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Archive for Maggio 2012

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Si avvicina l’Europeo e tutte le squadre che saranno impegnate in Polonia ed Ucraina scaldano i motori.

Tra queste la Francia, che qualche giorno fa, arrivo un po’ lungo, ha affrontato l’Islanda in quel di Valenciennes mettendo in mostra alcune lacune piuttosto preoccupanti.

Tempo di test, quindi nulla di allarmante.

Di certo però fossi un tifoso Bleus mi preoccuperei un tantino e spererei che Blanc, sicuramente uomo intelligente, si sia reso conto che certe soluzioni devono essere archiviate come esperimenti sì, ma falliti.

A cosa mi riferisco?

Semplice.

Partire con cinque giocatori non di spiccate doti offensive ma di doti quasi esclusivamente offensive può risultare insostenibile a maggior ragione se dietro non si ha esattamente una Linea Maginot a protezione della porta.

Perché a Valenciennes la Francia si schiera con una sola punta sì, Benzema, ma ben quattro mezzepunte schierate praticamente in linea a centrocampo: Menez e Ben Arfa sulle fasce, Nasri e Gourcuff in mezzo.

E la squadra implode.

Perché dietro c’è il solo Cabaye a fare da schermo ad una difesa in cui capitan Mexes è l’ombra di sé stesso e Rami può pochino, da solo. Ed in cui Debuchy dimostra, anch’esso, di trovarsi meglio in fase propulsiva che non difensiva, ed Evra di aver già sparato i colpi migliori della sua carriera.

Insomma, scenario un po’ apocalittico.

E non per nulla gli islandesi ne mettono due, giusto per gradire, gelando il pubblico di casa.

Nella ripresa le cose migliorano.

Qualche cambio e la Francia assume una fisionomia più da squadra che non da “all star”, riuscendo addirittura a ribaltare il risultato.

A pesare, sull’iniziale duplice svantaggio, è sicuramente la scarsa solidità di una difesa che andrà registrata in vista dell’Europeo quanto di un centrocampo praticamente inesistente. Non meno colpa, però, la ha anche l’incapacità dei cinque là davanti, tutti talenti purissimi, di dialogare tra loro.

Perché in diversi casi tendono a specchiarsi troppo i tenori schierati da Blanc, che finiscono così col non riuscire a pungere come potrebbero e dovrebbero.

Da capire, quindi, come Blanc riuscirà  a sistemare le cose da qui al via dell’Europeo.

Una vittima illustre, intanto, il fallimento di quell’esperimento l’ha mietuta: Gourcuff, infatti, resterà a casa. Blanc ha deciso infatti di escluderlo dalla lista dei 23 che partiranno per l’est Europa.

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Domina in lungo e in largo il Varese di Maran, che parte col piede giusto in questi playoff che potrebbero regalare un sogno impensabile solo un due/tre anni fa a tutta la città e la provincia, da sempre conosciuta e rinomata più per il basket, il volo ed il canottaggio che non per il calcio.

Vibrano però i calciofili varesini, giunti in massa al Franco Ossola credendo nel miracolo.

E la squadra risponde alla grande, riscattando quel 3 a 0 patito proprio a Verona in regular season grazie alle reti di Kurtic e Terlizzi e ad una prestazione globale di altissimo profilo.

Troppo contratto e rinunciatario il Verona di Mandorlini, che scende in campo, nonostante il 4-3-3 base, per cercare un pareggio che non arriverà, infrangendosi anzi dopo soli due minuti quando Kurtic, su punizione, batte sul proprio palo un Rafael non esente da colpe.

Da lì in poi, in particolar modo nel primo tempo, sarà un monologo varesino.

Solo sporadiche e comunque senza nerbo le avanzate ospiti, continuative e ficcanti, invece, quelle varesine.

Padroni di casa trascinati in particolar modo da un sempre immenso Neto Pereira, che, non mi stancherò mai di dirlo, non si capisce come a 33 anni possa non aver ancora assaggiato la Serie A, e di un Emanuel Rivas in grande spolvero che nei primi quarantacinque minuti domina la sua fascia ridicolizzando a più riprese i diretti avversari e mettendo in mostra una facilità di dribbling disarmante, che ricorda un po’ quella di uno dei beniamini Biancorossi che lo scorso anno sfiorarono l’impresa: Alessandro Carrozza.

E’ forte, compatto e maturo questo Varese, che segue i dettami tattici di mister Maran e che a sprazzi dimostra di poter essere serissima candidata ad un posto nella massima serie: come quando con tocchi rapidi nello stretto riesce ad uscire alla grande dalla propria metàcampo per distendersi in fase offensiva e creare apprensioni alla difesa veronese.

In cui, debbo dirlo, sono rimasto un po’ deluso dall’islandese Hallfredsson, altro giocatore che meriterebbe ben altri palcoscenici che non quelli comunque più che degni rappresentati dalla Serie B.

Vittoria più che meritata, insomma, per la squadra di casa che, a ben vedere, con un po’ di precisione in più sottoporta chiuderebbe con tre o quattro goal di vantaggio facili, chiudendo la pratica finale.

Da Cacciatore a De Luca a Rivas, però, è proprio l’ultima stoccata a mancare spesso agli uomini di Maran, che così tengono assolutamente in gioco un Verona che, ne sono certo, al ritorno scenderà in campo con tutt’altro spirito e il pugile all’angolo, al Bentegodi, potrebbe veramente essere il Varese.

Che ora dovrà quindi dimostrare di essere stato capace di fare un ulteriore step di maturità, andando su un campo ostico, con pubblico numeroso ed infuocato, se non a fare la partita quantomeno a reggere il colpo.

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Classe 1991, Alessandro Florenzi è uno dei tanti prodotti del sempre floridissimo vivaio romanista.

Nato proprio nella capitale, ha dato splendida mostra di sé realizzando 11 marcature nei 34 match in cui è sceso in campo quest’anno con la maglia del Crotone, società che lo ha prelevato in prestito la scorsa estate.

Centrocampista molto duttile, può occupare tutte le posizioni della mediana sempre avere cali percettibili in quanto a rendimento e, alla bisogna, sa destreggiarsi anche in posizione più avanzata.

Senso del goal, come dimostrano i tanti centri realizzati quest’anno, polmoni d’acciaio, tecnicamente valido, Florenzi è centrocampista completo e concreto dalle prospettive realmente interessanti.

Inutile dire, quindi, che il suo futuro non potrà essere a Crotone, squadra, con tutto il rispetto, di profilo un po’ basso per chi, come lui, merita ben altri palcoscenici.

Lo stesso dicasi per la Serie B, che dopo averlo ben svezzato quest’anno difficilmente potrà godere ancora della sua presenza nel futuro prossimo.

A fine stagione farà infatti sicuramente ritorno a Roma. Dove, però, non è detto resti per più di qualche settimana.

Prima di poter dissipare i dubbi relativi ad una sua possibile conferma nella società che l’ha cresciuto, comunque, andrà capito chi sarà il prossimo allenatore della Roma.

Qualora la strada scelta sarà quella di un mister coraggioso capace di puntare sui giovani (in questi giorni, ad esempio, si fanno i nomi di Zeman e Bielsa) ecco che allora la candidatura di Florenzi potrebbe prendere corpo e concretezza.

Su di lui, comunque, pare si stiano già muovendo altri club. Come il Pescara, a tutt’oggi ancora allenato dal boemo Zdenek Zeman.

E proprio lui, maestro della fase offensiva e grandissimo didatta capace di esaltare le caratteristiche dei giovani calciatori potrebbe essere l’uomo giusto per continuare la crescita di questo ragazzo, in pieno parte dell’under 21 di Ciro Ferrara.

Così dopo Caprari Pescara potrebbe essere baciata da un altro giovane virgulto Giallorosso.

Un centrocampista che ha il potenziale per imporsi anche in Serie A. Magari con medie un po’ inferiori a quelle attuali ma sempre comunque interessanti.

A margine: qualora il Pescara riuscisse nell’impresa di confermare i punti forti di questa stagione (Zeman in primis, poi Verratti, Insigne ed Immobile) aggiungendoci altri giocatori di valore (tipo Florenzi)… beh, diventerebbe una realtà interessantissima.

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Il movimento calcistico spagnolo si conferma ancora una volta superiore a quello italiano.

Il 2 a 1 con cui le giovani Furie Rosse s’impongono sull’under 19 Azzurra, infatti, pesa.

Pesa soprattutto perché questa sconfitta sancisce l’addio all’Europeo di categoria.

La Spagna parte meglio. Dopo cinque minuti Suso, tra i giocatori più interessanti della rappresentativa iberica, calcia dalla distanza, trovando la parata in angolo di Pigliacelli.

E’ una Spagna che pur essendo distante lontano anni luce da quella super che, tra i grandi, è stata capace di vincere in due anni Europeo e Mondiale è impostata per creare gioco ed imporre il proprio stile sul campo.

L’Italia, di contro, dimostra che la nostra scuola tattica è tutt’altro che morta. E così di fronte ad una Spagna che prova a manovrare per mettere in difficoltà la difesa di casa si oppone una fase difensiva ben regolata oltre che una buona capacità di ripartire una volta strappato il pallone.

Spagna che, per altro, si piace troppo. E quel classico leziosismo iberico aiuta sicuramente gli Azzurri a restare compatti e concedere ben poco agli avversari.

Italia che, di contro, risulta piuttosto leggera, e non in quanto a peso in chili, là davanti.

Così nonostante sappia ripartire benino, con un Liviero che spinge più del suo alterego a destra, Zampano (comunque molto interessante) ed un Improta sempre ficcante, la nazionale Azzurra fatica ad essere incisiva sotto porta.

A regalare il vantaggio alla squadra di Evani ci pensa quindi Ramalho, che buca un lancio diretto in area, sbucciando il colpo di testa e regalando allo stesso Improta la rete dell’1 a 0 (nonché il suo secondo goal in due partite).

Da lì sempre brava la squadra di Evani a controllare il gioco spagnolo. Con le Furie Rosse che non a caso pareggeranno solo su punizione, nella ripresa, con Gomez.

Il goal che vale i tre punti per gli spagnoli, però, è un errore difensivo. Rodriguez riceve oltre la trequarti e non viene chiuso tempestivamente. Così arrivato al limite supera un uomo e impallina Pigliacelli imparabilmente.

E’ la fine, precoce, di un sogno chiamato Europeo.

In tutta onestà, nel complesso, l’Italia non ha demeritato. Per quanto sia sembrata “un po’ poca roba”.

E il nostro movimento continua a zoppicare…

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Test molto poco indicativo quello che ha visto la nazionale di Cesare Prandelli affrontare la Virtus Vecomp.

Troppo grande la differenza tecnica, atletica, tattica in campo.

Proprio per questo il C.T. italiano si prende il lusso, che difficilmente ripeterà nel corso della fase finale dell’Europeo, di schierare contemporaneamente Diamanti, come mezz’ala sinistra, Giovinco, trequartista, e la coppia Di Natale – Cassano là davanti.

E proprio il talento di Bari Vecchia porta in vantaggio gli Azzurri: Nocerino lanciato sulla destra centra una palla sporca che la non irresistibile difesa veronese non riesce a spazzare, con Cassano che non ha problemi a depositare in rete.

Il tutto poco dopo che Di Natale aveva colpito un palo, con conclusione in questo caso deviata da uno dei centrali virtussini.

E poco prima che lo stesso Cassano lanci il capitano dell’Udinese con un bel filtrante in area, che sarà concluso però contro l’estremo difensore avversario.

L’intento di Prandelli è comunque chiaro, e segue quel fil rouge impostato fin dall’inizio della sua esperienza in Azzurro: palla bassa e dialogo.

Proprio così nasce la seconda rete: Balzaretti, sulla trequarti sinistra del fronte offensivo Azzurro, serve Cassano con un passaggio radente il suolo che trova il talento barese sul limite destro dell’area avversaria. Tocco di prima dentro per Di Natale, che questa volta non ha problemi a trovare il goal.

E’ una trama di passaggi molto fitta quella che ordiscono gli Azzurri, con Diamanti che agisce quasi da play defilato (come detto si trova ad agire come mezz’ala sinistra, con De Rossi centromediano e Nocerino mezzo destro), Giovinco che svaria e si abbassa per dialogare coi compagni e il duo Di Natale – Cassano (in particolar modo quest’ultimo) che si muovono per non dare riferimenti alla smarrita difesa della Virtus Vecomp.

La terza rete è quindi siglata da Sebastian Giovinco. Sempre al termine di un’azione, in questo caso viziata da un rimpallo fortunoso, che è tutta costruita sul dialogo-a-ogni-costo.

La quarta è invece ancora farina del sacco di Totò Di Natale, che probabilmente si rende conto di essere all’ultima occasione della carriera per provare a lasciare una traccia a livello internazionale.

Insomma, una ricerca, quella di Prandelli, tutta mirata alla qualità.
Con la Spagna che resta inarrivabile, ma con una filosofia che prova ad avvicinarcisi.

Perché la palla non si alza praticamente mai. Il fraseggio è continuo. Una sorta di tiki-taka barcellonista ma in salsa italiana.

L’avversario non è di livello assoluto e il test quindi non risulta probante, con tutto il rispetto per i ragazzi della Virtus, che comunque danno tutto sul campo e provano a gettare il cuore oltre l’ostacolo consci dell’occasione unica che stanno vivendo.

Però la filosofia è chiara. E indubbiamente diversa da quella che ha caratterizzato la maggior parte della storia del calcio Azzurro.

Nella ripresa Prandelli cambia: il modulo diventa un 4-3-3 e cambiano anche tanti interpreti.

Scendono ad esempio in campo i tre giovani preconvocati dal C.T. Azzurro: Verratti, Borini e Destro.

La quinta rete sarà quindi segnata da Nocerino, sempre al termine di una trama di passaggi infinita, servito proprio dalla punta in comproprietà tra Parma e Roma.

Nemmeno il tempo di rifiatare e lo stesso Borini mette in mostra tutta la sua voglia di andare all’Europeo prendendo palla, puntando la porta, recuperandola una volta persa e bucando poi l’estremo difensore avversario.

Borini che firmerebbe la sua doppietta personale al quarto d’ora della ripresa, con il goal annullato però per presunto fuorigioco.

Italia che porta quindi in porto una vittoria scontata che è sicuramente servita ad affinare un po’ l’intesa tra i ragazzi.

Martedì sarà la volta del Lussemburgo e sicuramente Prandelli ripeterà la stessa impostazione filosofica. Vedremo con quali risultati.

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Ormai sembra certo: la storia d’amore che ha legato Lavezzi al Napoli è arrivata alla fine.

Due le ipotesi veritiere che si aprono ora per il suo futuro, in attesa che qualche altra (tipo lo Shaktar, che in questo momento è però una possibilità piuttosto defilata) possa concretizzarsi più in là.

Da una parte il Paris St. Germain, che dopo aver fatto incetta di giocatori in Serie A negli ultimi dodici mesi (da Pastore a Thiago Motta passando per Menez e Sissoko) sarebbe pronto a tornare alla carica con un’offerta base di 26 milioni di euro per assicurarsi l’attaccante di Villa Gobernador Gálvez.

Dall’altra l’Inter, che non avendo la stessa disponibilità di contante vantata dai proprietari del club allenato da Carlo Ancelotti non può che provare ad abbattere l’esborso cash con l’inserimento di qualche contropartita.
In questo senso pare che l’ultima offerta presentata a De Laurentiis ammonti a 12 milioni, il cartellino di Pandev più uno tra Pazzini e Ranocchia.

Due offerte che, nel momento in cui devi privarti di uno dei tuoi migliori giocatori, allettano non poco, a mio avviso.

Per capire quale offerta accettare andrà prima chiarito il futuro di Mazzarri, che come abbiamo detto ieri potrebbe partire.

A quel punto si potrebbero quindi fare tutte le considerazioni del caso.

A bocce ferme, però, qualche considerazione la si può già fare.

E allora anche ammesso che si riescano a spillare un altro paio di milioncini agli sceicchi parigini… come reinvestire poi i quasi 30 milioni che la cessione del Pocho frutterebbe?

Indubbio dire che nonostante abbia una storia importante, legata in particolare alla figura di Maradona, Napoli non rappresenti una piazza ambita quanto Barcellona o Madrid.

E che, quindi, l’arrivo di un top player in sostituzione di Lavezzi sarebbe comunque ben difficile da operare.

A questo punto quei soldi, qualora venisse accettata l’offerta del PSG, potrebbero essere reinvestiti per portare avanti il famoso “progetto giovani” che tanto sta a cuore dell’attuale Presidente partenopeo.

O, qualora rimanesse Mazzarri, a puntellare la rosa con elementi di sicuro rendimento.

Elementi di sicuro rendimento che il Napoli a questo punto potrebbe vedersi recapitare dall’Inter. Accettando la cui proposta ci si vedrebbe integrare in rosa Pandev, giocatore già testato ed apprezzato al San Paolo, e uno tra Pazzini e Ranocchia, come detto.

Ovvero sia, ammesso che sarà Lavezzi l’unico a partire, si potrebbe vendere Lavezzi sistemando l’attacco e raggranellando comunque della liquidità da investire su un altro colpo, oppure puntellare tanto l’attacco quanto la difesa.

Anche qui, logicamente, molto starà nel capire cosa farà Walter Mazzarri.

Perché se l’attuale coach partenopeo siederà ancora sulla panca del Napoli facile immaginare che ai due giocatori arrivati da Milano abbini un terzo colpo con quei 12 milioni.

Qualora invece non sarà più lui il tecnico dei partenopei ecco che si potrebbero aprire scenari fors’anche più interessanti: puntellare la difesa con il nazionale Ranocchia, sostituire Lavezzi lanciando Insigne e puntellando il reparto avanzato con l’acquisizione di Pandev ed investire i soldi che Moratti girerebbe nelle casse napoletane per acquistare, magari, quel Verratti che ormai tutti bramano, nello Stivale.

Insomma, due offerte molto interessanti che andranno vagliate a fondo, soprattutto in relazione a come si potrebbero reinvestire gli eventuali danari raccolti dalla cessione del Pocho.

E se solitamente i Presidenti tendono ad accettare le offerte cash… beh, in questo caso fossi in De Laurentiis farei bene i miei calcoli. Perché se la partenza di Lavezzi mi permettesse, in un colpo solo, di fare miei Ranocchia, Verratti e Pandev… sarebbe forse un sacrificio più che dolce…

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Partiamo da un assunto importante: tutti i tifosi del Napoli dovranno ringraziare per sempre Walter Mazzarri per quello che ha fatto sulla panchina della loro squadra.

Basti pensare allo scorso campionato, giocato lungamente quasi alla pari col Milan campione. O alla splendida favola rappresentata dall’avventura in Champions quest’anno, dove da vittima sacrificale di un girone tostissimo il Napoli è stato capace di compiere l’impresa, crollando solo nel ritorno contro i futuri campioni d’Europa del Chelsea.

O, ancora, alla Coppa Italia appena vinta, capace di interrompere un digiuno di trofei che durava da troppo tempo per una squadra così importante ed un tifo tanto passionale come quello napoletano.

Posto questo, però, bisogna anche ricordare che “non tutto è oro ciò che luccica”, come si dice.

E allora se da una parte è vero che Mazzarri ha saputo fare grandissime cose sulla panchina del Napoli dall’altra è altrettanto indiscutibile il fatto che lo stesso non sembri il tecnico adatto per proseguire nello sviluppo del progetto De Laurentiis.

Perché è inutile girarci intorno: il Presidente ha fissato un tetto salariale piuttosto basso per i canoni dei top club europei. Tanto basso che non permetterà mai, stante così le cose, di aprire un ciclo capace di dominare in Europa come, per dire, ha fatto il Barcellona ultima in ordine di tempo.

Anche da qui nasce il probabilissimo addio di Lavezzi, che ovunque finirà (Inter, PSG o altro che sia) andrà sicuramente a guadagnare più di quello che prende e prenderebbe a Napoli.
Stesso discorso potrebbe essere valido per Cavani, che sicuramente interesserà molte squadre (prima fra tutte, pare, la Juventus di Conte, a caccia di un top player per l’attacco).

Poniamo quindi il caso che uno, o magari entrambi, dei “tre tenori” partano. Chi potrebbe prenderne il posto?

Certo, se veramente De Laurentiis riuscisse a strappare 30 milioni per l’argentino e addirittura 40 per l’uruguaiano avrebbe i capitali da investire sul mercato anche per qualche acquisto “pesante”.

Difficile però, con quel tetto ingaggi già citato, convincere un top player a prendere il posto del duo partente.

Anzi. Probabile che De Laurentiis, che solo a gennaio ha speso una decina di milioni per il cileno Vargas, sia convinto di avere già “in casa” i sostituti dei due partenti: lo stesso Vargas, appunto, più il genietto Insigne, che a Pescara sta facendo il diavolo a quattro.

In questo senso, però, il buon Mazzarri non pare sentirci. Il tecnico del Napoli infatti, notoriamente, non è mai molto ben disposto a dare grande spazio ai giovani, preferendo solitamente affidarsi a giocatori più navigati e di comprovata esperienza.
In questo senso non sarebbe certo contento di trovarsi a sostituire Lavezzi con Insigne.

Quale futuro per la guida tecnica dei partenopei, quindi?

De Laurentiis e il tecnico si incontreranno a giorni. E lì sapremo che ne sarà del loro rapporto.

L’incompatibilità di fondo sul “progetto giovani”, però, pare piuttosto palese. E allora, nonostante la stima e il riconoscimento di cui parlavo all’inizio, forse sarebbe giusto interrompere il rapporto con un anno di anticipo sulla scadenza naturale.

Chi puntare a quel punto, però?

Di nomi se ne vociferano un po’.

Ce ne sono due, però, che vedrei perfetti per un progetto giovani che non punti a vincere a tutti i costi: Bielsa e Zeman.

Non che convincerli sarebbe facile, probabilmente. Dato che entrambi hanno costruito due splendide realtà tra Bilbao e Pescara.

Però ad entrambi, grandissimi MAESTRI di calcio, non manca il coraggio di far giocare i giovani.

Il “Loco” l’ha dimostrato lanciando senza remore, tra gli altri, Muniain ed Aurtenexte, due che in Italia avrebbero probabilmente giocato in prestito in B l’ultima stagione.

De Laurentiis è Presidente vulcanico. Ma sicuramente non pecca in intelligenza.Zeman ha invece creato spettacolo assoluto con Verratti, Insigne (guarda caso…), Immobile, Caprari, Capuano, Romagnoli…

E allora ci pensi, De Laurentiis.

Perché se progetto giovani dev’essere le chiavi della squadra sarebbe bene darli in mano ad un maestro senza remore…

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Oggi la versione cartacea di Tuttosport ha rilanciato, con tanto di titolone in prima pagina, l’ipotesi Drogba-Juventus.

Un’ipotesi affascinante cui qualcuno aveva già accennato da tempo.

Del resto ormai sui giornali (tutti, negli ultimi giorni li sto leggendo tutti e tre, sempre) non si parla d’altro: la Juventus, tornata in Champions, arriverà a quel benedetto top player offensivo inseguito già la scorsa estate (quando poi i dirigenti dovettero ripiegare su Vucinic, top player solo potenziale ma troppo incostante per esserlo realmente alla prova dei fatti).

Suarez, Van Persie, Higuain, Cavani… i nomi si inseguono e si sprecano.

E Drogba, dicevamo. Che dopo aver vinto la Champions è pronto a lasciare il Chelsea a parametro zero.

Ma intendiamoci: la punta ivoriana è ormai a un passo, se non meno, dalla Cina. Che dopo aver arricchito il proprio campionato facendo sbarcare a Guanghzou Lippi è pronta ad accogliere anche Didier. Che, nel contempo, riceverebbe un trattamento principesco: dieci milioni all’anno.

Logico, quindi, che le possibilità di vedere Drogba altrove, magari alla Juventus, sono più che risicate. Tendenti allo zero.

Però… sognare è bello, ed è giusto che i tifosi lo facciano.

Ma non è bello solo sognare. E’ bello anche lasciare che la penna corra veloce sul foglio per costruire mondi di fantasia, ma comunque verosimili.

Così dopo che un mese fa consigliai a Marotta e soci l’acquisto di Verratti, che guarda caso oggi sembra essere vicino a concludersi, sono pronto a profondere un altro consiglio ai dirigenti juventini. Che dovrebbero buttarsi su Drogba, provando a convincerlo del fatto che ha ancora cartucce importanti da sparare, e che in Cina sarebbe più che sprecato.

Perché Drogba?

Perché  è un grande campione, certo. E non lo scopro io.

Ma non solo.

L’età gioca a suo sfavore. E chi mi conosce, o anche solo segue con una qualche regolarità questo blog, saprà sicuramente che io tendenzialmente preferisco il giovane a chi ha già dato il meglio di sé.

Ci sono sempre delle eccezioni, però.

Drogba oggi viene via a costo zero. Ingaggio pesante, certo (Tuttosport ipotizza un cinque milioni circa più bonus), ma un biennale ad un giocatore così che si libera a parametro è tutto fuorché una bestemmia.

E allora un’operazione economicamente più che accettabile che ti permetterebbe di rinforzare l’attacco con quel top player tanto agognato, nonché una delle migliori punte del mondo.

Ma non è finita qui: Drogba non sarebbe solo un rinforzo importante per un reparto che ha dimostrato qualche difficoltà (la Juventus ha bisogno di un giocatore da almeno 20 goal a campionato, Vucinic e Matri ne hanno fatti 19 in due…).

Sarebbe anche quel parametro zero che pur pesando in maniera significativa sul tetto ingaggi potrebbe lasciare intatta la possibilità di scucire tra i venti e i trenta milioni che sicuramente in Corso Galileo Ferraris stanno preparando per l’assalto a uno dei tanti attaccanti già citati in precedenza.

E allora facciamo un po’ di fantacalcio: mi presento con un’offerta importante da Drogba, stuzzicandolo soprattutto coi bonus, e lo convinco a non tarpare la sua carriera sul più bello, rimanendo in Europa a giocarsi ancora traguardi importanti (Serie A sicuramente, più comunque la vetrina rappresentata dalla Champions).

Poi prendo i 25/30 milioni che ho da parte e volo a Liverpool, convincendo la dirigenza Reds, che radiomercato vuole comunque morbida in questo senso, a cedere Suarez.

E mi presento al via della prossima stagione con Drogba, Suarez e qualche acquisto di contorno (un centrocampista e un difensore dovranno sicuramente essere acquistati, come minimo… ma trattandosi di rincalzi si potrà sicuramente trovare una soluzione economica, se lo si vorrà).

Impossibile? Diciamo di sì, ma solo perché ormai tutti danno per assodato che Drogba abbia già scelto la Cina (per quanto la sua dichiarazione in cui cita gli interessi della sua famiglia potrebbe far propendere verso una sua scarsa voglia di trasferirsi dall’altra parte del mondo, prediligendo il Vecchio Continente).

Se Marotta riuscirà a far saltare il banco, convincendo Didier a non accettare lo Shenhua, il gioco potrebbe chiudersi davvero così.

Certo, economicamente si dovrebbero fare dei sacrifici. Ma del resto è pur vero che la Juventus ha un parco giocatori da piazzare (pensiamo solo alle comproprietà, ma anche almeno uno tra Matri e Quagliarella che porterebbe in cassa non meno di dieci milioni) con cui potrebbe controbilanciare l’arrivo di Drogba e Suarez.

Sogni di una notte di mezza primavera per i tifosi… suggestione di un blogger con la febbre per chi scrive…

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Cerchi Hazard e Lukaku, trovi Yannick Ferreira-Carrasco.

Per quanto la notizia più importante di oggi è un’altra: inizia bene l’avventura della Fase Elite per l’under19 azzurra di Chicco Evani, che batte 2 a 1 il Belgio nonostante giochi in 10 buona parte del match.

Ma iniziamo dal principio.

Gli ospiti giocano meglio i primi dieci minuti, mettendo in mostra una discreta fluidità di manovra che li porta ad imporre il proprio gioco sui nostri ragazzi.

Non stupisca quindi se la prima occasione giunge dopo cinque minuti proprio sui piedi di un belga, con Hazard servito da Limbombè che calcia però a lato della porta difesa dal romanista Pigliacelli.

Dopo i primi dieci minuti di difficoltà, però, esce bene l’Italia, che inizia a mettere più intensità sul campo di gioco mettendo un po’ alle corde il Belgio.

Così al quarto d’ora arriva il goal azzurro: Busellato inventa un gran filtrante per l’ottimo taglio di Improta, che partendo da sinistra s’infila alle spalle della difesa rossa saltando poi Crimi prima di depositare il pallone in rete.

Il Belgio però non ci sta e due soli minuti dopo aver incassato il goal dell’1 a 0 prova a replicare con Menga che è però atterrato netto in area da Rubin. L’arbitro non si avvede del fallo, niente calcio di rigore.

L’Italia non si fa però spaventare e al ventesimo sfiora il raddoppio: De Silvestro fa il diavolo a quattro in area per calciare poi sul palo, graziando l’estremo difensore avversario.

La partita, frizzante, subisce uno choc al ventitreesimo quando Ely ferma fallosamente Hazard che gli si era proiettato alle spalle. Fallo da ultimo uomo, l’arbitro non ha dubbi: cartellino rosso.

L’Italia però, pur essendo rimasta in dieci uomini, non si dà per vinta e ci prova ancora. Prima con Belotti che infilatosi bene in area trova il solo Crimi ad opporsi a lui, poi con Improta che ci prova con una grande conclusione dalla distanza, trovando ancora una volta il portiere d’origine sicula a frapporsi con la via della rete.

Il raddoppio arriva quindi allo scadere, quando Belotti è messo già in area da Arslanagic e il guardalinee richiama l’attenzione dell’arbitro, per un calcio di rigore che è battuto magistralmente da capitan Schiavone.

La ripresa è giocata quindi su ritmi più bassi. L’Italia, nel complesso, si mangia due goal quasi fatti, con Improta e Belotti, e inizia a disunirsi un po’ dietro.

Perché, va detto, dopo un inizio così così la fase difensiva azzurra si ricompatta  bene dopo l’espulsione di Ely, chiudendo alla grande tutti gli spazi.

L’ingresso in campo del succitato Carrasco, però, cambierà le cose. Le piccole crepe che si aprono nella difesa azzurra, infatti, permettono all’attaccante del Monaco di sfruttare alla grande le sue doti di velocista nonché la sua qualità tecnica, e iniziano i problemi.

Non è un caso, quindi, se la rete della bandiera belga arriverà proprio dal suo piede che, ben imbeccato da una verticalizzazione di Hazard (che ricorda un po’ quella con cui Busellato manda in goal  Improta ad inizio match), trafiggerà l’uscita di Pigliacelli.

A quel punto siamo al sessantatreesimo. E da lì in poi ci sarà una mezz’ora di pura passione per i ragazzi di Evani, che dimostreranno comunque freddezza e sagacia tattica, portando a casa tre preziosissimi punti.

Italia che ora guida la classifica alla pari con la fortunata Spagna, che s’impone sull’Armenia sul filo di lana: è il goal realizzato al novantaquattresimo da Juanmi, infatti, a consegnare la vittoria alla squadra allenata da Julen Lopetegui, che qualcuno ricorderà come ex portiere del Rayo Vallecano (pur con trascorsi illustri, anche se da rincalzo, in Real e Barça).

Italia che venerdì alle 15 affronterà proprio la Spagna per uno scontro che, con ogni probabilità, risulterà decisivo. Battendo le Furie Rosse, infatti, il passaggio alla fase finale che si disputerà il prossimo luglio in Estonia sarebbe praticamente cosa fatta.

Venendo ai singoli non tantissimo da dire, in realtà. Mi sarei aspettato qualcosa di più da entrambe le parti, per quanto vada detto che diversi giocatori convocabili non hanno visto il campo oggi (da Leali, in panca, passando per Crisetig, Romanò e Caprari parlando della nazionale italiana e di Mats Rits o Romelu Lukaku pensando a quella belga).

Il giocatore che mi ha impressionato di più è quindi sicuramente Carrasco. Rapido, buon dribbling, bravo nel bucare Pigliacelli quando ne ha avuto l’occasione, tecnica sopraffina. Tanto che si fatica a capire perché parta in panca. Sempre che non sia proprio quello il suo punto di forza.

Poca roba, invece, i già citati Hazard e Lukaku, ovviamente fratelli d’arte.

Thorgan, fratello minore di Eden, recapita sì l’assist vincente, con una bella intuizione, che permette a Carrasco di trovare la rete. Nel contempo, però, non brilla particolarmente nelle altre situazioni di gioco.

Ancora peggio, in questo senso, Jordan Lukaku, cui però va riconosciuto il fatto che giocava fuori posizione. Perché per quanto non fosse la prima volta che si trovava ad agire da terzino è altresì vero che si tratta di un esterno con propensione prettamente offensiva, che quindi non si troverà di certo a suo agio in una linea di difesa a quattro.

Parlando di Italia bene ma non benissimo un po’ tutti. Tranne quell’Ely che si fa espellere rischiando di pregiudicare da subito l’intero turno qualificatorio azzurro, non la sola partita.

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Anche quest’anno ho avuto la fortuna di essere ospite di Indesit a Londra, questa volta per l’Indesit Football Talents.

Dell’evento nel suo complesso parlerò tra qualche giorno, quando avrò scaricato video e foto.

Per ora… per ora mi limito a raccontare della grandissima umanità di un Uomo come Gianfranco Zola, che prima ancora che campione affermato capace di grandissime cose con la palla tra i piedi è persona realmente squisita.

Ho infatti avuto la fortuna di passare assieme a lui un po’ di tempo proprio in quel di Londra, e la disponibilità che ha dimostrato in quegli attimi mi ha lasciato veramente con la bocca aperta.

Il primo approccio l’ho avuto lunedì sera (della scorsa settimana) quando sono andato “in ritiro” col suo PSG (una delle quattro squadre che, sponsorizzate da Indesit, hanno disputato il Football Talents).

Lì Gianfranco Zola ha iniziato a chiacchierare amabilmente con tutti i ragazzi, che arrivavano da un po’ tutte le parti d’Europa.

Battute, spiegazioni, interessamento nei loro confronti.

Poi, dopo un giro nemmeno troppo rapido di presentazioni, il nostro ha iniziato a parlare di calcio in senso ampio. Di cosa sia per lui questo magico sport che ci aveva riuniti tutti lì, in una stanza del Royal Garden Hotel.

E allora eccolo a raccontarci con la sua semplicità unica di come anche il calcio stesso sia semplice e sia fatto da tre concetti basilari: muovere la palla, muoversi negli spazi e occupare tutto il campo.

Qualcosa di così semplice che si potrebbe quasi dire scontato ma che poi, nella realtà dei fatti, non viene svolto con grande semplicità da moltissime squadre.

Inevitabile, quindi, il suo riferimento al Barça di Guardiola. La squadra che, a detta sua, incarna in maniera perfetta queste “basi”.

E che poi, grazie alla qualità dei suoi interpreti, sublima quest’idea di calcio.

E qualcuno, qui, potrà dirmi che Zola non ha certo scoperto l’acqua calda. Ma non è questo il punto.

Perché certo, spiegare come giochi il Barcellona oggi è “piuttosto semplice”. Farlo con la sua incisività non è da tutti.

E, soprattutto, assistere a questa spiegazione da parte di un grandissimo campione come Zola è da bocca aperta.

Sarà che sono un bambino, per certe cose!

Ma non è finita qui.

Anzi, a quel punto il meglio doveva ancora venire!

Terminata la serata, infatti, mi sono avvicinato a lui, non senza emozione, per stringergli la mano e ringraziarlo per quanto ha fatto per il calcio italiano e per la Sardegna, che lui ha saputo rappresentare degnamente anche ben al di fuori dell’isola stessa.

Terminando col ricordo delle lacrime che versai quel maledetto giorno di Italia – Nigeria ai Mondiali del 94, quando lui venne ingiustamente espulso (risposta sua: “Piansi di più io, fidati”).

Abbastanza “materiale” da poter andare a letto contento e dormire ben poco.

Soprattutto per la prospettiva di quello che sarebbe potuto accadere la mattina successiva: colazione con uno dei più grandi campioni che il calcio italiano ha saputo esprimere nell’arco degli ultimi vent’anni.

Detto-fatto: la mattina dopo il ritrovo è nella stessa sala in cui avevo lasciato il “mister” la sera precedente. E proprio lì il caso vorrà che finirò al suo stesso tavolo. Non solo: al suo fianco, a condividere la colazione con lui.

Competenza, disponibilità, curiosità, affabilità. Tutte grandissime doti che, unite ad un’umiltà assoluta e quasi incredibile per chi ha calcato certi palcoscenici, faranno di quella mattinata un momento che mai potrò scordare.

La discussione inizierà, logicamente, con una mia domanda: cosa potrà combinare l’Italia al prossimo Europeo?

E lì Zola dimostrerà una certa fiducia nei ragazzi e in Prandelli. Gruppo giovane, affamato, aspettative piuttosto basse, potrebbe far bene.

Poi un mio pallino: Verratti.

Che anche il piccolo Campione di Oliena apprezza molto, e che ha prospettive e margini veramente importanti.

Davvero tanti gli argomenti toccati, avrei dovuto avere un blocchetto per poter prendere appunti e riportarvi punto per punto le sue considerazioni.

Il punto più importante tra quelli toccati è stato senza ombra di dubbio quello riguardante il suo futuro. Alla domanda diretta (“Cosa farà adesso”) non mi ha saputo dare una risposta univoca, segno del fatto che a settimana scorsa ancora tutto era in alto mare e diverse opportunità erano aperte.

A domanda più diretta (“Da Twitter mi chiedono di dirle di firmare per la Lazio”), relativa a quella questione che rimbalza tanto sui giornali oggi, è stato però assolutamente possibilista, segno che già sette giorni fa l’opzione Roma (intesa come città, quindi in quanto sponda Biancoceleste) era tutt’altro che campata per aria.

Di certo, comunque, il cuore lo porterebbe a cercarsi una sistemazione in Inghilterra, dove ormai vive la famiglia.

Per quanto ad una chiamata della Lazio difficilmente si potrebbe dire no…

La grandezza di questo uomo, comunque, si è sublimata tutta nel momento in cui si è posto lui nella situazione di chi aveva “sete di sapere”. Ad un certo punto della nostra conversazione, infatti, è stato lui che ha iniziato a domandare a me questioni riguardanti il Varese.

Da informazioni su questa stagione, con partenza travagliata e grandissima risalita dopo il cambio di mister, al periodo d’oro vissuto con Sannino sulla panchina.

E pensare di essere stato lì a “spiegare” delle cose a niente popò di meno che Gianfranco Zola… mi fa venire i brividi ancora oggi…

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