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Archive for luglio 2014

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Negli ultimi mesi il futuro del calcio italiano sta catalizzando l’attenzione più di qualsiasi altra questione.

Sicuramente più delle guerre in atto a Gaza o in Ucraina, come dei tentativi di riforma portati avanti dal Governo Italiano. Ma in fondo anche più delle amichevoli estivi, finanche del calciomercato.

Negli ultimi giorni, poi, le parole inopportune di Tavecchio, uno dei due candidati ufficiali a ricoprire il ruolo di presidente della FIGC, hanno fatto addirittura il giro del mondo.

Parole.

Perché poi mi sembra che di concreto si legga e senta poco.

Proprio in queste settimane qualcuno – ad esempio Albertini, l’altro candidato, ma non solo – ha anche rilanciato la questione delle “Squadre B”. Su cui andrebbero però fatte riflessioni serie.

Non avendo alcun tipo di ruolo nel calcio italiano ho sicuramente pochi strumenti per analizzare e giudicare. Ma una pensata al riguardo me la sono fatta, e avrei piacere di condividere con voi alcuni dei motivi per cui credo sarebbe opportuno dare la possibilità alle nostre squadre professionistiche di crearsi un team satellite in cui far giocare i propri giovani.
Non solo. Vorrei anche rispondere ai principali dubbi che vengono mossi da chi non crede che le “Squadre B” sarebbero utili e, in ultimo, spiegare anche perché Serie B, Lega Pro e Serie D sono contrari a questa eventualità.

  • Partiamo da un presupposto: la “squadra B” deve essere una possibilità, certo non una imposizione.
    Del resto è evidente che ogni club deve essere lasciato libero di prendere le proprie decisioni a seconda di quella che è la propria strategia industriale, rispetto cui non ci possono essere grandi ingerenze federali.
    In questo senso ci potrebbe essere chi preferirebbe comunque creare partnership con società terze (come fatto quest’anno dall’Inter col Prato), chi prediligerebbe sparpagliare i propri giovani in vari club dello stivale (come sta facendo da anni la Juventus) e chi ancora si potrebbe accontentare di mantenere solamente una formazione Primavera.

Le “squadre B”, però, avrebbero bisogno anche di una regolamentazione speciale studiata ad hoc per loro. Ad esempio:

  • In primis bisognerebbe decidere da quale livello farle partire (direi Lega Pro, ma un’opzione potrebbe essere anche la Serie D). In secondo luogo si dovrebbe poi attestare l’impossibilità di arrivare allo stesso livello della propria “squadra madre”. Quindi un satellite di una squadra di A non potrebbe mai andare oltre la B. E verrebbe retrocesso automaticamente in caso di retrocessione del proprio club di riferimento.
  • Altra regolamentazione assolutamente necessaria riguarda l’età. Una “squadra B” che non preveda un limite di età rischierebbe infatti di diventare una sorta di “cimitero per gli elefanti”. Un club in cui, insomma, far giocare fuori rosa, giocatori ai margini della prima squadra, ecc.
    In Spagna il limite dovrebbe essere posto ai 25 anni. Volendo si potrebbe abbassare sui 23. Comunque non meno.

Un altro aspetto da considerare sicuramente è quello riguardante i costi:

  • Creare un team satellite caricherebbe di ulteriori costi una società. Perché andrebbe ad aggiungersi alle formazioni già oggi esistenti, non sarebbe un’alternativa alla Primavera (almeno, nella mia visione delle cose).
    Sono però convinto che i ritorni sia tecnici che economici che l’uso oculato ed intelligente di una “squadra B” potrebbe portare giustificherebbe l’investimento che ci sarebbe alla base.

Perché una “squadra B” dovrebbe essere una soluzione migliore rispetto ad un prestito?

  • La reputo una soluzione migliore semplicemente perché una squadra B non ha la stessa necessità di qualsiasi altro team di portare risultati sportivi. L’unico risultato cui deve puntare è la creazione di un giocatore che giochi ad un livello tale da poter essere d’aiuto alla prima squadra.
    Quindi mentre una qualsiasi squadra tenderebbe a panchinare un giovane che non dà garanzie immediate, un team satellite potrebbe puntarci, nel caso ci vedesse prospettive importanti, anche qualora i risultati non fossero buoni da subito.
    Ed è proprio giocando che un ragazzo acquisisce consapevolezza dei propri mezzi e fiducia in sé stesso. Certo non facendo panchine su panchine in Serie B o Lega Pro.

L’assenza di un traguardo sportivo a breve termine porterebbe ad uno scadimento della competitività?

  • Questo è uno dei pochi dubbi che trovo legittimi.
    Penso però altresì che in una situazione “normale” questo sia un falso problema.
    Un ragazzo di 20 anni che si trova a giocare in un team satellite in Serie B e che non dà il 101% di quello che ha in ogni partita nonostante non ci sia la necessità stringente di portare a casa i tre punti è semplicemente un professionista fallito in partenza.
    Un ragazzo di 20 anni che non capisca che la sua carriera inizia proprio da lì e che un campionato giocato ad alto livello potrebbe garantirgli chiamate e contratti importanti già dalla stagione successiva ha semplicemente sbagliato lavoro.

Altro dubbio riguarda il fatto che le “squadre B” andrebbero a togliere un posto ai club “tradizionali”

  • Altro dubbio legittimo. Ma attenzione: la Lega Pro è stata ridotta di moltissimo a causa dei tanti fallimenti. La Serie B, ad oggi, dovrebbe essere giocata a 21 squadre.
    La realtà delle cose è che un team satellite di un grande club sarebbe economicamente più sostenibile di certe squadre di provincia che investono tanto per avere risultati sportivi di livello. Se questi non arrivano, spesso falliscono.
    Per il futuro si parla già di un’ulteriore sforbiciata al numero di team professionistici. Forse prima di questo si potrebbe optare proprio per la via che porta alle “squadre B”.

In ultimo, perché le leghe minori non vogliono assolutamente nemmeno ipotizzare la creazione di questi team?

  • Semplicissimo: soldi.
    Qualche mese fa ho potuto partecipare ad un tavolo di discussione cui, tra gli altri, partecipava anche il Presidente di Lega Pro Macalli. Che al riguardo è stato chiaro: le grandi squadre vogliono far maturare i loro giovani nelle serie minori? Perfetto. Ci paghino per farlo.
    Quindi lo scenario sarebbe questo: io società X cedo in prestito il giocatore Y alle società Z, che gioca in Lega Pro. Voglio che questo sia valorizzato? Pago la società Z affinché ciò possa avvenire, magari anche con incentivi in merito al numero di presenze e alle prestazioni.
    Non sono disposto a pagare? Mi tengo il ragazzo in tribuna.
    Ora, capisco che le società minori abbiano necessità di sopravvivere, ma non si può speculare così sul futuro di un ragazzo. E dato che un esborso economico deve esserci, credo sia giusto dare la possibilità ad ogni club di scegliere quella che ritiene essere la via migliore per sé stesso.
  • Diretta conseguenza del discorso appena affrontato sopra riguarda i settori giovanili delle stesse società “minori”. Perché un Prato (come una Pro Patria, un Lecce o un Frosinone) dovrebbe limitarsi a lanciare i giovani formati da qualcun altro cercando così di speculare sopra la loro crescita?
    Se questo meccanismo venisse interrotto, o quantomeno venisse ridimensionato, anche i piccoli club sarebbero ancora più invogliati a lavorare sul proprio settore giovanile, per autoalimentarsi. Quindi oltre ad essere una soluzione buona per i giovani che militano nei settori giovanili dei nostri top club, ritengo che questa soluzione possa essere uno stimolo per un po’ tutte le nostre società, anche quelle “periferiche”.

Come detto una proposta seria, contenuta in un programma “elettorale”, andrebbe studiata ed articolata a fondo.

Ma del resto io, purtroppo, non ho la possibilità di competere con Tavecchio ed Albertini, né – di conseguenza – l’ho di poter effettuare studi particolari sulle varie soluzioni che potrebbero aiutare il nostro calcio a ripartire.

Con questo pezzo ho voluto comunque chiarire alcuni aspetti riguardanti le Squadre B. Certo, ce ne saranno sicuramente anche altri di cui sarebbe bene parlare, ma mi sembra comunque già più di quello che viene fatto normalmente…

(A margine, una piccola chiosa: è LOGICO, ma sempre meglio sottolinearlo, che le “Squadre B” non sarebbero la panacea di tutti i mali del nostro calcio, ma solo una delle tante manovre che andrebbero fatte per ridare vigore al nostro movimento.)

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INFO GENERALI

Nome: Idrottsföreningen Brommapojkarna
Soprannome: BP, The Bromma Boys
Città: Bromma, Stoccolma (Svezia)
Anno di fondazione: 1942
Stadio: Grimsta Idrottsplats (8000 posti)
Presidente: Patrik Emanuelsson
Allenatore: Stefan Billborn
Palmares: 1 secondo posto in Superettan, 3 Division 2 Östra Svealand.
Valutazione complessiva rosa: 4.200.000 € (valutazione transfermarkt)
Sito ufficialehttp://brommapojkarna.se/

ROSA

Portieri: Davor Blazevic, Ivo Vazgec.
Difensori: Pontus Segerstrom, Fredric Jonson, Kristinn Jonsson, Tim Bjorkstrom, Jacob Une Larsson, Martin Falkeborn, Carl Stafelt.
Centrocampisti: Mauricio Albornoz, Seth Hellberg, Jesper Karlstrom, Gabriel Petrovic, Gustav Sandberg Magnusson, Serge-Junior Martinsson Ngouali.
Attaccanti: Andreas Eriksson, Gabriel Ozkan, Philip Tronet, Victor Soderstrom, Niclas Barkroth, Pontus Asbrink, Dardan Rexhepi, Christian Kouakou, Stefano Vecchia.

FORMAZIONE BASE

4-3-3/4-5-1: Blazevic; Bjorkstrom, Segerstrom, Une Larsson, Jonsson; Sandberg-Magnusson, Martinsson-Ngouali, Karlstrom; Barkroth, Rexhepi, Petrovic.

ULTIMI RISULTATI

Nelle ultime cinque gare disputate (due di Europa League e tre di campionato) i Bromma Boys hanno raccolto una vittoria, tre pareggi ed una sconfitta.

ANALISI TECNICA

Il Brommapojkarna è una squadra che tecnicamente non ha moltissimo da dire, pur potendo contare su alcuni elementi comunque interessanti.

In porta si disimpegna il giovane – classe 93 – Davor Blazevic, marcantonio di un metro e novanta di chiare origini croate che ha in passato difeso i pali anche delle rappresentative giovanili nazionali under 17 e 19.
Un estremo difensore con mezzi fisico-atletici notevoli ma un bagaglio tecnico ancora da sgrezzare, e soprattutto una capacità di concentrazione lungo i novanta minuti sicuramente migliorabile.
Nonostante i difetti resta sicuramente uno degli elementi più interessanti della squadra.

In difesa l’elemento più interessante mi è parso invece l’islandese Kristinn Jonsson. Classe 90, è stato ingaggiato (in prestito) ad inizio stagione dal Breidablik. Già nazionale maggiore, è stato in passato colonna delle varie squadre giovanili islandesi.
Terzino sinistro di buon passo, ama sostenere la propria squadra in fase offensiva e nel complesso resta forse il giocatore con le migliori doti difensive tra quelli a disposizione di coach Billborn.

I tre di centrocampo garantiscono poi discreta corsa, ma nel complesso non parliamo di un reparto capace di restare negli annali del calcio mondiale, per così dire.

Il punto di forza resta quindi, forse, l’attacco. Qui giocano tre dei giocatori più abili della compagine svedese.

Innanzitutto il giovane Niklas Barkroth, che gli amanti del videogame manageriale Football Manager ricorderanno in quanto era un buon prospetto qualche edizione fa.
Ventidue anni, l’ala ex Goteborg – e con una esperienza maturata in Portogallo – è giocatore che punta molto su rapidità e tecnica. Ancora poco incisivo (e probabilmente è proprio questo lo step che gli manca per cercare fortuna fuori dalla Svezia), resta comunque un’ala guizzante e capace di rifinire, soprattutto coi cross, il gioco per i compagni.

In particolare per Dardan Rexhepi, svedese nativo di Pristina. Un marcantonio di 190 centimetri che funge da prima punta pura. Abile di testa e bravo a fare a sportellate coi centrali difensivi avversari, non è però – ad oggi – un bomber particolarmente temibile. Insomma, tanto lavoro sporco, ma anche scarsa lucidità sotto porta.

Infine l’attacco è completato dal bosniaco Gabriel Petrovic, centrocampista capace di adattarsi all’ala. Un giocatore tecnico e dal buon calcio, che nonostante non sia il primo terminale delle azioni offensive del Bromma ha realizzato lo stesso numero di goal segnati sino ad oggi – in stagione – da Rexhepi: cinque.

ANALISI TATTICA

Di base il 4-3-3 del Bromma è il classico modulo che si può prestare ad essere interpretato come un 4-5-1 a seconda delle situazioni e della volontà di maestro d’orchestra ed interpreti.

I due esterni offensivi, infatti, possono tranquillamente scalare a centrocampo per dare più copertura alla difesa.

Il centrale dello stesso, dal canto suo, è un mediano abile in fase di rottura, capace di dare peso e corpo proprio in quella zona del campo. Quindi, volendo, il modulo può anche essere interpretato come una sorta di 4-1-4-1.

Per quello che ho potuto vedere, poi, parliamo di una squadra che tende a perdere le giuste distanze di gioco tra i reparti. I quali, al loro interno, vanno sovente in confusione in merito a posizionamenti e chiusure.

La fascia su cui tende a spingere di più è la sinistra, in special modo quando da quella parte si sposta Barkroth (Che può giocare indifferentemente su entrambi gli out): la sua verve abbinata alla facilità di corsa e di spinta dell’islandese Jonsson, infatti, portano a comporre un binario su cui la squadra riesce ad affidarsi con buona efficacia.

ANDAMENTO STAGIONALE

Stagione assolutamente negativa per il Brommapojkarna, che vede lo spettro della retrocessione come assolutamente reale. Così dopo la salvezza risicata dello scorso anno (quando la squadra terminò il campionato al tredicesimo posto, un punto sopra i playout) ecco i soli 8 punti raccolti nelle prime 16 giornate di quest’anno.

La squadra è però in ripresa: dopo cinque sconfitte consecutive (sei, contando l’Europa) il Bromma ha infatti inanellato tre pareggi ed una sconfitta (più due vittorie europee), che l’hanno portata così a fare 3 punti in quattro match, media molto migliore di quella tenuta nel resto del campionato. Ancora poco, certo, ma comunque un piccolo segnale di risveglio.

E in Europa?

Dopo la sconfitta nell’esordio finlandese contro il VPS il BP ha ribaltato il risultato in casa.
Nel secondo turno è quindi arrivata la roboante vittoria casalinga sui Crusuaders (4 a 0), cui ha fatto seguito l’1 a 1 del ritorno, che ha sigillato la qualificazione al terzo ed ultimo turno di qualificazione.

GIUDIZIO COMPLESSIVO

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Metabolizzato l’addio di Antonio Conte, la Juventus deve guardare avanti e iniziare a costruire il proprio futuro facendosi forza delle idee di Massimiliano Allegri, nuovo tecnico bianconero.

Ecco la mia analisi tattica del possibile futuro della compagine torinese:

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La crisi tra la Juventus ed il suo allenatore era nell’aria da qualche tempo. Tanto che ormai un paio di mesi fa sembrava addirittura potesse consumarsi un prematuro divorzio.

Poi le parti si incontrarono e da lì uscì una decisione che in realtà sottolineava con forza come qualche discrepanza dovesse esserci e fosse destinata a rimanere: niente separazione, ma nemmeno niente prolungamento.

Poi le cose devono essere evidentemente degenerate. E giusto dopo un giorno di ritiro, ecco la decisione. Drastica, inaspettata: Conte e la Juventus optano per un divorzio consensuale.

Personalmente non ho – ahimè – insider in alcuna squadra di Serie A, così che non ho news fresche su quelli che possono essere stati i motivi che hanno deciso questa separazione. Quindi è abbastanza inutile parlarne.

C’è chi adduce motivi di mercato in entrata, dicendo che il trio Evra-Iturbe-Morata non sarebbe all’altezza delle aspettative del tecnico salentino che si sarebbe così deciso a mollare il colpo.
Chi invece mette sul banco degli imputati le possibili cessioni, giurando e spergiurando che ora partiranno Vidal e/o Pogba e che proprio questa scelta (che in realtà potrebbe essere più una necessità di bilancio) avrebbe spinto Conte all’addio.
E’ poi molto caldeggiata anche la pista “ripiego”. Ovvero, sapendo di essere un papabile candidato alla panchina della Nazionale Conte avrebbe deciso di terminare la propria storia d’amore con la Juventus, comunque già ampiamente sul viale del tramonto, per non perdersi la chance Azzurra (qui mi verrebbe da chiedermi perché non rinunciarci prima da una parte e come possa aver ricevuto rassicurazioni in tal senso dall’altra, visto che la stessa FIGC al momento è tutta da ridisegnare).

Le motivazioni quindi, se mai usciranno, le tratteremo più avanti. No, in questo post vorrei esplorare un po’ i possibili sostituti di Antonio Conte come allenatore della Juventus. Perché è logico che le chance di conferma al ruolo di campioni d’Italia passeranno, in buona parte, da questa scelta.

In queste prime ore, tra social e media, si è scatenato il pandemonio. Tra possibili acquisti saltati (Evra avrebbe dato uno stop alla trattativa, Iturbe sarebbe addirittura una trattativa chiusa) e nomi snocciolati come se i posti vacanti fossero N è partito il classico isterismo che accompagna decisioni comunque – sportivamente – scioccanti come questa.
Proviamo a mettere un po’ d’ordine tra i nomi e gli scenari.

Partiamo quindi da Massimiliano Allegri, che ha già per altro ricevuto un endorsement importantissimo. Parole dolci nei suoi confronti le ha infatti spese niente popò di meno che Luciano Moggi. Certo, il fatto che gli interessi del tecnico livornese siano curati dal figlio Alessandro non è solo un caso, ma c’è una cosa che credo debba far riflettere: l’ex D.G. della Juventus ha parlato di “tecnico aziendalista” e di come proprio su di un profilo di quel genere dovrebbe orientarsi la dirigenza. E chi conoscete di più aziendalista dell’ex tecnico del Milan?
Il nome credo sia il più realistico e sarà quantomeno valutato – se non direttamente contattato – da Marotta e soci. Anche se al riguardo credo ci sarebbe da consultare anche Andrea Pirlo, che non penso la prenderebbe benissimo.
Personalmente non l’ho mai reputato un allenatore da grande squadra, nemmeno quando vinse lo Scudetto al suo primo anno di Milan, senza però dare mai un gioco degno alla sua compagine. Per altro al secondo anno perse il campionato proprio contro la prima Juve di Conte, a mio avviso sicuramente inferiore da un punto di vista tecnico. Insomma, un allenatore che non dovrebbe sedere su di una panchina così importante (vale per il Milan, varrebbe per Juve e Nazionale).

Se quella di cercare un tecnico aziendalista fosse priorità anche di Agnelli e del suo entourage ecco che verrebbe scartato automaticamente il nome di Clarence Seedorf, che molti, soprattutto tifosi milanisti, hanno sussurrato poco dopo l’ufficializzazione dell’addio di Conte.
Qui però cadiamo più nel tifo che non nella concretezza, credo. L’ipotesi verterebbe infatti sulla voglia di rivalsa che l’ex Rossonero avrebbe in sé. Che immagino essere tanta, ma non penso possa bastare alla Juventus in un momento così.
Per quanto concerne poi il mio giudizio su di lui, mi espressi già a tempo debito: ragazzo molto intelligente che può dare sicuramente tanto al calcio anche fuori dal campo. Fossi stato nel Milan non l’avrei cacciato (anche se lì i problemi sono stati palesemente extra campo). Però nel contempo mi ha un po’ deluso il suo incaponimento su di un modulo che non ritengo fosse il migliore per la rosa a sua disposizione fino a poche settimane fa.

Altro nome giustamente caldo è invece quello di Roberto Mancini, uno dei due principali contender – assieme al già citato Allegri – alla panchina della Nazionale, almeno fino a poche ore fa. Mancini che si è da poco liberato del suo vincolo col Galatasaray e che credo tornerebbe volentieri in Italia, pur dovendo però accettare una decurtazione dello stipendio.
Anche questo mi sembra un nome concreto, su cui la Juve potrebbe lavorare.
Personalmente è un altro che, come Allegri, ritengo abbastanza sopravvalutato. Allenatore forse più da inizio progetto che non da continuazione di un percorso già avviato. Ha vinto campionato con squadre praticamente sempre molto più forti delle avversarie, ed in alcuni casi anche in maniera rocambolesca. In Europa ha sempre fallito. Insomma, un altro allenatore che non credo farebbe fare un salto di qualità al progetto Juve. Che anzi, rischierebbe così di recedere.

Sarebbe calda anche la pista Luciano Spalletti, sollevato dall’incarico di allenatore dello Zenit il 10 marzo scorso (dopo una vittoria in undici partite) ma ancora legato alla squadra di San Pietroburgo.
Anche questa come le precedenti due (Seedorf come detto la considero più una boutade di chi spera di non vederlo alla Juve per non rimpiangerne il fresco esonero) credo sia una pista reale, che verrà o è già stata sondata.
Tra i tre è l’allenatore che in un certo modo mi convinse di più. Alla Roma seppe fare bene nonostante ci fossero squadre più attrezzate in Italia e soprattutto, a differenza dei due succitati, seppe dare un gioco chiaro e piacevole alla sua squadra. In Russia ammetto di averlo seguito poco, se non in Europa. Dove ha onestamente fallito. Anche questa opzione mi saprebbe di ripiego. Esattamente come in ottica Nazionale (dove non vorrei nessuno dei tre).

Qualcuno ha poi paventato una sorta di “minestra riscaldata”: Fabio Capello.
Questo nome, che ritengo poco realistico anche e soprattutto per una questione economica (oggi guadagna 8 milioni l’anno, credo che sotto ai 4/5 non scenderebbe ed è comunque una cifra che reputo troppo alta per una società italiana oggi), viene fatto soprattutto in virtù dei suoi problemi con la federazione russa, nati – o comunque detonati – dopo la prematura eliminazione dal Mondiale.
Indubbiamente un tecnico di profilo più alto dei succitati. Ha vinto tanto ed in Italia sarebbe una garanzia. Ha palle di ferro e sarebbe in grado di panchinare anche un Buffon, se non lo ritenesse migliore del suo sostituto. Tra i contro c’è però il fatto che gioca sempre male e che comunque in Europa, soprattutto a Torino, fece male.

Sempre parlando di – in questo caso già ex – C.T. che hanno mal figurato in Brasile, è stato paventato anche un – anche qui – possibile ritorno di Alberto Zaccheroni.
Allenatore in una delle fasi più complicate del post-Calciopoli, l’ex commissario tecnico del Giappone credo possa essere un nome che difficilmente avrà chance reali di ritorno a Torino. Penso infatti che anche se il suo nome venisse valutato, partirebbe dietro a tutti quelli già citati (forse anche Seedorf, vi dirò).
Personalmente lo reputo un allenatore più da provincia che non da grande piazza. E soprattutto non da grandi obiettivi. Vinse un campionato sì, ma non credo sappia bene nemmeno lui come. Per il resto, sa anche dare una fisionomia alla sua squadra, spesso. Ma credo che in una squadra che punti all’Europa League potrebbe fare meglio che non dove è costretto a vincere il campionato per non interrompere una striscia lunga ormai tre anni.

Altro nome tirato in ballo – anche per la Nazionale, come buona parte dei succitati – è quello di Francesco Guidolin, che in realtà è ormai un ex allenatore. Al termine della stagione appena conclusa ha infatti lasciato la panchina per diventare supervisore tecnico del tris di squadre di proprietà dei Pozzo: Udinese, Watford e Granada.
Nome che probabilmente potrebbe anche stuzzicare le fantasie della dirigenza juventina, non so quanto possa essere realistico proprio vista la supposta volontà dello stesso ex giocatore del Verona di appendere il fischietto al chiodo.
Personalmente lo trovo un ottimo allenatore. Molto preparato. Sicuramente tra i migliori, se consideriamo solo il lotto di nomi fatti in vista della successione di Conte. Il problema suo, che espressi anche in ottica Nazionale, riguarda il carattere. Piuttosto fragile e allergico alle pressioni già di una piazza provinciale come Udine. Come potrebbe resistere a quelle di Torino?

Su Sky è stato poi citato anche Sinisa Mihajlovic. Che però ha un contratto in essere con la Sampdoria e, a quanto pare, potrebbe accettare un eventuale nuovo incarico solo se venisse esonerato (e quindi non se si dimettesse di sua sponte).
Perché mi fa strano questo nome? Per mille motivi, in primis proprio il fatto che si ripieghi a stagione già formalmente iniziata su di un tecnico comunque occupato. Perché potrebbe essere un nome realistico? Perché con l’avvento del nuovo Presidente stanno lasciando la Samp in molti, almeno in società. L’ex tecnico del Catania è stato fondamentalmente confermato, ma le cose possono cambiare rapidamente come insegna proprio la vicenda Conte.
Anche qui il carattere non manca. Le idee di calcio sono abbastanza chiare. Difficile però definire se possa essere o meno un tecnico da grande squadra. Il carattere per sopportare le pressioni lo ha e si sa. La capacità di lavorare su di un gruppo costretto a vincere, però, è tutta da testare.

Altro nome rimbalzato un po’ qua e un po’ là è quello di un ennesimo ex, Didier Deschamps.
Nome questo che ritengo plausibile e su cui non mi stupirebbe che la Juventus lavori o abbia lavorato. Ci sono però due problemi che ne allontano il possibile ritorno: in primis proprio il ricordo, da parte sua, di come fu trattato quando venne scaricato ai tempi del ritorno in A. In secondo luogo il contratto in essere con la Federazione francese.
Allenatore che ha dimostrato di saperci fare, cerca forse ancora il salto di qualità. Che potrebbe in realtà trovare, anche se solo tra due o quattro anni, anche sulla panchina su cui siede ora, essendo la Francia una delle nazionali di maggior prospettiva del continente. In questo caso, forse, l’opzione club potrebbe essergli gradita.

Da qui in poi si entra nel campo della fantascienza (ma occhio che nel calcio non va mai dato nulla per scontato.

Qualcuno parla di Luis Felipe Scolari, fresco di tragedia in nazionale.
Nome su cui non credo la Juve possa muoversi realisticamente. Un po’ perché non penso valutino davvero la pista straniera (dove per straniero intendo allenatore estraneo al mondo del calcio italiano e/o juventino), un po’ perché in Nazionale non guadagnava poco e non so quanto vorrebbe ora per allenare un club.
Sicuramente è un condottiero. Di errori col suo Brasile ne ha comunque commessi diversi. In più non credo sia un grande innovatore e non so quanto potrebbe fare meglio del suo predecessore. Come detto – anche per la Nazionale, come per un po’ tutti i club – io la pista straniera è una pista che prenderei in considerazione. Però pondererei molto bene la scelta.

Tornando agli ormai – anche se in questo caso già da diversi anni – ex allenatori si è citato anche Gianluca Vialli. Che oltre ad essere un ex allenatore è anche un ex juventino, per quanto vestii quei panni come calciatore.
Beh, sinceramente difficile dire se possano valutare una pista di questo genere. A pelle direi assolutamente no.
Come allenatore è poi altrettanto difficile da giudicare. Allenò per molto poco pur portandosi a casa qualche trofeo. Il problema vero è che al di là di tutto allenò comunque un calcio molto diverso da quello odierno. Praticamente, quindi, sarebbe come prendere un mister senza alcuna esperienza.

A questo proposito non sono quindi mancati gli endorsement anche per Alessandro Del Piero.
Opzione che tenderei a cassare in pieno. Un po’ perché non si lasciò bene con la società, e non credo i tempi siano già così tanto maturi da permettergli un suo ritorno addirittura come allenatore così, di punto in bianco. Un po’ anche perché lui continua a dire di sentirsi ancora allenatore. E, certo non ultimo, anche qui bisogna ricordare che sarebbe un salto nel buio totale, non avendo allenato un solo minuto nella sua vita.

Ex giocatore della Juve – per quanto lui faccia ancora parte della “famiglia” bianconera – è anche Fabio Grosso, attuale allenatore della Primavera.
Anche questa ipotesi tenderei a scartarla. I tecnici delle giovanili solitamente vengono promossi solo a fine stagioni, quando c’è da cercare un traghettatore. Oppure dopo qualche tempo di svezzamento, se c’è un progetto su di loro. Cosa che in questo caso non credo ci sia, dato che la scorsa stagione il terzino Campione del Mondo nel 2006 la iniziò come vice della Primavera, per poi diventare capo allenatore solo in seguito agli scarsi risultati di Zanchetta.
In merito ricorderei, con una battuta, che “non tutti i Guardiola vengono col buco”. E che il passaggio da una “seconda squadra” ad una “prima” non è mai facile, e l’esempio di Pep non deve trarre in inganno.

Infine qualcuno ha buttato lì anche il nome di Zinedine Zidane, che in realtà è da un paio di settimane il tecnico del Castilla, la squadra B del Real Madrid.
Ipotesi sicuramente affascinante, la trovo la più sensata tra quelle che riguardano gli ex giocatori della Juve infilati nel calderone dei nomi, per quanto tutt’altro che probabile essendo appunto lui già impegnato. Del resto, comunque, la sua volontà di allenare era nota da anni e dopo l’apprendistato al fianco di Ancelotti chissà che il buon Zizou non si farebbe già tentare da una sfida così difficile ma comunque affascinante come quella che potrebbe eventualmente proporgli la Juventus.
Ovviamente da un punto di vista tecnico-tattico c’è poco da dire al riguardo, non avendo lui ancora mai allenato. Posso solo dire che probabilmente, per non bruciarsi, gli converrebbe stare dov’è e crescere senza troppe pressioni. Ma certo, che carattere dimostrerebbe a lasciare un lido così sicuro (con per altro possibilità di arrivare su di una panchina prestigiosa come quella del Real nei prossimi anni) per un’avventura molto più complicata come quella che si troverebbe ad affrontare a Torino!

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Finito il Mondiale, è tempo di bilanci.

E come spesso mi piace fare, vi propongo la mia Top XI del torneo appena concluso, ovviamente da confrontare con la vostra qualora ne abbiate voglia…

Manuel Neuer – Germania

In quello che è stato ribattezzato il “Mondiale dei portieri” l’estremo difensore del Bayern Monaco ha dimostrato ancora una volta di essere il miglior interprete del ruolo che il mondo del calcio offra oggi. Sicuro tra i pali, riflessi felini, praticamente mai una sbavatura. Non solo. Con reattività e grande sagacia nel leggere in anticipo il gioco si è dimostrato anche un vero e proprio libero aggiunto, dominando l’area di rigore nel suo complesso e spingendosi spesso anche fuori di essa – soprattutto contro l’Algeria, una partita che a mio avviso la Germania non avrebbe vinto con un qualsiasi altro estremo difensore in porta – per andare ad anticipare gli avversari lanciati in profondità.

Philipp Lahm – Germania

Uno dei giocatori più universalmente sottovalutati ch’io ricordi. Non essendo vistoso come i terzini brasiliani dei tempi d’oro non ha mai goduto di campagna mediatiche particolari né del favore del pubblico, che in lui probabilmente vede semplicemente un giocatore ordinato. In realtà Lahm è, a mio avviso, uno dei migliori terzini degli ultimi vent’anni di calcio. Forse non del tutto paragonabile al gotha del ruolo, ma sicuramente solo di pochissimo sotto. Ottima tecnica, lettura delle situazioni, capacità di contrasto, piede raffinato, capacità di adattarsi anche in mezzo al campo. Davvero un giocatore completissimo.

Gary Medel – Cile

Il pitbull è uscito – immeritatamente – già agli ottavi di finale ma mi ha lasciato una grandissima impressione. Schierato centrale di una difesa a tre – dell’approccio tattico cileno ne ho parlato diffusamente in questo video, che vi invito a guardare – pur essendo in realtà un mediano abituato a giocare davanti alla linea stessa dei difensori, Medel ha giocato su livelli stratosferici. Garra, spirito indomito, tackle decisi, impostazione, marcatura asfissiante, gestione del reparto. Davvero un Mondiale che per quanto finito prematuramente il giocatore del Cardiff ha saputo disputare su livelli altissimi.

Ron Vlaar – Olanda

Forse non sono l’unico a pensarlo, ma credo davvero che la qualità media dei centrali difensivi sia scesa drasticamente rispetto ad una decade – e più – fa. Tra tutta questa pochezza c’è qualche giocatore che, sulla carta, si eleva rispetto agli altri. Hummels, Kompany, Thiago Silva. Tutti autori di buone cose. Forse un po’ a sorpresa, però, ha fatto meglio di tutti loro Ron Vlaar, ex stella nascente del calcio olandese che dopo qualche anno in cui forse non aveva rispettato in pieno le attese è giunta a questo Mondiale matura al punto giusto e capace di reggere in piedi un reparto in cui ha giostrato al fianco di un assolutamente impresentabile (ma è giovane, può crescere) Martins Indi e di un altalenante (ma sicuramente già più pronto) De Vrij. Mondiale giocato molto bene anche da lui, insomma. Resterà una sola macchia: quel rigore sbagliato in semifinale contro l’Argentina.

Daley Blind – Olanda

Capace di giocare tanto terzino quanto in mediana (che, alla bisogna, anche come centrale difensivo), Daley Blind è il jolly olandese che è servito a Van Gaal – tra gli altri – per poter mutare spesso forma alla propria squadra sia nel corso del Mondiale che all’interno di una stessa partita. Giocatore ormai solidissimo, non capisco cosa aspetti una squadra di alto lignaggio ad andare dall’Ajax con un bel pacchetto di milioni ed acquistarsi questo giovane difensore, sicuramente tra i più interessanti del Mondiale.

Javier Mascherano – Argentina

Chi mi conosce sa che lo amo da sempre. Perché amo i giocatori come lui. Ovvero quei mediani capaci di sradicare un numero infinito di palloni dai piedi degli avversari. Giocatori di carattere, mai domi. Gladiatori dei tempi moderni. Ecco, proprio di questa stirpe reale Mascherano è uno degli ultimi – e più illustri – discendenti. Capace di giocare un Mondiale su livelli altissimi, è stato forse la vera carta in più dell’Argentina di Sabella. Che ha si proceduto sino alla finale grazie ai colpi dei suoi fuoriclasse (Messi su tutti, nonostante abbia giocato nel complesso molto al di sotto delle sue possibilità), ma che senza quel cuore pulsante in mezzo al campo si sarebbe con ogni probabilità sgretolata molto prima.

Bastian Schweinsteiger – Germania

E pensare che ha pure rischiato di essere poco più che uno spettatore non pagante di questo Mondiale. Eppure ancora una volta – più che mai ieri sera, quando è stato forse il migliore in campo o giù di lì – ha dimostrato che a centrocampo, oggi, ha pochi pari al mondo. Centrocampista completo, capace di disimpegnarsi ottimamente in entrambe le fasi di gioco, è stato uno dei cardini della Germania capace di laurearsi quattro volte campione del mondo. Un successo che lui più di molti altri ha meritato anche per quanto dato nel corso della carriera a questa maglia. Un apporto che va ben al di là delle ultime sette partite…

Arjen Robben – Olanda

Quando molti dicevano che era un sopravvalutato, io lo difendevo a spada tratta. E sono realmente dispiaciutissimo non sia arrivato quell’alloro Mondiale che, tutto sommato, non avrebbe certo demeritato. Robben è comunque il segno di una ritrovata continuità olandese. Che dopo la super-squadra di Cruyff e quella – Campione d’Europa – dei tre tulipani rossoneri ha saputo ritrovarsi proprio grazie a lui (e pochissimi altri), centrando un secondo e un terzo posto Mondiale in fila. Una scuola, quella olandese, che produce talento a getto continuo. Strepitosa, per altro, la sua partita contro la Costa Rica. Davvero da lacrime. Da solo, però, non poteva pretendere di vincere un Mondiale.

Toni Kroos – Germania

Ormai una realtà consolidata nel panorama calcistico mondiale. Nonostante la giovane età dimostra carattere e continuità di rendimento. Al netto dei goal in semifinale, “regalati” dal Brasile, disputa un Mondiale di altissimo livello, in cui si dimostra il vero cuore pulsante del gioco tedesco. E’ lui infatti il fulcro del centrocampo teutonico ed è da lui che passano la maggior parte dei palloni. Piedino fine, tempo e visione di gioco.

James Rodriguez – Colombia

Per molti una rivelazione assoluta, per me una semplice conferma. Due anni fa dissi che il Belgio e la Colombia erano squadre da tenere d’occhio. Poi il Belgio esplose agli occhi dell’opinione pubblica già prima del mondiale, diventando squadra hipster, la Colombia si è invece imposta proprio in Brasile, confermando le mie impressioni. E quando dissi che i colombiani erano squadra in crescita e da tenere d’occhio lo feci proprio in relazione a lui, giocatore di grandissima classe, come forse non ne erano mai nati prima a quelle latitudini (quantomeno, non così completi e capaci di incidere). Mondiale straordinario, peccato solo che un po’ tutta la squadra abbia ceduto ai quarti di fronte al Brasile. Avevano sicuramente il potenziale per accedere alla semifinale.

Thomas Muller – Germania

Quando sente aria di Mondiale evidentemente entra in trance agonistica. Uno dei protagonisti principali di questa vittoria, anche se nelle ultime due partite ha giocato un po’ sotto alle attese, forse. Resta comunque uno dei giocatori più completi che il panorama calcistico offra oggi. Forse solo un po’ troppo sgraziato per essere considerato uno dei migliori al mondo in assoluto. Resta comunque ad oggi l’unico che può realisticamente insidiare il nuovo record di segnature fatto registrare da Klose (anche se pure James…).

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Il Mondiale brasiliano ha fatto conoscere al mondo (perché diciamolo, la maggior parte degli appassionati di calcio del pianeta – e sicuramente d’Italia – a stento segue i match della propria squadra del cuore, durante l’anno) un portierino tutto riflessi ed agilità che il sottoscritto ama da anni: Guillermo Ochoa.

Il Memo esordì nel Clausura 2004 con la maglia dell’America di Città del Messico e fin da subito mise in mostra tante qualità, ma anche qualche difetto: riflessi felini, appunto, buona spinta sulle gambe, grande agilità tra i pali, voli plastici a far da contraltare ad uscite incerte ed una non grandissima capacità nel trattenere la sfera.

Difetti che con l’andare degli anni ha ovviamente limato, il buon Ochoa, ma che comunque restano ancora parte, almeno parzialmente, del suo bagaglio tecnico.

Fin da subito, comunque, gli predissi – ma certo, con quelle qualità era pure facile – un futuro in Europa, dove sbarcò ormai tre anni fa, più precisamente ad Ajaccio, Corsica.

Ormai ben svezzato anche al calcio europeo, il Memo è pronto a difendere i pali di una squadra – senza offesa per nessuno – più blasonata di quella in cui ha giocato negli ultimi anni.

Su di lui si diceva ci fosse il Milan, che avrebbe fatto un affarone a rimpiazzare Abbiati con questo portierino messicano.

Sfumata – pare – la possibilità di arrivare all’ex idolo dei tifosi dell’America (la scelta è ricaduta sull’ex cagliaritano Agazzi), Ochoa resta quindi un pezzo sicuramente pregiato, visto il suo status di svincolato, di questo calciomercato.

In realtà, almeno fino a pochi giorni fa, nessun club europeo aveva ancora avanzato offerte ufficiali per questo estremo difensore che in Brasile ha messo in mostra tutta la sua grande qualità (ma anche, almeno per i più attenti, i suoi difetti latenti).

Stento però a credere che un portiere del genere, che ripeto non è considerabile tra i migliori interpreti del ruolo in assoluto ma che resta comunque di buonissimo livello, possa non interessare ad alcuno.

Dove lo vedrei bene?

Beh, se parliamo di Italia come minimo in un club che lotta per un posto in Europa.

Il Milan, in questo senso, poteva essere l’ideale: nobile decaduta la cui resurrezione poteva passare anche dalle sue parate.

E poi?

Stante il fatto che squadre come Inter e Lazio sono sicuramente a posto (Handanovic è indubbiamente più forte, Marchetti globalmente non lo reputo così inferiore), restano alcune opzioni: il Napoli ha perso Reina. Se il portiere spagnolo non dovesse tornare in Campania si dovrebbe decidere di puntare tutto su Rafael o, in alternativa, di scandagliare ancora il mercato. Ed in questo senso quella di Ochoa sarebbe un’opportunità che tenderei a non scartare.

La Fiorentina ha trovato in Neto un portiere che dopo molte e notevoli difficoltà iniziali ha saputo garantire un minimo di sicurezza. Ad oggi però Ochoa ha, almeno a mio avviso, qualcosa in più rispetto al collega brasiliano, e potrebbe essere una buona opzione anche per i Viola.

La Roma infine ha avuto in De Sanctis un più che discreto baluardo quest’anno. L’età però è avanzata e, almeno oggi, le qualità non sono globalmente superiori a quelle del Memo. Che resterebbe, a mio avviso, un’opzione valida anche per i Giallorossi.

Insomma, in Italia Ochoa potrebbe davvero far comodo a moltissimi club. Perché anche in un paese che storicamente ha uno dei punti di forza proprio nella sua scuola portieri alle volte importare talento può dimostrarsi scelta azzeccata (basti pensare a due casi come Julio Cesar ed Handanovic).

In definitiva però non credo che ci sarà un’italiana che deciderà di puntare su questo ragazzo, ormai giunto a maturazione. Vuoi anche solo per il suo status di extracomunitario, credo – temo – che non avrò mai il piacere di vedere il Memo giocare nel Belpaese.

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Due mesi fa scrissi un pezzo (che vi invito a leggere, senza falsa modestia è ben fatto e piuttosto chiaro) in cui raccontai per filo e per segno perché il trambusto percepibile attraverso TUTTI gli organi di informazione riguardante il sorpasso portoghese ai nostri danni per quanto concerneva il ranking UEFA fosse quantomeno un tantino eccessivo.

Oggi, pur con colpevole ritardo, vorrei fare un passo in più.

Assodati quindi i dati di fatto (ripeto, non è impossibile che ci sorpassino ma è bene esprimere chiaramente che ad oggi NON l’hanno fatto e che il sorpasso resta una semplice eventualità, con una quasi certezza di contro-sorpasso un anno dopo, per altro) andiamo a valutare un po’ di altri aspetti, provando a guardare dentro la sfera e indicare quale potrebbe essere il futuro da qui ai prossimi anni.

Beh, innanzitutto credo – ma sono semplici ipotesi – che non solo il Portogallo non ci sorpasserà, ma che nei prossimi due o tre anni la forbice nel ranking andrà ad aumentare.

Questo perché la Juventus ormai ha compiuto la propria ricostruzione post Calciopoli, e pur non essendo ancora una delle squadre migliori in Europa viene da due buone stagioni a livello “individuale”, con un totale di cinquanta punti guadagnati nel ranking per club.
Un trend che dopo gli stenti del post Calciopoli, appunto, potrebbe confermare anche negli anni a venire. Pur non facesse grandi exploit, quindi, dovrebbe concorrere sempre in maniera sostanziale al nostro ranking nazionale.

Ma non solo. Il Napoli stenta a fare il salto di qualità in Europa. Quest’anno ha fatto sicuramente meno di quello che mi sarei immaginato, soprattutto in Europa League ovviamente, ma nulla fa pensare che nei prossimi anni il suo rendimento possa essere più basso di così.
Il progetto di De Laurentiis resta comunque interessante, ed il loro contributo dovrebbe esserci.

Idem dicasi per la Roma, che dopo anni di anonimato potrebbe sicuramente ben figurare in Europa già dalla prossima stagione. Anche senza vincere trofei, avere tutte le proprie rappresentati che ben si comportano vorrebbe dire quasi sicuramente, quantomeno, rafforzare il proprio quarto posto. E andare, man mano, a crescere nel ranking. Perché se è vero che l’anno prossimo perderemo i punti del Triplete, poi per due stagioni andremmo a perdere un totale di 22 punti. Pochi, se pensiamo che la sola Spagna li ha totalizzati quest’anno (e potrebbe crescere ancora di qualcosina, vincendo le due finali).
Tornando ai Giallorossi, il loro progetto sembra avere margini di crescita. E’ vero che il proprio ranking basso vorrà quasi sicuramente dire girone difficile in Champions… ma paradossalmente un terzo posto ed eventuale buone prestazioni in Europa League garantirebbero un discreto bottino di punti, a noi come nazione.

Poi va sicuramente citata l’Inter. Una squadra che col nuovo Presidente si è data orizzonti nuovi. Pensare ad un nuovo Triplete è prematuro, ma la prossima Europa League è alla portata, e con un po’ di impegno non si vede perché una squadra del genere non possa compiere un buon cammino.

Infine, la Fiorentina. Per cui vale un discorso simile a quello fatto per la Roma.
I Viola partono sempre, giustamente, con l’obiettivo di qualificarsi alla Champions. Ma, oggi come oggi, sembrano fatti su misura per l’Europa League. Una competizione che se affrontata col giusto spirito potrebbe tranquillamente vederli passare molti turni, contribuendo così in maniera importante al ranking.

Logico, in questo discorso vanno poi inserite le varie squadre che di volta in volta giocano in Europa. Ci sarebbe il Milan, la squadra italiana col ranking per club migliore.
Sarebbe una sicurezza, non fosse il periodo delicato che sta passando. In prospettiva, però, anche loro dovrebbero tornare su certi livelli…

Insomma, una nazione come il Portogallo può arrivare ad insidiare l’Italia solo grazie ad exploit particolari tipo quelli del 2011. Che però, onestamente, non sono facilmente ripetibili.

Paradossalmente, anzi, i lusitani farebbero forse bene a guardarsi alle spalle. Perché se è vero che il Benfica è una delle squadre più interessanti degli ultimi anni, è altrettanto vero che il Porto qualcosina a perso. E che, in generale, non hanno lo stesso livello medio di una Italia.

Non solo.

La Francia può vantare una squadra, il PSG, che nei prossimi anni promette di essere tra le grandi protagoniste d’Europa. A questa, nel medio periodo, si aggiungerà il Monaco, altra squadra molto danarosa che vorrà comunque dire la sua, potenzialmente aumentando l’impatto francese sul ranking.
E, ancora, dall’anno prossimo ci sarà anche l’Olympique Marsiglia che affronterà con nuova linfa le competizioni europee, forte dell’arrivo di quel genio mattarello che è Marcelo Bielsa.

Certo, negli ultimi cinque anni la Francia ha sempre guadagnato meno punti del Portogallo (tranne l’anno scorso, pari). Però quello Transalpino è un movimento che, tutto fa pensare, avrà una buona crescita nei prossimi anni. E se non l’Italia, chissà che non vada ad insidiare il quinto posto del Portogallo…

E noi?

Stante i discorsi di prima, ad oggi credo che possiamo accontentarci solo di difendere il nostro quarto posto. Nulla di più.

Perché i movimenti spagnolo (inarrivabile), inglese e tedesco sono troppo lontani per poter essere agganciati a breve.

Però chissà che la stagione di quest’anno, in cui siamo comunque arrivati a meno di un punto dai tedeschi (che scontano il fatto di dover dividere il proprio punteggio per sette, avendo una partecipante alle coppe in più di noi), non sia un piccolo segnale di ripresa.

In realtà, credo sia solo un caso. O meglio, dopo gli ottimi risultati dell’anno scorso (massimo punteggio d’Europa) la Germania non ha saputo ripetersi, ma era anche difficile. Eppure se nel prossimo paio d’anni torneranno a fare bene in Europa League e si confermeranno con Bayern e Borussia ai vertici della Champions, potrebbero addirittura arrivare ad attentare al secondo posto inglese.

Ma tutti questi, sinceramente, sono discorsi difficili da fare. Impossibile prevedere cosa sarà l’anno prossimo, figuriamoci estendere il concetto a due o tre stagioni.

Per chiudere, quindi, l’Italia deve aver chiara in testa una sola cosa: testa bassa e tanto lavoro. Il gap con i primi tre campionati d’Europa è palese a tutti, e non solo – non tanto – da un punto di vista calcistico.

Strutture, marketing, organizzazione… il calcio italiano, riferimento globale per anni, si è evidentemente seduto sugli allori. E, piano piano, si è fatto superare da concorrenti più affamati e decisi.

Come dicevo prima, però, abbiamo club che pur non ricoprendo oggi, e non avendo possibilità di ricoprire nel breve-medio periodo, posizioni apicali a livello europeo possono garantirci comunque, quantomeno, di rimanere al quarto posto. Che rispetto al quinto non garantisce nulla di più, se non il prestigio.

Se poi tutti i club, e Lega e FIGC prima di loro, lavorassero seriamente per sistemare tutti quei “bug” del nostro sistema (dagli stadi scadenti alla violenza che regna dentro e intorno agli stessi, fino a un ritmo scadente ed una qualità tecnica non più all’altezza del nostro glorioso passato), ecco che tra qualche anno potrei trovarmi a scrivere un pezzo simile a questo, ma inerente a quello che potrebbe essere un nostro sorpasso su chi oggi ci precede in classifica…

P.S.
In merito ai problemi del nostro calcio, ben emersi anche dall’ultimo Mondiale, ho fatto un video (piuttosto lungo, ma da dire ce ne sarebbe per molte ore ancora). Vi invito quindi a guardarlo e ad iscrivervi al mio canale Youtube, per restare sempre aggiornati su analisi tattiche e non solo.

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Chi ha seguito ieri sera il match tra Belgio e Stati Uniti non potrà che essere stato fortemente colpito dalla prestazione di altissimo livello mostrata dalla giovane freccia a stelle e strisce DeAndre Yedlin.

Il ragazzo, subentrato alla mezz’ora all’infortunato Fabian Johnson, ha infatti messo in campo una prestazione davvero di altissimo profilo, mangiando la fascia destra senza sosta con una rapidità ed una continuità abbacinanti.

Nato il 9 luglio di 21 anni fa in quel di Seattle, ha fatto parte del Washington Youth Soccer’s State Olympic Development Program dal 2006 al 2009 ed ha giocato con le maglie dell’Emerald City, del Northwest Nationals e dei Crossfire Premier prima di entrare a far parte dell’Academy dei Sounders, squadra della sua città natia, nel 2010.

Entrato all’Università di Akron ha quindi giocato due anni di buon livello, venendo poi inserito – ma questo con la maglia dell’under23 dei Sounders – nella top XI della USL Premier Development League.

Già nel giro della Nazionale under 20, Yedlin ha ormai totalizzato sette presenze con la Nazionale maggiore, tra cui quella che appunto l’ha visto dominare la propria fascia di competenza giusto ieri sera.

Furetto di taglia minuta – si parla di 173 centimetri per 68 chilogrammi di peso – il ragazzo di Seattle porta in dote una velocità straripante ed una capacità di correre senza sosta per tutti i novanta minuti.

Dotato di un atletismo fuori dal comune, almeno alle nostre latitudini, sarebbe un acquisto interessantissimo per qualsiasi squadra del nostro campionato. Anche tra le primissime.

Il fatto è semplice e va al di là della mera prestazione di ieri, indicativa ma non sufficiente, di per sé, a giustificare un acquisto.

L’Italia ha dimostrato anche a questo Mondiale – oltre che nelle esperienze europee dei suoi club come minimo negli ultimi quattro anni – di essere rimasta indietrissimo per quello che riguarda il ritmo, la velocità di gioco.
A mancare alle nostre compagini, tutte, non è tanto la capacità di correre per tot chilometri, quanto l’intensità che si riesce a mettere in campo.

Non trattandosi di maratona, è infatti inutile che un tal giocatore sappia macinare venti chilometri nell’arco di novanta minuti, se a questi non ci abbina un’intensità di corsa di alto livello, che gli permetta di rivaleggiare con le squadre inglesi, tedesche e spagnole (e, a livello di Nazionali, anche con realtà meno nobili come Costa Rica, Algeria o Stati Uniti).

Cosa fare per colmare questo gap, qui?

Sicuramente tutto deve partire da un lavoro di base fatto sul nostro movimento calcistico nel suo intero.

Però, per provare ad “accorciare” la distanza nell’immediato, è proprio da un sapiente uso del calciomercato che possiamo e dobbiamo passare.

La tecnica è sicuramente importante. Primaria. Però nel calcio di oggi, e proprio questo Mondiale lo sta dimostrando, non può essere l’unico metro da considerare.

Tralasciando poi il fatto che i giocatori più tecnici, ormai, non vengono in Italia, con conseguente scadimento del nostro campionato, dobbiamo comunque pensare anche a ritmo ed intensità, due aspetti rispetto cui siamo i Flintstones del calcio mondiale.

Ecco il primo motivo, nonché il principale in assoluto, per cui acquisterei DeAndre Yedlin. Con il suo atletismo, fatto di passo e di sostanza, potrebbe infatti essere addirittura dominante in un campionato compassato come quello italiano. Il tutto al netto del fatto che poi, nel complesso, non si sia di fronte ad un nuovo Cafu.

Detto dell’atletismo, comunque, bisogna anche sottolineare come l’esterno di Seattle – che oggi gioca terzino ma che può tranquillamente adattarsi anche come esterno di centrocampo e perché no ala offensiva – non sia assolutamente disprezzabile nemmeno da un punto di vista tecnico.

In un campionato che non sa più formare ed esprimere terzini di ruolo, insomma, DeAndre Yedlin potrebbe rappresentare un vero e proprio esempio da (in)seguire…

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Radiomercato parla con insistenza della possibilità che il Milan acquisti Roman Eremenko, ex Udinese e Siena, dal Rubin Kazan.

Un acquisto che, secondo più fonti, sarebbe utile per “scaricare” Birsa. La volontà dei Rossoneri sarebbe infatti quella di scambiare i due giocatori, cedendo lo sloveno – che non ha avuto molto spazio se non per via degli infortuni dei suoi compagni – per inserire in rosa il finlandese.

Il ragazzo, ormai 27enne, ha il contratto in scadenza tra un anno. Va da sé che il suo valore di mercato non possa essere tanto altro.

Giusto ieri, poi, sarebbe spuntata una clausola presente nel contratto secondo cui il giocatore potrebbe liberarsi per una cifra vicina ai cinque milioni di euro in caso di offerta da una squadra europea (extra Russia, ovviamente).

Insomma, la fattibilità dell’acquisto sembra esserci tutta.

Nelle ultime ore si era diffusa la notizia secondo cui, in passato, i Tatari avrebbero rifiutato 20 milioni per lui. Notizia che pare vera, intendiamoci, ma che va letta per quella che è: ad offrire quei soldi fu lo Zenit di Spalletti. E ben sappiamo come i prezzi nel mercato interno russo, altamente concorrenziali, tendano a salire ben oltre il reale valore dei giocatori.
Del resto, chi non si ricorda dei 30 milioni che proprio la squadra di San Pietroburgo spese qualche stagione fa per acquistare il portoghese Danny dalla Dinamo Mosca!?

Ma che giocatore è Roman Eremenko?

Fondamentalmente un centrocampista dalle doti spiccatamente offensive che può agire tanto centralmente, anche a ridosso della trequarti, quanto più defilato, sulla fascia di sinistra.

Nell’ipotetico 4-3-3 di Inzaghi, quindi, potrebbe probabilmente occupare il ruolo di mezz’ala sinistra. O magari di ala, anche se non mi sembra il giocatore più adatto (il paragone con un El Sharaawy in forma sarebbe impietoso, per altro) per ricoprire il ruolo.

Ora, dando per scontato che non ci si aspetta che Eremenko possa tornare in Italia a “fare onde”, come si dice, perché il Milan dovrebbe scaricare un giocatore “inutile” per prendersene un altro che rischia di non dare un vero “quid” in più?

Io, come è noto, amo e seguo abbastanza il calcio giovanile. E mi chiedo: passino gli acquisti di giocatori come De Jong, che hanno esperienza e qualità (che nel caso di De Jong è più tattica che tecnica, ovviamente). Ma piuttosto che acquistare gente che difficilmente potrà spostare gli equilibri, perché non provare a lanciare qualche giovane?

Faccio tre nomi.

Il primo è quello di Marco Ezio Fossati, giocatore che presentai già nel 2009 – quando era ritenuto uno dei migliori 92 al mondo, e non solo dal sottoscritto – e di cui ho parlato anche recentemente, proprio in ottica Milan.

Stante il fatto che varie vicissitudini ne hanno sin qui impedito la giusta maturazione con definitiva consacrazione, probabilmente non sarà mai ciò che avrebbe potuto essere (ovvero, una delle migliori mezz’ali al mondo). Però è pur vero che a furia di non dargli fiducia, a questi giocatori, si finisce col bruciarli. Cosa che in Italia succede sistematicamente da 10-15 anni, con i risultati che sono oggi sotto gli occhi di tutti.

Il secondo è quello di Bryan Cristante, ragazzo di fisico e tecnica, sicuramente tra i giovani centrocampisti più interessanti del – pur triste – panorama italico.

Già lanciato in prima squadra lo scorso anno, Cristante ha dimostrato di poter reggere il confronto su di un palcoscenico importante come la Serie A. Oggi diciannovenne, deve essere svezzato, responsabilizzato e coperto di fiducia da subito, onde evitare possa in qualche modo perdersi come – ad ora – sembra aver almeno parzialmente fatto Fossati.

Il terzo, infine, è quello di Mario Piccinocchi, giocatore che ho anche potuto ammirare dal vivo nel corso dell’ultimo campionato Primavera.

L’impressione che ho avuto è stata questa: fosse nato nei dintorni di Barcellona, dove i giocatori della sua taglia sono stati il punto di forza della squadra in Blaugrana negli ultimi anni, avrebbe grandissimi e reali chance di essere aggregato alla prima squadra fin da… ieri.
Purtroppo per lui, invece, è italiano. Un paese in cui già si fa fatica a dare spazio ad un giovane, figuriamoci se in più non ha un fisico da corazziere.

Beh, trottolino instancabile, è sagace tatticamente e tutt’altro che disprezzabile da un punto di vista tecnico. Temo però che il suo futuro prossimo sia addirittura lontano dalla Serie A. Colpa delle tare del nostro calcio.

Insomma, senza voler gettare discredito addosso ad Eremenko, che magari in un campionato sempre più tecnicamente povero come è il nostro potrebbe anche dire la sua, vorrei che almeno chi ha giovani interessanti provasse a valorizzarli.

Per la Nazionale, certo, ma non solo. Sistemi come la Germania, che ormai ci ha sorpassato in tutto e per tutto, dimostrano come si possano andare a valorizzare e scandagliare anche mercati esteri. Anche inusuali, rispetto ai classici Argentina e Brasile cui siamo invece irrimediabilmente aggrappati noi.

Come questi Mondiali stanno dimostrando c’è un mondo là fuori (dalla Costa Rica agli Stati Uniti, passando per il Messico e l’Iran) che aspetta solo di essere esplorato…

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Qualche giorno fa un follower su Twitterblog mi ha chiesto quale fosse la squadra che mi aveva colpito di più tra quelle partecipanti ai Mondiali in corso di svolgimento in Brasile.

La risposta era per me scontata: il Cile di Sampaoli, che tanto in difficoltà ha messo il Brasile padrone di casa.

Evoluzione de La Roja che fu del maestro Bielsa, il Cile attuale ha mostrato una applicazione ed una capacità di adeguamento a varie situazioni davvero di altissimo livello tanto che, a mio avviso, avrebbe meritato il passaggio del turno contro i Verdeoro.

Questi i punti focali di quanto mostrato dalla nazionale andina:

  • Pressing alto

  • Attacchi verticali
  • Ritmo molto elevato
  • Attaccanti che non danno punti di riferimento
  • Vidal poteva essere falso nueve
  • Medel perno della difesa a tre
  • Esterni a tutto campo, da terzini ad ali
  • Con Australia 4-4-2 a diamante, spazio per i cross dalle fasce, goal così
  • Secondo tempo Australia 4-3-3 per contenere le fasce e sovrapposizioni terzini
  • Con Spagna vinti tutti i duelli personali
  • Stile di gioco rugbystico con movimento della palla in orizzontale per trovare varchi
  • Con Brasile tante palle lunghe. Duello Silva-Neymar soprattutto nel primo tempo
  • Con Pinilla per Vidal Cile si spacca e lascia gioco a Brasile

Una squadra, quella cilena, che ha messo in mostra un calcio interessantissimo. Linea di difesa con tre giocatori di bassa statura, ma tutti molto combattivi, esterni a tutto campo, interni indomabili, Vidal che potenzialmente poteva essere l’uomo in più (peccato per la sua condizione, certo non ottimale) ed attaccanti larghi ma capaci di tagli repentini a bucare la difesa.

Davvero una squadra piacevolissima da vedere. Che consiglio ad ogni buon mister di studiare. Nel calcio globalizzato di oggi le innovazioni e gli spunti positivi possono venire da qualsiasi parte del mondo. E’ ormai finita l’epoca d’oro in cui erano gli altri a dover guardare in casa nostra…

 

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