuramente un modulo equilibrato che potrebbe dare qualche certezza in più alla squadra. Ma che, nel contempo, rischia di rinsecchire ulteriormente la fase offensiva.
In più se a sinistra Bonaventura potrebbe tranquillamente fare l’esterno – ruolo già ricoperto a Bergamo – a destra non vedrei benissimo i vari Cerci, Honda o Suso.
4-3-1-2: uno dei miei moduli preferiti in assoluto, ma che certo non si adatta alla perfezione a questo Milan. E’ presto detto: con tutti i trequartisti, soprattutto esterni, a disposizione sarebbe un delitto scegliere un modulo di questo genere.
I tempi del Milan di Ancelotti sono lontanissimi, in tutti i sensi.
4-3-2-1: anche questo è un modulo che ricorda l’epopea ancelottiana. Albero di Natale che però, per lo stesso motivo che ho citato parlando del 4-3-1-2, non sembra il modulo migliore da scegliere. Anche se certo, tra questi ultimi due sarebbe sicuramente quello che prediligerei.
3-4-3: che la difesa a tre non sia ben vista dalle parti di Milanello è un dato di fatto. Anzi, che la difesa debba schierarsi a quattro sembra essere un diktat presidenziale/societario.
Nel contempo, però, bisognerebbe avere la giusta flessibilità per cercare di far rendere al meglio il materiale a disposizione.
In questo senso, quindi, trovo che una delle soluzioni migliori in assoluto per questo Milan potrebbe essere proprio il passaggio alla difesa a 3.Il 3-4-3 mutaforma di gasperiniana ispirazione, in particolare, permetterebbe alla squadra di variare il proprio approccio tattico in continuazione a seconda della situazione di gioco. Si potrebbe così passare facilmente al 4-4-2 con lo slittamente laterale del centrale di destra (Rami) ed il conseguente arretramento della catena di sinistra (Antonelli a terzino e Bonaventura / El Sharaawy ad esterni di centrocampo). Con l’ala destra che, in questo caso, diventerebbe ovviamente seconda punta (Cerci). O trequartista (Honda, col modulo che diventerebbe un 4-4-1-1).
Ma non solo. Con l’abbassamento di entrambe le catene laterali la squadra potrebbe chiudersi ancora di più, per poi puntare tutto sul contropiede, passando al 5-4-1.
3-5-2: variante del 3-4-3, anche se dal mio punto di vista meno adatta alla rosa attuale del Milan, è ovviamente il 3-5-2 con cui la Juve ha vinto gli ultimi tre Scudetti. Certo, quella era tutta un’altra squadra. Ma del resto il gap coi Bianconeri non è tattico, ma proprio di qualità della rosa.
E voi? Quale modulo scegliereste, allenaste il Milan al posto di Inzaghi?
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Come giocherà la nuova Inter di Roberto Mancini?
La risposta sembra scontata: 4-2-3-1, con Podolski e Shaqiri larghi ed il trio Medel-Brozovic-Kovacic (al netto di altri arrivi, ovviamente) a gestirsi le altre tre posizioni.
Eppure la rosa dell’Inter lascia pensare che Mancini potrebbe anche schierare una formazione differente. Ad esempio un 4-3-3, con i due giovani croati ad agire come mezz’ali, o un 4-3-1-2, con Shaqiri trequartista ed uno tra Podolski e Palacio a sostegno del solo Icardi, i cui limiti in fase di manovra sono ben noti da tempo (anche da qui il mio paragone con Trezeguet, di cui chi mi segue su Twittere Facebookavrà già letto).
Proprio questo è l’argomento al centro del mio ultimo video, pubblicato sul canale Youtubedel blog. Date un’occhiata e fatemi sapere come, secondo voi, dovrebbe schierare l’Inter il buon Roberto Mancini…
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Il responso non dà scampo: Lorenzo Insigne si è rotto il legamento crociato anteriore del ginocchio destro. Operato oggi a Villa Stuart dal professor Mariani, dovrà stare fermo non meno di 4-6 mesi per poter recuperare.
In pratica, stagione finita.
Perché prima di poter tornare a lavorare in vista d’un match è plausibile che si farà maggio. E a quel punto vorrebbe dire rivedere Insigne in squadra a partire dalla prossima stagione, dal ritiro di Dimaro.
Ora, però, c’è da pensare alla stagione in corso. Alla lotta Champions (difficile, per quanto non impossibile, che il Napoli possa lottare davvero per qualcosa di più). Ad una Europa League che darebbe prestigio e ranking migliore, anche se non grandi incassi. E, perché no, ad una eventuale sostituzione di “Lorenzo il Magnifico”.
Perché l’infortunio ad Insigne apre sicuramente un problema, che il Napoli dovrà comunque affrontare. Con tre possibili soluzioni.
1 – Si fa con quel che si ha.
Il Napoli ha una rosa ben fornita. 25 giocatori, di cui quattro portieri. Il che significa 21 giocatori di movimento. 20 senza Insigne. Sulla carta, due per ruolo.
A questo punto Rafa Benitez, in accordo con la società, potrebbe decidere di accontentarsi di quello che ha sino alla fine del campionato. Magari, eventualmente, attingendo alla formazione Primavera in caso di necessità.
I trequartisti sono però sei. Ne restano quindi solo cinque di ruolo, con l’indisponibilità di Lorenzo (Hamsik, Callejon, Mertens, De Guzman e Michu).
Certo, si potrebbe pensare, eventualmente, di adattare Jorginho. O magari spostare più avanti Zuniga. Ma la coperta, soprattutto in caso di altri infortuni, resterebbe comunque corta. Ed il Napoli, ad oggi, deve comunque pensare ad essere competitivo su tre fronti.
2 – Si cerca un “usato sicuro” per infoltire la rosa.
Qualora si decidesse di intervenire sul mercato ma senza spese sostanziose si potrebbe provare a cercare un giocatore che per quanto non in linea con i parametri cui solitamente si attiene De Laurentiis possa aiutare la squadra almeno sino al termine della stagione. Quindi, un’ala – possibilmente di gamba – che per quanto senza margini di crescita possa garantire un certo tipo di resa nel breve periodo.
Per esemplificare questo concetto, un giocatore alla Dirk Kuyt (magari non Kuyt, che in Turchia guadagna tanto e che difficilmente il suo club mollerebbe nel mezzo della stagione, visti i traguardi da raggiungere) che sia dotato di abnegazione, buone capacità tecniche e che sappia integrarsi negli schemi di Benitez (ed in questo senso l’olandese sarebbe perfetto, avendo già lavorato a lungo con il tecnico iberico).
Acquistando un giocatore di questo tipo si lancerebbe anche un messaggio importante allo stesso Insigne, a mio avviso. Una roba tipo “torna presto, noi ti aspettiamo”.
3 – Si scandaglia il mercato alla ricerca di un giocatore in rampa di lancio.
L’ultima eventualità, tutt’altro che trascurabile, sarebbe quella invece di andare a cercare delle occasioni interessanti per colmare il vuoto creatosi in rosa con l’acquisto di un giocatore con buoni margini di crescita e che possa quindi, perché no, andare a contendere a Mertens (e domani anche allo stesso Insigne) la titolarità nel ruolo di ala.
Il che vorrebbe dire che con Hamsik e Callejon praticamente intoccabili l’anno prossimo ci si troverebbe in una condizione del tipo “tre uomini per una maglia”. Quindi, almeno in teoria, si sancirebbe il fatto che a fine stagione uno dei trequartisti a disposizione dovrebbe partire, col rientro di Insigne.
In questo senso, per altro, si fanno già un paio di nomi. Quelli di Andrè Ayew – 24enne esterno mancino ghanese (ma di passaporto francese) – e di Paul-José Mpoku – 22enne ala belga nativa di Kinshasa -, due giocatori dai profili interessanti e dai costi probabilmente accessibili, essendo entrambi in scadenza a giugno.
A margine, un’ultima considerazione: Lorenzo Insigne non sarebbe mai potuto diventare una sorta di nuovo Roberto Baggio – né tantomeno di novello Maradona -, ma di certo aveva il potenziale per diventare giocatore di livello internazionale. E proprio in questo inizio di stagione stava dimostrandolo: prestazioni nettamente migliori di quelle del suo collega-antagonista Mertens (settimo miglior attaccante della Serie A, come media voto, secondo Fantagazzetta – 6,33 contro 5,7 -, rating di 7.05 – contro 6.73 – su WhoScored) e la forza, in primis caratteriale, di provare a scuotere e sospingere la squadra in un momento difficile, sino alla rinascita del collettivo-Napoli.
Ed è davvero un peccato che questo brutto infortunio, che potenzialmente potrà pesare sullo sviluppo della sua carriera, sia avvenuto proprio nel momento migliore della sua vita da professionista.
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Metabolizzato l’addio di Antonio Conte, la Juventus deve guardare avanti e iniziare a costruire il proprio futuro facendosi forza delle idee di Massimiliano Allegri, nuovo tecnico bianconero.
Ecco la mia analisi tattica del possibile futuro della compagine torinese:
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La crisi tra la Juventus ed il suo allenatore era nell’aria da qualche tempo. Tanto che ormai un paio di mesi fa sembrava addirittura potesse consumarsi un prematuro divorzio.
Poi le parti si incontrarono e da lì uscì una decisione che in realtà sottolineava con forza come qualche discrepanza dovesse esserci e fosse destinata a rimanere: niente separazione, ma nemmeno niente prolungamento.
Poi le cose devono essere evidentemente degenerate. E giusto dopo un giorno di ritiro, ecco la decisione. Drastica, inaspettata: Conte e la Juventus optano per un divorzio consensuale.
Personalmente non ho – ahimè – insider in alcuna squadra di Serie A, così che non ho news fresche su quelli che possono essere stati i motivi che hanno deciso questa separazione. Quindi è abbastanza inutile parlarne.
C’è chi adduce motivi di mercato in entrata, dicendo che il trio Evra-Iturbe-Morata non sarebbe all’altezza delle aspettative del tecnico salentino che si sarebbe così deciso a mollare il colpo.
Chi invece mette sul banco degli imputati le possibili cessioni, giurando e spergiurando che ora partiranno Vidal e/o Pogba e che proprio questa scelta (che in realtà potrebbe essere più una necessità di bilancio) avrebbe spinto Conte all’addio.
E’ poi molto caldeggiata anche la pista “ripiego”. Ovvero, sapendo di essere un papabile candidato alla panchina della Nazionale Conte avrebbe deciso di terminare la propria storia d’amore con la Juventus, comunque già ampiamente sul viale del tramonto, per non perdersi la chance Azzurra (qui mi verrebbe da chiedermi perché non rinunciarci prima da una parte e come possa aver ricevuto rassicurazioni in tal senso dall’altra, visto che la stessa FIGC al momento è tutta da ridisegnare).
Le motivazioni quindi, se mai usciranno, le tratteremo più avanti. No, in questo post vorrei esplorare un po’ i possibili sostituti di Antonio Conte come allenatore della Juventus. Perché è logico che le chance di conferma al ruolo di campioni d’Italia passeranno, in buona parte, da questa scelta.
In queste prime ore, tra social e media, si è scatenato il pandemonio. Tra possibili acquisti saltati (Evra avrebbe dato uno stop alla trattativa, Iturbe sarebbe addirittura una trattativa chiusa) e nomi snocciolati come se i posti vacanti fossero N è partito il classico isterismo che accompagna decisioni comunque – sportivamente – scioccanti come questa.
Proviamo a mettere un po’ d’ordine tra i nomi e gli scenari.
Partiamo quindi da Massimiliano Allegri, che ha già per altro ricevuto un endorsement importantissimo. Parole dolci nei suoi confronti le ha infatti spese niente popò di meno che Luciano Moggi. Certo, il fatto che gli interessi del tecnico livornese siano curati dal figlio Alessandro non è solo un caso, ma c’è una cosa che credo debba far riflettere: l’ex D.G. della Juventus ha parlato di “tecnico aziendalista” e di come proprio su di un profilo di quel genere dovrebbe orientarsi la dirigenza. E chi conoscete di più aziendalista dell’ex tecnico del Milan?
Il nome credo sia il più realistico e sarà quantomeno valutato – se non direttamente contattato – da Marotta e soci. Anche se al riguardo credo ci sarebbe da consultare anche Andrea Pirlo, che non penso la prenderebbe benissimo.
Personalmente non l’ho mai reputato un allenatore da grande squadra, nemmeno quando vinse lo Scudetto al suo primo anno di Milan, senza però dare mai un gioco degno alla sua compagine. Per altro al secondo anno perse il campionato proprio contro la prima Juve di Conte, a mio avviso sicuramente inferiore da un punto di vista tecnico. Insomma, un allenatore che non dovrebbe sedere su di una panchina così importante (vale per il Milan, varrebbe per Juve e Nazionale).
Se quella di cercare un tecnico aziendalista fosse priorità anche di Agnelli e del suo entourage ecco che verrebbe scartato automaticamente il nome di Clarence Seedorf, che molti, soprattutto tifosi milanisti, hanno sussurrato poco dopo l’ufficializzazione dell’addio di Conte.
Qui però cadiamo più nel tifo che non nella concretezza, credo. L’ipotesi verterebbe infatti sulla voglia di rivalsa che l’ex Rossonero avrebbe in sé. Che immagino essere tanta, ma non penso possa bastare alla Juventus in un momento così.
Per quanto concerne poi il mio giudizio su di lui, mi espressi già a tempo debito: ragazzo molto intelligente che può dare sicuramente tanto al calcio anche fuori dal campo. Fossi stato nel Milan non l’avrei cacciato (anche se lì i problemi sono stati palesemente extra campo). Però nel contempo mi ha un po’ deluso il suo incaponimento su di un modulo che non ritengo fosse il migliore per la rosa a sua disposizione fino a poche settimane fa.
Altro nome giustamente caldo è invece quello di Roberto Mancini, uno dei due principali contender – assieme al già citato Allegri – alla panchina della Nazionale, almeno fino a poche ore fa. Mancini che si è da poco liberato del suo vincolo col Galatasaray e che credo tornerebbe volentieri in Italia, pur dovendo però accettare una decurtazione dello stipendio.
Anche questo mi sembra un nome concreto, su cui la Juve potrebbe lavorare.
Personalmente è un altro che, come Allegri, ritengo abbastanza sopravvalutato. Allenatore forse più da inizio progetto che non da continuazione di un percorso già avviato. Ha vinto campionato con squadre praticamente sempre molto più forti delle avversarie, ed in alcuni casi anche in maniera rocambolesca. In Europa ha sempre fallito. Insomma, un altro allenatore che non credo farebbe fare un salto di qualità al progetto Juve. Che anzi, rischierebbe così di recedere.
Sarebbe calda anche la pista Luciano Spalletti, sollevato dall’incarico di allenatore dello Zenit il 10 marzo scorso (dopo una vittoria in undici partite) ma ancora legato alla squadra di San Pietroburgo.
Anche questa come le precedenti due (Seedorf come detto la considero più una boutade di chi spera di non vederlo alla Juve per non rimpiangerne il fresco esonero) credo sia una pista reale, che verrà o è già stata sondata.
Tra i tre è l’allenatore che in un certo modo mi convinse di più. Alla Roma seppe fare bene nonostante ci fossero squadre più attrezzate in Italia e soprattutto, a differenza dei due succitati, seppe dare un gioco chiaro e piacevole alla sua squadra. In Russia ammetto di averlo seguito poco, se non in Europa. Dove ha onestamente fallito. Anche questa opzione mi saprebbe di ripiego. Esattamente come in ottica Nazionale (dove non vorrei nessuno dei tre).
Qualcuno ha poi paventato una sorta di “minestra riscaldata”: Fabio Capello.
Questo nome, che ritengo poco realistico anche e soprattutto per una questione economica (oggi guadagna 8 milioni l’anno, credo che sotto ai 4/5 non scenderebbe ed è comunque una cifra che reputo troppo alta per una società italiana oggi), viene fatto soprattutto in virtù dei suoi problemi con la federazione russa, nati – o comunque detonati – dopo la prematura eliminazione dal Mondiale.
Indubbiamente un tecnico di profilo più alto dei succitati. Ha vinto tanto ed in Italia sarebbe una garanzia. Ha palle di ferro e sarebbe in grado di panchinare anche un Buffon, se non lo ritenesse migliore del suo sostituto. Tra i contro c’è però il fatto che gioca sempre male e che comunque in Europa, soprattutto a Torino, fece male.
Sempre parlando di – in questo caso già ex – C.T. che hanno mal figurato in Brasile, è stato paventato anche un – anche qui – possibile ritorno di Alberto Zaccheroni.
Allenatore in una delle fasi più complicate del post-Calciopoli, l’ex commissario tecnico del Giappone credo possa essere un nome che difficilmente avrà chance reali di ritorno a Torino. Penso infatti che anche se il suo nome venisse valutato, partirebbe dietro a tutti quelli già citati (forse anche Seedorf, vi dirò).
Personalmente lo reputo un allenatore più da provincia che non da grande piazza. E soprattutto non da grandi obiettivi. Vinse un campionato sì, ma non credo sappia bene nemmeno lui come. Per il resto, sa anche dare una fisionomia alla sua squadra, spesso. Ma credo che in una squadra che punti all’Europa League potrebbe fare meglio che non dove è costretto a vincere il campionato per non interrompere una striscia lunga ormai tre anni.
Altro nome tirato in ballo – anche per la Nazionale, come buona parte dei succitati – è quello di Francesco Guidolin, che in realtà è ormai un ex allenatore. Al termine della stagione appena conclusa ha infatti lasciato la panchina per diventare supervisore tecnico del tris di squadre di proprietà dei Pozzo: Udinese, Watford e Granada.
Nome che probabilmente potrebbe anche stuzzicare le fantasie della dirigenza juventina, non so quanto possa essere realistico proprio vista la supposta volontà dello stesso ex giocatore del Verona di appendere il fischietto al chiodo.
Personalmente lo trovo un ottimo allenatore. Molto preparato. Sicuramente tra i migliori, se consideriamo solo il lotto di nomi fatti in vista della successione di Conte. Il problema suo, che espressi anche in ottica Nazionale, riguarda il carattere. Piuttosto fragile e allergico alle pressioni già di una piazza provinciale come Udine. Come potrebbe resistere a quelle di Torino?
Su Sky è stato poi citato anche Sinisa Mihajlovic. Che però ha un contratto in essere con la Sampdoria e, a quanto pare, potrebbe accettare un eventuale nuovo incarico solo se venisse esonerato (e quindi non se si dimettesse di sua sponte).
Perché mi fa strano questo nome? Per mille motivi, in primis proprio il fatto che si ripieghi a stagione già formalmente iniziata su di un tecnico comunque occupato. Perché potrebbe essere un nome realistico? Perché con l’avvento del nuovo Presidente stanno lasciando la Samp in molti, almeno in società. L’ex tecnico del Catania è stato fondamentalmente confermato, ma le cose possono cambiare rapidamente come insegna proprio la vicenda Conte.
Anche qui il carattere non manca. Le idee di calcio sono abbastanza chiare. Difficile però definire se possa essere o meno un tecnico da grande squadra. Il carattere per sopportare le pressioni lo ha e si sa. La capacità di lavorare su di un gruppo costretto a vincere, però, è tutta da testare.
Altro nome rimbalzato un po’ qua e un po’ là è quello di un ennesimo ex, Didier Deschamps.
Nome questo che ritengo plausibile e su cui non mi stupirebbe che la Juventus lavori o abbia lavorato. Ci sono però due problemi che ne allontano il possibile ritorno: in primis proprio il ricordo, da parte sua, di come fu trattato quando venne scaricato ai tempi del ritorno in A. In secondo luogo il contratto in essere con la Federazione francese.
Allenatore che ha dimostrato di saperci fare, cerca forse ancora il salto di qualità. Che potrebbe in realtà trovare, anche se solo tra due o quattro anni, anche sulla panchina su cui siede ora, essendo la Francia una delle nazionali di maggior prospettiva del continente. In questo caso, forse, l’opzione club potrebbe essergli gradita.
Da qui in poi si entra nel campo della fantascienza (ma occhio che nel calcio non va mai dato nulla per scontato.
Qualcuno parla di Luis Felipe Scolari, fresco di tragedia in nazionale.
Nome su cui non credo la Juve possa muoversi realisticamente. Un po’ perché non penso valutino davvero la pista straniera (dove per straniero intendo allenatore estraneo al mondo del calcio italiano e/o juventino), un po’ perché in Nazionale non guadagnava poco e non so quanto vorrebbe ora per allenare un club.
Sicuramente è un condottiero. Di errori col suo Brasile ne ha comunque commessi diversi. In più non credo sia un grande innovatore e non so quanto potrebbe fare meglio del suo predecessore. Come detto – anche per la Nazionale, come per un po’ tutti i club – io la pista straniera è una pista che prenderei in considerazione. Però pondererei molto bene la scelta.
Tornando agli ormai – anche se in questo caso già da diversi anni – ex allenatori si è citato anche Gianluca Vialli. Che oltre ad essere un ex allenatore è anche un ex juventino, per quanto vestii quei panni come calciatore.
Beh, sinceramente difficile dire se possano valutare una pista di questo genere. A pelle direi assolutamente no.
Come allenatore è poi altrettanto difficile da giudicare. Allenò per molto poco pur portandosi a casa qualche trofeo. Il problema vero è che al di là di tutto allenò comunque un calcio molto diverso da quello odierno. Praticamente, quindi, sarebbe come prendere un mister senza alcuna esperienza.
A questo proposito non sono quindi mancati gli endorsement anche per Alessandro Del Piero.
Opzione che tenderei a cassare in pieno. Un po’ perché non si lasciò bene con la società, e non credo i tempi siano già così tanto maturi da permettergli un suo ritorno addirittura come allenatore così, di punto in bianco. Un po’ anche perché lui continua a dire di sentirsi ancora allenatore. E, certo non ultimo, anche qui bisogna ricordare che sarebbe un salto nel buio totale, non avendo allenato un solo minuto nella sua vita.
Ex giocatore della Juve – per quanto lui faccia ancora parte della “famiglia” bianconera – è anche Fabio Grosso, attuale allenatore della Primavera.
Anche questa ipotesi tenderei a scartarla. I tecnici delle giovanili solitamente vengono promossi solo a fine stagioni, quando c’è da cercare un traghettatore. Oppure dopo qualche tempo di svezzamento, se c’è un progetto su di loro. Cosa che in questo caso non credo ci sia, dato che la scorsa stagione il terzino Campione del Mondo nel 2006 la iniziò come vice della Primavera, per poi diventare capo allenatore solo in seguito agli scarsi risultati di Zanchetta.
In merito ricorderei, con una battuta, che “non tutti i Guardiola vengono col buco”. E che il passaggio da una “seconda squadra” ad una “prima” non è mai facile, e l’esempio di Pep non deve trarre in inganno.
Infine qualcuno ha buttato lì anche il nome di Zinedine Zidane, che in realtà è da un paio di settimane il tecnico del Castilla, la squadra B del Real Madrid.
Ipotesi sicuramente affascinante, la trovo la più sensata tra quelle che riguardano gli ex giocatori della Juve infilati nel calderone dei nomi, per quanto tutt’altro che probabile essendo appunto lui già impegnato. Del resto, comunque, la sua volontà di allenare era nota da anni e dopo l’apprendistato al fianco di Ancelotti chissà che il buon Zizou non si farebbe già tentare da una sfida così difficile ma comunque affascinante come quella che potrebbe eventualmente proporgli la Juventus.
Ovviamente da un punto di vista tecnico-tattico c’è poco da dire al riguardo, non avendo lui ancora mai allenato. Posso solo dire che probabilmente, per non bruciarsi, gli converrebbe stare dov’è e crescere senza troppe pressioni. Ma certo, che carattere dimostrerebbe a lasciare un lido così sicuro (con per altro possibilità di arrivare su di una panchina prestigiosa come quella del Real nei prossimi anni) per un’avventura molto più complicata come quella che si troverebbe ad affrontare a Torino!
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C’era un tempo in cui i soldi contavano, ma non erano tutto.
Un tempo in cui i grandi club europei sfruttavano un maggior potere d’acquisto per costruire grandi squadre, ma non sempre i soldi bastavano.
Parliamo di un’epoca in cui il calcio non era ancora globalizzato come lo è oggi. In cui sì, appunto, i soldi contavano e potevano fare la differenza, ma era altresì importante saper lavorare sulle proprie giovanili ed avere alle spalle un movimento nazionale di livello per riuscire ad imporsi anche al di fuori dei propri confini.
Del resto l’evoluzione compiuta dal calcio è palese a tutti.
Nel corso della storia ci sono state squadre come la Steaua Bucarest o la Stella Rossa capaci di imporsi in Coppa dei Campioni anche senza appartenere a paesi particolarmente sviluppati. Quindi senza avere il potenziale economico di certe “big”, né probabilmente il blasone di alcuni club italiani, inglesi o spagnoli.
Oggi tutto ciò è invece praticamente impossibile a causa dei fondi sempre più massicci che vengono investiti da alcune società per provare a primeggiare (negli ultimi nove anni hanno vinto la Champions solo squadre italiane, inglesi, tedesche o spagnole).
Così se il Real Madrid può spendere cifre folli sul mercato per assicurarsi superstar come Bale o Isco, le varie Stella Rossa, Steaua, Ajax, Feyenoord e Celtic, ma perché no il Porto o il Benfica, possono solo stare a guardare le foto sempre più sbiadite dei propri successi europei, pensando ad una storia che – senza un’inversione di rotta – non si ripeterà più.
Certo, questo discorso a qualcuno farà anche comodo. Le squadre che davvero competono per la massima competizione continentale sono sempre meno, ciò significa che le avversarie vere dei top team sono sempre più ridotte.
D’altro canto, però, il rischio è che la Champions inizi a diventare monotona, sempre più segnata da cicli.
Prima è stata la volta del Barcellona, capace di centrare tre coppe in sei anni, ora sembra essere la volta del Bayern, con tre finali negli ultimi quattro anni (e coi bavaresi che partono da favoriti anche quest’anno).
Ma non solo. Il problema vero, per noi italiani, è lo stato economico del nostro paese. E, di riflesso, del nostro calcio.
Rimanendo all’aspetto che più ci interessa, quello riguardante lo “sport più bello del mondo”, in Italia sembrano finiti i soldi che Juventus, Milan ed Inter (ma non solo, nell’epoca d’oro del nostro calcio, durato purtroppo pochissimi anni, anche Fiorentina, Parma e le romane facevano la voce grossa sul mercato) investivano ogni anno.
Così di campionato in campionato vediamo una serie di talenti abbandonare lo Stivale (quest’anno qualcuno è anche arrivato, ma solo grazie ai soldi incassati dalle cessioni… e per molti il saldo è comunque negativo) e ridursi le possibilità di imposizione europea delle nostre compagini.
Così se tecnicamente la nostra scuola sta comunque dimostrando di avere più di qualche problema (non c’è più quell’abbondanza di talenti Azzurri di cui potevamo godere solo dieci anni fa) e tatticamente continuiamo a cavarcela (nonostante noi si sia ancora piuttosto ancorati al nostro retaggio “difensivista”), il problema vero è in banca.
E senza soldi, in un mondo in cui si può giocare la Champions anche senza nessun giocatore autoctono, non si può competere ad altissimo livello.
Una conferma di quanto l’Italia sia sempre più ai margini del calciomercato mondiale (se non come terra da saccheggiare, con le partenze dei vari Cavani e Jovetic tra gli altri) arriva dal sito caughtoffside.com,
Che al termine dell’ultima campagna acquisti ha stilato la propria Top XI degli acquisti compiuti dai club europei.
Valutazioni assolutamente personali, intendiamoci, ma che danno un’idea ben precisa di quello che è il nostro calcio oggi.
In questa Top XI, infatti, non c’è traccia di Italia. Se non per quanto concerne quel Marquinhos che, però, ha lasciato il Belpaese, non vi è sbarcato quest’estate…
Qualcuno potrebbe obiettare: e Tevez, Higuain, Gomez?
Beh, come competere con Bale, Gotze (ma ci sarebbe stato tranquillamente anche Isco), Ozil (idem) e Falcao?
Come risolvere una situazione del genere?
La strada è lunga e tortuosa, e per come vanno le cose nel nostro paese non c’è molta speranza venga imboccata.
Per prima cosa andrebbe rivoluzionato il sistema-paese, in cui ormai ogni investimento viene praticamente fatto a fondo perso e scoraggia qualsiasi investitore, italiano come straniero (a questo riguardo curioso di vedere come si concluderà la faccenda-Tohir e come l’indonesiano opererà in Italia qualora ci venisse davvero).
Poi bisognerebbe riformare il calcio. Stadi, violenza, razzismo, attrattività. Tutto.
Ma finché questa rivoluzione non sarà compiuta (e ripeto, non illudiamoci…) come possiamo cavarcela?
Con la programmazione.
L’Italia sta perdendo appeal in ogni senso ma resta ancora un paese piuttosto ricco nel suo complesso, anche grazie a delle “sacche di ricchezza” presenti sul territorio.
In questo senso le risorse per organizzare bene una società che possa competere ad un certo livello, anche se magari senza essere forte quanto Barcellona, Real o Bayern, ce l’abbiamo.
Ma bisogna lavorare in maniera intelligente. Tornare a formare, e non mortificare, i talenti. Che devono vedere le proprie qualità tecniche esaltate, non imbrigliate in troppi dettami tattici.
Investire sui nostri vivai, perché per quanto noi si abbia forse vinto più di quello che la nostra scuola meritava (così pensano alcuni, e diciamo che in effetti la nazionale più forte al mondo non so quante volte lo si sia davvero stati, di certo non nel 1982 né nel 2006…), è altrettanto vero che di campioni ne abbiamo sempre sfornati a bizzeffe e non è possibile che dopo gli eroi di Germania la vena si sia esaurita.
Infine, tornare a spendere bene. Senza comprare tanto per. Pianificare ogni mossa, acquistare solo giocatori davvero utili al progetto ed innalzare di anno in anno, anche solo di poco, il livello tecnico della squadra.
Il Borussia Dortmund, che pur ha un pubblico spettacolare, non pare avere le stesse risorse economiche del Bayern, né delle squadre “arabe” o delle big spagnole (foraggiate dalle banche). Eppure lo scorso anno ha centrato la finale di Champions.
Classico esempio di come lavorare coi giovani e pianificare il lavoro con attenzione può portare a competere ad armi quasi pari anche con le superpotenze del calcio globalizzato di oggi.
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Cinque anni e due settimane fa scrissi un articolo su di un sedicenne che tra Europei e Mondiali under 17 mi aveva colpito molto: l’allora interista Marco Ezio Fossati.
Da allora moltissima acqua è passata sotto i ponti. In primis il ragazzo è tornato al Milan, che aveva “tradito” poco prima. Qui però l’amore non è mai sbocciato davvero.
Così dopo un anno in Primavera, condito da 8 goal in 25 presenze, il giovane nativo di Monza accetta di scendere addirittura in Lega Pro, giocando un anno a Latina. Per passare poi, la scorsa stagione, all’Ascoli. E diventare quest’anno uno dei protagonisti della cavalcata de la Bari, che dopo essere arrivata ai preliminari ha asfaltato il Crotone, centrando la semifinale dei playoff e facendo continuare il proprio sogno.
Diciamolo subito: cinque anni fa Fossati era considerabile indubbiamente uno dei migliori classe ’92 al mondo. Magari non al livello del già – almeno mediaticamente – fenomenale Neymar, ma sicuramente alla pari dei vari Ter Stegen, Gotze, Perin, El Shaarawy, Coutinho, Ben Khalifa (un altro un po’ persosi), ecc.
Poi?
Poi il ragazzo – che nel frattempo ricevette una super offerta dal Manchester City, rispedita però al mittente – decise di mollare l’Inter per tornare al suo primo amore. Nel farlo, però, perse praticamente un anno di gioco. E chissà, forse questa cosa contò.
Sia quello che sia, è indubbio che ad oggi il ragazzo non abbia ancora mantenuto le promesse fatte allora.
Però, c’è sempre un però.
Se vi dico Matteo Darmian cosa vi viene in mente?
A me un ragazzo di Rescaldina – cittadina delle mie zone, per altro – cresciuto, guarda caso, nel Milan, che dopo un discreto peregrinare ha trovato sulla sponda Granata di Torino la propria consacrazione, conquistandosi addirittura la chiamata per il Mondiale.
Il tutto, a 24 anni.
Perché signori, il problema è alla radice. Sarà pur vero che negli ultimi anni c’è stato un certo calo di talento nel nostro calcio e nei nostri giovani, ma è ancor più certo che il nostro sistema non punta su di loro e non li valorizza.
Così un giocatore che altrove potrebbe tranquillamente giocare titolare in una massima serie a vent’anni, da noi solitamente è perso in mille prestiti, per lo più nelle serie minori.
Poi in qualche modo, sgomitando, riescono a farsi largo, come Darmian. E allora, alla fine, qualcuno capisce, riconosce e premia il loro talento.
Tutto questo per dire cosa?
Fossati oggi non fa “la differenza” in Serie B. Perché dovrebbe tornare utile al Milan?
Beh, io una chance gliela darei.
Posto che vada come vada di certo non potrà stare ancora in Serie B, ma DEVE giocare in A, è ora che i Rossoneri inizino a programmare il futuro con oculatezza, valorizzando in primis quanto prodotto dal proprio settore giovanile (che resta tra i più interessanti d’Italia).
A questo punto perché non dare una chance, almeno come backup, ad un giocatore così tecnico e dinamico al tempo stesso?
La mediana milanista quest’anno non ha brillato in nessuno dei due aspetti. Capisco che un Montolivo o un De Jong (che dopo le dichiarazioni rilasciate oggi immagino partirà) siano più affidabili, ma è ora di rischiare un pochino.
Così se dalla Primavera si potrebbero promuovere giocatori come Iotti, Tamas, Cristante e Petagna, ecco che far rientrare dal prestito e valorizzare Fossati potrebbe essere un’altra ottima idea.
Perché del resto il Milan vuole tagliare i costi. Benissimo.
Venda un po’ di giocatori di una certa età e/o palesemente inadeguati, e punti su qualche giovane.
Se è vero che Fossati non ha ancora mantenuto le promesse, è altrettanto vero che resta un giocatore molto interessante, che potrebbe a breve consolidarsi come fatto da Darmian. E allora anche in quel caso, poi, partirebbero i “perché non ci abbiamo puntato?” del caso…
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