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Archive for dicembre 2014

Top 11 Natale 2014

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Come già fatto lo scorso anno (trovate il sondaggio qui) anche per questa fine d’anno voglio provare a capire qual è, secondo la rete, la Top XI mondiale in questo momento.

Per questo ho costruito un nuovo sondaggio con cui tastare il polso della situazione. Come già successo dodici mesi fa la situazione è semplice: le liste sono bloccate, ma si può scegliere tra due moduli. O il 4-4-2 (tendenzialmente con ali molto offensive, quasi 4-2-4) o il 4-2-3-1. In questo senso, quindi, vi chiedo di scegliere o un trequartista e una punta o due punte.

La mia personale Top XI è questa (con tre cambi rispetto all’anno scorso: Godin ed Hummels in luogo di Silva e Kompany, Kroos al posto di Vidal). Con Carlo Ancelotti come allenatore.

Ma ora tocca a voi votare e costruire la vostra!

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Dopo l’excursus sul torneo di Arona torniamo al calcio dei grandi volando in Argentina assieme agli amici di Aguante Futbol, per ricapitolare un po’ l’andamento dell’ultimo campionato e non solo.

Racing. A 13 anni dall’Apertura 2001 è arrivata la vittoria nel torneo di Transicion del 2014. Il tutto a due sole lunghezze dal River. Che campionato è stato?

Giulio: combattuto, con quattro squadre a giocarsi il titolo fino a poche giornate dalla fine. Il Racing è stato bravo a riprendersi da un inizio complicato e a crederci fino in fondo, e cioè fino allo scontro diretto col River. La squadra di Gallardo era nettamente la migliore, ma ha perso i punti decisivi per la Copa e soprattutto per il Superclasico, mentre mi ha un po’ deluso il Lanus, che pensavo avrebbe avuto meno distacco.

Gianni: un campionato un po’ anomalo, perché il River fin dall’inizio ha imposto un ritmo tremendo, dando l’impressione di poter dominare dall’inizio alla fine. Tuttavia la rosa corta e il doppio (triplo, se consideriamo il percorso significativo anche in Copa Argentina) impegno hanno pesato non poco sul finale di stagione della Banda. Il Racing è stato molto più lesto delle altre inseguitrici, meritando di vincere il Torneo di Transicion grazie ad una striscia di successi sorprendente.

Quali i giocatori si sono messi più in mostra? Quali i giovani?

Giulio: nel Racing di sicuro Bou, autentico trascinatore coi suoi gol, e Ricardo Gaston Diaz che sulla fascia ha dato equilibrio e assist. Nel River su tutti Pisculichi, architetto della fase offensiva. Nel Lanus Romero, punta davvero completa che ha messo a segno 11 gol. Oltre a loro menzione d’affetto per Lucas Pratto, che voleva chiudere da capocannoniere e ci è riuscito. Come giovani è emerso Kranevitter, valore aggiunto finchè ha giocato, e personalmente dico Boye, che ha un insieme di caratteristiche che apprezzo.

Gianni: Bou non può non essere considerato la grande sorpresa del semestre, soprattutto pensando al suo passato con la maglia del River Plate. Arrivato nella prima squadra dei Millonarios come uno dei talenti più cristallini delle giovanili, soffrì moltissimo l’adattamento al calcio dei grandi, pagando anche le enormi difficoltà che la squadra viveva in quel periodo. Tuttavia, l’unico nome che mi sento di fare è quello di Matias Kranevitter: da mesi si attendeva la sua esplosione ed eccola arrivata. È stato il dominatore del centrocampo del River, confermando per l’ennesima volta una straordinaria conoscenza del gioco. Peccato soltanto per il lungo infortunio nel momento più importante della stagione.

Capitolo Libertadores: a cinque anni dalla vittoria dell’Estudiantes e dopo quattro vittorie consecutive in salsa Verdeoro un’Argentina è riuscita a tornare sul podio: il San Lorenzo di Papa Francesco, poi giunto ottavo in campionato. Quale futuro per il Ciclon?

Giulio: per la vittoria del San Lorenzo si sono evidentemente allineati i pianeti, ed era un evento atteso da chiunque a Boedo. Il futuro immediato è il Mondiale, in cui tutti i tifosi sperano tantissimo, a cui di fatto è stato sacrificato questo semestre. La squadra per il futuro è buona, magari non da primissime posizioni, con esperienza e qualità, anche se bisogna sempre aspettare il mercato.

Gianni: concordo con Giulio, c’è una base buona, ma non eccellente. Con il Mondiale per Club si chiude un ciclo storico e la dirigenza del Ciclon dovrà fare un buon lavoro per ripartire nel migliore dei modi.

La Copa Sudamericana è stata invece vinta dal River. Aggiungendoci il secondo posto dell’Argentina ai Mondiali, un anno d’oro per il calcio argentino…

Giulio: verissimo, e in un periodo in cui sembrava tutto nero. A livello locale trovo ci sia stata una certa evoluzione tattica che ha certamente aiutato i successi nelle due coppe, oltre a importanti ritorni di giocatori di esperienza.

Gianni: un anno sorprendente, considerata la crisi del futbol albicelesta, inevitabilmente legata al momento non proprio idilliaco del Paese. Come dice Giulio, c’è stata un’evoluzione tattica piuttosto evidente, dovuta anche al ricambio generazionale su molte panchine dei principali club. Un dato interessante, a tal proposito, può essere l’età dei DT delle prime 10 in classifica: ben 7 hanno meno di 43 anni.

Torniamo proprio ai Mondiali: quale bilancio si può trarre dall’esperienza brasiliana? Quali le prospettive oggi?

Giulio: la Nazionale vive di una generazione d’oro in attacco, che però fatica a trovare una reale amalgama. Del resto giocare con Messi non è affatto facile, chiedere a Barcellona per informazioni. L’Argentina di sicuro punterà alla Copa America di quest’anno, ma a breve deve cominciare un ricambio generazionale soprattutto tra porta e difesa. Talenti ce ne sono, ma vanno testati e fatti crescere.

Gianni: nonostante la sconfitta in finale, il bilancio è positivo, soprattutto considerando le brutte figure al Mondiale 2010 e alla Copa America casalinga. Tuttavia, come dice Giulio, è giunto il momento di dare un taglio con il passato e aprire le porte della Seleccion a nomi nuovi, soprattutto nei reparti in cui la nazionale albiceleste non ha a disposizione molti fenomeni. Personalmente credo anche che Martino debba iniziare a mettere da parte la tradizione di convocare in nazionale, come contorno alle stelle “europee” i propri fedelissimi allenati nelle squadre di club, come accaduto in modo fin troppo plateale durante la gestione Sabella.

A gennaio, sempre in tema di Nazionale, si disputerà il Sudamericano sub 20. Un torneo che manca dal 2003. Sarà la volta buona?

Gianni: risposta difficilissima, perché tutte le volte la Seleccion si presenta con un potenziale immenso che, puntualmente, si rivela essere un triste mix di talenti che fanno a gara per risolvere la partita da soli, complici dei DT piuttosto inadeguati. Però, scorrendo la lista dei preconvocati, è impossibile negare che l’Argentina parta come una delle favorite: Tripichio, Astina, Ferreyra, Leszczuk, Matias Sanchez, le stelline del River Mammana, Simeone, Martinez e Driussi. I nomi ci sono, vediamo se Humbertito Grondona riuscirà a fare ciò che non gli è mai riuscito. La profondità della rosa è sorprendente: la difesa è solida, il centrocampo quadrato e davanti l’unico problema è il sovraffollamento. Quasi dimenticavo, tra i preconvocati c’è anche un certo Angel Correa.

Giulio: come ha detto benissimo Gianni, talento ne hanno da vendere, ma è successo in tante altre edizioni passate. Bisogna vedere se riusciranno ad essere squadra una volta tanto.

La Sampdoria ha già ufficializzato l’arrivo di Joaquin Correa dall’Estudiantes. Che ne dite?

Giulio: Correa, che è Joaquin e non Angel, ha talento e fisico, che è un fattore importante per attraversare l’oceano. Come caratteristiche lo vedo adatto al 4-3-3, ma per interpretare il ruolo come chiede Mihajlovic servirà applicazione e pazienza. Si muove poco senza palla e tende un po’ troppo ad aspettare l’uno contro uno. Se saprà completarsi la Samp si troverà una bella plusvalenza in mano.

Gianni: francamente non ho seguito moltissimo l’Estudiantes. In Argentina è considerato un grande talento, ma ha abbastanza faticato ad esprimersi in una squadra comunque non eccelsa.

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Grande spettacolo, ancora una volta, ad Arona, isola di Tenerife. Dove negli ultimi tre giorni si è disputato il tradizionale (diciannovesima edizione) torneo di calcio a 7 riservato alla categoria under 13 (quest’anno i 2002).

Un torneo interessantissimo che ha messo in mostra tanto grandi squadre quanto ottime individualità. Nonostante la giovanissima età, infatti, il livello era altissimo. Chi pensa di vedere qualche bambino che corre alla rinfusa dietro il pallone ha sbagliato del tutto a capire.

L’organizzazione di ogni equipe è maniacale ed il talento di molti ragazzini già sfavillante. Certo, è ancora molto presto per dire se potranno arrivare ad alto livello, ma qualcuno di questi ha messo in mostra una base di partenza eccellente su cui provare a costruire un buon professionista.

A rappresentare l’Italia in questo contesto gli Esordienti 2002 della Juventus. Che hanno messo in mostra, ancora una volta, tutti i limiti del nostro calcio, almeno in questa congiuntura temporale.

Parliamoci chiaro: presi singolarmente ci sono diversi Bianconeri – e ne parlerò più avanti – che hanno qualità assolutamente interessanti. Una cosa questa sottolineata anche dai commentatori de La Sexta, tv spagnola che ha trasmesso in diretta l’evento.

A mancare, però, è proprio l’approccio ai match. L’idea di gioco.

Per essere chiari: la Juve disputa due match nel girone, contro PSG e Barcellona, pareggiandoli entrambi. Poi ai quarti incontra il Villarreal e ne esce un nuovo pareggio, con Girelli (il portiere) grande protagonista anche ai rigori.

In semifinale c’è l’Atletico Madrid, che domina il match. La Juve gioca lungamente con un inguardabile – permettetemi la franchezza – sorta di 4-1-1. I telecronisti iberici parlano di “Catenaccio contro Toque”, ed hanno ragione. La Juve fa poco-nulla in fase di possesso, ma regge discretamente dietro. Ad un minuto dalla fine però la decide Mario Soriano: Bianconeri eliminati.

Il canovaccio della finalina – disputata contro il Real Madrid – sarebbe lo stesso, non fosse che Theo Fernandez (uno dei quattro figli di Zinedine Zidane, per intenderci) la sblocca subito. Ed allora la Juve – finalmente, permettetemelo – inizia a giocare in maniera più propositiva.
Pedro Paulo raddoppia con una grande giocata personale, ma la Juve c’è e chiuderà perdendo 2 a 1, disputando paradossalmente il miglior match del proprio torneo. L’unico in cui ha giocato. In cui si è trovata costretta a giocare.

Che dire invece della scuola spagnola? Per me resta diversi passi avanti alla nostra, oggi. Un po’ tutte le squadre giocano coralmente, cercando per altro di valorizzare i propri giocatori di maggior qualità. L’esatto contrario di ciò che fa la Juve, che gioca invece speculando sugli – eventuali – errori avversari.

Un gap culturale che nel calcio di oggi paghiamo tantissimo. Anche perché i pochi giocatori di qualità finiscono col perdersi, isolati in un contesto che gli è avverso. E senza nemmeno le giocate dei singoli (stile Euro 2012, per intenderci) come possiamo pensare di vincere qualcosa?

Insomma, a parere di chi scrive – che di partite e tornei giovanili ne vede diversi – il contesto formativo italiano è inadeguato, se rapportato a quelle che sono le eccellenze calcistiche dei giorni nostri. Passi l’organizzazione difensiva, ma nel corso degli ultimi dieci o vent’anni abbiamo dato il via ad un tatticismo esasperato fin dalle categorie dei più piccolini, che ha portato ad una contestuale demineralizzazione assoluta della nostra fase offensiva.
A livello di gioco difficilmente le squadre italiane hanno mai brillato, ma ultimamente l’andazzo porta a soffocare, anziché esaltare, anche quei giocatori di talento che un tempo diventavano i Baggio, i Del Piero ed i Totti.

A vincere il torneo, tornando al campo, il Valencia di Joaquin Garcia (premiato come migliore coach della competizione). Una squadra con un paio di individualità assolute (tecnicamente Ferhat ed Oscar Domenech – quest’ultimo premiato come MVP del torneo – sono sublimi) ed un contesto organizzatissimo in tutte le fasi, davvero di alto livello. Uno spettacolo per gli occhi.

Secondo l’Atletico Madrid, squadra che vive con lo “Spirito di Aragones”, come detto dal proprio allenatore, e che ha dimostrato organizzazione e soprattutto tanta determinazione. Ma certo, anche qualità.

Terzo, infine, il Real Madrid. In cui gioca quello che è forse oggi il miglior 2002 al mondo: Pedro Paulo Kasanzi Lubamba, un giocatore di cui ho parlato anche nel mio ultimo libro (“La carica dei 301″, che vi invito ad acquistare costando solo 99 centesimi).

Ma un po’ tutti i club spagnoli mi hanno fatto una grandissima impressione dal punto di vista della tecnica individuale, della qualità e delle idee di gioco.

Parlando di singoli, vorrei proporvi quello che per me è la Top XI del torneo (pur se questo si è giocato a sette), più qualche altro nome di giocatori che si sono messi in bella mostra.

In porta la mia scelta ricade sull’italiano Giulio Girelli. Il portierino Bianconero è in realtà un portierone, se si pensa alla sua taglia. Assolutamente oversize rispetto all’età.
Un fisico possente e slanciato cui fa da contraltare un’ottima reattività. Diverse parate importanti, sicuramente determinante nel portare il proprio club al quarto posto, compie un solo errore in cinque gare, quello che costa l’1 a 0 nella finalina (e che paradossalmente farà del bene alla Juve, che da lì inizierà finalmente a costruire gioco).

Terzino destro, con una scelta non facile, scelgo invece il (real) madridista Lorenzo Agudelo. Taglia ridotta ma buon passo e tanta qualità, che sfrutta anche per realizzare un gran goal al termine di un’azione solitaria con cui salta due o tre avversari per poi concludere a rete sparandola all’incrocio.

Il primo dei due centrali è il secondo italiano della formazione, Riccardo Sganzerla. Anche in questo caso parliamo di un giocatore dal fisico non eccezionale, ma indubbiamente in assoluto il migliore interprete in fase di uno contro uno difensivo. Un centrale sempre attento, con un già spiccato senso della posizione e davvero difficile da superare.

Il secondo centrale è invece il blaugrana Ricard Cartañá. Lui sì con un fisico già piuttosto sviluppato, unito alla classica tecnica sopraffina propria dei centrali che crescono dalle parti di Barcellona.

Come terzino sinistro la scelta ricade su Jacob Lopez, trottolino e capitano del Valencia. Anch’egli taglia molto minuta, mostra già un carisma spiccato ed ottime doti difensive. Agile e rapido nello stretto, accompagna anche i propri compagni quando si tratta di offendere.

A centrocampo due Oscar.

Impossibile non selezionare l’MVP del torneo, il valenciano Oscar Domenech. Un giocatore dal tocco sensibilissimo che sa dettare i tempi, lanciare i propri compagni, tenere il possesso ed aiutare in transizione negativa. Davvero un giocatore già piuttosto completo e dalla grandissima qualità.

Per far sì che il centrocampo regga gli affianco quindi il capitano dell’Espanyol, Oscar Carrasco. Un capellone tutto corsa e senso della posizione, imprescindibile per permettere alla propria squadra, per lunghi tratti, di giocare addirittura con due punte pure.

La trequarti è poi il trionfo della qualità e della tecnica.

A destra ci piazzo il già citato Theo Fernandez, figlio d’arte col papà piuttosto ingombrante visto il ruolo (Zinedine Zidane, appunto). Il terzo dei figli di Zizou si prende il titolo di capocannoniere con 4 realizzazioni, questo nonostante giochi da titolare solo gli ultimi match del torneo.
La tecnica è di primissima qualità. Intelligente, buon tiro, capace di usare entrambi i piedi quasi senza risentirne, abile nell’uno contro uno… è presto per dire dove potrà arrivare, ma certo non è la qualità a mancargli.

A sinistra un altro (real) madridista, Pedro Paulo.
Semplicemente devastante.
Gioca a tutto campo senza risentirne. Quando prende palla arriva praticamente sempre al tiro. Ha un cambio di passo assolutamente illegale. Se riuscirà a conservarlo per tutta la propria crescita… beh, sicuramente arriverà a giocare in un campionato importante.
Ecco, il suo problema è che spesso tende a giocare troppo da solo. Ma del resto quando a 12 anni ti riesce qualsiasi cosa tu voglia è anche capibile che tu possa tendere a fare il veneziano…

Trequartista centrale un altro campione del torneo: Ferhat.
Un giocatore a due facce. Da subito mette in mostra una tecnica sopraffina, ma poi si nasconde un po’ per diverse partite. In finale, quando la temperatura sale, prende in mano le sorti della propria squadra. Numeri eccezionali palla al piede, grande propensione al gioco di squadra e due goal con cui decide quasi da sé l’ultimo atto del Liga las Promises.
Che dire se non “a buon rendere”?

Di punta, per chiudere questa Top XI, ci piazzo un secondo giocatore del Barça: Pablo Moreno. Un giocatore che deve forse imparare a diventare più spietato sottoporta, ma che mette davvero tantissima qualità nel proprio gioco.

Ma permettetemi di andare oltre alla semplice Top XI, segnalandovi altri giocatori che si sono espressi si buonissimi livelli.

Il Valencia campione ha messo in mostra due terzini sinistri molto interessanti: oltre al già citato Jacob impossibile non parlare di Dani Montes, versione più offensiva del proprio capitano. Bene anche Carlos Perez, il portiere titolare, e Ferran Giner, punta di movimento ma già ben strutturata.

L’Atletico, secondo, mette in mostra quello che è stato votato come il miglior portiere del torneo, Miguel Prieto. Oltre a lui bene il trequartista Mario Soriano, il giocatore di maggiore qualità, e la punta Erick Jeenn, quantità e fiuto per il goal.

Nella Juventus bene anche l’esterno Paolo Boffano, autore del pareggio contro il PSG (goal decisivo per il passaggio del turno) ed il terzino tutto pepe Franco Tongya. Non male anche Nar Diop, centrocampista che per fisico ed incedere ricorda molto Paul Pogba (anche se non per tecnica, purtroppo per lui). Mi aspetterei invece di più, vista la struttura che madre natura gli ha donato, da Aboubacar Da Costa. Certo, piuttosto abbandonato a sé stesso dai compagni, ma con una serie di limite (sia tecnici che tattici) assolutamente da eliminare.

Il Barcellona esce presto dalla competizione con non poca sfortuna, ma è forse la squadra globalmente più interessante del torneo (al pari del Valencia). Oltre ai già citati Moreno e Cartana si sono messi in luce, tra gli altri, anche il portiere Pol Tristan, il terzino destro Marc Alegre e la guizzante ala Alex Rico, minutissimo ma un vero peperino palla al piede.

Nel Real Madrid, invece, molto bene anche il capitano David Cuenca (difensore centrale capace di agire anche a sinistra, tecnicamente molto dotato e difensivamente sempre attento) ed il portiere, Lucas Canizares (sì, anche lui figlio d’arte).

Sempre a proposito di figli d’arte, per tornare al Valencia, vi segnalo anche Fran Perez, figlio di Rufete. Un esterno discreto, già formato fisicamente e dal buon passo. Ma che in questo torneo, debbo dire, non si è distinto.

Tornando ai giocatori che si sono messi più in bella mostra, per chiudere, vi faccio altri sei nomi: bene le due punte dell’Espanyol, Samba Kante e Jordi Escobar. Impossibile non citare i due leader tecnici del Siviglia, l’imponente centrale Miguel Bereket e la punta tutta fantasia Antonio Zarzana (autore di un gran goal con ruleta incorporata). Infine bene anche, rispettivamente per Villareal e PSG, il trequartista German Valera e la punta Isaac Karamoko.

Insomma, come al solito un grande torneo, con calcio già di alto livello e diversi giocatori da tenere d’occhio per il futuro.

Certo, difficile dire a soli 12 anni dove possano arrivare. Ma altrettanto vero, come dicevo in apertura, che diversi di questi mostrano di avere le basi giuste su cui provare a costruire una carriera. Molto passerà dalla loro capacità di progredire e, nondimeno, da quella di tenere i piedi ben piantati per terra…

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Oggi, venerdì 26 dicembre 2014, gli inglesi festeggeranno Santo Stefano guardandosi – direttamente allo stadio o in tv – un nuovo turno di Premier League.

Una tradizione, quella inglese, che affonda le radici indietro nel tempo, nascendo al di fuori dello sport. Nelle nazioni del Commonwealth, infatti, il boxing day è una festività in cui si provvede a regalare doni ai membri meno fortunati della società.

Applicato al mondo del calcio inglese, invece, diventa appunto la possibilità di potersi gustare una giornata di Premier il giorno dopo Natale.

Un’usanza che i figli d’Albione hanno saputo sfruttare bene anche in tema di marketing, aspetto in cui sono – calcisticamente parlando – i primi al mondo.

Un’usanza che qualcuno ha già provato più volte a portare anche in Italia, trovando però l’alzata di scudi da parte dell’AssoCalciatori, che vede col fumo negli occhi la possibilità di giocare a Santo Stefano.

Ma andiamo con ordine.

Partiamo dal presupposto che la mancanza di un boxing day italiano non è il problema principale del nostro calcio, evidentemente. Attanagliato da questioni (meno soldi, poche idee, incapacità di battere mercati alternativi, scarso ritmo, ecc) ben più gravi.

Detto questo, parliamo comunque di un mondo di privilegiati. Che pare non siano disposti a rinunciare a molto, pur in un momento storico in cui a tutti è chiesto di fare uno sforzo, vista la congiuntura economica.

Si oppone l’idea della “difesa della tradizione”, ma anche questo è un falso problema. Vogliamo difendere le tradizioni del nostro calcio? Perfetto. Smettiamo di pensare al marketing, torniamo ad indossare solo divise classiche e soprattutto a giocare ogni turno di campionato in contemporanea la domenica alle 15.

No, quella dell’AssoCalciatori non è volontà di difendere la tradizione, quanto – appunto – i privilegi dei propri associati. Del resto lo dicono chiaramente: “i calciatori hanno diritto alle ferie a Natale”. Quelli inglesi no?

Ma attenzione, non è mia intenzione fare retorica. La questione è seria: non possiamo lamentarci del fatto che il calcio italiano va a rotoli se non siamo disposti a cambiarlo.

Ripartirà semplicemente grazie al boxing day? Assolutamente no, ma sarebbe un primo segno di volontà di cambiamento. E soprattutto non possiamo lamentarci di avere scarsi introiti dal marketing, perché facciamo poco-nulla per svilupparlo adeguatamente.

Mi si potrebbe obiettare “anche in altri paesi non si gioca a Natale”. Certo, ma questa non è una scusa.

E soprattutto… in altri paesi il gioco è molto più intenso che da noi. Possibile che noi non corriamo né a settembre né a maggio, mentre in Inghilterra corrono dodici mesi l’anno, Natale compreso?

Ed è possibile che in tutto ciò, pur con la differenza abissale di ritmo, siano i nostri calciatori ad aver bisogno di ferie natalizie?

Ognuno si faccia l’opinione che crede. Io personalmente sarei più per non giocare tra Natale e la Befana, ma del resto il mondo cambia. E se non sei capace di cambiare con lui sorgono i problemi.

In Germania la pausa è più lunga, ma i contesti sono diversi. E soprattutto loro hanno saputo impostare un lavoro grazie al quale non hanno bisogno di giocare anche a Natale per fare marketing ed allestire squadre competitive, perché hanno una mentalità calcistica ed un settore giovanile all’avanguardia.

In Italia, invece, non abbiamo nulla di tutto questo.

Non sarebbe il boxing day a cambiare il calcio italiano. Ma del resto da qualche parte bisogna pur iniziare. E se proprio non si può rinunciare alle ferie di Natale, almeno si torni a costruire un movimento ed un prodotto capace di rivaleggiare con le migliori realtà al mondo…

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Giusto tre giorni fa è terminato il campionato messicano. Una realtà che a me è sempre stata particolarmente simpatica, pur senza un motivo reale. Una simpatia nata nel lontano 1994, quando la Nazionale di Luis Garcia, Alberto Garcia Aspe e tanti altri si scontrò – anche – contro i nostri Azzurri al Mondiale americano.

Una realtà di cui in tanti anni ho parlato sicuramente poco e per parlare della quale ho coinvolto Antonio Pascale, espertissimo in materia e già nel team di autori che partecipò alla Guida ideata dal sottoscritto e realizzata a ridosso dell’ultimo Campionato del Mondo.

Ne è venuta fuori una discussione che spazia dal campionato alle Nazionali e che vi invito a leggere per masticare qualcosa in più di un calcio un po’ periferico ma che vive di grande passione…

L’America ha vinto sia la stagione regolare che i playoff. Insomma, trofeo meritato?

A mio modo di vedere il bello del campionato messicano è la sua imprevedibilità. Il fatto che tutti gli anni e fino all’ultima giornata tutto o quasi possa essere messo in discussione lo rende, per chi lo guarda, molto divertente. Anche il sistema in sé dei playoff (Liguilla) va in questa direzione. Negli anni si è poi sviluppata la cosiddetta “maldicion del liderzago”, ovvero la capolista della stagione regolare non è mai quella che conquista il titolo finale. Quest’anno abbiamo avuto un’eccezione, sebbene le capoliste erano 3 squadre a pari punti. L’America ha mantenuto costantemente la vetta della classifica dalla terza giornata; e negli ultimi 3 anni, cioè dalla rifondazione con l’arrivo del presidente Ricardo Peláez, è sempre stata ai primi posti. Sicuramente ha disputato campionati in cui ha dominato di più a livello di punti, di gioco e di risultati, ma per il lavoro, la serietà del progetto e la costanza dimostrata questo titolo lo merita tutto. Tuttavia alcune scelte societarie delle ultime settimane unite ai malumori in panchina e nello spogliatoio non mi fanno essere troppo ottimista per la prossima stagione.

America che con il Pachuca è ai quarti della Concacaf Champions League. Quali le prospettive delle due compagini messicane?

Il movimento futbolistico di tutto il centro America sta crescendo ed i grandi risultati del Costarica ai mondiali sono soltanto la punta di un iceberg che non è destinato a fermarsi. Ci sono sempre più allenatori stranieri che introducono nuovi concetti di tattica e di gioco, migliorando a piccoli – forse piccolissimi – passi tutta la cultura calcistica del continente. Delle 4 squadre messicane che erano presenti nella fase a gironi bisogna dire che Il Pachuca e l’America erano quelle con i gironi meno complicati. Sto pensando ad avversarie come l’Alajuelense, all’ Herediano o ai Montreal Impact. Le squadre messicane, sono da sempre le favorite a questo torneo, ma ora dovranno vedersela proprio con gli Impact (orfani di Di Vaio ma con il buon vecchio Ignacio Piatti) e con il Saprissa, leader in Costa Rica e presenza costante in questo torneo. Se riusciranno o meno a superare questi scogli dipenderà moltissimo da come le due squadre arriveranno a questi match. L’America sicuramente non avrà più il suo condottiero Antonio Mohamed in panchina. E questa assenza, secondo me, sarà molto pesante. Tuttavia da qui a Febbraio tutto può cambiare.

Tornando alla Liga Messicana, quali sono stati i giocatori capaci di mettersi più in mostra nel corso di quest’ultimo campionato?

Cominciamo dalla squadra vincitrice. Una nota di merito va sicuramente a Miguel Layún, che io trovo eccezionale (effettivamente anche io non capisco perché sia stato bocciato così velocemente in Italia, ndr). Trovatemi voi un esterno di difesa capace di segnare così tanti gol, addirittura 4 in una sola partita. Tecnica, velocità, tiro e adattabilità gli consentono di poter giocare tanto in difesa, quanto come esterno di centrocampo o addirittura come ala offensiva. Quest’anno è stato eletto miglior giocatore del torneo ma il suo processo di crescita, confermato dalla convocazione in nazionale, va avanti ormai da parecchi mesi. Un altro laterale da tenere d’occhio è Isaac Brizuela del Toluca. Sebbene non sia più così giovane (classe 1988), partita dopo partita dà l’idea che il suo talento possa esplodere da un momento all’altro. Presenza fissa con la selección, è stato uno degli eroi di Londra. Poi ci sono gli indistruttibili Boselli del Leon, Benedetto del Tijuana e Oribe “el cepillo” Peralta, che confermano ogni stagione a suon di gol di non essere delle meteore.

Il Messico è un paese che investe molto nel calcio, anche e soprattutto a livello giovanile. Chi sono stati i giovani più interessanti messisi in mostra negli ultimi mesi?

A livello giovanile ci sono ottime squadre che lavorano molto bene. Penso al Pachuca che ha lanciato tantissimi giovani di prospettiva, ma anche al Toluca o al Chivas. Sicuramente uno di questi è Jürgen Damm: 21 anni, centrocampista esterno del Pachuca, talento e ottima visione di gioco. Ma nei Tuzos, troviamo anche Rodolfo Pizarro e Miguel Herrera. Il primo è un centrocampista moderno versatile che può posizionarsi a destra come a sinistra, intelligente, veloce e temibile nell’uno contro uno. Il secondo è un difensore solido, una garanzia nel gioco aereo e nei contrasti fisici, un po’ meno nella velocità e nei movimenti. Ottimo elemento se solo avesse un po’ più di continuità. Infine Giovani Hernández, 21 anni, centrocampista offensivo sinistro del Chivas. Una delle promesse più discusse degli ultimi tempi. Scoperto da mister Van’t Chip nelle giovanili, ha debuttato con il Rebaño nell’Apertura 2012 a soli 19 anni. Centrocampista che per le sue caratteristiche predilige il gioco per le vie centrali, non ha paura di fare possesso palla o di provare ad impostare l’azione, anche sui campi più ostici.

Sempre a proposito di giovani, il prossimo gennaio si disputeranno i campionati under 20 della zona Concacaf. Messico che è inserito nel gruppo B con Haiti, Canada, Cuba, Honduras ed El Salvador. Quali prospettive per questo torneo?

Il Messico, anche in questo caso, si presenta a questo torneo come favorita assoluta. Ha vinto le ultime due edizioni consecutive e con 12 titoli in bacheca non può che dettare legge nel Centro America (seguono Canada, Costa Rica e Honduras con 2 titoli). Nelle fila di mister Sergio Almaguer, emergono il portiere Raúl Manolo Gudiño, in prestito dal Chivas al Porto, che nella scorsa edizione a soli 17 anni ha lottato testa a testa con Tim Howard per il titolo di miglior portiere. Poi ci sono Hirving Lozano della cantera del Pachuca (il suo esordio con gol all’America nello stadio Azteca è storia) ed Erick Gutiérrez, regista di centrocampo che a soli 19 anni gioca con una spensieratezza ed una maturità che già presagiscono il grande futuro che lo aspetta.

Sempre restando in tema Nazionale, che bilancio si può tracciare dell’esperienza messicana all’ultimo Mondiale?

Beh, considerando quali erano le premesse e come ci è arrivato, il bilancio non può che essere positivo. Miguel “el piojo” Herrera ha compiuto un vero e proprio miracolo sportivo. Una squadra improvvisata, finita ai mondiali quasi per caso, con un allenatore messo lì 3 mesi prima, che conclude il girone prima a pari merito con il Brasile ha compiuto già di per sé qualcosa di incredibile. Se poi nella gara contro l’Olanda dei vari Snejder e Robben arriva addirittura a sfiorare i quarti (perché ricordiamolo il Messico al 88’ vinceva 1-0), vuol dire che ha compiuto qualcosa di incredibile.

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Un mesetto fa feci un post su Facebook e Twitter che riscosse abbastanza successo. Ve lo riporto qui:

Un’idea che mi sono fatto senza basi scientifiche, ma semplicemente guardando le partite. Ecco, un disclaimer in questo senso: partite ne vedo a decine ogni mese. Quindi, se non altro, la base di valutazione è ampia.

Ma davvero l’uno contro uno sta scomparendo nel nostro calcio?

A mio modesto avviso, purtroppo sì. Ovvio, non si può dire che scomparirà del tutto. Ed anzi, così come ora è un gesto tecnico in contrazione può essere che tornerà a crescere, in futuro, il numero di interpreti capaci di dilettarsi in questo fondamentale.

Ma ad oggi, guardando il calcio italiano a vari livelli (dalle giovanili, alla Serie A, fino alla Nazionale maggiore) l’idea che mi sono fatto è quella.

Pensate proprio alla Nazionale: chi salta l’uomo? Praticamente nessuno. L’unico, un minimo, è Giovinco. Usato come arma a partita in corso, in questi primi match è subentrato dando un po’ di verve alla squadra e mettendo assieme qualche dribbling. Ma poi poco altro.

Lo stesso si può dire per i settori giovanili, con rappresentative comprese. Io guardo tutti i match che posso, e se penso che un tempo i Del Piero, i Totti, i Moriero o i Bruno Conti erano la normalità mi viene male. Oggi i nostri giovani sono per lo più “appiattiti” da un sistema formativo che insegna loro a non stare mai fuori posizione per non scoprire la squadra, ma difficilmente coltiva la loro predisposizione a saltare l’uomo e creare superiorità numerica.

Insomma, in Italia mi pare che negli ultimi anni si sia dato il via ad una demineralizzazione del talento che si certifica proprio in questa sempre più marcata pochezza per quanto concerne le situazioni di uno contro uno.

Certo, un discorso come questo dovrebbe essere supportato da numeri. Perché altrimenti resta una tesi un po’ campata per aria, con tanto di commenti tipo “sei un catastrofista” o “sei un hater” annessi.

Ora, partendo dal presupposto che chi mi conosce o segue da tempo sa che nulla ho più a cuore del calcio italiano, qualche dato interessante in merito – pur non essendo io uno statistico – l’ho anche trovato.

La questione è semplice: vedendo il buon impatto sul campionato che stanno avendo Dybala e Perotti ho iniziato a ragionare sul fatto che siano tra i pochi giocatori in Italia, appunto, a saltare l’uomo.

Entrambi, per altro, hanno origini e passaporto italiani, pur essendo e sentendosi argentini.

Proprio dalle discussioni partite sull’eventuale italianizzazione dei due (Dybala non ha presenze in Nazionale maggiore, Perotti due ma entrambe in amichevole) è quindi nato tutto questo discorso nella mia testa, che ho concretizzato qui oggi.

Numeri, dicevo. Ecco, l’idea è stata quella di affidarsi ad un sito riconosciuto come WhoScored per andare a vedere chi sono i giocatori con più dribbling riusciti a partita. E proprio come avevo postulato nelle mie tante riflessioni, ecco il dato che immaginavo: non ci sono calciatori italiani tra i primi 10 giocatori con più dribbling compiuti in Serie A.

Il primo Azzurro, infatti, è Franco Brienza (dodicesimo). Che per altro Azzurro formalmente non lo è, dato che la maglia della Nazionale non l’ha mai vestita. Più o meno lo stesso discorso vale anche per Sansone, Verdi ed Okaka, gli altri tre italiani presenti nei primi venti posti della classifica (questi ultimi due rispettivamente ventesimo e diciannovesimo, per altro).

Insomma, il fatto che l’uno contro uno sia un gesto tecnico in cui siamo sempre più carenti non sembra essere solo una mia riflessione, ma un vero e proprio dato di fatto. Ed è un dato in cui si concretizza, almeno parzialmente, la crisi del nostro calcio: un calcio con sempre meno qualità ed idee, che anni fa ha venduto l’anima ad un tatticismo esasperato, restando ancorato ad un passato che non esiste più.

Come provare a ripartire? Tornando a puntare sul talento, sugli spunti individuali, sull’intensità di gioco. Perché intendiamoci, la tattica è importante. Ma non può essere tutto.

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Finiamo oggi il nostro viaggio all’interno dell'”ECA Study on Transfers” (diviso su queste blog in più parti: prima, seconda, terza, quarta) con quelle che sono le conclusioni tratte dalla European Club Association.

  1. L’industria del pallone non è diversa dal resto dell’economia.
  2. L’incremento dei ricavi dei club viene assorbito dall’aumento del costo del personale.
  3. La redistribuzione dalle posizioni apicali della piramide calcistica alla base è un dato di fatto.
  4. L’attuale sistema di trasferimenti poggia su di uno sbilanciamento concorrenziale.
  5. I trasferimenti a parametro zero rappresentano la netta maggioranza del totale dei trasferimenti internazionali.
  6. Il sistema dei contributi di solidarietà deve essere migliorato.
  7. C’è una sempre maggior incidenza delle commissioni agli agenti.
  8. La maggioranza dei prestiti internazionali riguarda giocatori under 23.

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Non cambia di molto – rispetto a due settimane fa – la situazione italiana nel Ranking UEFA al termine della sesta giornata, che chiude la fase a gironi.

Come potete vedere da questa grafica, infatti, restiamo quarti in stagione, con distanze che non sono variate moltissimo rispetto a chi ci precede.

La notizia importante è però il fatto che l’Italia, esattamente come già era ai gironi, si conferma l’unica nazione con tutte le proprie squadre ancora in corsa. Una cosa da non sottovalutare affatto, posto che i punti guadagnati da ogni singola squadra vanno divisi per il numero totale di squadre ammesse alle competizioni UEFA dell’anno.

Quindi mentre noi abbiamo ancora sei squadre su sei che possono portare punti, chi ci precede ne ha sei su sette. Che significa dividere per una squadra in più rispetto a quelle che ancora possono portare punti.

Un aspetto che di per sé, comunque, non garantisce nulla. Servono le vittorie per progredire. Avere sei squadre può essere utile, ma se perdessero andata e ritorno tutte quante di punti non ne incamereremmo comunque più.

Quale la situazione, invece, su base quinquennale?

Beh, ovviamente è praticamente invariata rispetto a chi ci precede. Da sottolineare però come il gap si sia ampliato rispetto al Portogallo, che come sapete aveva – e mantiene, ad ora – chance di sorpassarci entro la fine di questa stagione.

Rispetto ai lusitani, quindi, la differenza passa da 1,3 a 2,1 punti. Un margine interessante, che potrebbe essere sufficiente a mantenere la quarta posizione nel ranking. Posizione che, ricordo, verrebbe poi ulteriormente messa in ghiaccio l’anno prossimo, quando il Portogallo perderà i 18.8 punti della stagione 2010/11.

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Il nostro giro del mondo continua per sbarcare, con un po’ di colpevole ritardo, in Uruguay. Dove qualche giorno fa il Nacional ha vinto il Torneo Apertura della Primera Division locale.

Per parlarne, ovviamente, mi sono affidato ad Andrea Bracco, grande esperto di calcio sudamericano ed in particolare uruguagio.

13 vittorie, 1 sconfitta. Ruolino spaventoso per il Nacional in questo Torneo di Apertura.

Hai detto bene, ruolino incredibile. D’altronde in questo particolare semestre il Nacional si è dimostrato una vera e propria potenza rispetto alla concorrenza, soprattutto a livello tecnico, con una rosa completa in ogni reparto ed in grado di mettere tutti sotto. Nota di merito al tecnico Gutierrez ed all’intramontabile Alvaro Recoba, uomini giusti al posto giusto.

Solo – rispettivamente – settimo e dodicesimo Montevideo Wanderers e Danubio, vincitori di Apertura e Clausura dello scorso anno. Quali le motivazioni di questa regressione (che diventa tracollo nel caso dei campioni in carica)?

Spiegazione molto semplice. In Uruguay è molto facile “azzeccare” un semestre, nel senso che magari una società come quelle da te citate – che fanno la spola sistematica tra primi posti e coda della classifica – sul mercato preleva un paio di giocatori a parametro zero che rendono, magari affiancandoli ad ottimi giovani del vivaio. Il problema è che, una volta emersi, vengono subito portati via da club più importanti. Che possono essere Nacional o Penarol, ma anche squadre cilene piuttosto che colombiane, che li inseriscono poi in un contesto calcistico superiore. Gli Wanderers poi, in estate, hanno perso uno come Blanco, punta capace di segnare da ogni posizione…

Da un punto di vista dei singoli, chi sono stati i giocatori più impattanti del torneo?

Menzione d’onore per il capocannoniere Ivan Alonso, 15 reti totali, punta esperta che al Nacional ha contribuito in maniera sostanziosa alla cavalcata trionfale. Buono il semestre del portiere 43enne (!!!) Contreras, numero uno del Racing secondo in classifica. Nel Tanque Sisley si è messo in mostra il centrale argentino Santiago Fogst, prossimo al passaggio al Penarol, mentre nel Defensor – oltre al portiere Campana, nuovo nome per la nazionale di Tabarez – ha fatto faville Georgian De Arrascaeta, centrocampista impattante e totale, dal prossimo futuro europeo.

Venendo ai giovani, quali i più interessanti messisi in mostra nel corso di questa Apertura?

Oltre al già citato De Arrascaeta, a mio parere il miglior giocatore del 2014 in Uruguay, del Defensor va citato anche Santiago Arias, eclettico centrale che agisce spesso da terzino destro. Nel Nacional Gutierrez ha dosato alcuni prodotti del vivaio come il laterale destro Aja e le punte Barcia e Mascia (occhio a questo ragazzo), mentre la risposta del Penarol si è tradotta nell’ottimo “volante” Nandéz. Completano il mio elenco il difensore centrale Santiago Carrera (Sud America), la punta Jaime Baéz (Juventud), il centrocampista Leandro Sosa (Atenas), Fabricio Formiliano e Gaston Faber (Rispettivamente centrale e regista del Danubio) e Francis D’Albenas, attaccante in forza al Rampla Juniors.

Capitolo nazionali: quali le prospettive dell’under 20 che a gennaio disputerà la propria rassegna continentale di categoria?

L’under 20 è nel complesso una buona squadra, ma guardando i nomi coinvolti in vista della prossima rassegna sudamericana credo che si sia fatto un passo indietro. Sia chiaro, il livello rimane medio alto e bisognerà capire se i giocatori più forti che salgono dalla Sub 17 sapranno dare le risposte giuste. I migliori? Un nome su tutti: Hebér Ratti, mediano del River Plate Montevideo.

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Continua il mio giro del mondo a tappe. Questa volta si fa rotta verso l’Estremo Oriente, più precisamente il Giappone. Dove giusto la scorsa settimana il Gamba Osaka si è aggiudicato l’edizione 2014 del campionato locale, al termine di una stagione molto interessante.

Come al solito per esplorare a fondo questa realtà sarò accompagnato da un cicerone d’eccezione. Anzi, tre: il blogger Gabriele AnelloDaniele Morrone (appassionato di J League, scrive su L’Ultimo Uomo) e l’agente FIFA Emanuele Marlia, tutti grandissimi conoscitori del calcio del Sol Levante.

Quattro squadre tra i 60 e i 63 punti. Che campionato è stato?

Gabriele: E’ stato un campionato strano, ma pazzo come solo la J-League sa essere. L’Urawa era la favorita insieme al Cerezo Osaka, ma solo la squadra di Saitama ha mantenuto le premesse iniziali. Nel finale però la compagine di Petrovic si è sciolta: basti pensare che nelle ultime sette gare hanno ottenuto appena sei punti e una sola vittoria. Il Gamba ha fatto un girone di straordinario e ha avuto la meglio. I complimenti vanno anche al Kashima Antlers, dove Cerezo ha creato le basi per un ottimo 2015. E il Sagan Tosu si deve mangiare le mani: ad agosto, con ancora Yoon Jung-Hwan come manager, erano primi. Chissà come sarebbe finita con lui fino alla fine.

Raffronto tra le posizioni di Urawa (rossi) e Gamba (blu) in questa stagione

Daniele: E’ stata la solita matta J.League in cui ad inizio anno si può solo immaginare chi finirà tra le prime tre, sicuramente una outsider tanto farà capolino. Esattamente come lo scorso anno si chiude all’ultima giornata e con tre punti di differenza tra prima e terza, solo che quest’anno l’outsider non ha sfiorato il titolo come fecero gli Yokohama F•Marinos la scorsa stagione… l’ha vinto dopo una rincorsa di mesi. Sembra incredibile pensare che quando il Gamba Osaka ha incontrato all’andata i Tokushima Vortis, era vicino alla zona retrocessione. Anche quest’anno una squadra ha buttato al vento il primo posto, con gli Urawa Reds che dopo aver comprato mezza squadra dai bicampioni del Sanfrecce Hiroshima ha pensato bene di fare quello che sanno fare meglio a Saitama regalando l’ennesima delusione ai tifosi suicidandosi a due giornate dal termine dopo un campionato tutto in vetta. Non bisogna però dimenticare che è stato l’anno del Sagan Tosu della punta Yohei Toyoda, una squadra partita per non retrocedere e finita addirittura a tre punti dai vincitori. Una stagione appassionante. Peccato che sarà molto probabilmente l’ultima, visto che i parrucconi a Tokyo hanno pensato bene di abbandonare il formato del girone all’italiana per tornare al formato delle due fasi con la scusa che dovrebbe aiutare la spettacolarità della lega. Non solo in Italia chi governa il calcio non ne azzecca una.

Emanuele: Un campionato imprevedibile fino all’ultimo e soprattutto per questo molto piacevole, a mio modo di vedere. Probabilmente non la stagione più bella, tra quelle da me visionate, ma sicuramente una stagione che ricorderemo sia per motivi piacevoli, sia per motivi spiacevoli. Come la retrocessione del Cerezo Osaka, che è grande perdita per la J. League Division 1.

A spuntarla, alla fine, il Gamba Osaka. Chi sono stati i trascinatori del club allenato da Kenta Hasegawa?

Gabriele: Credo che innanzitutto vada reso merito proprio ad Hasegawa. La sua carriera da bandiera – sia in campo che in panchina – dello Shimizu S-Pulse è stata eccellente. Era un po’ fuori dal giro, ma il suo lavoro al Gamba l’ha riportato al centro dell’attenzione. Due anni fa si piangeva per la retrocessione, oggi si rischia di festeggiare il treble… Tra i giocatori, ne nominerei quattro. Il portiere Higashiguchi è arrivato dall’Albirex ed è stato eletto il migliore della stagione dai tifosi: merita qualche chance in nazionale. Patric sembrava il solito brasiliano andato a svernare in J-League, invece ha fatto 12 gol in 24 partite e ha deciso la finale di Nabisco Cup. Takashi Usami non sarà pronto ancora per l’Europa, ma in Giappone è illegale: ha deciso alcune partite da solo. Infine, Yasuhito Endo: a quasi 35 anni è stato in grado di reinventarsi trequartista e trovare la forza di fare un’altra grande stagione. E ha regalato 15 assist.

Daniele: Mi sento di dare quattro nomi su tutti, due famosi anche qui in Europa e due molto meno. I primi due sono capitan Endo e la stella della squadra Takeshi Usami. Su Endo si deve dire solo una cosa: leggenda. Usami (22 anni) dopo l’infelice esperienza in Germania è tornato a casa e in due anni ha recuperato tutto il terreno perso nei confronti dei coetanei con la panchina in Europa. Adesso domina in modo evidente la competizione, incidendo praticamente a piacimento e in tutti i modi. Si era perso le prime 8 giornate per un infortunio al polpaccio e non è certo un caso se con il suo ritorno è iniziata la cavalcata del Gamba. Merita una seconda chance in Europa, magari in un campionato diverso dalla Bundesliga. Magari in Italia. Gli ultimi due sono l’ala destra Hiroyuki Abe e il portiere Masaaki Higashiguchi. Abe (25 anni) è la classica ala giapponese estremamente rapida nello stretto, il cui livello mantenuto nell’arco della competizione è stato eccellente. Higashiguchi (28 anni) è un portiere affidabile in una competizione in cui il livello dei portieri è basso. Questa semplice cosa l’ha reso fondamentale per il Gamba. La sicurezza con cui ha gestito la porta è stata fondamentale nelle ultime giornate.

Emanuele: La corsa del Gamba Osaka è stata una corsa mozzafiato. Dopo un inizio di campionato segnato da nove punti in undici giornate, a causa di un modulo sbagliato e di alcune assenze importanti, dalla dodicesima giornata di Division 1 avviene il cambio di passo fondamentale. Da quel momento la squadra di Hasegawa si affida a tre giocatori chiave: il rientrante Usami, talento che ha realizzato una decina di goal e di assist e che a mio parere merita una seconda occasione in Europa ed una possibilità con la nazionale di Aguirre. Una stagione importante per il giovane ventiduenne giapponese, che dovrà riconfermarsi anche in futuro. Buone prestazioni anche per il compagno di reparto Patric. Per la punta brasiliana il passaggio alla squadra di Osaka si è dimostrato una buona opportunità per giocare con maggior continuità rispetto a quella che avrebbe avuto all’ Atletico Goianiense. A questi giocatori bisogna aggiungere la mediana formata dai veterani della nazionale: dal capitano Endo, che ha gestito l’azione del Gamba e realizzato quindici assist per i compagni e da Konno, che ha ridotto l’offensiva avversaria, rendendo più semplici gli interventi del difensore Keisuke Iwashita. Proprio il secondo posto per reti subite dopo lo Yokohama Marinos, a pari merito con il Kofu, è l’elemento che meglio dimostra la forza della squadra di Hasegawa.

Qualificate alla Champions anche Urawa Red Diamonds e Kashima Antlers. Giapponesi che nel corso dell’ultima edizione non sono andate oltre gli ottavi. Cosa vi aspettate per l’anno prossimo?

Gabriele: Credo che l’AFC andrebbe considerata un po’ di più dai club nipponici. Il Giappone dominava la competizione a fine anni 2000: l’ha vinta nel 2007 con gli Urawa e nel 2008 proprio con il Gamba. Gli ultimi anni hanno mostrato qualche disinteresse nella competizione: giusto il Kashiwa Reysol è arrivato in semifinale nel 2013. Credo che Gamba, Urawa e Kashima siano tre squadre ottime per ripartire. La finale no, ma un rendimento migliore sì, quello me l’aspetto.

Daniele: E’ ormai chiaro che l’AFC Champions League non interessa veramente alle squadre di giapponesi che la trattano come le italiane trattavano qualche stagione fa l’Europa League, una buona occasione per andare in gita fuori e conta solo quando si arriva in fondo. Fino a due stagioni fa il premio vittoria dell’AFC era addirittura inferiore a quello della J.League (non ho dati aggiornati per poter confermare sia ancora così) e questa cosa, unita a trasferte lunghissime, non aiuta la competizione in Giappone. Va anche detto che il livello medio delle squadre più importanti di J.League si è abbassato con la diaspora per l’Europa degli ultimi due anni. Detto questo sulla carta gli Urawa Reds mi sembrano la squadra più in grado di reggere il doppio impegno, ma essendo i Reds troveranno il modo di sabotarsi da soli lo stesso.

Emanuele: Ad oggi è complicato ipotizzare come andranno le squadre giapponesi in Champions. Posso ipotizzare il passaggio della fase a gironi per tutte e tre le squadre, se ovviamente non verranno indebolite in fase di mercato, con il Gamba e l’Urawa con più possibilità di andare avanti nella competizione.

Tra le retrocesse anche il Cerezo Osaka, terza quattro anni fa e partecipante all’ultima edizione dell’AFC Champions League. Cos’è successo alla squadra di Cacau e Forlan?

Gabriele: L’anno scorso erano arrivati quarti e sembravano pronti per il salto verso il titolo. Forse c’era qualche dubbio su Ranko Popovic, tecnico a inizio anno. Il prosieguo della stagione ha dimostrato che il problema non era solo lui: poco amalgama, qualche infortunio di troppo e la sensazione che la squadra abbia mollato quando la montagna è diventata troppo grande da scalare. Cacau e Forlan, per altro, sono stati pizzicati a ridere dopo che la retrocessione è diventata ufficiale dopo la gara contro il Kashima: non so quale futuro ci sarà. Dalle parti di Osaka sperano di non fare la fine del Kyoto Sanga o del Tokyo Verdy, grandi del calcio giapponese che dovevano risalire in J1 e ancora non ci sono riuscite.

Daniele: Chiunque pensa di sapere il perché della stagione del Cerezo Osaka mente a se stesso. Se fino a metà campionato era chiaro il declino nei risultati, nel momento esatto in cui è arrivata la zona retrocessione la squadra non ha capito realmente il rischio. La società non ha aiutato la cosa con scelte strane fuori e dentro il campo e non è chiaro se ci sia stato un vero e proprio shock nell’ambiente (Forlan oltre a lamentarsi di varie cose si è stupito di come i giocatori siano tornati il giorno dopo la retrocessione ad allenarsi con il sorriso e senza la minima pressione da parte della tifoseria). La squadra è piena di giovani di talento e tagliare i rami secchi non potrebbe che fare bene. Non per niente ma il Gamba Osaka ha vinto quest’anno dopo l’anno in seconda serie, bisogna ricordare che il rapporto tra le due serie giapponesi è molto più fluido di quanto avviene in Europa. Peccato che la società va da tutt’altra direzione e sembra già alla ricerca del nome nuovo da dare alla stampa.

Emanuele: Mi dispiace molto per il Cerezo di Osaka, ma la retrocessione meritata é dovuta a pessime scelte gestionali ad inizio stagione. La squadra di Osaka è sempre stata fucina di giovani talenti cresciuti nelle proprie giovanili o acquistati dalle migliori università/scuole calcio del Giappone. Per sostituire il partente Kakitani, si è preferito puntare su giocatori rodati e presumibilmente pronti, che garantissero anche un ritorno di immagine per la società. Questa scelta si è rivelata sbagliata, soprattutto nel caso di Diego Forlan, che mai si è integrato nella società nipponica. Poche prestazioni sufficienti le sue e terminate le possibilità di cercare nuovi giocatori sul mercato si è potuto solo intervenire sul mercato degli allenatori, cercando di dare una scossa alla squadra: tre tecnici ed altrettanti moduli diversi hanno semplicemente aumentato la confusione dei giocatori. Se a questi aggiungi la perdita per infortunio di Hotaru Yamaguchi, fondamentale a centrocampo, la cessione di Kakitani a metà stagione – ceduto al Basilea – ed una difesa impresentabile, le possibilità di rimanere nella massima serie erano poche. Aggiungo anche il mancato sviluppo psicologico di Minamino, dal quale ci si aspettava di più in questa stagione, a testimonianza che non ha ancora fatto quel passo fondamentale per essere definito un giocatore importante per il futuro del calcio nipponico ed asiatico. Troppo apatico ed egoista nelle sue prestazioni.

Essendo io un grande amante dell’”universo giovani” non posso esimermi: quali sono stati i migliori capaci di mettersi in mostra in questa edizione della J League?

Gabriele: Qualche nome si può fare, magari puntando su quelli che ancora non hanno presenze in nazionale maggiore. Takuya Iwanami del Vissel Kobe (classe ’94) è un centrale difensivo di grande prospettiva. Gakuto Notsuda del Sanfrecce Hiroshima (’94) era partito a bomba a inizio stagione, poi si è un po’ spento e ha giocato sopratutto con il Giappone U-22 in J3, ma è un ragazzo dal sicuro avvenire. Shuhei Akasaki dei Kashima Antlers (’91) è agli inizi, ma diventerà più forte di Yuya Osako: il 2015 sarà il suo anno.
Infine, se vogliamo scendere in J2, segnalo anche Yuki Horigome (’92): è di proprietà del Ventforet Kofu, ma ha giocato benissimo quest’anno con l’Ehime. Ne sentiremo parlare.

Daniele: Avendo già parlato di Usami non posso non parlare dell’altro ’92 che si è preso copertine e nazionale: Yoshinori Muto del FC Tokyo allenato da Ficcadenti. Muto è letteralmente esploso in estate passando dal semi anonimato ad essere titolare nella nazionale. Giocatore intelligente e dal buon fisico può giocare ovunque sulla trequarti e ha chiuso il campionato con ben 13 gol dopo aver giocato solo una partita la scorsa stagione. Nel dramma del Cerezo si è confermato invece un grande prospetto l’attaccante Takumi Minamino (19 anni) – lo trovate nel mio ultimo libro, La carica dei 301, ndr – un nome che comincia ha circolare già in Europa e stella della nazionale giovanile nipponica. Dall’ampio margine di crescita c’è l’attaccante esterno Musashi Suzuki (20 anni) dell’Albirex Niigata, una freccia che per adesso ha sviluppato ancora solo l’aspetto atletico del suo gioco, ma che sembra poter migliore sotto la giusta guida. Un mio pupillo è Ryota Oshima (21 anni) centrocampista titolare del Kawasaki Frontale una delle squadre che meglio gioca in Giappone. Oshima ha una visione di gioco e un “feel” per il gioco che promettono grandi cose, un progetto di playmaker che però non ha problemi a muoversi lungo tutto il campo rendendosi utile per i compagni in ogni zona. Ultimo nome che faccio è quello di Gakuto Notsuda dei Sanfrecce Hiroshima. Trequartista centrale di venti anni, ricorda nel modo di calciare e di muoversi in campo la versione giovanile di Honda e sono sicuro lo vedremo a breve in Europa. Chiudo indicando una squadra intera: i Nagoya Grampus hanno una rosa giovanissima con almeno cinque giovani interessanti a cui hanno dato fiducia in un anno di transizione, se non la prossima stagione, tra due torneranno sicuramente nell’elite.

Emanuele: Tre nomi, uno per ruolo: Iwanami del Kofu, Sekine dell’Urawa Reds e Muto del Tokyo. Il primo è un difensore molto interessante, che sta già dimostrando personalità e sicurezza negli interventi. Il centrocampista di destra Sekine, nonostante non abbia potuto giocare con continuità per ragioni di pochi spazi liberi nell’Urawa Reds, quando è stato chiamato a giocare dal primo minuto ha disputato ottime prove. Il prossimo anno potrebbe avere più spazi ed imporsi con continuità. Muto è stato probabilmente la vera sorpresa del campionato, assieme ad Usami. Titolare nell’FC Tokyo ed ufficialmente tra i talenti più cristallini della J.League. Sotto la guida di Ficcadenti, il giovane giocatore nipponico è migliorato molto, dimostrando una sicurezza ed un’abilità precoce per la sua età.

In ultimo, la Nazionale. A gennaio sarà impegnata in Coppa d’Asia. Giappone inserito nel gruppo D con Giordania, Iraq e Palestina. Quali prospettive per i Samurai Blue?

Gabriele: Il gruppo sembra fattibile, anche se l’Iraq è migliorato molto con i suoi giovani e la Giordania è cresciuta parecchio rispetto a quattro anni fa. La prospettiva di vincere la Coppa c’è. Certo, giocare in casa degli avversari principali per il titolo non sarà facile. Mi auguro che il Giappone possa confermarsi campione. Se lo facesse con un nuovo ct e un gruppo parzialmente cambiato (qualche faccia nuova ci sarà), sarebbe la certificazione per un dominio incontrastato sul continente.

Daniele: L’unica prospettiva accettabile per il Giappone in ambito continentale è il raggiungimento della finale della competizione. Il percorso però rischia di essere più complicato del previsto visto che la scelta Aguirre si sta rivelando un errore da parte della federazione, con il tecnico che oltre a non aver ancora dato un’identità alla squadra è sembrato anche molto insicuro sui suoi stessi nomi forti (i due nuovi entranti Shibasaki a centrocampo e Muto davanti sembrano l’unica nota positiva). Il tecnico non è forse ancora entrato nel calcio giapponese come fece tanto bene all’inizio Zac (è addirittura andato in Messico a ritirare un premio il giorno prima dell’amichevole con la Jamaica tornando sì in tempo per la partita, ma con tantissime ore di volo e un’assenza alla vigilia della partita che non depongono in favore del tecnico). Lo scandalo scommesse in Spagna che lo vede tra i nomi messi in mezzo poi non fa altro che peggiorare la situazione. Ovviamente in ambito continentale i nomi bastano ed avanzano per la semifinale, da lì in poi però potrebbero non essere sufficienti. Diciamo che la coppa arriva forse troppo presto rispetto ad un progetto ancora decisamente all’anno zero.

Emanuele: Purtroppo lo shock per l’uscita ai gironi in Brasile ha non poco demoralizzato i talenti giapponesi, che cercheranno di confermarsi in Coppa d’Asia, facendo ripartire gli ingranaggi della corazzata del Sol Levante. Dai campioni in carica non ci si può aspettare niente che non sia la vittoria del titolo e spero che queste aspettative non si dimostrino controproducenti. Il girone non è da sottovalutare. La Giordania si è qualifica arrivando seconda nel girone, senza subire sconfitte, dimostrando un netto miglioramento del calcio giordano. E’ una squadra che si basa sulla punta dell’Al Arabi Hayel. Anche l’Iraq si è qualificato come secondo del suo girone, scontrandosi contro avversari più difficili di quelli della Giordania come Arabia Saudita e Cina. Una squadra che schiera titolare Ali Adnan, che disputò un ottimo Mondiale U20 nel 2013 e che attualmente gioca titolare in Russia. La Palestina si è qualificata vincendo l’AFC Challenge Cup del 2014. Il Calcio palestinese è cresciuto molto dal 1999 ad oggi, ha tra i suoi giocatori più importanti un difensore paraguaiano naturalizzato palestinese: Javier Cohene. Detto questo, se il Giappone giocherà secondo i suoi ritmi e imponendo il suo gioco, penso che il passaggio del girone per Honda ed i suoi sia solo il primo passo della competizione.

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