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Continuando con la rassegna di chiacchierate con i potenziali campioni del domani è la volta di parlare di e con Marco Duravia, giovane terzino di scuola Juventus oggi al Figline di Moreno Torricelli. Fino allo scorso anno è stato il terzino destro della Primavera Bianconera, squadra con la quale ha disputato e vinto, distribuendo anche qualche assist per i propri compagni (come quello ai quarti per Daud e quello in semifinale per Immobile), l’ultima edizione del Torneo di Viareggio.
Ma chi è Marco Duravia?
Nato il 14 ottobre del 1989 a Castelfranco Veneto, cittadina sita tra Treviso, Padova e Vicenza, abitò sino all’età di 13 anni con la propria famiglia (cui è molto legato, e la cosa appare chiara dalle sue risposte: “Ho sempre vissuto nel mio paese insieme a mai madre, mio padre e mia sorella, che ha 5 anni in più di me e a cui sono legato moltissimo. Ho avuto un’infanzia normalissima, senza particolari problemi, con una famiglia alle spalle che mi ha sempre sostenuto in tutte le attività – prevalentemente legate al calcio – in cui mi immergevo”) a Montebelluna prima di iniziare la sua avventura di calciatore e lasciare casa per Torino.
I primi calci ad un pallone iniziò a tirarli all’età di 7 anni nella Fulgor Trevignano, una piccola società che attualmente milita in Seconda Categoria, “più per gioco e passione che per reale interesse ad avere un futuro calcistico, visto anche il passato da rugbista di mio padre e la poca passione sportiva di mia madre”.
Dopo un paio d’anni, però, parse subito chiaro che Marco non era un ragazzo come gli altri: la sua qualità calcistica era superiore alla media e non andava sprecata.
A 9 anni, quindi, la chiamata del Montebelluna (“Era la squadra del mio paese ben più blasonata rispetto a quella in cui avevo iniziato: in provincia si contendeva lo scettro di miglior settore giovanile con il Treviso”, ci racconta Marco) e l’approdo in una squadra che poteva offrirgli un certo tipo di prospettive. Proprio avendo un settore giovanile rinomato (da cui sono passati giocatori come Floccari, Toldo, Buso e Serena) era infatti ovvio che giocare in una squadra del genere significava mettersi in mostra agli occhi degli osservatori dei club maggiori.
Tanto che quattro anni dopo già molto lunga era la lista delle squadre che lo volevano: Milan, Atalanta, Treviso, Venezia e Verona, ad esempio. Ma anche quella Juventus in cui decise di trasferirsi dopo aver passato uno dei classici provini con cui le grandi squadre testano i giovani virgulti che pescano in giro per tutt’Italia.
La scelta, sicuramente combattuta visto le tante società che lo seguivano, non fu comunque certo casuale: “Ho scelto di andare lì perché nonostante fosse la più distante da casa mia la reputavo la più organizzata”.
Appena arrivato a Torino – siamo nell’estate del 2003 – viene inserito nella rosa dei Giovanissimi Nazionali, per poi fare tutta la trafila nel settore giovanile Bianconero: “Passai poi agli Allievi Regionali (anche se venivo spesso convocato con i ragazzi dell’88 che partecipavano al campionato Allievi Nazionali), Allievi Nazionali, Beretti (anche se ero in rosa con la Primavera delle annate 88-87) e biennio di Primavera”.
In sei anni di militanza nella Juventus, quindi, ha potuto arricchire molto il suo palmares, che ci dice essere fatto da: “1 campionato nazionale Allievi Nazionali, 2 Supercoppe Italiane Primavera, 1 Coppa Italia Primavera , 1 Torneo di Viareggio. Ho anche perso in finale una finale scudetto Allievi Nazionali, una finale scudetto Beretti, e una finale Champios Youth Cup contro il Manchester (Champions League dei giovani)”.
Già tanta roba, insomma, per un ragazzo neo ventenne che nonostante la giovanissima età ha già potuto concorrere per traguardi molto importanti e che quindi ha già avuto modo di forgiare il proprio carattere subendo un certo tipo di pressioni.
Proprio su di una delle tante vittorie ottenute, quella al Torneo di Viareggio, va a concentrarsi la discussione. Una vittoria del genere, infatti, può segnare in positivo la carriera di un giocatore, dato che la Coppa Carnevale resta una delle principali competizioni giovanili mondiali.
Riguardo alla vittoria ed all’affiatamento con i proprio compagni, quindi, Marco si esprime così: “Nella vittoria di quel torneo l’affiatamento era generale e di squadra; potrà sembrare una frase fatta, ma non lo è. In particolare ho sempre avuto un buon feeling con Daud, Castiglia, Marrone e Iago (nonostante in quel torneo non avesse giocato moltissimo). Al di fuori del campo non eravamo un gruppo particolarmente unito. Non tanto perchè non andassimo d’accordo, ma più che altro per la diversità di personalità. Era un gruppo con tanti ragazzi di personalità che non avevano problemi a dire la loro: questo può essere un vantaggio, ma a volte anche uno svantaggio. In linea di massima io ero molto amico di Luca Castiglia, il capitano, Daud e Serino, ragazzi con cui uscivo spesso.”
Una vittoria costruita sull’affiatamento in campo più che su di uno stretto legame d’amicizia fra tutti i componenti della squadra, a dimostrazione del fatto che quando si parla tutti la stessa lingua – calcistica, s’intende – non si debba per forza essere amiconi: in campo sono tecnica, tattica ed atletismo a farla da padroni. E quella squadra era sicuramente molto ben fornita di tutte queste caratteristiche, tanto, appunto, da imporsi al Torneo di Viareggio.
E proprio in relazione alle sue vittorie trovavo fosse giusto chiedergli quale fosse stato il momento più emozionante della sua carriera. E la risposta è, ancora una volta, molto interessante: “Il momento più bello senza dubbio è stato l’esordio, seppur in amichevole, al Trofeo Birra Moretti. Ho giocato poco, cinque minuti, ma è bastato per farmi provare un’emozione unica. Sicuramente anche la vittoria del Viareggio è stata emozionante, ma non ancora paragonabile con la partita al San Paolo”.
Questa risposta, infatti, ci fa capire come ci sia un grande sbalzo tra una Primavera e la prima squadra.
Proprio in relazione a questa cosa, quindi, sarebbe bello che tutto il mondo del calcio italiano si interrogasse, chiedendosi se non sia il caso di iniziare a far assaporare ai ragazzi più meritevoli il calcio che conta già in tenera età (e come modello citerei i casi di Balotelli e Santon all’Inter). Perché finché giochi una competizione giovanile, per quanto importante sia, avrai tutto uno staff che si prodigherà in ogni modo per sgravarti di parte della pressione che puoi sentire. Giocare in prima squadra, però, è poi tutta un’altra cosa, ed ogni minimo errore viene vivisezionato in tutti i modi possibili… e le pressioni aumentano esponenzialmente.
Detto della vittoria alla Coppa Carnevale e del momento più emozionante della sua carriera, quindi, non potevo esimermi dal chiedergli cosa volesse dire abitare a Torino, distanti dalla propria famiglia, e, soprattutto, cosa significasse crescere con la consapevolezza di far parte del settore giovanile di una delle squadre più blasonate al mondo. E la risposta di Marco è semplice e lineare, tanto da far capire come sia un ragazzo con pochi fronzoli per la testa e, soprattutto, intelligente. Cosa, quest’ultima, che per un calciatore risulta spesso decisiva quasi quanto la propria capacità tecnica.
“A Torino sono stato 6 anni: è stata un’esperienza importantissima per la mia crescita calcistica ma soprattutto umana. Di Torino, ma soprattutto della Juventus, posso citare l’organizzazione perfetta in ogni minimo dettaglio e l’umanità delle persone che compongono la società. A 13 anni, appena arrivato, ero giustamente impaurito dalla situazione, ma ho trovato nelle persone che facevano parte della società gente con cui potermi confrontare ed aprirmi senza molti problemi. Io, da buon veneto, sono un pochino chiuso, non molto estroverso; ma quando ti ritrovi a vivere insieme ad una cinquantina di ragazzi di tutte le età e, soprattutto, di tutte le regioni d’italia, la paura sparisce e ti lasci un po’ andare. Vivevo in un hotel a 3 stelle chiamato da noi il “pensionato”… ne ho cambiati tre nella mia militanza bianconera, e come qualità del servizio siamo migliorati di anno in anno. Avevamo un tutor che ci seguiva in ogni cosa e ci aiutava in caso di eventuali problemi.
Riguardo la vita invece non c’è molto da dire. Era molto programmata: scuola il mattino, allenamenti il pomeriggio e la sera la passavamo distesi sul letto a giocare alla Playstation o studiando. Le uscite ai minorenni erano permesse prima della morte di due miei compagni nel laghetto del centro di Vinovo, poi sono subentrate beghe riguardanti le responsabilità e tutto si è ridimensionato limitando uscite serali ai soli giorni di giovedi e domenica. Per i maggiorenni invece nessun problema, se non l’obbligo di firma all’uscita e al ritorno, con relativo orario”.
Un’esperienza di vita molto differente da quella che fa un ragazzo normale, abituato a vivere in casa coi propri genitori. Staccarsi dalla propria realtà familiare quando si è ancora poco più che un bambino non dev’essere certo facile, per quanto sicuramente un’organizzazione come quella raccontata da Marco in queste poche righe deve sicuramente aiutare moltissimo i ragazzi che decidono di fare quel grande passo.
Sempre molto interessante, poi, è chiedere ad un giocatore di descrivere le proprie caratteristiche tecnico-tattiche, perché quasi sempre si va in difficoltà nel doversi descrivere, magari azzardando paragoni arditi.
Ma anche qui, ancora una volta, Marco dà dimostrazione di essere ragazzo molto intelligente e non scomponendosi minimamente ci dice: “Come giocatore sono abbastanza lineare, un terzino di fascia con una buona spinta e una buona corsa. Pecco un po’ in fase difensiva, forse perchè in alcune annate ho ricoperto il ruolo di esterno di centrocampo. Sto cercando di migliorare anche grazie agli insegnamenti di Torricelli, il mio allenatore, che in fatto di terzini ne sa qualcosa. A livello tecnico non sono male, me la cavo bene con il destro e faccio del cross uno dei miei punti forti”.
Allo stesso modo anche riguardo al giocatore cui si ispira la risposta risulta essere tutt’altro che banale:
“Non ho mai inseguito miti calcistici: non mi sono mai ispirato a qualcuno in particolare perchè credo che sia giusto conservare la propria unicità. Anzi, a pensarci bene ho sempre avuto idoli calcistici che non c’entravano nulla con il mio attuale ruolo e tutt’ora conservo le figurine di calciatori come Baggio e Chevanton che con me non hanno nulla da spartire! Se proprio dovessi scegliere un terzino che mi piace, comunque, direi Massimo Oddo, nonostante siano passati i tempi migliori anche per lui”.
Come se non bastasse, poi, rincaro la dose sugli idoli calcistici proponendogli una delle domande che classicamente amo fare a chi gioca a calcio, ovvero sia con quale giocatore dei tempi andati vorrebbe giocare se potesse viaggiare indetro nel tempo per raggiungere i campioni del passato. Ed ancora una volta la risposta desta interesse perché, tra l’altro, ci permette anche di scoprire l’origine del suo nome: “Nonostante riconosca che ci siano stati giocatori superiori a lui, non avrei esitazioni a dire Marco Van Basten. Se mi chiamo Marco in parte è anche perchè mio padre era un amante del calcio del Milan di Sacchi, e quindi di Van Basten. Tanto che al momento della scelta del nome mio padre disse: “Senza dubbio Marco!”.
Niente da dire sulla scelta, direi.
Da amante del calcio giovanile, quindi, mi interessava molto sapere l’opinione di un giocatore che fino a “ieri” ha militato in una Primavera tanto importante come quella juventina. Nessuno meglio di chi è sceso in campo in competizioni giovanili importanti come il Viareggio o il Campionato Primavera, infatti, può parlare dell’attuale livello medio del nostro calcio giovanile: “Il calcio giovanile italiano è sicuramente una grandissima risorsa per tutto il movimento, cosa però non ancora ben capita da chi comanda il calcio. A mio parere ogni anno escono giovani interessantissimi ma non ancora pronti per il grande salto, non tanto perché non abbiano le capacità tecniche o morali ma bensì perché è difficile catapultarsi nella dimensione del calcio professionistico italiano se non c’è possibilità di mettersi in mostra. Giocatori come Poli, Ranocchia, Paloschi, Marilungo o altri che ora non mi vengono in mente sono giocatori che probabilmente in altri paesi avrebbero trovato più spazio nei loro club. E qui ho citato giocatori che hanno già avuto esperienze con le loro squadre, ma ce ne sono altri che questa possibilità proprio non l’hanno. In inghilterra ed in Spagna vengono date più possibilità e non si mortifica il giovane al primo errore. Il livello secondo me potrebbe essere ancora più alto e forse la crisi economica aiuterà la valorizzazione dei giovani italiani, e non sempre stranieri”.
Ed è un discorso, quello fatto da Marco, che mi trova in pieno concorde (per quanto io sia solo un osservatore esterno, non essendo calciatore). Si torna infatti al discorso che facevo prima: va dato modo ai nostri ragazzi più meritevoli di entrare in contatto con la prima squadra il prima possibile, per poterli così inserire a poco a poco cercando di evitare in tutti i modi il rischio di bruciarli.
Pensare che in Italia spesso si considerino ancora giovani di belle speranze ragazzi di 23 o 24 anni (che teoricamente dovrebbero già essersi affermati e che in Spagna o Inghilterra solitamente hanno già trovato spazio da anni) fa rabbrividire.
Sempre riguardo alla situazione giovani in Italia, comunque, diventava d’obbligo chiedergli chi, tra ex compagni ed avversari, potesse fare strada ad alti livelli: “La Juventus negli ultimi anni ha sfornato tantissimi giocatori che ora militano tra Serie A e B. Tra quelli con cui ho giocato io direi senza dubbio Daud, che ha qualità fuori dal normale, Immobile, che ha qualità tecniche e un temperamento davvero eccezionale, e De Paola, centrale poco nominato ma dotato di qualità difensive e fisiche davveri importanti. Ovviamente io giudico i miei compagni per come li conoscevo, poi oltre all’aspetto tecnico ci deve essere una crescita mentale adeguata. Tra i giocatori che ho incontrato in Primavera, invece, menzionerei Crescenzi della Roma, terzino completo e disciplinato, Marilungo, che è già abbastanza conosciuto, e Mancini della Lazio, esterno ficcante e molto tecnico. Credo che tutti loro potrebbero far bene in serie A”.
Detto del suo passato juventino e di giovane della Primavera, prima di passare a parlare del suo presente mi sono voluto togliere un paio di sfizi riguardanti il futuro, chiedendogli dei suoi sogni da calciatore e di parlare anche della nostra nazionale, che tradizionalmente è l’obiettivo ambito da ogni calciatore sin da quando si iniziano a tirari i primi calci ad un pallone: “Il mio sogno sarebbe senza alcun dubbio poter disputare una finale di Champions League con la maglia del Milan. Questo per sognare in grande, ma mi potrei “accontentare” anche di giocare in A con la maglia del Treviso, la mia seconda squadra! Per quello che riguarda la nazionale, invece, penso più a far bene e ad arrivare a certi livelli che alla nazionale, obiettivo sicuramente di tutti i calciatori ma in questo momento per me inarrivabile”.
La nostra lunga e interessante chiacchierata, quindi, non poteva risparmiarsi dal parlare della sua esperienza attuale, quella che lo vuole vedersi disimpegnare in Prima Divisione tra le fila del Figline. Doveroso, quindi, chiedergli come fosse andato il suo ambientamento e quali sono le prospettive del suo club per l’annata da poco cominciata: “Siamo una società umile e tranquilla che cerca di far bene alla prima esperienza in Prima Divisione. Nella sua storia il Figline ha sempre disputato campionati dilettantistici, è quindi nuovo a questa esperienza. Io mi trovo bene e nonostante non stia giocando titolare non mi posso lamentare. Ho collezionato 5 presenze in campionato e avverto la fiducia del mister. Nelle prime 4 partite abbiamo raccolto 0 punti e questo inizio difficile ha certamente penalizzato l’utilizzo di noi giovani. Come squadra siamo un mix tra gioventù ed esperienza ed il nostro obiettivo principale è raggiungere una salvezza tranquilla, possibilmente senza passare dai Playout”.
Duravia, tra l’altro, a Figline ha trovato un campione come Enrico Chiesa, in passato anche più volte convocato in nazionale, e ritrovato Salvatore D’Elia, giocatore che lo scorso anno si disimpegnava sulla fascia opposta alla sua: era infatti lui il terzino sinistro della Primavera Bianconera. Scontato, quindi, gli chiedessi anche di loro: “Enrico è una bravissima persona con cui tra l’altro condividiamo lo spogliatoio. Molto spesso ci ritroviamo a scherzare insieme e lui è sempre molto piacevole. Come giocatore non lo scopro di certo io, un campione che ha quasi 500 presenze tra i professionisti e più di 100 gol in Serie A. Ovviamente non posso rubargli i segreti del mestiere visti i ruoli differenti, ma l’aiuto c’è comunque. Con Salvatore, invece, ho sempre avuto un buon rapporto. Non siamo mai stati grandissimi amici, ma spesso uscivamo in compagnia e ci siamo sempre divertiti. Ritrovarci qui è stato senza dubbio piacevole visto che assieme a lui ho condiviso tante gioie e delusioni nei 6 anni in Bianconero. Qui, oltretutto, ci sono anche l’attaccante D’Antoni e il centrocampista Cosentini che giocavano con noi alla Juve due anni fa e che l’anno scorso erano in prestito rispettivamente al Giulianova e alla Pro Patria”.
Una situazione piacevole, quindi, che sicuramente deve aver aiutato Marco ad inserirsi e calarsi al meglio nella nuova realtà.
Davvero una chiacchierata molto piacevole, insomma, che mi ha dato modo di scoprire la gran persona che c’è dietro a questo terzino di spinta.
Ma una volta che, tra quindici o vent’anni, finirà l’esperienza l’esperienza da calciatore cosa farà Duracell (soprannome affibiatogli dagli ex compagni in relazione alla sua portentosa resistenza)? “Sin da piccolo mi piaceva comprare l’album delle figurine anche solo per leggere le carriere dei giocatori. Ho sempre coltivato questa passione, conosco tantissimi giocatori, di tutte le categorie. Se dovessi scegliere se rimanere nel mondo del calcio sceglierei sicuramente il ruolo dell’allenatore, ma non disdegnerei nemmeno il ruolo di Direttore Sportivo”.
Prima di far tornare Marco ai suoi impegni non potevo non andare a parare su quello che è il suo aspetto umano, cioè sul ragazzo che è lontano dal campo: “Mi piace la musica, ascolto un po’ di tutto prediligendo Ligabue, ColdPlay, James Blunt e Jason Mraz. Il mio piatto preferito sono senza dubbio le lasagne della mamma. Dopo aver preso il diploma per geometri mi sono iscritto a Scienze Politiche all’Università di Torino e oggi provo a portare avanti i miei studi pur con le difficoltà dovute al mio impegno sportivo. Solitamente per divertirmi giro per locali con gli amici, non sono un giocatore che esagera ma non disdegno alcune serate in discoteca. Un’altra mia passione sono i computer, amo questo mondo e mi ci destreggio discretamente”.
Ecco, quindi, chi è Marco Duravia, terzino scuola Juventus oggi al Figline. Un ragazzo che, come tanti, ama la musica e le uscite con gli amici, ma che, a differenza di tanti, dimostra una maturità non comune per un vent’enne.
Chiacchierata davvero piacevole, quindi. Con la speranza e l’augurio da parte mia che possa davvero coronare tutti quei sogni di cui mi ha parlato, entrando nell’elite del nostro calcio.
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