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Archive for the ‘Le interviste di SM’ Category

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Dopo l’excursus sul torneo di Arona torniamo al calcio dei grandi volando in Argentina assieme agli amici di Aguante Futbol, per ricapitolare un po’ l’andamento dell’ultimo campionato e non solo.

Racing. A 13 anni dall’Apertura 2001 è arrivata la vittoria nel torneo di Transicion del 2014. Il tutto a due sole lunghezze dal River. Che campionato è stato?

Giulio: combattuto, con quattro squadre a giocarsi il titolo fino a poche giornate dalla fine. Il Racing è stato bravo a riprendersi da un inizio complicato e a crederci fino in fondo, e cioè fino allo scontro diretto col River. La squadra di Gallardo era nettamente la migliore, ma ha perso i punti decisivi per la Copa e soprattutto per il Superclasico, mentre mi ha un po’ deluso il Lanus, che pensavo avrebbe avuto meno distacco.

Gianni: un campionato un po’ anomalo, perché il River fin dall’inizio ha imposto un ritmo tremendo, dando l’impressione di poter dominare dall’inizio alla fine. Tuttavia la rosa corta e il doppio (triplo, se consideriamo il percorso significativo anche in Copa Argentina) impegno hanno pesato non poco sul finale di stagione della Banda. Il Racing è stato molto più lesto delle altre inseguitrici, meritando di vincere il Torneo di Transicion grazie ad una striscia di successi sorprendente.

Quali i giocatori si sono messi più in mostra? Quali i giovani?

Giulio: nel Racing di sicuro Bou, autentico trascinatore coi suoi gol, e Ricardo Gaston Diaz che sulla fascia ha dato equilibrio e assist. Nel River su tutti Pisculichi, architetto della fase offensiva. Nel Lanus Romero, punta davvero completa che ha messo a segno 11 gol. Oltre a loro menzione d’affetto per Lucas Pratto, che voleva chiudere da capocannoniere e ci è riuscito. Come giovani è emerso Kranevitter, valore aggiunto finchè ha giocato, e personalmente dico Boye, che ha un insieme di caratteristiche che apprezzo.

Gianni: Bou non può non essere considerato la grande sorpresa del semestre, soprattutto pensando al suo passato con la maglia del River Plate. Arrivato nella prima squadra dei Millonarios come uno dei talenti più cristallini delle giovanili, soffrì moltissimo l’adattamento al calcio dei grandi, pagando anche le enormi difficoltà che la squadra viveva in quel periodo. Tuttavia, l’unico nome che mi sento di fare è quello di Matias Kranevitter: da mesi si attendeva la sua esplosione ed eccola arrivata. È stato il dominatore del centrocampo del River, confermando per l’ennesima volta una straordinaria conoscenza del gioco. Peccato soltanto per il lungo infortunio nel momento più importante della stagione.

Capitolo Libertadores: a cinque anni dalla vittoria dell’Estudiantes e dopo quattro vittorie consecutive in salsa Verdeoro un’Argentina è riuscita a tornare sul podio: il San Lorenzo di Papa Francesco, poi giunto ottavo in campionato. Quale futuro per il Ciclon?

Giulio: per la vittoria del San Lorenzo si sono evidentemente allineati i pianeti, ed era un evento atteso da chiunque a Boedo. Il futuro immediato è il Mondiale, in cui tutti i tifosi sperano tantissimo, a cui di fatto è stato sacrificato questo semestre. La squadra per il futuro è buona, magari non da primissime posizioni, con esperienza e qualità, anche se bisogna sempre aspettare il mercato.

Gianni: concordo con Giulio, c’è una base buona, ma non eccellente. Con il Mondiale per Club si chiude un ciclo storico e la dirigenza del Ciclon dovrà fare un buon lavoro per ripartire nel migliore dei modi.

La Copa Sudamericana è stata invece vinta dal River. Aggiungendoci il secondo posto dell’Argentina ai Mondiali, un anno d’oro per il calcio argentino…

Giulio: verissimo, e in un periodo in cui sembrava tutto nero. A livello locale trovo ci sia stata una certa evoluzione tattica che ha certamente aiutato i successi nelle due coppe, oltre a importanti ritorni di giocatori di esperienza.

Gianni: un anno sorprendente, considerata la crisi del futbol albicelesta, inevitabilmente legata al momento non proprio idilliaco del Paese. Come dice Giulio, c’è stata un’evoluzione tattica piuttosto evidente, dovuta anche al ricambio generazionale su molte panchine dei principali club. Un dato interessante, a tal proposito, può essere l’età dei DT delle prime 10 in classifica: ben 7 hanno meno di 43 anni.

Torniamo proprio ai Mondiali: quale bilancio si può trarre dall’esperienza brasiliana? Quali le prospettive oggi?

Giulio: la Nazionale vive di una generazione d’oro in attacco, che però fatica a trovare una reale amalgama. Del resto giocare con Messi non è affatto facile, chiedere a Barcellona per informazioni. L’Argentina di sicuro punterà alla Copa America di quest’anno, ma a breve deve cominciare un ricambio generazionale soprattutto tra porta e difesa. Talenti ce ne sono, ma vanno testati e fatti crescere.

Gianni: nonostante la sconfitta in finale, il bilancio è positivo, soprattutto considerando le brutte figure al Mondiale 2010 e alla Copa America casalinga. Tuttavia, come dice Giulio, è giunto il momento di dare un taglio con il passato e aprire le porte della Seleccion a nomi nuovi, soprattutto nei reparti in cui la nazionale albiceleste non ha a disposizione molti fenomeni. Personalmente credo anche che Martino debba iniziare a mettere da parte la tradizione di convocare in nazionale, come contorno alle stelle “europee” i propri fedelissimi allenati nelle squadre di club, come accaduto in modo fin troppo plateale durante la gestione Sabella.

A gennaio, sempre in tema di Nazionale, si disputerà il Sudamericano sub 20. Un torneo che manca dal 2003. Sarà la volta buona?

Gianni: risposta difficilissima, perché tutte le volte la Seleccion si presenta con un potenziale immenso che, puntualmente, si rivela essere un triste mix di talenti che fanno a gara per risolvere la partita da soli, complici dei DT piuttosto inadeguati. Però, scorrendo la lista dei preconvocati, è impossibile negare che l’Argentina parta come una delle favorite: Tripichio, Astina, Ferreyra, Leszczuk, Matias Sanchez, le stelline del River Mammana, Simeone, Martinez e Driussi. I nomi ci sono, vediamo se Humbertito Grondona riuscirà a fare ciò che non gli è mai riuscito. La profondità della rosa è sorprendente: la difesa è solida, il centrocampo quadrato e davanti l’unico problema è il sovraffollamento. Quasi dimenticavo, tra i preconvocati c’è anche un certo Angel Correa.

Giulio: come ha detto benissimo Gianni, talento ne hanno da vendere, ma è successo in tante altre edizioni passate. Bisogna vedere se riusciranno ad essere squadra una volta tanto.

La Sampdoria ha già ufficializzato l’arrivo di Joaquin Correa dall’Estudiantes. Che ne dite?

Giulio: Correa, che è Joaquin e non Angel, ha talento e fisico, che è un fattore importante per attraversare l’oceano. Come caratteristiche lo vedo adatto al 4-3-3, ma per interpretare il ruolo come chiede Mihajlovic servirà applicazione e pazienza. Si muove poco senza palla e tende un po’ troppo ad aspettare l’uno contro uno. Se saprà completarsi la Samp si troverà una bella plusvalenza in mano.

Gianni: francamente non ho seguito moltissimo l’Estudiantes. In Argentina è considerato un grande talento, ma ha abbastanza faticato ad esprimersi in una squadra comunque non eccelsa.

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Giusto tre giorni fa è terminato il campionato messicano. Una realtà che a me è sempre stata particolarmente simpatica, pur senza un motivo reale. Una simpatia nata nel lontano 1994, quando la Nazionale di Luis Garcia, Alberto Garcia Aspe e tanti altri si scontrò – anche – contro i nostri Azzurri al Mondiale americano.

Una realtà di cui in tanti anni ho parlato sicuramente poco e per parlare della quale ho coinvolto Antonio Pascale, espertissimo in materia e già nel team di autori che partecipò alla Guida ideata dal sottoscritto e realizzata a ridosso dell’ultimo Campionato del Mondo.

Ne è venuta fuori una discussione che spazia dal campionato alle Nazionali e che vi invito a leggere per masticare qualcosa in più di un calcio un po’ periferico ma che vive di grande passione…

L’America ha vinto sia la stagione regolare che i playoff. Insomma, trofeo meritato?

A mio modo di vedere il bello del campionato messicano è la sua imprevedibilità. Il fatto che tutti gli anni e fino all’ultima giornata tutto o quasi possa essere messo in discussione lo rende, per chi lo guarda, molto divertente. Anche il sistema in sé dei playoff (Liguilla) va in questa direzione. Negli anni si è poi sviluppata la cosiddetta “maldicion del liderzago”, ovvero la capolista della stagione regolare non è mai quella che conquista il titolo finale. Quest’anno abbiamo avuto un’eccezione, sebbene le capoliste erano 3 squadre a pari punti. L’America ha mantenuto costantemente la vetta della classifica dalla terza giornata; e negli ultimi 3 anni, cioè dalla rifondazione con l’arrivo del presidente Ricardo Peláez, è sempre stata ai primi posti. Sicuramente ha disputato campionati in cui ha dominato di più a livello di punti, di gioco e di risultati, ma per il lavoro, la serietà del progetto e la costanza dimostrata questo titolo lo merita tutto. Tuttavia alcune scelte societarie delle ultime settimane unite ai malumori in panchina e nello spogliatoio non mi fanno essere troppo ottimista per la prossima stagione.

America che con il Pachuca è ai quarti della Concacaf Champions League. Quali le prospettive delle due compagini messicane?

Il movimento futbolistico di tutto il centro America sta crescendo ed i grandi risultati del Costarica ai mondiali sono soltanto la punta di un iceberg che non è destinato a fermarsi. Ci sono sempre più allenatori stranieri che introducono nuovi concetti di tattica e di gioco, migliorando a piccoli – forse piccolissimi – passi tutta la cultura calcistica del continente. Delle 4 squadre messicane che erano presenti nella fase a gironi bisogna dire che Il Pachuca e l’America erano quelle con i gironi meno complicati. Sto pensando ad avversarie come l’Alajuelense, all’ Herediano o ai Montreal Impact. Le squadre messicane, sono da sempre le favorite a questo torneo, ma ora dovranno vedersela proprio con gli Impact (orfani di Di Vaio ma con il buon vecchio Ignacio Piatti) e con il Saprissa, leader in Costa Rica e presenza costante in questo torneo. Se riusciranno o meno a superare questi scogli dipenderà moltissimo da come le due squadre arriveranno a questi match. L’America sicuramente non avrà più il suo condottiero Antonio Mohamed in panchina. E questa assenza, secondo me, sarà molto pesante. Tuttavia da qui a Febbraio tutto può cambiare.

Tornando alla Liga Messicana, quali sono stati i giocatori capaci di mettersi più in mostra nel corso di quest’ultimo campionato?

Cominciamo dalla squadra vincitrice. Una nota di merito va sicuramente a Miguel Layún, che io trovo eccezionale (effettivamente anche io non capisco perché sia stato bocciato così velocemente in Italia, ndr). Trovatemi voi un esterno di difesa capace di segnare così tanti gol, addirittura 4 in una sola partita. Tecnica, velocità, tiro e adattabilità gli consentono di poter giocare tanto in difesa, quanto come esterno di centrocampo o addirittura come ala offensiva. Quest’anno è stato eletto miglior giocatore del torneo ma il suo processo di crescita, confermato dalla convocazione in nazionale, va avanti ormai da parecchi mesi. Un altro laterale da tenere d’occhio è Isaac Brizuela del Toluca. Sebbene non sia più così giovane (classe 1988), partita dopo partita dà l’idea che il suo talento possa esplodere da un momento all’altro. Presenza fissa con la selección, è stato uno degli eroi di Londra. Poi ci sono gli indistruttibili Boselli del Leon, Benedetto del Tijuana e Oribe “el cepillo” Peralta, che confermano ogni stagione a suon di gol di non essere delle meteore.

Il Messico è un paese che investe molto nel calcio, anche e soprattutto a livello giovanile. Chi sono stati i giovani più interessanti messisi in mostra negli ultimi mesi?

A livello giovanile ci sono ottime squadre che lavorano molto bene. Penso al Pachuca che ha lanciato tantissimi giovani di prospettiva, ma anche al Toluca o al Chivas. Sicuramente uno di questi è Jürgen Damm: 21 anni, centrocampista esterno del Pachuca, talento e ottima visione di gioco. Ma nei Tuzos, troviamo anche Rodolfo Pizarro e Miguel Herrera. Il primo è un centrocampista moderno versatile che può posizionarsi a destra come a sinistra, intelligente, veloce e temibile nell’uno contro uno. Il secondo è un difensore solido, una garanzia nel gioco aereo e nei contrasti fisici, un po’ meno nella velocità e nei movimenti. Ottimo elemento se solo avesse un po’ più di continuità. Infine Giovani Hernández, 21 anni, centrocampista offensivo sinistro del Chivas. Una delle promesse più discusse degli ultimi tempi. Scoperto da mister Van’t Chip nelle giovanili, ha debuttato con il Rebaño nell’Apertura 2012 a soli 19 anni. Centrocampista che per le sue caratteristiche predilige il gioco per le vie centrali, non ha paura di fare possesso palla o di provare ad impostare l’azione, anche sui campi più ostici.

Sempre a proposito di giovani, il prossimo gennaio si disputeranno i campionati under 20 della zona Concacaf. Messico che è inserito nel gruppo B con Haiti, Canada, Cuba, Honduras ed El Salvador. Quali prospettive per questo torneo?

Il Messico, anche in questo caso, si presenta a questo torneo come favorita assoluta. Ha vinto le ultime due edizioni consecutive e con 12 titoli in bacheca non può che dettare legge nel Centro America (seguono Canada, Costa Rica e Honduras con 2 titoli). Nelle fila di mister Sergio Almaguer, emergono il portiere Raúl Manolo Gudiño, in prestito dal Chivas al Porto, che nella scorsa edizione a soli 17 anni ha lottato testa a testa con Tim Howard per il titolo di miglior portiere. Poi ci sono Hirving Lozano della cantera del Pachuca (il suo esordio con gol all’America nello stadio Azteca è storia) ed Erick Gutiérrez, regista di centrocampo che a soli 19 anni gioca con una spensieratezza ed una maturità che già presagiscono il grande futuro che lo aspetta.

Sempre restando in tema Nazionale, che bilancio si può tracciare dell’esperienza messicana all’ultimo Mondiale?

Beh, considerando quali erano le premesse e come ci è arrivato, il bilancio non può che essere positivo. Miguel “el piojo” Herrera ha compiuto un vero e proprio miracolo sportivo. Una squadra improvvisata, finita ai mondiali quasi per caso, con un allenatore messo lì 3 mesi prima, che conclude il girone prima a pari merito con il Brasile ha compiuto già di per sé qualcosa di incredibile. Se poi nella gara contro l’Olanda dei vari Snejder e Robben arriva addirittura a sfiorare i quarti (perché ricordiamolo il Messico al 88’ vinceva 1-0), vuol dire che ha compiuto qualcosa di incredibile.

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Il nostro giro del mondo continua per sbarcare, con un po’ di colpevole ritardo, in Uruguay. Dove qualche giorno fa il Nacional ha vinto il Torneo Apertura della Primera Division locale.

Per parlarne, ovviamente, mi sono affidato ad Andrea Bracco, grande esperto di calcio sudamericano ed in particolare uruguagio.

13 vittorie, 1 sconfitta. Ruolino spaventoso per il Nacional in questo Torneo di Apertura.

Hai detto bene, ruolino incredibile. D’altronde in questo particolare semestre il Nacional si è dimostrato una vera e propria potenza rispetto alla concorrenza, soprattutto a livello tecnico, con una rosa completa in ogni reparto ed in grado di mettere tutti sotto. Nota di merito al tecnico Gutierrez ed all’intramontabile Alvaro Recoba, uomini giusti al posto giusto.

Solo – rispettivamente – settimo e dodicesimo Montevideo Wanderers e Danubio, vincitori di Apertura e Clausura dello scorso anno. Quali le motivazioni di questa regressione (che diventa tracollo nel caso dei campioni in carica)?

Spiegazione molto semplice. In Uruguay è molto facile “azzeccare” un semestre, nel senso che magari una società come quelle da te citate – che fanno la spola sistematica tra primi posti e coda della classifica – sul mercato preleva un paio di giocatori a parametro zero che rendono, magari affiancandoli ad ottimi giovani del vivaio. Il problema è che, una volta emersi, vengono subito portati via da club più importanti. Che possono essere Nacional o Penarol, ma anche squadre cilene piuttosto che colombiane, che li inseriscono poi in un contesto calcistico superiore. Gli Wanderers poi, in estate, hanno perso uno come Blanco, punta capace di segnare da ogni posizione…

Da un punto di vista dei singoli, chi sono stati i giocatori più impattanti del torneo?

Menzione d’onore per il capocannoniere Ivan Alonso, 15 reti totali, punta esperta che al Nacional ha contribuito in maniera sostanziosa alla cavalcata trionfale. Buono il semestre del portiere 43enne (!!!) Contreras, numero uno del Racing secondo in classifica. Nel Tanque Sisley si è messo in mostra il centrale argentino Santiago Fogst, prossimo al passaggio al Penarol, mentre nel Defensor – oltre al portiere Campana, nuovo nome per la nazionale di Tabarez – ha fatto faville Georgian De Arrascaeta, centrocampista impattante e totale, dal prossimo futuro europeo.

Venendo ai giovani, quali i più interessanti messisi in mostra nel corso di questa Apertura?

Oltre al già citato De Arrascaeta, a mio parere il miglior giocatore del 2014 in Uruguay, del Defensor va citato anche Santiago Arias, eclettico centrale che agisce spesso da terzino destro. Nel Nacional Gutierrez ha dosato alcuni prodotti del vivaio come il laterale destro Aja e le punte Barcia e Mascia (occhio a questo ragazzo), mentre la risposta del Penarol si è tradotta nell’ottimo “volante” Nandéz. Completano il mio elenco il difensore centrale Santiago Carrera (Sud America), la punta Jaime Baéz (Juventud), il centrocampista Leandro Sosa (Atenas), Fabricio Formiliano e Gaston Faber (Rispettivamente centrale e regista del Danubio) e Francis D’Albenas, attaccante in forza al Rampla Juniors.

Capitolo nazionali: quali le prospettive dell’under 20 che a gennaio disputerà la propria rassegna continentale di categoria?

L’under 20 è nel complesso una buona squadra, ma guardando i nomi coinvolti in vista della prossima rassegna sudamericana credo che si sia fatto un passo indietro. Sia chiaro, il livello rimane medio alto e bisognerà capire se i giocatori più forti che salgono dalla Sub 17 sapranno dare le risposte giuste. I migliori? Un nome su tutti: Hebér Ratti, mediano del River Plate Montevideo.

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Continua il mio giro del mondo a tappe. Questa volta si fa rotta verso l’Estremo Oriente, più precisamente il Giappone. Dove giusto la scorsa settimana il Gamba Osaka si è aggiudicato l’edizione 2014 del campionato locale, al termine di una stagione molto interessante.

Come al solito per esplorare a fondo questa realtà sarò accompagnato da un cicerone d’eccezione. Anzi, tre: il blogger Gabriele AnelloDaniele Morrone (appassionato di J League, scrive su L’Ultimo Uomo) e l’agente FIFA Emanuele Marlia, tutti grandissimi conoscitori del calcio del Sol Levante.

Quattro squadre tra i 60 e i 63 punti. Che campionato è stato?

Gabriele: E’ stato un campionato strano, ma pazzo come solo la J-League sa essere. L’Urawa era la favorita insieme al Cerezo Osaka, ma solo la squadra di Saitama ha mantenuto le premesse iniziali. Nel finale però la compagine di Petrovic si è sciolta: basti pensare che nelle ultime sette gare hanno ottenuto appena sei punti e una sola vittoria. Il Gamba ha fatto un girone di straordinario e ha avuto la meglio. I complimenti vanno anche al Kashima Antlers, dove Cerezo ha creato le basi per un ottimo 2015. E il Sagan Tosu si deve mangiare le mani: ad agosto, con ancora Yoon Jung-Hwan come manager, erano primi. Chissà come sarebbe finita con lui fino alla fine.

Raffronto tra le posizioni di Urawa (rossi) e Gamba (blu) in questa stagione

Daniele: E’ stata la solita matta J.League in cui ad inizio anno si può solo immaginare chi finirà tra le prime tre, sicuramente una outsider tanto farà capolino. Esattamente come lo scorso anno si chiude all’ultima giornata e con tre punti di differenza tra prima e terza, solo che quest’anno l’outsider non ha sfiorato il titolo come fecero gli Yokohama F•Marinos la scorsa stagione… l’ha vinto dopo una rincorsa di mesi. Sembra incredibile pensare che quando il Gamba Osaka ha incontrato all’andata i Tokushima Vortis, era vicino alla zona retrocessione. Anche quest’anno una squadra ha buttato al vento il primo posto, con gli Urawa Reds che dopo aver comprato mezza squadra dai bicampioni del Sanfrecce Hiroshima ha pensato bene di fare quello che sanno fare meglio a Saitama regalando l’ennesima delusione ai tifosi suicidandosi a due giornate dal termine dopo un campionato tutto in vetta. Non bisogna però dimenticare che è stato l’anno del Sagan Tosu della punta Yohei Toyoda, una squadra partita per non retrocedere e finita addirittura a tre punti dai vincitori. Una stagione appassionante. Peccato che sarà molto probabilmente l’ultima, visto che i parrucconi a Tokyo hanno pensato bene di abbandonare il formato del girone all’italiana per tornare al formato delle due fasi con la scusa che dovrebbe aiutare la spettacolarità della lega. Non solo in Italia chi governa il calcio non ne azzecca una.

Emanuele: Un campionato imprevedibile fino all’ultimo e soprattutto per questo molto piacevole, a mio modo di vedere. Probabilmente non la stagione più bella, tra quelle da me visionate, ma sicuramente una stagione che ricorderemo sia per motivi piacevoli, sia per motivi spiacevoli. Come la retrocessione del Cerezo Osaka, che è grande perdita per la J. League Division 1.

A spuntarla, alla fine, il Gamba Osaka. Chi sono stati i trascinatori del club allenato da Kenta Hasegawa?

Gabriele: Credo che innanzitutto vada reso merito proprio ad Hasegawa. La sua carriera da bandiera – sia in campo che in panchina – dello Shimizu S-Pulse è stata eccellente. Era un po’ fuori dal giro, ma il suo lavoro al Gamba l’ha riportato al centro dell’attenzione. Due anni fa si piangeva per la retrocessione, oggi si rischia di festeggiare il treble… Tra i giocatori, ne nominerei quattro. Il portiere Higashiguchi è arrivato dall’Albirex ed è stato eletto il migliore della stagione dai tifosi: merita qualche chance in nazionale. Patric sembrava il solito brasiliano andato a svernare in J-League, invece ha fatto 12 gol in 24 partite e ha deciso la finale di Nabisco Cup. Takashi Usami non sarà pronto ancora per l’Europa, ma in Giappone è illegale: ha deciso alcune partite da solo. Infine, Yasuhito Endo: a quasi 35 anni è stato in grado di reinventarsi trequartista e trovare la forza di fare un’altra grande stagione. E ha regalato 15 assist.

Daniele: Mi sento di dare quattro nomi su tutti, due famosi anche qui in Europa e due molto meno. I primi due sono capitan Endo e la stella della squadra Takeshi Usami. Su Endo si deve dire solo una cosa: leggenda. Usami (22 anni) dopo l’infelice esperienza in Germania è tornato a casa e in due anni ha recuperato tutto il terreno perso nei confronti dei coetanei con la panchina in Europa. Adesso domina in modo evidente la competizione, incidendo praticamente a piacimento e in tutti i modi. Si era perso le prime 8 giornate per un infortunio al polpaccio e non è certo un caso se con il suo ritorno è iniziata la cavalcata del Gamba. Merita una seconda chance in Europa, magari in un campionato diverso dalla Bundesliga. Magari in Italia. Gli ultimi due sono l’ala destra Hiroyuki Abe e il portiere Masaaki Higashiguchi. Abe (25 anni) è la classica ala giapponese estremamente rapida nello stretto, il cui livello mantenuto nell’arco della competizione è stato eccellente. Higashiguchi (28 anni) è un portiere affidabile in una competizione in cui il livello dei portieri è basso. Questa semplice cosa l’ha reso fondamentale per il Gamba. La sicurezza con cui ha gestito la porta è stata fondamentale nelle ultime giornate.

Emanuele: La corsa del Gamba Osaka è stata una corsa mozzafiato. Dopo un inizio di campionato segnato da nove punti in undici giornate, a causa di un modulo sbagliato e di alcune assenze importanti, dalla dodicesima giornata di Division 1 avviene il cambio di passo fondamentale. Da quel momento la squadra di Hasegawa si affida a tre giocatori chiave: il rientrante Usami, talento che ha realizzato una decina di goal e di assist e che a mio parere merita una seconda occasione in Europa ed una possibilità con la nazionale di Aguirre. Una stagione importante per il giovane ventiduenne giapponese, che dovrà riconfermarsi anche in futuro. Buone prestazioni anche per il compagno di reparto Patric. Per la punta brasiliana il passaggio alla squadra di Osaka si è dimostrato una buona opportunità per giocare con maggior continuità rispetto a quella che avrebbe avuto all’ Atletico Goianiense. A questi giocatori bisogna aggiungere la mediana formata dai veterani della nazionale: dal capitano Endo, che ha gestito l’azione del Gamba e realizzato quindici assist per i compagni e da Konno, che ha ridotto l’offensiva avversaria, rendendo più semplici gli interventi del difensore Keisuke Iwashita. Proprio il secondo posto per reti subite dopo lo Yokohama Marinos, a pari merito con il Kofu, è l’elemento che meglio dimostra la forza della squadra di Hasegawa.

Qualificate alla Champions anche Urawa Red Diamonds e Kashima Antlers. Giapponesi che nel corso dell’ultima edizione non sono andate oltre gli ottavi. Cosa vi aspettate per l’anno prossimo?

Gabriele: Credo che l’AFC andrebbe considerata un po’ di più dai club nipponici. Il Giappone dominava la competizione a fine anni 2000: l’ha vinta nel 2007 con gli Urawa e nel 2008 proprio con il Gamba. Gli ultimi anni hanno mostrato qualche disinteresse nella competizione: giusto il Kashiwa Reysol è arrivato in semifinale nel 2013. Credo che Gamba, Urawa e Kashima siano tre squadre ottime per ripartire. La finale no, ma un rendimento migliore sì, quello me l’aspetto.

Daniele: E’ ormai chiaro che l’AFC Champions League non interessa veramente alle squadre di giapponesi che la trattano come le italiane trattavano qualche stagione fa l’Europa League, una buona occasione per andare in gita fuori e conta solo quando si arriva in fondo. Fino a due stagioni fa il premio vittoria dell’AFC era addirittura inferiore a quello della J.League (non ho dati aggiornati per poter confermare sia ancora così) e questa cosa, unita a trasferte lunghissime, non aiuta la competizione in Giappone. Va anche detto che il livello medio delle squadre più importanti di J.League si è abbassato con la diaspora per l’Europa degli ultimi due anni. Detto questo sulla carta gli Urawa Reds mi sembrano la squadra più in grado di reggere il doppio impegno, ma essendo i Reds troveranno il modo di sabotarsi da soli lo stesso.

Emanuele: Ad oggi è complicato ipotizzare come andranno le squadre giapponesi in Champions. Posso ipotizzare il passaggio della fase a gironi per tutte e tre le squadre, se ovviamente non verranno indebolite in fase di mercato, con il Gamba e l’Urawa con più possibilità di andare avanti nella competizione.

Tra le retrocesse anche il Cerezo Osaka, terza quattro anni fa e partecipante all’ultima edizione dell’AFC Champions League. Cos’è successo alla squadra di Cacau e Forlan?

Gabriele: L’anno scorso erano arrivati quarti e sembravano pronti per il salto verso il titolo. Forse c’era qualche dubbio su Ranko Popovic, tecnico a inizio anno. Il prosieguo della stagione ha dimostrato che il problema non era solo lui: poco amalgama, qualche infortunio di troppo e la sensazione che la squadra abbia mollato quando la montagna è diventata troppo grande da scalare. Cacau e Forlan, per altro, sono stati pizzicati a ridere dopo che la retrocessione è diventata ufficiale dopo la gara contro il Kashima: non so quale futuro ci sarà. Dalle parti di Osaka sperano di non fare la fine del Kyoto Sanga o del Tokyo Verdy, grandi del calcio giapponese che dovevano risalire in J1 e ancora non ci sono riuscite.

Daniele: Chiunque pensa di sapere il perché della stagione del Cerezo Osaka mente a se stesso. Se fino a metà campionato era chiaro il declino nei risultati, nel momento esatto in cui è arrivata la zona retrocessione la squadra non ha capito realmente il rischio. La società non ha aiutato la cosa con scelte strane fuori e dentro il campo e non è chiaro se ci sia stato un vero e proprio shock nell’ambiente (Forlan oltre a lamentarsi di varie cose si è stupito di come i giocatori siano tornati il giorno dopo la retrocessione ad allenarsi con il sorriso e senza la minima pressione da parte della tifoseria). La squadra è piena di giovani di talento e tagliare i rami secchi non potrebbe che fare bene. Non per niente ma il Gamba Osaka ha vinto quest’anno dopo l’anno in seconda serie, bisogna ricordare che il rapporto tra le due serie giapponesi è molto più fluido di quanto avviene in Europa. Peccato che la società va da tutt’altra direzione e sembra già alla ricerca del nome nuovo da dare alla stampa.

Emanuele: Mi dispiace molto per il Cerezo di Osaka, ma la retrocessione meritata é dovuta a pessime scelte gestionali ad inizio stagione. La squadra di Osaka è sempre stata fucina di giovani talenti cresciuti nelle proprie giovanili o acquistati dalle migliori università/scuole calcio del Giappone. Per sostituire il partente Kakitani, si è preferito puntare su giocatori rodati e presumibilmente pronti, che garantissero anche un ritorno di immagine per la società. Questa scelta si è rivelata sbagliata, soprattutto nel caso di Diego Forlan, che mai si è integrato nella società nipponica. Poche prestazioni sufficienti le sue e terminate le possibilità di cercare nuovi giocatori sul mercato si è potuto solo intervenire sul mercato degli allenatori, cercando di dare una scossa alla squadra: tre tecnici ed altrettanti moduli diversi hanno semplicemente aumentato la confusione dei giocatori. Se a questi aggiungi la perdita per infortunio di Hotaru Yamaguchi, fondamentale a centrocampo, la cessione di Kakitani a metà stagione – ceduto al Basilea – ed una difesa impresentabile, le possibilità di rimanere nella massima serie erano poche. Aggiungo anche il mancato sviluppo psicologico di Minamino, dal quale ci si aspettava di più in questa stagione, a testimonianza che non ha ancora fatto quel passo fondamentale per essere definito un giocatore importante per il futuro del calcio nipponico ed asiatico. Troppo apatico ed egoista nelle sue prestazioni.

Essendo io un grande amante dell’”universo giovani” non posso esimermi: quali sono stati i migliori capaci di mettersi in mostra in questa edizione della J League?

Gabriele: Qualche nome si può fare, magari puntando su quelli che ancora non hanno presenze in nazionale maggiore. Takuya Iwanami del Vissel Kobe (classe ’94) è un centrale difensivo di grande prospettiva. Gakuto Notsuda del Sanfrecce Hiroshima (’94) era partito a bomba a inizio stagione, poi si è un po’ spento e ha giocato sopratutto con il Giappone U-22 in J3, ma è un ragazzo dal sicuro avvenire. Shuhei Akasaki dei Kashima Antlers (’91) è agli inizi, ma diventerà più forte di Yuya Osako: il 2015 sarà il suo anno.
Infine, se vogliamo scendere in J2, segnalo anche Yuki Horigome (’92): è di proprietà del Ventforet Kofu, ma ha giocato benissimo quest’anno con l’Ehime. Ne sentiremo parlare.

Daniele: Avendo già parlato di Usami non posso non parlare dell’altro ’92 che si è preso copertine e nazionale: Yoshinori Muto del FC Tokyo allenato da Ficcadenti. Muto è letteralmente esploso in estate passando dal semi anonimato ad essere titolare nella nazionale. Giocatore intelligente e dal buon fisico può giocare ovunque sulla trequarti e ha chiuso il campionato con ben 13 gol dopo aver giocato solo una partita la scorsa stagione. Nel dramma del Cerezo si è confermato invece un grande prospetto l’attaccante Takumi Minamino (19 anni) – lo trovate nel mio ultimo libro, La carica dei 301, ndr – un nome che comincia ha circolare già in Europa e stella della nazionale giovanile nipponica. Dall’ampio margine di crescita c’è l’attaccante esterno Musashi Suzuki (20 anni) dell’Albirex Niigata, una freccia che per adesso ha sviluppato ancora solo l’aspetto atletico del suo gioco, ma che sembra poter migliore sotto la giusta guida. Un mio pupillo è Ryota Oshima (21 anni) centrocampista titolare del Kawasaki Frontale una delle squadre che meglio gioca in Giappone. Oshima ha una visione di gioco e un “feel” per il gioco che promettono grandi cose, un progetto di playmaker che però non ha problemi a muoversi lungo tutto il campo rendendosi utile per i compagni in ogni zona. Ultimo nome che faccio è quello di Gakuto Notsuda dei Sanfrecce Hiroshima. Trequartista centrale di venti anni, ricorda nel modo di calciare e di muoversi in campo la versione giovanile di Honda e sono sicuro lo vedremo a breve in Europa. Chiudo indicando una squadra intera: i Nagoya Grampus hanno una rosa giovanissima con almeno cinque giovani interessanti a cui hanno dato fiducia in un anno di transizione, se non la prossima stagione, tra due torneranno sicuramente nell’elite.

Emanuele: Tre nomi, uno per ruolo: Iwanami del Kofu, Sekine dell’Urawa Reds e Muto del Tokyo. Il primo è un difensore molto interessante, che sta già dimostrando personalità e sicurezza negli interventi. Il centrocampista di destra Sekine, nonostante non abbia potuto giocare con continuità per ragioni di pochi spazi liberi nell’Urawa Reds, quando è stato chiamato a giocare dal primo minuto ha disputato ottime prove. Il prossimo anno potrebbe avere più spazi ed imporsi con continuità. Muto è stato probabilmente la vera sorpresa del campionato, assieme ad Usami. Titolare nell’FC Tokyo ed ufficialmente tra i talenti più cristallini della J.League. Sotto la guida di Ficcadenti, il giovane giocatore nipponico è migliorato molto, dimostrando una sicurezza ed un’abilità precoce per la sua età.

In ultimo, la Nazionale. A gennaio sarà impegnata in Coppa d’Asia. Giappone inserito nel gruppo D con Giordania, Iraq e Palestina. Quali prospettive per i Samurai Blue?

Gabriele: Il gruppo sembra fattibile, anche se l’Iraq è migliorato molto con i suoi giovani e la Giordania è cresciuta parecchio rispetto a quattro anni fa. La prospettiva di vincere la Coppa c’è. Certo, giocare in casa degli avversari principali per il titolo non sarà facile. Mi auguro che il Giappone possa confermarsi campione. Se lo facesse con un nuovo ct e un gruppo parzialmente cambiato (qualche faccia nuova ci sarà), sarebbe la certificazione per un dominio incontrastato sul continente.

Daniele: L’unica prospettiva accettabile per il Giappone in ambito continentale è il raggiungimento della finale della competizione. Il percorso però rischia di essere più complicato del previsto visto che la scelta Aguirre si sta rivelando un errore da parte della federazione, con il tecnico che oltre a non aver ancora dato un’identità alla squadra è sembrato anche molto insicuro sui suoi stessi nomi forti (i due nuovi entranti Shibasaki a centrocampo e Muto davanti sembrano l’unica nota positiva). Il tecnico non è forse ancora entrato nel calcio giapponese come fece tanto bene all’inizio Zac (è addirittura andato in Messico a ritirare un premio il giorno prima dell’amichevole con la Jamaica tornando sì in tempo per la partita, ma con tantissime ore di volo e un’assenza alla vigilia della partita che non depongono in favore del tecnico). Lo scandalo scommesse in Spagna che lo vede tra i nomi messi in mezzo poi non fa altro che peggiorare la situazione. Ovviamente in ambito continentale i nomi bastano ed avanzano per la semifinale, da lì in poi però potrebbero non essere sufficienti. Diciamo che la coppa arriva forse troppo presto rispetto ad un progetto ancora decisamente all’anno zero.

Emanuele: Purtroppo lo shock per l’uscita ai gironi in Brasile ha non poco demoralizzato i talenti giapponesi, che cercheranno di confermarsi in Coppa d’Asia, facendo ripartire gli ingranaggi della corazzata del Sol Levante. Dai campioni in carica non ci si può aspettare niente che non sia la vittoria del titolo e spero che queste aspettative non si dimostrino controproducenti. Il girone non è da sottovalutare. La Giordania si è qualifica arrivando seconda nel girone, senza subire sconfitte, dimostrando un netto miglioramento del calcio giordano. E’ una squadra che si basa sulla punta dell’Al Arabi Hayel. Anche l’Iraq si è qualificato come secondo del suo girone, scontrandosi contro avversari più difficili di quelli della Giordania come Arabia Saudita e Cina. Una squadra che schiera titolare Ali Adnan, che disputò un ottimo Mondiale U20 nel 2013 e che attualmente gioca titolare in Russia. La Palestina si è qualificata vincendo l’AFC Challenge Cup del 2014. Il Calcio palestinese è cresciuto molto dal 1999 ad oggi, ha tra i suoi giocatori più importanti un difensore paraguaiano naturalizzato palestinese: Javier Cohene. Detto questo, se il Giappone giocherà secondo i suoi ritmi e imponendo il suo gioco, penso che il passaggio del girone per Honda ed i suoi sia solo il primo passo della competizione.

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Giusto ieri sera sui profili ho seguito la finale del campionato MLS 2014. Vinta, come abbiamo già avuto modo di dire, dai Los Angeles Galaxy. Che con questo salgono a cinque successi nella propria storia, prendendosi la prima posizione dell’albo d’oro in solitaria distaccando i DC United di un titolo.

Come successo già al termine della regular season ho contattato Giacomo Costa per farmi una chiacchierata a conclusione della stagione.

Galaxy campioni. Per quanto mi riguarda con merito, dato che i Revs – che pure hanno rischiato di spuntarla – hanno giocato una finale globalmente inferiore a Los Angeles. Che ne dici?

Nella gara di ieri hanno sicuramente meritato i Los Angeles Galaxy. I Revs mi hanno deluso un po’, credo che abbiano giocato al di sotto delle loro possibilità, come gli stessi Galaxy. Gli americani sono abbastanza d’accordo sul fatto che è stata una delle peggiori partite dell’anno. Anche se è stata interessante lo stesso dato che si decideva una stagione intera. Nessuna delle due squadre ha voluto rischiare più di tanto e i giocatori che potevano cambiare il match sono rimasti nell’ombra quasi sempre. Alla fine l’ha spuntata anche la solidità dei Galaxy con un Omar Gonzalez difficilmente superabile quand’è in giornata, riesce quasi a far ben figurare Leonardo, il suo partner. Inoltre ha vinto per l’ennesima volta una difesa americana, come da tradizione. I primi mesi dell’anno non furono ottimi per la squadra di Los Angeles, poi l’esplosione di Zardes, il “ritorno” ai loro livelli di Donovan e Gonzalez e qualche invenzione di Bruce Arena hanno fatto sicuramente la differenza.

Robbie Keane MVP. E a coronare il tutto il goal decisivo in finale, ai supplementari. Premio meritato?

Sì, alla fine direi premio meritato. Anche se io avrei votato Nguyen. Perché 20 goal stagionali da centrocampista sono tanti, senza avere di fianco un Donovan che vince la classifica degli assist. Comunque grandissimo merito all’irlandese che è ancora ben messo fisicamente, d’altronde lo aveva dimostrato anche nel prestito all’Aston Villa, seppur sia passato ormai del tempo. Quest’anno ha giocato la sua miglior stagione e fisicamente, appunto, non mostra segni di cedimento preoccupanti. Si vede che ha ancora tanta fame di vittorie, lotta su ogni pallone e se la prende con l’arbitro anche per il minimo contatto dimostrando tanto agonismo.

La finale di quest’anno è stata anche l’ultima partita della carriera di un grandissimo del calcio americano, Landon Donovan. Sicuramente un esempio da seguire per i più giovani…

Donovan è l’idolo di ogni ragazzino americano che inizia a seguire il calcio. Trovare un altro volto così per il calcio americano sarà davvero difficile, anche perché il fatto che abbia giocato sempre negli Stati Uniti ha aiutato enormemente la crescita della MLS. Purtroppo si ritira già a 32 anni, una scelta inaspettata; avrebbe potuto giocare ancora, decisamente. Bisogna comunque rispettare la sua scelta, come è giusto che sia.

Quanto perde L.A. con il ritiro di Donovan?

Perde il miglior capocannoniere della storia della MLS e della Nazionale, miglior assistman della storia del campionato e un ragazzo capace di finire 7 volte nella Top XI della lega. Inoltre a livello di immagine e vendite (seconda maglietta più venduta dopo quella di Dempsey) è una perdita alla quale non puoi porre rimedio. I californiani hanno ora due Designated Players (Gonzalez e Keane), quindi potrebbero anche entrare nel mercato. Si dice siano interessati a Gerrard e Sneijder, ma sono solo voci.

Cosa ti aspetti dalla prossima stagione? Quali pensi saranno le squadre che si muoveranno meglio sul mercato e partiranno come favorite?

L’Orlando City si sta già muovendo bene. La stagione è finita ieri e già oggi avrebbero chiuso per Amobi Okugo, difensore centrale o centrocampista difensivo di Philadelphia che a questo punto non andrà in Bundesliga. Per il resto tutte dovranno rinforzarsi per arrivare ai play off e l’arrivo di due squadre competitive – almeno nelle intenzioni – come Orlando e New York City è un incentivo per tutte le altre, considerando l’addio del povero Chivas USA che era ormai un valore negativo sotto ogni aspetto per la Lega. In particolare mi aspetto nuovi acquisti dai Portland Timbers, soprattutto in difesa. Avrebbero preso Nat Borchers, molti lo conosceranno per la barba, non giovanissimo ma credo sia la mossa giusta per una difesa pessima. Nel 2013 avevano fatto grandi cose e il loro 4-2-1-3 era davvero bellissimo da guardare. Se sistemano la difesa saranno tra i favoriti. Come sempre tutte se la potranno giocare, in pochi avrebbero pronosticato il New England in finale. Inoltre l’expansion draft che si terrà tra qualche giorno, dove New York City e Orlando sceglieranno giocatori dalle altre squadre, cambierà le carte in tavola. Anche se difficilmente ci saranno giocatori forti non protetti dalle loro squadre, che ne possono salvare 10, più i vari Designated Players e Homegrown players. Poi il SuperDraft, dove se peschi bene puoi metterti in casa un Omar Gonzalez, un Besler o un Zusi, per fare esempi, se peschi male qualche giocatore inutile.

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La Major League Soccer sta entrando nel vivo proprio in questi giorni.

Per portarvi a scoprire meglio questo mondo, e più nello specifico l’andamento della stagione, mi sono fatto una chiacchierata con uno dei blogger più competenti, corretti ed educati della rete: Giacomo Costa, uno dei massimi esperti di MLS in Italia.

Partiamo dalla struttura: spiega un po’ a chi la MLS la conosce poco come è organizzato il campionato.

Comprendere la struttura del campionato può essere difficile per chi non lo mastica, sicuramente meno per chi segue gli altri sport americani. Infatti prende spunto dalle altre leghe con le “conference”, in questo caso Eastern e Western. Attualmente hanno rispettivamente 10 e 9 squadre, ma dalla prossima stagione (il campionato inizia a marzo e finisce ad inizio dicembre) entreranno Orlando City e New York City; inoltre il Chivas USA (ceduto per circa 100 milioni a degli imprenditori locali e a Tan Lian del Cardiff City) darà l’addio portando la lega a 20 squadre con lo Sporting Kansas City e gli Houston Dynamo che traslocheranno nella Western Conference. Entreranno nel 2017 Atlanta (che ha già 16,000 abbonati) e la nuova squadra di Los Angeles. Sacramento (20.000 spettatori in USL Pro) dovrebbe essere la 4° californiana. Ancora qualche dubbio per Miami, soprattutto per lo stadio e per la fan base. David Beckham potrebbe essere costretto a cambiare location, magari per il molto meno “glamour” Minnesota.
Fino a questa stagione le squadre hanno affrontato 24 volte le avversarie della stessa conference e 10 quelle dell’altra andando a comporre 34 giornate. Questo per quanto riguarda la Regular Season, ovviamente. Dall’anno prossimo dovrebbe cambiare il tutto dato che le squadre saranno 20. A fine stagione partono i classici play off dove si qualificano direttamente le prime tre classificate delle due conference, più le due vincitrici dello spareggio tra la 4° e la 5° classificata di ciascuna conference. Si arriva poi alla finale, chiamata MLS Cup, che è una partita secca che si disputa nello stadio della miglior classificata tra le due finaliste nella regular season.
Altra regola fondamentale del campionato è il salary cap, che molti non capiscono, mentre altri vorrebbero anche in Europa. Attualmente il limite è basso, troppo basso, ma già dalla prossima stagione dovrebbe salire grazie anche al nuovo contratto televisivo di 7 anni che porterà nelle casse del campionato circa 530 milioni in più rispetto a quello del periodo 2007-2014. Le regole hanno un solo obiettivo: rendere il campionato il più equilibrato possibile.

Veniamo all’edizione che sta entrando nel vivo in queste settimane: ad est si sono imposti i D.C. United davanti a New England Revolution e Columbus Crew. Al Knockout round vanno invece New York Red Bulls e Sporting Kansas City. La classifica rispecchia il valore effettivo delle squadre?

Per quanto mi riguarda lo Sporting Kansas City resta la squadra più collaudata, cazzuta ed equilibrata del campionato. Dopo aver trionfato lo scorso anno sono finiti al knockout stage anche per un pizzico di sfortuna. Hanno perso Zusi e Besler, convocati da Klinsmann per il Mondiale, da metà maggio a inizio luglio, il terzino destro Myers è fuori da inizio stagione, hanno ceduto Rosell allo Sporting Lisbona e hanno giocato qualche partita con un solo centrale di ruolo. Per il resto la classifica credo rispecchi i valori delle squadre; quelle rimaste fuori avevano qualcosa in meno delle altre, anche Toronto che ha speso tutto il budget per pochi giocatori. Il DC United ha fatto l’esatto contrario e ha chiuso al primo posto, ma ci sarà modo di parlarne più avanti dei Black & Red. Il New England e il Columbus Crew sono molti simili non avendo nomi che spiccano, ma questo vuol dire davvero poco. Al Knockout stage i newyorkesi hanno il vantaggio di giocare in casa, ma io punterei sullo Sporting Kansas City, anche se fare pronostici è davvero dura. Di solito la squadra di New York nel momento che conta davvero fallisce miseramente, ma il calcio è bello perché hai sempre l’opportunità di rimediare.

Ad ovest invece sono stati i Sounders a spuntarla, tre punti avanti ai Galaxy ed otto sui Real Salt Lake. Allo spareggio Dallas e Vancouver. Anche qui, è questo un ranking veritiero delle forze in campo?

La Western Conference la reputo di qualità migliore rispetto alla Eastern. Credo che anche in questo caso i valori siano stati rispettati quasi del tutto. I Seattle Sounders hanno visto finalmente l’esplosione di Martins e Dempsey dopo un 2013 di certo non brillantissimo e in difesa hanno aggiunto il veterano Chad Marshall, che si è rivelato un vero e proprio colpaccio. Sono una grande realtà che spesso e volentieri gioca di fronte a quasi 70.000 spettatori, sicuramente candidati a vincere la loro prima MLS Cup. I Galaxy a inizio stagione faticavano e non poco; li ritenevo una squadra con grosse lacune. Anche perché Omar Gonzalez, Donovan e Keane stavano giocando malino, e loro tre sono gli uomini fondamentali della squadra. Invece Bruce Arena ha fatto uno dei suoi soliti lavoroni, aiutato anche da un Omar Gonzalez rientrato in gran forma dal Mondiale, e quando è al 100% è insuperabile in difesa, e dall’orgoglio di Donovan dopo la porta che gli ha sbattuto in faccia Klinsmann e dopo il ritiro annunciato ad agosto. Tra i meriti dell’allenatore americano anche l’essersi inventato Robbie Rogers terzino sinistro e l’aver spostato il 23enne Gyasi Zardes in attacco che ha chiuso con 16 goal in 22 partite da titolare. La delusione in questa conference è senza dubbio Portland. Io li avevo addirittura dati come vincitori ad inizio stagione, dopo un gran 2013 nel quale si erano imposti come squadra con il miglior gioco con un offensivo 4-2-1-3. Statisticamente per vincere la MLS hai bisogno di almeno 3 difensori americani; loro dovevano rinforzarsi in quel ruolo e prendere un giocatore come Chad Marshall, che ha acquistato Seattle. Un centrale collaudato, abituato ai lunghi viaggi del campionato e alle difficoltà climatiche. Invece hanno puntato su Paparatto, arrivato dal campionato argentino, che difficilmente poteva fare bene in un campionato con uno stile di gioco come quello americano viste le sue caratteristiche. Infatti è finita male, anche se sono rimasti fuori per un solo punto. Tra Dallas e Vancouver, parlando dello spareggio, credo che siano più meritevoli i texani che giocheranno anche la partita in casa. Attenzione però ai canadesi che hanno giocatori imprevedibili come il 20enne Manneh (se non lo conoscete scaricate il mio ultimo ebook, La carica dei 301, ndr).

La classifica dei marcatori ad oggi è dominata da Bradley Wright-Phillips, autore di ben 27 reti. Quella degli assist dal solito Landon Donovan con 19 passaggi decisivi all’attivo.
Se dovessi fare qualche nome, chi sono stati i migliori giocatori della regular season?

Penso che nessuno, nessuno, si sarebbe immaginato 27 goal (6 su rigore) da parte di Bradley Wright-Phillips. In un certo senso ha anche fatto la storia dato che è il primo europeo a vincere il titolo di capocannoniere nella Major League Soccer. Ora lo seguono diverse squadre di Premier League ma dovrebbe rimanere a New York. Donovan dopo un inizio opaco ha tirato fuori l’orgoglio dopo l’esclusione dal Mondiale e grazie anche all’annuncio del ritiro. Purtroppo uno dei miei calciatori preferiti dal 2006 sta per chiudere una carriera che lo ha reso il vero simbolo del soccer americano.
Per farti qualche nome per ruolo credo che il miglior portiere sia stato Bill Hamid, una vera e propria saracinesca in questa stagione. In difesa premierei Omar Gonzalez e Matt Hedges di Dallas. A centrocampo Nguyen che ha siglato 18 goal da centrocampista centrale e in attacco, oltre a Bradley Wright-Phillips, direi Dom Dwyer, che ha siglato 22 reti, e Martins che mi ha colpito molto per la sua grande forma fisica.

Quando si parla di calcio con me, il discorso non può che finire anche sui giovani. Di americani ne ho inseriti molti nella mia carica dei 301. Ma dicci, quali sono stati i più interessanti di questo campionato, a tuo avviso?

Limitandoci solo alla Major League Soccer ne ho un paio da menzionare. Tra i più “piccolini” uno è sicuramente Erik Palmer-Brown, probabilmente conosciuto per essere un obiettivo di mercato della Juventus da almeno un anno. Ma anche Haji Wright dell’academy dei LA Galaxy che tu hai inserito nel tuo ultimo libro. Passando ai più grandi con buona esperienza come non citare DeAndre Yedlin, apprezzato da tutti al Mondiale? Lo seguo dal 2012 quando ancora giocava nel college e sono contento che avrà l’opportunità di giocare per il Tottenham. Nato nello stesso anno di Yedlin, nel 1993, quindi nemmeno così giovane, anche Wil Trapp. Questo centrocampista di Columbus mi ha stregato perché è un leader nato, sembra di guardare un 35enne a fine carriera quando gioca, ovviamente per l’aspetto carismatico. Leggevo giusto qualche giorno fa un articolo che prendeva in esame i migliori centrocampisti U24 dei migliori campionati del mondo e lui era l’unico con una percentuale di passaggi lunghi (25 o più metri) riusciti dell’86%. Ce ne sarebbero molti altri da citare ma chiudo con Diego Fagundez, il ragazzo che pare essere cercato da Fiorentina e Roma. A 19 anni conta già 88 presenze, 22 goal e 14 passaggi decisivi in campionato. Sicuramente un giovane dal grande talento che può ancora migliorare molto. Spero che che nel caso in cui venga acquistato da una squadra italiana non finisca a marcire in primavera da fuori quota.

Facciamo ora un passo indietro. Brasile 2014: un Mondiale sicuramente positivo per il movimento calcistico statunitense. In quanti anni pensi che la Nazionale a stelle e strisce possa arrivare a costruire una rosa che sia competitiva per, quantomeno, arrivare in semifinale e quindi potersi giocare l’accesso all’ultimo atto?

La semifinale la sfiorarono già nel 2002 quando al comando c’era Bruce Arena, quel match contro la Germania grida ancora vendetta nelle menti degli appassionati americani per quel pallone che finì sul braccio di Frings sulla linea di porta. Il Mondiale passato è stato positivo, ma lo stesso Klinsmann ha commesso qualche errore, a mio modo di vedere. A partire dall’esclusione di Donovan, che meritava sicuramente il posto. E’ ovvio che se a lui ha preferito Brad Davis nella decisione finale ha pesato il rapporto difficile tra i due. Discutibile anche la gestione di Bradley che ha dovuto correre molto (alla fine dei gironi era il calciatore che aveva corso di più in tutta la competizione) per scelta dello stesso Klinsmann che lo ha schierato in un ruolo inedito per lui con una condizione fisica precaria (infatti si è operato ieri a New York). Ma oltre a questo il Mondiale è stato positivo, considerando che si sono ritrovati senza una punta di riferimento dall’inizio. Personalmente pensavo dall’inizio che l’avrebbero spuntata nel girone, mi sono fidato molto di giocatori, soprattutto della MLS, come Zusi, che ha servito assist decisivi, che seguivo da tempo.
Una rosa competitiva ai massimi livelli credo che la avranno nel 2022 quando diversi talenti come Green, Zelalem, Junior Flores, Hyndman, Pulisic, Rubin e via dicendo avranno 25-26 anni. Anche se è presto per dirlo. Prima o poi trionferanno anche in questo sport, credo sia quasi inevitabile.

Ultima domanda, un po’ d’obbligo, sul patron dei D.C. United. Una squadra che l’anno scorso, con Thohir al timone, ha stentato molto. Mentre quest’anno, con l’indonesiano più concentrato sulle vicende interiste, sta volando.
Eventuali coincidenze a parte, come è visto il Presidente dell’Inter nell’ambiente del calcio professionistico americano? E ancora, qual è il tuo pensiero al riguardo?

C’è un po’ di indecisione su di lui da parte dei tifosi del D.C. United, almeno per quel che ho potuto vedere io. Il fatto che abbia trascurato la squadra per l’Inter non è piaciuto, più che altro perché lo ha dichiarato pubblicamente, e anche la trattativa per lo stadio da 300 milioni sta un po’ stufando i tifosi che sono costretti a giocare in una struttura davvero pessima per gli standard del campionato. Sicuramente su questo ultimo punto si giocherà moltissima credibilità. Io credo che Thohir sia un ottimo businessman ma è meglio che per la questione tecnica lasci fare agli altri, non a uomini di sua fiducia, proprio ad altri che sanno fare il proprio lavoro. La sua prima stagione nella capitale statunitense è stata disastrosa, poi, complice l’acquisto dell’Inter, si è defilato dando più potere a terzi che, devo dire, hanno operato perfettamente senza acquistare “nomi” ma solo giocatori di sostanza che li hanno portati in testa alla Eastern Conference con un budget normalissimo.

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Tre giorni fa ho pubblicato l’intervista al giovane blogger albanese Enxhi Fero sui fatti di Serbia-Albania: l’invasione del drone con la bandiera della “Grande Albania”, il parapiglia tra i giocatori, l’invasione dei tifosi, le tristi scene di violenza.

Beh, non parteggiando per nessuno, e volendo semplicemente provare ad approfondire quella triste vicenda, ho voluto sentire anche la cosiddetta “altra campana”.

Ho quindi contattato un grande conoscitore di calcio come Lazar Perovic per affrontare anche con lui la questione. Vista, questa volta, con gli occhi di un giovane serbo.

Partiamo dalla bandiera: avrebbe fatto differenza se al posto di quella della “Grande Albania” fosse volata sul campo la bandiera dell’Albania per come la conosciamo oggi? Insomma, l’affronto è stato il volo di una bandiera straniera o il volo di QUELLA bandiera?

Inizialmente, nessuno aveva capito che si fosse trattato di una bandiera raffigurante la “grande Albania”: ciò che si intravedeva era solamente l’aquila nera a due teste su sfondo rosso. Di conseguenza, ritengo che non avrebbe fatto molta differenza. Ciò che per me è stato assolutamente geniale, per quanto concerne il loro gesto, è l’aver fatto volare proprio nel centro di Belgrado e di fronte al presidente Nikolić e a tutti i vertici serbi, una bandiera raffigurante l’Albania “etnica”, così come la chiamano e considerano gli albanesi. Meriterebbero la vittoria a tavolino solo per aver pensato e organizzato in modo così perfetto tutto quanto. Era impossibile aspettarsi una cosa simile. È lampante che alla base di questa vicenda ci sia stata un’organizzazione non indifferente. Sono convinto che abbiano iniziato a pensarci sin dal momento del sorteggio e che tale progetto disfattista non sia stato architettato da uno o due albanesi qualsiasi, bensì da qualcuno di decisamente importante. Non sapremo mai la verità, probabilmente.

Legittimabile un atto violento non può esserlo mai. Ma quanto è capibile, da chi ha radici in quei luoghi, che il “semplice” volo di una bandiera possa scatenare la violenza che abbiamo potuto vedere in campo?

Non si tratta del “semplice volo di una bandiera”. Il gesto provocatorio degli albanesi non è da sottovalutare. Il loro sogno irrealizzabile è la creazione di ciò che la bandiera rappresentava, tale “Albania etnica”: uno stato popolato da soli albanesi e comprendente territori storicamente sempre appartenuti a stati quali la Serbia, la Grecia, la Macedonia e il Montenegro. Il “semplice volo di una bandiera” è stato motivo di orgoglio e giubilo negli incredibili festeggiamenti tenutisi successivamente a Tirana; i giocatori sono stati accolti come eroi nazionali per aver difeso una bandiera della quale, a mio parere, il 95% degli albanesi non conosceva nemmeno l’esistenza, o quantomeno il significato, prima che scoccasse il quarantaduesimo minuto della partita. Quella bandiera, effettivamente, non rappresenta alcunché di tangibile, se non il sogno “sovversivo” di una popolazione, e perciò mi ha stupito negativamente Cana per aver dichiarato che “quella della Grande Albania è la bandiera più bella del mondo”. Chi invece ho veramente apprezzato è stato Ivanović che, prima dell’inizio della partita, si è recato nello spogliatoio della squadra albanese per stringere la mano a ciascun giocatore avversario e ricordare il reale scopo della partita stessa: il calcio è uno sport e, in quanto tale, dovrebbe alimentare una sana competizione in grado di eludere i conflitti politici, etnici o religiosi; il match in questione avrebbe dovuto rimanere tale e non degenerare in un trionfo di violenza. Io, dal canto mio, la penso come il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, che ha dichiarato che si è trattata di una “provocazione irresponsabile”. È stato un gesto gravissimo ed inoltre estremamente pericoloso, che solo per l’intervento dei giocatori serbi non è ulteriormente degenerato. Poteva finire in tragedia, e non esagererei nel dire che ci sarebbe potuto “scappare” anche il morto.

Il volo della bandiera è stato letto come una provocazione. La violenza che ne è scaturita resta comunque totalmente esecrabile. Cosa pensi della decisione presa dalla UEFA al riguardo? E ancora, cosa avresti fatto tu, se avessi potuto decidere?

Si è trattato chiaramente di una gesto provocatorio. Agli avversari non interessava la partita, basti notare la foga con la quale tre giocatori albanesi si sono avventati su Stefan Mitrović, il quale aveva raccolto la bandiera per consegnarla al quarto uomo e riprendere l’incontro. Se avessero voluto giocare veramente, avrebbero lasciato Mitrović agire in tal modo. Invece no. Non è evidentemente andata così. La vicenda è degenerata: alcuni tifosi serbi sono riusciti ad arrivare in campo, eludendo la sorveglianza; altri, sono stati allontanati dagli stessi giocatori della squadra di casa, i quali hanno difeso, contro ogni aspettativa, i giocatori albanesi. L’UEFA ha preso la decisione più giusta. Penso che l’aver concesso il 3-0 a tavolino in favore della Serbia, il farle disputare due partite a porte chiuse, e l’aver multato entrambe le federazioni con 100.000€ ciascuna, siano state decisioni complessivamente equilibrate. Io, personalmente, avrei evitato di togliere i 3 punti alla squadra serba per una questione di correttezza nei confronti della scelta precedente di assegnare la vittoria a tavolino.

Giusto ieri ci sono stati disordini tra tifosi anche in un’altra “zona calda” dell’est Europa, l’ex Cecoslovacchia. Dove evidentemente alcuni dissapori continuano a sfrigolare sotto la cenere. Ancor più era quindi preventivabile che Serbia-Albani potesse essere una partita a rischio. Tre posizione: giusto giocarla, meglio non giocarla o era opportuno scegliere una via di mezzo come disputarla a porte chiuse o in campo neutro?

L’errore è stato quello di permettere che Serbia e Albania si affrontassero nel medesimo girone. La trovo una scelta assurda, dettata dall’irresponsabilità organizzativa della UEFA. Si sapeva sin dal momento del sorteggio che sarebbe successo qualcosa. Ciò che più mi spiace è che l’incontro tra i due premier Vučić e Rama, previsto per il 22 ottobre a Belgrado, è stato rinviato a data da destinarsi. È dal 1949, anno in cui Tito e Henver Xoxha si incontrarono, che ciò non accade. Stiamo parlando di ben più di mezzo secolo. Quello che sarebbe dovuto accadere il 22 ottobre 2014, avrebbe potuto essere un piccolo segnale di distensione e un modo per normalizzare i rapporti.

Infine, il pensiero corre già al match dell’anno prossimo, la gara di ritorno. Certo non sarà una partita normale. Come agire onde evitare si ripetano i problemi visti settimana scorsa?

Manca un anno a quella partita, ma credo sia praticamente certo che essa verrà giocata o in campo neutro o a porte chiuse. Perciò, ritengo che, salvo imprevisti, non ci saranno problemi di grossa portata. Confido in una organizzazione più efficace e sicura per i giocatori.

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Il match tra Serbia  e Albania, culminato con gli scontri tra campo e tunnel che porta agli spogliatoi, ha segnato una triste serata per il calcio europeo.

Tanto se ne è parlato, un po’ su tutti i media. E nonostante solitamente prediliga occuparmi di situazioni prettamente calcistiche in questo caso non potevo esimermi dal parlarne anche io. Con un po’ di ritardo, ma il tempo è quello che è per tutti.

Perché dico per tutti?

Perché per affrontare questo discorso così spinoso mi sono rivolto ad un grande conoscitore di calcio albanese, il blogger Enxhi Fero.

Con lui ho provato, nella chiacchierata che segue, ad esplorare i perché ed i riverberi dell’invasione da parte del drone con tanto di drappo, e di tutto quello che ne è conseguito e potrebbe conseguirne nei prossimi mesi.

Ma prima, per poter contestualizzare il conflitto e l’odio latente che vive ancora oggi tra serbi ed albanesi vi invito a fare un giro su Wikipedia, più precisamente a leggere questa pagina.

Enxhi, veniamo al match. Perché il volo di quel drone sullo stadio, con i fatti che ne sono seguiti a stretto giro di posta, ha scatenato il pandemonio, violento, che si è poi visto in campo?

Teoricamente perché rappresenta la “Grande Albania”: ovvero l’immaginaria Albania che comprenderebbe tutti i territori di etnia albanese. Come per esempio la parte Nord-Ovest della Macedonia, quella Nord della Grecia e gran parte del Kosovo. Dico teoricamente perché secondo me il drone con la bandiera è stato soltanto una scusante per scatenare tutto quello che il mondo ha visto. Per due semplici motivi: prima di tutto sono sicurissimo che in mezzo al campo nessun giocatore “abbia fatto” caso se la bandiera raffigurasse la grande, la media o la piccola Albania. Io penso che quello che abbia fatto surriscaldare la tifoseria di casa, come anche i giocatori albanesi, sia stata la bandiera. Per i serbi, perché volevano reagire a questa sorta di “affronto”. Quale affronto? La UEFA aveva proibito a qualsiasi tifoso albanese di arrivare a Belgrado, e inoltre aveva proibito qualsiasi manifestazione (bandiere, striscioni e così via) pro-Albania da parte dei quarantacinque albanesi presenti. Questo è l’unico motivo. I tifosi serbi non sono scesi in campo perché hanno visto raffigurata “la Grande Albania”, quello è apparso dopo attraverso tv, giornali, media. Proprio seguendo questa linea, infatti, si spiega il perché della reazione dei giocatori albanesi come Xhaka, Lila e Balaj. Nessun atto politico, soltanto il voler portare “la propria bandiera in salvo”, e di fatti fino a quando la questione è rimasta tra i giocatori in campo, brutte scene non si sono viste. Il secondo motivo invece che mi induce a non pensare che il caos si sia scatenato da una “provocazione politica” sono le immagini e i video dei quarantadue minuti di gioco. Se proprio vogliamo metterla sul piano politico, lo stadio era pieno di striscioni come “il Kosovo è Serbia”, oppure di bandiere come quella della Grecia, nazione storicamente “avversaria” dell’Albania. Per non parlare poi dei cori “uccidi l’albanese” e così via. Ripeto, a mio parere il drone con la bandiera è stato soltanto una scusante. Chi ha visto la partita sa che poteva succedere qualcosa da un momento all’altro.

Si è scritto molto della vicenda, imputando anche persone che con ogni probabilità non c’entravano nulla con il volo del drone. Cosa si sa, ad oggi, degli organizzatori di questo volo?

Il primo che è stato indicato come colpevole è stato il fratello del primo ministro albanese, Orfi Rama. Notizia assolutamente falsa, pubblicata dai media serbi proprio per alimentare questo clima di tensione e per mettere la questione su un piano politico. Nonostante ripetute smentite, molti media serbi hanno pubblicato che comunque Orfi Rama è stato arrestato. Vorrei smentire una volta per tutte: come dichiarato dallo stesso fratello del primo ministro, lui stava riprendendo i fatti con il suo tablet e questo ha indotto a pensare che fosse lui a pilotare il drone. Dopo esser stato controllato dalla polizia per un paio di minuti, tutto è tornato alla normalità. Quindi, nessun arresto! Per quanto riguarda chi sia stato veramente, l’ipotesi ora più plausibile sembra essere un ultras della storica tifoseria organizzata “Ballistet”. Piccola presentazione. I Ballistet sono gli ultras dello Shkendija Tetove, squadra del campionato macedone ma fondata da albanesi, e proprio la città di Tetove appartiene a quella zona del territorio macedone di etnia albanese. Dicevamo, le “colpe” sembrano ricadere su di lui perché in un commento di un mese fa su Facebook, aveva annunciato già che “stava concentrando tutte le sue forze per Belgrado”. Con annessa bandiera che poi si è vista nello stadio del Partizan. Vero o no questo non lo so, anche perché io penso che il vero “colpevole” non si saprà mai. Personalmente non escludo nemmeno l’ipotesi che il drone sia partito dalla tifoseria di casa. In queste situazioni tutto può essere, mai dire mai.

La gara è stata troncata proprio per le violenze che si sono susseguite al volo del drone. Cosa ti aspetti ora dalla UEFA? Si rigiocherà o verrà assegnata la vittoria a tavolino all’Albania?

Se fossi la UEFA penso che non ci dovrebbero essere dubbi. I fatti sono chiarissimi, e se per loro non lo sono ci sono le immagini e i video che lo testimoniano. Io assegnerei la vittoria per zero a tre a tavolino per l’Albania, con conseguente squalifica del campo per qualche anno per la Serbia. Tutto questo, non perché sono albanese ma perché penso davvero che i fatti parlino chiaro. Ci sono troppi elementi che vanno contro la squadra di casa, mentre per l’Albania c’è soltanto “la provocazione politica”, che secondo me è non è stata tale ma va bene lo stesso. Questo è il mio pensiero, ma se dovessi pensare a cosa realmente deciderà la UEFA tutto cambierebbe: ascoltando le dichiarazioni di Platini (“e se ci fosse stata una bomba?”) e Blatter, penso che i provvedimenti verranno divisi in ugual maniera. A quanto pare, per loro il drone con la bandiera è più da punire rispetto a quel tifoso che con un seggiolino di plastica ha colpito Bekim Balaj. Per questo, non so in che modo però, dal verdetto della UEFA non ne uscirà un “vincitore”.

Gli appassionati, nelle giornate susseguenti al match, hanno discusso molto sull’accaduto, anche sui miei account social. Le posizione sono le più disparate. Due vanno per la maggiore: da una parte c’è chi pensa che l’UEFA avrebbe dovuto impedire che Serbia ed Albania finissero nello stesso girone. Dall’altra chi dice che quantomeno il match andasse giocato a porte chiuse / in campo neutro. Secondo te come avrebbe dovuto gestire la cosa la UEFA?

Inutile fare i moralisti, Serbia-Albania è una partita che non si doveva giocare. Io prima del sorteggio, scherzavo con i miei amici proprio su questo fatto: “Vi immaginate Serbia e Albania in uno stesso girone?” con la certezza però che tutto ciò non sarebbe potuto accadere. Platini a mio parere si dovrebbe dimettere, perché è lui il principale (se non unico) responsabile di tutto quello che è successo martedì. Non puoi decidere di non inserire Spagna e Gibilterra nello stesso girone, e poi fare il contrario con Serbia e Albania che sono in conflitto tra loro da secoli e secoli. Niente campo neutro e porte chiuse: Serbia in un girone e Albania in un altro. Fare i moralisti non serve a nulla, perché poi ci ritroviamo a commentare situazioni del genere.

A prescindere da come finirà questa vicenda, in teoria l’8 ottobre dell’anno prossimo si dovrà giocare il ritorno del match, questa volta in Albania. Posto che le tensioni tra i due popoli sono molto radicate, è difficile pensare che la questione possa sopirsi per allora. Come agire?

Riguardo a questo, penso che la partita di ritorno si disputerà sicuramente a porte chiuse, se non in campo neutro. Dispiace molto per i tifosi albanesi, perché il primo ministro aveva promesso che la partita contro la Serbia si sarebbe disputata nel nuovo “Loro Boriçi” di Scutari che arriverà ad ospitare all’incirca 20.000 persone. Lo sport dovrebbe servire ad unire i popoli, ma quando si ha a che fare con “bestie selvatiche” fare pensieri o ragionare non serve proprio a nulla…

Ovviamente, sono dispostissimo ad ospitare su questo blog anche l’opinione di chi vede le cose dall’altra parte della barricata, ovvero sia da quella dei serbi.

Quindi, ci fosse qualche serbo intenzionato a portare il proprio punto di vista riguardo a quanto accaduto settimana scorsa non deve far altro che contattarmi via mail: francescofedericopagani@gmail.com

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A due settimane dal focus sull’ultima stagione di Premier e relative possibilità della Nazionale inglese ai Mondiali, torniamo in Inghilterra per concentrarci, stavolta, sulla seconda serie d’Oltremanica, il comunque seguitissimo campionato di Championship.

Ad accompagnarci in questo nuovo tour due ragazzi molto attenti al calcio minore di Londra e dintorni: Alfonso Russo di UkCalcio e Marco Barbanera.

Partiamo dalla stagione regolare: il Leicester ha ucciso il campionato, 102 punti finali…

Alfonso: Bisogna tornare indietro con la memoria alla stagione 2009/2010 per trovare un’altra vincitrice della Championship con 102 punti: il Newcastle. Il Leicester non è stata una sorpresa. Da molti era data favorita, certo non con questo margine così ampio. C’è da dire comunque che quello di quest’anno è stato il punto di arrivo di una programmazione pluriennale che ha dato i suoi frutti. Sarà interessante vederli in Premier League.

Marco: ….ed era ora! Dopo una serie di stagioni deludenti, le ultime delle quali finite con cocenti delusioni proprio nelle battute finali, le Foxes hanno trovato l’alchimia giusta e hanno meritato ampiamente la promozione. Leicester è una piazza che senza dubbio merita di giocare del calcio di prima divisione.

Al secondo posto il Burnley, alle cui spalle sono finite Derby, QPR, Wigan e Brighton. Ai playoff l’ha spuntata il QPR. Cosa vi aspettate dalle tre neopromosse, nella Premier dell’anno prossimo?

Alfonso: Il QPR ha ottenuto la promozione proprio all’ultimo secondo nella finale plauoff contro il Derby. Nonostante tra le tre promosse sia quella dalla maggiore esperienza recente in Premier credo che dovrà soffrire. Il problema è che specialmente negli ultimi tempi la forbice tra le squadre piccole e medie si è allargata notevolmente dando poco spazio alle squadre di medio valore. Come detto in precedenza mi sembra che il Leicester abbia fatto una programmazione intelligente e potrebbe essere la sorpresa della prossima stagione, ma occhio anche al Burnley che viaggerà sulle ali dell’entusiasmo. Sarò importante valutare le strategie di mercato e la competitività delle rose.

Marco: L’errore più grave (e che spesso viene commesso dalle neopromosse in Premier League) è quello di pensare che confermando la rosa della promozione con un paio di aggiunte si possa far bene al piano di sopra: nulla di più sbagliato. E se Leicester e QPR partono da una buona base (anche se il QPR deve svecchiare la rosa e magari abbassare il monte ingaggi, clamorosamente alto), il Burnley ha veramente tanto da fare. Sean Dyche ha veramente compiuto un capolavoro, arrivando secondo con una rosa cortissima e spendendo una cifra ridicola sul mercato. Non basterà in Premier League, a meno di voler ripetere le “prodezze” del Derby County 2007-08. Nonostante il cospicuo premio in danaro che ricevono le tre promosse, lo scalino economico con le squadre di Premier League è veramente grande e in costante aumento. Dovessi fare un pronostico, direi salvezza tranquilla per il Leicester, lotta dura per il Q.P.R. e retrocessione per il Burnley.

A retrocedere sono invece Doncaster, Barnsley e Yeovil…

Alfonso: Per Barnsley e Yeovil è stata una stagione molto complicata sin dall’inizio e le due squadre non hanno quasi mai dato l’impressione di essere in grado di poter mantenere la categoria. Per il Doncaster discorso diverso. La retrocessione è giunta all’ultima giornata (sconfitta fatale proprio contro i campioni del Leicester). Retrocedere dalla Championship può crere molti problemi alle squadre coinvolte che non possono affatto sentirsi favorite in League One che, insieme alla League Two, è un torneo moto equilibrato e difficilmente prevedibile.

Marco: Per il Doncaster c’è stata un’inversione di fortuna rispetto alla scorsa stagione, nella quale conquistarono promozione diretta (e titolo) all’ultimo secondo grazie ad una incredibile partita contro il Brentford. Il pareggio all’ultimo istante del Birmingham contro il Bolton ha decretato la retrocessione del Donny che comunque non ha fatto molto per meritare la permanenza nel Championship. Stagione assolutamente anonima per il Barnsley mentre lo Yeovil – e di solito odio usare queste frasi – ha già “vinto” con la partecipazione a questo campionato. Pensate che Yeovil è stata la città più piccola nella storia del calcio inglese a partecipare ad un campionato di seconda divisione!

In generale, quali squadre sono state sorpresa e delusione dell’anno?

Alfonso:  Due delusioni. Il Nottingham Forest che viene dato – anche a ragione – favorito ogni inizio di stagione, vede poi miseramente crollare il suo rendimento da gennaio in poi. Difficile trovare il colpevole, ma credo che la società abbia molto di cui scusarsi con i tifosi. Seconda delusione il Watford che con Zola avrebbe dovuto compiere un decisivo salto di qualità e solo Sannino (vera sorpresa della stagione) ha posto fine ad una pericolosa discesa verso le ultime posizioni di classifica. Non mi aspettavo una stagione così ricca di continuità dal Derby County che è arrivato a pochi secondi dal realizzare un sogno.

Marco: La sorpresa – pur dovendo ripetermi – è stato il Burnley. Dato per spacciato ad Agosto (i bookmaker li davano tra i primi quattro favoriti…per la retrocessione), con un budget minimo ed una rosa risicata, ha realizzato una stagione da favola. Vokes e Ings hanno portato avanti la squadra a suon di gol e non si può non menzionare lo splendido lavoro di Sean Dyche, che ormai per tutti è “The Ginger Mourinho”. La mia personalissima delusione è stato invece il Charlton. Lo scorso anno, da neopromossi, chiusero il campionato a ridosso della zona playoff dopo un inizio disastroso. Quest’anno non solo non si sono mai avvicinati alla promozione, ma hanno rischiato seriamente di retrocedere. Hanno sbagliato nel non licenziare il loro manager, Chris Powell, tenuto solo per il buon run di FA Cup (ed esonerato all’indomani dell’uscita dalla coppa) e hanno anche subito un passaggio di proprietà nel bel mezzo della stagione. Inoltre, un prato di The Valley ridotto ad un pantano e il già citato buon percorso in FA Cup li hanno costretti ad una raffica di rinvii che si sono tradotti in un grande numero partite ravvicinate nella fase finale della stagione. Il prossimo anno bisogna seriamente cambiare la squadra se si vuole essere un minimo competitivi.

A livello di singoli, chi sono stati i migliori in stagione? C’è qualcuno che potrà fare il salto di qualità in una prima divisione, l’anno prossimo?

Alfonso: Jordan Rhodes e Troy Deeney hanno dimostrato di essere pronti a fare il salto di qualità e fossi in una delle neopromosse farei un pensierino su uno dei due. Segnare rispettivamente 25 e 24 reti in due squadre (Blackburn e Watford) che non hanno raggiunto alcun obiettivo importante in stagione ritengo sia un notevole biglietto da visita. In particolare Deeney è stato protagonista di un fantastico inizio di stagione.

Marco: Non si può non citare Jordan Rhodes. Il perché sia ancora in Championship è un mistero irrisolto del nostro tempo. Nelle ultime tre stagioni ha realizzato 40, 27 e 25 gol fra coppe e campionato, col suo passaggio al Blackburn nell’Agosto 2012 che è stato il trasferimento più costoso nella storia del calcio inglese al di fuori della Premier League, ben 8 milioni di sterline. Tutti aspettano il suo passaggio in Premier League e credo che questa sia l’estate buona per vederlo passare al piano superiore.

Parlando di giovani, quali sono i migliori messisi in mostra quest’anno?

Alfonso: La scelta potrà sembrare scontata ma è inevitabile. Will Hughes, classe 1995, è sicuramente un giovane da tenere d’occhio ed il fatto che sia stato insignito del premio The Football Leage Young Player of the Year non è cosa di poco conto. Ha già compiuto la trafila delle nazionali giovanili entrando già nel giro dell’under-21; lo ricordo tra l’altro per essere stato protagonista di una puntata di The Football League Show mettendo in mostra anche le sue qualità umane. Sul piano tecnico: ottimo controllo di palla e velocità nei passaggi. Da lui ci si aspettava di più nella finale playoff, ma bisogna essere più clementi con un diciannovenne. La prossima potrebbe essere la stagione della consacrazione.

Marco: Per quanto riguarda i giovanissimi, bene Mason Bennett del Derby, che ha giocato solo 10 partite di campionato prima di essere spedito in prestito al Chesterfield (dove però non ha mai giocato). Nonostante le presenze limitate, ha portato comunque a casa il premio di Young Apprentice per quanto riguarda il Championship. Mentre per quanto riguarda calciatori un po’ meno “giovani”, Will Hughes (sempre del Derby) merita assolutamente una menzione. Dopo l’esonero di Nigel Clough ha preso le mani del centrocampo disegnato da Steve McClaren, diventando praticamente inamovibile dall’11 titolare dei Rams. Anche per lui c’è stato un premio a fine anno, quello di Young Player Of The Year dell’intera Football League.

Infine, non possiamo non parlare del Leeds United, che nonostante McCormack (capocannoniere del torneo con 28 reti) non ha disputato una stagione brillante. Quali sono le prospettive del club recentemente acquistato da Cellino?

Alfonso: Le difficoltà societarie hanno giocato un ruolo decisivo nel rendimento stagionale del Leeds. E lo stanno giocando ancora. La complicata situazione con i creditori che dovrebbe trovare una soluzione in questi giorni, sta impedendo alla società di pianificare l’immediato futuro tanto che la panchina risulta ancora vacante. Cellino non è ben visto dai tifosi che sono comunque coscienti del fatto che senza il suo intervento la squadra avrebbe avuto notevoli difficoltà. Crdo di poter affermare che la prossima sarà una stagione di assestamento, ma sarà importante per il Leeds poterla pianificare il prima possibile.

Marco: McCormack ha fatto una stagione stupenda. Non è più giovanissimo (classe 1986) e quindi, a differenza di Rhodes, non credo possa veramente sfondare ad altissimi livelli, ma questo nulla toglie alla sua annata. A livello societario ci sono state enormi turbolenze. Il tira e molla fra Cellino e la Football League è durato per mesi e nel frattempo nella squadra regnava l’anarchia più totale. Brian McDermott è stato cacciato e ripreso nel giro di qualche ora, negli ultimi mesi di campionato ci sono stati grossi problemi col pagamento degli stipendi…veramente una brutta situazione e infatti la squadra ha “flirtato” per diverse giornate con la retrocessione. Ora la situazione pare essersi stabilizzata e Cellino e i suoi hanno tutta l’estate per rimettere in moto la società e riportarla verso la retta via. Una delle tante, tantissime piazze di Championship che meriterebbero il ritorno in Premier League.

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Il nostro perdurante viaggio nell’universo calcistico globale ci porta oggi a fare tappa in Spagna. Ad attenderci nel virtuale aeroporto della capitale c’è Alfonso Alfano, cofondatore del sito TuttoCalcioEstero.it.

Con lui andiamo quindi ad esplorare il mondo calcistico spagnolo, tra un campionato in salsa Colchoneros, la Decima della Casa Blanca, la possibile fine del Tiki Taka ed il fallimento Mondiale spagnolo.

Atletico Madrid campione. Chi se lo sarebbe mai aspettato?

Nessuno, francamente; spezzare il duopolio Real Madrid-Barcellona era impensabile dieci anni fa, quando lo squilibrio economico tra le due potenze e il resto della Liga non era marcato come oggi, e giustamente fu celebrata l’impresa del Valencia. Ho avuto modo di vivere la cavalcata dell’Atletico, mese dopo mese, al fianco di veri tifosi “colchoneros”, quelli che dicono con orgoglio “ero abbonato anche in Segunda”; e nemmeno loro se l’aspettavano. Ti dirò di più, aspettavano quasi con rassegnazione il crollo, la domenica che si trasformava in tragedia. La sconfitta ad Almeria poteva significare la fine del sogno, ma sappiamo poi com’è andata…

Barcellona zeru tituli. E’ la fine definitiva di un ciclo, o il Barcellona potrà tornare a vincere da subito anche cambiando il minimo?

Il ciclo del Barcellona è finito con l’addio di Guardiola. Tito Vilanova, amatissimo oggi ma criticato a suo tempo, riuscì a sfruttare l’onda vincente di quella fantastica squadra vincendo la Liga dei “cento punti”. Ma, né in Europa né in campionato, si rividero gli stessi lampi dell’era Pep. Ovvio, non dovrà rivoltare la squadra come un calzino, ma Luis Enrique percorrerà un’altra strada. Inizia l’era del dopo-Xavi, è già un cambiamento epocale. Col ritiro di Puyol, poi, sarà l’annata decisiva per Bartra, uno che sta già tardando ad esplodere ai massimi livelli. Sarà curioso, e affascinante, assistere alla nuova era blaugrana.

Real campione d’Europa. Cosa vuol dire la “Decima” per i tifosi madridisti?

La Decima era un’ossessione, l’ha ammesso dopo Florentino Perez. Un’ossessione dolce, considerato che si parla della decima Champions, non della prima. Un’ossessione che si poteva “respirare” al Bernabeu, durante il celeberrimo tour all’interno dello stadio. C’era lo spazietto riservato alla Decima; oggi è la coppa mostrata con più orgoglio, il Madrid è stato scelto dalla Fifa come il club più grande del secolo scorso, vuole continuare la sua leggenda anche in questi decenni. E la Champions è l’unico viatico per continuare ad alimentare il mito.

Quattro Champions delle ultime nove sono volate in Spagna. Che ha dominato per anni anche a livello di nazionali. A cosa è dovuta questa incetta di trofei?

C’è cultura sportiva. Sembra scontato dirlo, ma le differenze a livello di strutture con altri paesi in cui ho vissuto, senza nemmeno contare l’Italia, sono lampanti. Nel calcio, poi, la svolta epocale è stato Aragones e il Mondiale del 2006. La Spagna ha nel sangue il “bel calcio” ma ha spesso peccato di scarso spirito competitivo, quello che ha permesso a noi di conquistare quattro stelle. E la loro “invidia” li portava a imitarci, giocavano contronatura. Il “sabio” ha invece cambiato la storia con quel Mondiale, oggi i giovani crescono senza complessi di inferiorità, senza manie di persecuzione (Tasotti, come lo chiamano qui, da queste parti è una celebrità…).

Tornando alla Liga, Ronaldo, Messi, Costa. Alle spalle di questi, Alexis Sanchez. Perché il Barcellona dovrebbe privarsene?

Il Barcellona non se ne priverà, almeno non secondo me. Sarebbe folle, senza contare che ritornare in Italia rappresenterebbe due passi indietro nella sua carriera. Alexis ha saputo guadagnarsi il rispetto di molti, ho l’impressione che con Luis Enrique possa essere ancora più importante al Barça.

Restando in ottica singoli, chi sono stati i migliori di questa stagione?

Per ruoli: tra i portieri Keylor Navas è stato semplicemente mostruoso, merita una big. Di Courtois sappiamo tutto, è stato decisivo per l’Atleti. Per la difesa scelgo in blocco quella dell’Atletico, scelta scontata ma dovuta; la menzione d’onore la merita però Filipe Luis, di gran lunga il miglior terzino sinistro al mondo (ditelo a Scolari). Benissimo anche Musacchio, in orbita Barcellona; sarebbe un gran colpo. Laporte, il francesino dell’Athletic, altro prossimo campionissimo. Centrocampo: Koke si è mantenuto su livelli altissimi durante tutta la stagione, lo stesso si può dire di Gabi. Rakitic, anche se con un leggero calo nel finale, ha incantato in tutti gli stadi dove ha messo piede, bene anche Rafinha nel Celta Vigo (tornerà da protagonista al Barça) e Iturraspe-Muniain a Bilbao. Inserisco qui anche Griezmann, un calciatore di cui sono “innamorato” da un po’ di tempo: è finalmente esploso, ne vedremo delle belle. In attacco, oltre ai soliti noti, prendo Bacca: ha prima stravinto il duello con Gameiro (che ha dovuto cambiar ruolo per avere più minutaggio), poi ha convinto a suon di gol e prestazioni convincenti. Lo seguivo nella Jupiler League, e sono contento sia arrivato già a questi livelli.

Siamo ormai tutti in clima Mondiale, ma il calciomercato non si ferma. Cosa ti aspetti in questo senso dalle varie squadre spagnole?

Escluse le tre big (l’Atletico comprerà in relazione alle cessioni), poco, molto poco. Come d’altronde è accaduto durante le ultime sessioni di calciomercato. I soldi scarseggiano, l’eventuale avvento di Lim a Valencia può ravvivare un pochino la situazione. Sarà così importante “riciclare” qualche ottimo calciatore finito nelle retrovie in qualche grande, o giovani che stentano a trovare spazio: Rafinha, Canales, Deulofeu all’Everton, hanno segnato la strada che devono seguire i club di fascia medio-alta in Spagna.

Proprio parlando di Mondiale, la spedizione spagnola è stata un fallimento. La squadra aveva, sulla carta, la rosa migliore del torneo…

Ne ero convinto anche io, l’ho scritto in giro a più riprese. Due scellerate partite non rappresentano comunque la fine di una leggenda. La Spagna, a differenza di quella pre-2006, giocherà una marea di semifinali e finali nei grandi tornei, puoi scommetterci.

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