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Archive for Maggio 2011

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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CRONACA

Partita che inizia subito forte.
Dopo un minuto e mezzo Kebè sfonda sulla destra e centra un pallone a mezz’altezza che mette un po’ in difficoltà De Vries, la cui respinta coi pugni crea un parapiglia in area di rigore, con la difesa, un po’ in difficoltà, che riesce a liberare in qualche modo.

Sul fronte opposto Sinclair parte con una penetrazione centrale andando a subire fallo proprio al limite da Matthew Mills.
Sul punto di battuta si presenta quindi il nostro Borini, il cui piatto destro piazzato termina però alto sopra la traversa.

Bella l’azione costruita al quarto d’ora dal Reading. Azione che sfuma però in nulla, con un cross troppo lungo per essere controllato da McAnuff.
Al ventesimo un guizzo di Dyer vale il rigore per i gallesi: l’ala destra dello Swansea spunta palla al piede, venendo atterrato in area da Khizanisvili. Calcio di rigore.

Sul dischetto si presenta Sinclair che spiazza facilmente Federici, portando in vantaggio i gallesi.

Un minuto e arriva il raddoppio. Dobbie parte da centrocampo bucando la difesa avversaria e centrando un pallone basso che è solo sfiorato da Federici. La palla finisce quindi sul secondo palo, dove si fa trovare, tutto solo, il buon Sinclair, che griffa la sua doppietta personale.

Alla mezz’ora torna a farsi vedere il Reading: sugli sviluppi di un angolo è Noel Hunt a tagliare sul primo palo in tuffo di testa, senza però riuscire a centrare la porta.
Tre minuti ed il trio Borini-Dobbie-Sinclair costruisce un’azione interessante, ma ricevuta palla all’interno dell’area l’italiano vede la sua conclusione stoppata da un avversario.

A cinque dalla chiusura arriva anche la terza rete. Dyer si beve McAnuff e centra un pallone che è deviato dal tacco di Khizanisvili giusto là dove piomba Dobbie, il cui diagonale è imparabile per il portiere Royals. 3 a 0.

In chiusura di tempo occasionissima per Long che, tutto solo sul secondo palo, liscerà clamorosamente il pallone.

In apertura di ripresa la partita si riapre. A piazzare in rete la palla  che riaccende le speranze è Noel Hunt che brucia gli avversari sul primo palo andando ad incornare un cross battuto dalla sinistra da McAnuff.

Al cinquantacinquesimo grandissimo contropiede dello Swansea: ottima verticalizzazione di Borini per Dobbie che salta secco due avversari per presentarsi praticamente a tu per tu con Federici, fallendo però in pieno il destro che avrebbe chiuso definitivamente la partita.
Subito dopo proprio il trequartista della formazione gallese lascia il campo, sostituito dalla mezz’ala Pratley.

Reading che comunque ci crede: Hunt spizza un lancio lungo dalla difesa per il taglio di Kebè, chiuso però dall’intervento di Tate.

La rete è comunque nell’aria ed a firmarla è Mills: sul calcio d’angolo che segue la chiusura di Tate è infatti il capitano Royals a svettare in mezzo all’area, bucando imparabilmente De Vries per il goal che riporta sotto il Reading.

Borini prova quindi a dare subito la scossa: servito da Dyer fa secco un avversario tenendo poi palla bene in mezzo a due giocatori del Reading per tentare un taglio dentro a cercare Sinclair, con cui però non si capisce.
Reading che vola sulle ali dell’entusiasmo, sfiorando il pareggio: Karacan calcia da fuori battendo De Vries ma venendo fermato dal palo. Facile tap-in quindi per Hunt, la cui conclusione è però chiusa dall’intervento provvidenziale di capitan Monk.

Swansea che dopo lo sbandamento riesce comunque a riprendersi, rimettendosi in carreggiata.
Pericolo scampato, i gallesi possono pensare a controllare gli avversari per cercare di colpire in contropiede.

Ed al settantanovesimo arriva il secondo rigore per i gallesi. Tate filtra per Borini che viene messo giù dall’intervento del terzino destro avversario, per una massima punizione che ci stava assolutamente.
Sul dischetto si presenta quindi Scott Sinclair, che buca per la terza volta nella sua partita Adam Federici, chiudendo definitivamente un match che negli ultimi dieci minuti non avrà più molto da dire.

COMMENTO

E’ l’intero Galles a fare festa.

Mai, dalla sua fondazione, una formazione gallese era riuscita ad entrare in Premier League.

Assolutamente significativa, quindi, questa bella vittoria dello Swansea. Non solo per i tifosi della squadra che in questi mesi ha fatto da casa a Fabio Borini, quanto per l’intero Galles.

Bella squadra questa. Un piccolo Barcellona, potremmo azzardarci a dire.

Certo, i mondi in cui vivono le due squadre sono in realtà lontani anni luce, ma dello Swansea si può sicuramente apprezzare il loro tentativo di cercare di fare gioco senza buttare mai via il pallone.

Reading che dopo un inizio di ripresa a spron battuto deve quindi cedere al cospetto di una squadra che si è dimostrata nel complesso superiore.

A fare la differenza, nel complesso, sicuramente quel Sinclair che col suo hat-trick non può che essere votato come MVP del match!

 

TABELLINO

Reading vs. Swansea 2 – 4
Marcatori: 21′ (rig.), 22′, 80′ (rig.) Sinclair, 40′ Dobbie, 49′ Hunt

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Per quanto mi concerne è stato una delle cose più stupefacenti che abbia mai visto su di un campo di calcio.

Stiamo parlando di Roberto Carlos, ragazzi. Qualità abbaglianti le sue.
Velocità sia nel breve che nel lungo, capacità di spinta pressoché uniche, potenza di calcio devastante, piede sensibile come i migliori trequartisti.
Quanti terzini possono rispondere a quest’identikit, oltre a lui?

Di miti nel calcio non ne ho avuti tantissimi, e soprattutto temo di non averne praticamente più. Ma lui tra questi c’è sicuramente.

E oggi, che ha praticamente abbandonato il calcio di altissimo livello, ecco che torna a far parlare di sè.

Questa volta non con un suo tiro fenomenale o una sua punizione da lasciare di stucco (quella calciata nel 98 contro la Francia è forse la miglior – o quantomeno più stupefacente – punizione mai calciata nella storia del calcio), ma per l’invenzione di un dribbling del tutto particolare.

Un dribbling che l’ex terzino Verdeoro ha deciso di mostrare e far conoscere a tutti tramite un video che è possibile trovare in rete. Il tutto in attesa, magari, di provarlo in partita (nonostante l’altissimo coefficente di difficoltà).

Un dribbling che personalmente mi sono permesso di ribattezzare, in attesa che magari sia lo stesso Roby a dargli un nome, Sombrero Plantillazo.

In cosa consiste?
E’ piuttosto semplice. Da spiegare, intendo.

La palla rimbalza davanti al giocatore che le prende il tempo per farsela passare tra le gambe. Una volta lì, sempre col tempo giusto, ecco il colpo di tacco fatto per fare in modo che il pallone possa scavalcare la propria testa. Ed ovviamente quella dell’avversario.

Un sombrero di tacco, insomma. Un Sombrero Plantillazo, appunto.

Spettacolare da vedere già in allenamento, mi immagino cosa non sarebbe vedere un qualche giocatore, magari anche non lo stesso Roberto Carlos, saltare un avversario in questo modo nel bel mezzo di una partita…

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Partita probabilmente non memorabile ma comunque giocata su ritmi discreti quella tra Barcellona e Manchester United, con i primi capaci di imporsi nel tempio del calcio inglese.
Come da copione.

Barcellona

Valdes: 6,5
Sarebbe un 6, ma mezzo punto in più se lo merita per la sicurezza con cui gestisce il pallone coi piedi, retaggio degli insegnamenti dell’ormai leggendaria cantera blaugrana.
Sul goal di Rooney non può nulla.

Dani Alves: 6
Primo tempo non brillante, cresce alla distanza.
Nella ripresa si mangia però un goal a tu per tu con Van der Sar.
Lo si è visto meglio in altre occasioni, ma comunque non demerita.
(Dall’88’ Puyol: s.v.)

Mascherano: 6,5
Soffre un po’ Rooney, almeno nel primo tempo. Il suo grande senso della posizione, figlio di un’intelligenza tattica superiore, compensano comunque la mancanza di esperienza che ha rispetto ad un ruolo per lui tutto sommato nuovo.
Ad inizio partita rischia di spianare la strada a Rooney, ma viene salvato dalla pronta uscita di Valdes.

Piquè: 7,5
Elegante come al solito, guida bene il reparto arretrato spagnolo. Ormai è una solida realtà (per quanto, dal mio punto di visto, se parliamo di marcatura pura ci sono diversi difensori a lui superiori, al mondo).

Abidal: 6,5
Merita almeno mezzo punto in più per la storia che ha alle spalle. E perché dopo quello che ha passato ritrovarsi dopo così poco tempo in campo dall’inizio in una finale di Champions è qualcosa di positivamente assurdo.

Busquets: 6
Non gioca una brutta partita, ma la sua uscita fuori tempo su Rooney spiana alla punta britannica la via del goal del pareggio che gela per qualche minuto il sangue nelle vene a lui ed ai suoi.

Xavi: 8
Se gira lui il gioco è fatto. E stasera sembrava essere particolarmente ispirato.
Non sbaglia quasi nulla, anche se le sue conclusioni a reti sono quantomeno rivedibili.
Ottima partita del metronomo catalano, che sforna un assist da vedere e rivedere all’infinito per il primo goal di Pedro.

Iniesta: 7
Non la sua miglior partita.
Perché se lo fosse stata il suo Barça probabilmente avrebbe vinto con ancora più goal di scarto.
Non la sua miglior partita, ma tanta roba comunque.

Pedro: 7
In finale timbra – quasi – sempre il cartellino.
La sua qualità non è certo all’altezza della media della squadra, ma è palese come sia inserito nel contesto perfetto per esaltarne le qualità: allenatore che crede in lui, tattica ricamatagli addosso, giocatori come Xavi, Iniesta e Messi a mandarlo a rete.
(Dal 90′ Afellay: s.v.)

Messi: 8
Non c’è molto da dire per lui.
Solo Xavi potrebbe impedirgli di arrivare all’ennesimo Pallone d’Oro. Che però probabilmente ha già in bacheca.

Villa: 7
Non fa sfracelli come potrebbe. Ma il terzo goal è da incorniciare.
Per chi ha giocato a FIFA11: sembra o no il tiro piazzato che si può fare nel videogame?
(Dall’84’ Keita: s.v.)

Manchester United

Van der Sar: 5,5
Un peccato davvero. Perché a parte la triste parentesi juventina questo spilungone olandese si è sempre dimostrato tra i migliori interpreti del ruolo della sua era. Chiudere con una sconfitta come questa, e con un errore in occasione del secondo goal, è davvero un peccato.

Fabio: 5,5
Si vede molto, troppo poco.
(Dal 68′ Nani: 5,5
Inserito per dare la scossa alla squadra, fallisce in pieno.)

Ferdinand: 6
Non sembra più essere il Rio dei tempi belli. Ma prova comunque a salvare la baracca come può.

Vidic: 7
Il migliore dei suoi laddietro. L’unico a dare nerbo al reparto arretrato, che nonostante la sua bella prestazione affonda sotto i colpi degli avversari.

Evra: 5
Dalla sua parte il Barcellona sembra riuscire a sfondare più volte. Come in occasione della prima rete, quando Pedrito s’infila per bucare senza possibilità di replica il malcapitato Edwin.

Valencia: 4
Non combina nulla. Se non una serie di falli non cattivissimi, ma davvero esagerata.
L’arbitro con lui è fin troppo buono, aspettando sino all’ultimo prima di ammonirlo.

Carrick: 5,5
Giochicchia come può, senza riuscire ad accendere la luce. Del resto quando devi provare a dettare i tempi e ti trovi a giocare contro ad una squadra da 70% di possesso palla le cose diventano più che ardue.
(Dal 76′ Scholes: s.v.)

Giggs: 6
Si salva, nel complesso. Ma non può nulla nemmeno lui, pur dall’alto della sua grandezza.

Park: 6,5
E’ l’unico a correre sempre e comunque. Purtroppo non può bastare quello.

Rooney: 6,5
Fa il suo. Al solito. Prova ad aiutare dietro, finalizza davanti. Ma non può fare i miracoli nemmeno lui.

Hernandez: 5
Parte discretamente. Ma alla lunga si spegne. Per arrivare a sprarire praticamente del tutto.

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Sono solo in cinque, ma hanno vinto tutto il vincibile. Almeno col proprio club.

Parliamo di Stefano Tacconi, Gaetano Scirea, Sergio Brio, Antonio Cabrini e Danny Blind, ovvero sia gli unici capaci di trionfare in tutte le competizioni organizzate dalla FIFA e dalla UEFA.

Nel palmares di questi cinque, infatti, possiamo trovare Coppa delle Coppe, Coppa UEFA, Champions League, Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale.
Ovvero sia tutto ciò che c’è stato di vincibile al di fuori dei patri confini.

Oggi non sarebbe nemmeno più possibile ripetere un’impresa di questo tipo: la Coppa delle Coppe non esiste più, ed anche volendo il proprio palmares non potrebbe andare oltre i quattro allori internazionali.

Ma parliamone un pochino più a fondo di questi cinque eroi. Giocatori in realtà molto conosciuti, ma che è sempre bene ricordare.

Partiamo quindi da un difensore dei pali coi fiocchi, definito da Giampiero Mughini come “uno dei tre o quattro portieri più forti del mondo” all’epoca di quel decennio che Stefano Tacconi passò in maglia Bianconera.

Tacconi che, nato a Perugia nel 1975, passò la sua gioventù tra Spoleto e Milano, sponda Nerazzurra.
Proprio qui vinse il suo primo alloro piuttosto importante: una Coppa Italia Primavera.

Tornato a Spoleto in prestito all’età di diciannove anni disputò la sua prima stagione da titolare per poi concedersi qualche anno di vagabondaggio prima di stabilirsi ad Avellino.

Dopo i prestiti a Pro Patria e Livorno ed il trasferimento alla Sambenedettese ecco infatti le tre stagioni in Campania, dove metterà assieme un centinaio di presenze.
Convincendo niente popò di meno che la Juventus a puntare su di lui.

E proprio il trasferimento a Torino sarà decisivo per il suo inserimento in questa sorta di classifica virtuale: nel decennio successivo metterà assieme circa trecento presenze in Bianconero, vincendo appunto tutto ciò che c’era da vincere.

All’età di trentacinque anni lascia la Juve, sbarcando a Genova.
Le cose col Grifone però non lo soddisfano, così decide di porre fine alla propria carriera nel 1995.

Il tutto almeno fino al 2008, quando shoccherà un po’ tutti decidendo di tornare a giocare in Prima Categoria, nella marchigiana Arquata. Solo per una brevissima parentesi, ovviamente.

Tacconi che, forse i lettori più assidui lo ricorderanno, incontrai lo scorso anno nel corso di Yahoo Penalty, manifestazione organizzata dal famoso portale internet nel periodo del pre-Mondiale.

Simile, per certi versi, la carriera di Sergio Brio, solido stopper con più di 250 presenze in Bianconero alle spalle.

Nato nel 1956 a Lecce iniziò la propria carriera giovanile proprio nei Giallorossi salentini, esordendo anche in prima squadra appena maggiorenne.

Nel 74, quindi, il passaggio alla Juventus, che però decise di non lanciarlo da subito. Ecco quindi, un po’ come Tacconi, un periodo di crescita lontano dalle pressioni della grande piazza, con tre stagioni, ed un centinaio di presenze, passate in prestito alla Pistoiese.

Nel 78, poi, il suo ritorno a Torino, dove resterà sino al 1990, quando deciderà di porre fine alla propria carriera.
Una carriera in cui, appunto, ha saputo vincere tutto col proprio club.

Brio che nei suoi tanti anni in Piemonte ha giocato spessissimo al fianco di Antonio Cabrini, tra i migliori terzini sinistri nella storia del calcio italiano.

Nato nel 1957 a Cremona iniziò a giocare ed esordì tra i professionisti, proprio come il buon Sergio, nella squadra della sua città.

Dopo un anno passato a Bergamo ecco, nel 1976, lo sbarco a Torino, dove resterà, vincendo tutto, sino al 1989.
In quell’anno arrivò infatti il passaggio al Bologna, dove pose fine alla propria attività agonistica due anni più tardi.

Il capitano di quella squadra formidabile era invece il libero per eccellenza, quel Gaetano Scirea ancora oggi vero e proprio simbolo per tutti i tifosi juventini.

Nato a Cernusco sul Naviglio nel 1953 crescerà nel settore giovanile atalantino, dove esordirà in prima squadra diciannove anni più tardi.

Nel 1974, quindi, il passaggio in Bianconero, dove resterà quasi quindici anni collezionando più di 550 presenze totali.

Vincendo, assieme ai suoi compagni, tutto quanto potesse vincere.

Esattamente come l’olandese Danny Blind, nato nel 1961 ad Oost-Souburg e storico capitano dell’Ajax targato anni 90.

Nato terzino destro, Dirk Franciscus Blind, questo il suo nome completo, seppe trasformarsi negli anni in un ottimo difensore centrale. Tanto da formare una delle coppie più solide d’Europa assieme a Frank de Boer, oggi allenatore dei Lanceri.

Restringendo un po’ il campo, e limitandoci solo alle tre maggiori competizioni del Vecchio Continente, ecco che il discorso si potrebbe invece allargare anche a Marco Tardelli, Gianluca Vialli, Vítor Baía ed Arnold Mühren. Anche loro quattro, infatti, sono stati capaci di vincere nella propria carriera Coppa delle Coppe, Coppa UEFA e Champions League.

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Facciamo un viaggio virtuale.
Partiamo dalla nostra bella Italia e voliamo al cospetto di Sua Maestà, in terra d’Albione.
Una volta sulle rive del Tamigi scorriamo le statistiche di tutti i campionati.
Partiamo dalla ricchissima e conosciutissima Premier League, giù fino alla Conference.
Sette diversi campionati da visionare, un solo bomber da incoronare.

A spuntarla alla fine è lui, Matthew Steven Tubbs, ventiseienne (i ventisette li compirà il prossimo luglio) punta inglese nativa di Salisbury.

Cresciuto nelle Academy di Bolton e Bournemouth passò, dopo una breve parentesi a Dorchester, nella squadra della sua città, dove esordì nel 2003, segnando una rete nel 5 a 1 con cui il suo club battè il Fleet Town.

Il ragazzo iniziò da subito a segnare con buona regolarità, aiutando, nella stagione 05/06, la propria squadra a centrare la promozione, venendo inserito nella top undici del campionato.

L’anno successivo le cose andranno anche meglio. Matthew sarà infatti ancora uno dei protagonisti della vittoria del nuovo campionato, segnando goal importanti.
Ma non solo: il ragazzo si toglierà infatti anche la soddisfazione di segnare in FA Cup contro il blasonatissimo Nottingham Forest.

La stagione verrà quindi chiusa con trenta reti, una delle quali, molto pesante, segnate in finale di playoff.
Quell’estate Matt venne quindi inserito nell’England National Top XI, come riconoscimento per quanto fatto nel corso dell’anno.

Nel 2007, quindi, l’esordio internazionale, nell’Inghilterra “C”.
Con goal, ovviamente. Ma anche un infortunio che lo costringerà a saltare il resto del Four Nations Tournament.

Quell’estate il suo nome sarà quindi accostato al Leicester, pronto a scucire 100mila sterline per assicurarsene i servigi.
Tubbs metterà però a tacere ogni voce di mercato firmando un rinnovo importante col suo Salisbury, diventando calciatore a tempo pieno (non essendo un professionista, infatti, fino a quel momento Matt faceva il calciatore solo part-time).

Nella stagione seguente il ragazzo segnerà quindi il suo centesimo goal con la maglia della squadra della sua città, in un 3 a 3 contro l’Histon.

A novembre 2008 il ritorno, in prestito, al Bournemouth per un paio di mesi. Il tutto per via del tentativo di riduzione costi da parte del suo club.
Esperienza non molto positiva, che condizionerà, negativamente, il prosieguo della sua stagione. Chiusa piuttosto male anche una volta ritornato a casa.

L’anno dopo però si rifarà alla grandissima, non scoraggiandosi né per la brutta stagione precedente né, soprattutto, per il cattivo stato di salute della sua società. Finito sotto amministrazione controllata, infatti, il Salisbury iniziò la stagione scorsa con dei punti di penalizzazione. I suoi 26 goal in 40 partite (34 su 51 in totale), però, permiserò al suo club di salvarsi.

Ed eccoci giunti proprio all’ultima stagione.
Quella che ha reso Tubbs il bomber più prolifico dell’intero paese.

Passato in estate al Crawley Town (per una cifra vicina alle 70mila sterline, pare) Matt ha subito firmato un biennale importante. Onorato da subito al meglio.
Con 37 reti in 40 partite di campionato, infatti, Matthew Stephen Tubbs è il giocatore che ha segnato di più in tutta l’Inghilterra.

Complimenti a lui, che con le tre reti segnate in FA Cup è riuscito a sfondare il tetto delle 40 realizzazioni.
FA Cup in cui, per altro, stava per togliersi una soddisfazione forse ancor più grande: segnare allo United.

Solo un intervento di Wes Brown, infatti, sventò la sua rete. Che, immaginiamo, non avrebbe mai più dimenticato…

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Se qualcuno aveva dubbi li potrà vedere fugati dai numeri.

Del resto quanti potevano pensare che non fosse il Barcellona la squadra in Europa capace di tenere per più tempo il pallone, in media, nel corso di una singola partita?

Dal sito WhoScored è infatti possibile trarre indicazioni interessanti in questo senso.

Perché gli extraterresti catalani guidano la virtuale classifica del possesso palla con ben il 72%.
Cifra realmente folle e difficilmente eguagliabile, in special modo dato che parliamo di media annua, non di singolo match.

Del resto se andiamo a scorrere la classifica stessa notiamo come la seconda squadra del lotto sia lontana di più di dieci punti percentuali: un’enormità.
Il club in questione è il Bayern Monaco, che nonostante si sia reso protagonista di una stagione un po’ sotto le aspettative (eliminazione agli ottavi di Champions dopo la finale dello scorso anno, terzo posto in Bundesliga dietro a Borussia e Bayer) ha saputo mettere in campo una sorta di ragnatela piuttosto fitta diventando, appunto, il secondo club in Europa per possesso palla, a quota 61%.

Il terzo posto è invece diviso da due compagini (al 59%). Due squadre che, in effetti, ci si poteva assolutamente aspettare così in alto.

Parliamo di Milan ed Arsenal, due club che da tempo cercano di impostare il proprio gioco in un determinato modo. Non basandosi su chiusure e ripartenze ma, appunto, su di un possesso palla più complesso con cui provare a colpire i punti deboli delle retroguardie avversari.

La classifica, da qui in giù, si fa cortissima.

Al 58% troviamo il Chelsea di un Ancelotti che proprio al Milan ebbe come marchio di fabbrica un possesso di un certo tipo, che ha provato a riprodurre anche a Londra.

Al 57%, invece, l’Inter, che nonostante la stagione piuttosto travagliata – un po’ come per l’altra finalista Champions dello scorso anno, il già citato Bayern – si è mantenuta, da questo punto di vista, su livelli più che discreti.

Ad un’incollatura dai Nerazzurri tre squadre: il Lille ormai Campione di Francia, il Valencia ed il Real di Mourinho, che nonostante i luoghi comuni fa registrare un bel 56% medio (il problema, in tal senso, andrebbe forse analizzato limitandosi alle partite disputate contro le grandi).

Chiudono quindi la classifica Bayer Leverkusen, Lione e Manchester United, tutte a quota 55%.

Limitando questo discorso alle sole partite disputate di fronte al proprio pubblico le cose cambierebbero solo limitatamente.

Se l’Arsenal, così, andrebbe ad occupare la terza posizione solitaria a quota 60% il Lille crescerebbe fino al 58%, piazzandosi giusto poco dietro al Milan.

Quasi invariate le percentuali delle altre squadre citate, anche se davanti al proprio pubblico fanno una discreta figura, in quanto a mantenimento del possesso del pallone, anche Bordeaux, Amburgo, Lorient (tutte al 56%) e Borussia Dortmund (coi campioni di Germania capaci di tenere mediamente palla per il 55% del tempo al Westfalenstadion).

Solo otto, invece, i club capaci di far registrare un risultato al di sopra della soglia del 55% lontano da casa.

Se il risultato di Barça e Bayern resta invariato perdono invece un punto percentuale Arsenal e Milan, che piombano così al 58% in compagnia dei Blues di sor Carletto e dell’Inter del duo Benitez-Leonardo.

Chiudono quindi la classifica lo United (56%) ed il già citato Lille (55%), tra le rivelazioni di questa annata calcistica.

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L’Italia è realmente un paese di mangia allenatori.
E no, non è solo un luogo comune.

Certo, a tutti ora verrà subito in mente Maurizio Zamparini.
Il Presidente del Palermo è infatti famosissimo per le sue intemperanze in tal senso. Terminare una stagione iniziata sin dal principio con lui come Presidente è praticamente utopia.

Dal 2002, anno del suo insediamento nel capoluogo siculo, il patron dell’EmmeZeta ha già cambiato diciotto volte l’allenatore (in molti casi – tipo l’ultimo – richiamando un allenatore già sotto contratto ma cacciato in precedenza, ovviamente).

Statistica realmente impressionante, soprattutto se rapportato a quanto succede all’estero.

Perché secondo molti Zamparini è l’unico Presidente mangia allenatori d’Italia, ma la realtà è quantomeno lievemente diversa.
Se è vero come è vero che lui sembra quasi affetto da una sorta di schizofrenia in questo senso è altrettanto vero che, limitandoci alla nostra Serie A, non troviamo allenatori che sono stati capaci, negli ultimi anni, di aprire un ciclo pluriennale. E non solo a Palermo.

E se prendiamo i primi cinque campionati d’Europa (Premier League, Liga, Bundesliga e Ligue 1, oltre al nostro) ecco che non c’è molto da dire se non che al momento siamo gli unici a non avere una squadra che sia stata capace di trattenere un allenatore per diversi anni.

Effettuando questo viaggio all’interno dell’elite calcistica del Vecchio Continente, infatti, possiamo notare come ovunque ciò sia accaduto, nell’ultimo periodo, tranne che in Italia.

Più nello specifico, ecco la classifica di permanenza su di una panchina degli allenatori che militano attualmente in uno dei campionati succitati:

  1. Alex Ferguson – Manchester United – 25 anni.
  2. Arsene Wenger – Arsenal – 15 anni.
  3. Thomas Schaaf – Werder Brema – 12 anni.
  4. David Moyes – Everton – 9 anni.
    Pablo Correa – Nancy – 9 anni.
  5. Christian Gourcuff – FC Lorient – 8 anni.
  6. Manolo Preciado – Sporting Gijon – 5 anni.
    Jean Fernandez – Auxerre – 5 anni.

Permettetemi qui di aprire una parentesi relativamente a Schaaf: va detto che la sua carriera fa ancora più impressione se si contano gli anni passati nelle giovanili della squadra attualmente presieduta da Jürgen Born: 12 anni totali, tra giovanili e squadra riserve. Che portano il computo a 24 anni, giusto uno meno di Sir Alex.
Se poi pensiamo che Schaaf da calciatore giocò solo al Weserstadion, fin dalle giovanili… ecco che parliamo di ben 39 anni di militanza con gli stessi colori.
Incredibile.

Tornando a noi… dopo il Mondiale vinto dagli Azzurri in Germania nel 2006, insomma, tutte le squadre hanno cambiato allenatore almeno in un caso.
Così che nessuno in Serie A può oggi dire di aver passato l’ultimo lustro sulla stessa panchina.

Che la crisi del calcio italiano parta anche da questo?

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Nome: Lucas Rodrigues Moura da Silva
Data di nascita: 13 agosto 1992
Luogo di nascita: San Paolo (Brasile)
Nazionalità: brasiliana
Altezza: 172 centimetri
Peso: 66 chilogrammi
Ruolo: trequartista
Club: São Paulo FC
Scadenza contratto: 31 dicembre 2015
Valutazione: 6.500.000 euro

CARRIERA

Lucas iniziò, come nella migliore tradizione brasiliana, a giocare a calcio prestissimo. A soli sei anni, infatti, entrò a far parte dell’Escuela Marcelinho, scuola calcio aperta da un grande del calcio Verdeoro come Marcelinho Carioca.
Da qui il passaggio al Santa Maria e, nel 2000, al Clube Atletico Juventus.

Il 2002 è l’anno che segna un po’ la svolta nella vita di questo ragazzo. E’ in quel momento difatti che Lucas fa l’ingresso, in un certo qual modo, nel calcio che conta. Il tutto perché sbarca nelle giovanili del Corinthians, dove inizia a respirare aria di professionismo e a capire che quella del pallone potrebbe davvero essere la sua via.

Tre anni più tardi arriva però l’abbandono al Timao, con il conseguente approdo nella società in cui milita tutt’ora.
E proprio nel San Paolo Lucas esordirà nel calcio professionistico, mettendosi in luce nel corso del Campionato Paulista 2010 tanto da essere segnalato dalla FIFA, lo scorso gennaio, tra i giovani da seguire.

Il suo primo goal arriva nemmeno un mese dopo questa segnalazione: è il 9 febbraio, infatti, quando il ragazzo pone la firma in calce ad uno dei quattro goal con cui la sua squadra si libera facilmente del Bragantino.
Febbraio che è un mese molto positivo per lui: giusto una settimana dopo la sua prima rete arriva infatti la firma su di un contratto che lo lega al San Paolo sino a fine 2015.

Lucas che dopo aver vinto una Copa São Paulo de Futebol Júnior giocando nelle formazioni giovanili spererà senz’altro di poter portare alla vittoria anche la prima squadra del Tricolor Paulista.

Per intanto, sempre a livello giovanile, il giovane brasiliano è riuscito a riportare anche un’altra vittoria piuttosto importante: il Sudamericano under 20.

Per ciò che concerne il futuro poco da dire. La permanenza di questo ragazzo in Brasile non potrà perdurare per moltissimo tempo ancora.

CARATTERISTICHE

Funambolo.
Avete presente Denilson, quel talentuosissimo giocatore brasiliano che venne comprato per una barca di miliardi dal Betis Siviglia salvo poi perdersi e non mantenere nemmeno un decimo delle promesse fatte in gioventù?

Ecco.
Un po’, da questo punto di vista, lo ricorda.

Anche se, a vederlo così, sembra ben più forte. E, soprattutto, possiamo nutrire la speranza non si perda in un bicchier d’acqua.

Ma parliamone in maniera un pochino più approfondita, delle sue qualità.

Innanzitutto il dribbling. Funambolico, appunto.
Del resto stiamo parlando di un giocatore capace sia di saltare l’uomo in un fazzoletto che di partire in velocità e dare il via ad una serpentina degna dei migliori slalom di Alberto Tomba.

Davvero uno spettacolo, da questo punto di vista, vederlo giocare.
Sia quando si districa nello stretto che quando parte palla al piede, infatti, lascia davvero senza fiato.

Intendiamoci, però: non stiamo parlando di un ragazzo tutto fumo e niente arrosto.

Il suo limite più evidente è il fisico, per quanto abbia già maturato una discreta resistenza al contrasto (almeno rispetto alle sue fattezze in questo senso, appunto).

Detto questo non è comunque un giocatore che vive solo sul proprio spaventoso dribbling.

Buona visione di gioco, piede morbido, tiro più che discreto. Ottimo spunto in velocità nel breve, difficile da domare in allungo.

Basi assolutamente solide su cui partire. Parliamo pur sempre di un ragazzo che solo la prossima estate compirà 19 anni.

IMPRESSIONI E PROSPETTIVE

Non capisco bene perché si faccia tantissimo parlare di Neymar, Ganso e Lamela e, in Italia, si taccia completamente il nome di questo ragazzino terribile che già oggi sarebbe in grado di far impazzire buona parte dei difensori del nostro campionato.

Intendiamoci, non sto certo dicendo che quei tre siano scarsi (anche se pure loro devono ancora dimostrare tutto venendo ad imporsi in Europa).
E’ che nel vedere giocare questo ragazzino terribile mi dico che magari non riuscirà mai a trovare il giusto mix tra forza fisica, velocità, funambolismo e concretezza. Però oggi varrebbe ben un investimento di una decina di milioni. Come minimo.

E chissà che già tra pochi mesi, giusto in concomitanza con il suo diciannovesimo compleanno, qualcuno non decida di farlo sbarcare in Europa. Lui, di certo, merita già oggi una chance nel Vecchio Continente.

Che se la giochi bene. Perché esplodesse definitivamente avremmo davvero di che divertirci.

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Nome: M’Baye Niang
Data di nascita: 19 dicembre 1994
Luogo di nascita: Meulan-en-Yvelines (Francia)
Nazionalità: francese, senegalese
Altezza: 184 centimetri
Peso: 74 chilogrammi
Ruolo: punta
Club: Stade Malherbe de Caen
Scadenza contratto: 30 giugno 2014
Valutazione: 500.000 euro

Ancora la classe ’94 sotto osservazione.
Dopo essere andati a scoprire tutto su Bryan Rabello, probabilmente il giocatore più talentuoso della sua annata di tutto il Sud America, ecco M’Baye Niang, sedicenne rivelazione dell’ultima stagione di Ligue 1.

CARRIERA

Nato il 19 dicembre del 1994 a Meulan-en-Yvelines, Ile de France, questo giovanissimo attaccante di origini senegalesi iniziò a tirare i primi calci ad un pallone all’età di sette anni, quando entrò a far parte della scuola calcio del C.O. Basse-Seine Les Mureaux.
Dopo un paio d’anni, quindi, ecco il suo passaggio nell’AS Poissy, società semi-professionistica piuttosto importante della sua regione (nata giusto novant’anni prima di lui).

A 13 anni, infine, ecco il definitivo salto di qualità: David Lasry e Laurent Glaize si accorgono di lui e restano impressionati, decidendo così di portarlo a Caen.
Due soli anni e Niang, forte di qualità fisiche straordinarie rispetto alla giovane età, debutta nella squadra riserve, attirando su di sè l’attenzione dei tecnici federali. Che non perdono un minuto, e lo rendono uno dei punti forte delle rappresentative giovanili under 16 e 17.

Le sue doti impressionano tutti così che Jean-François Fortin, Presidente della società, decide di fargli firmare, nel corso dello scorso febbraio, un triennale, rendendolo, così precocemente, un professionista. Scelta da un certo punto di vista quasi obbligata: sul ragazzo pare infatti stessero muovendosi diversi club (in particolar modo Manchester City e Juventus ma anche PSG, Bordeaux, Arsenal, Siviglia e Barcellona, secondo i media francesi).
La firma del contratto è comunque solo una formalità che anticipa il suo debutto ufficiale in prima squadra. Debutto che arriva il 24 aprile seguente, quando dopo aver realizzato cinque reti in sedici match nel Championnat Amateur de France col Caen B viene promosso in pianta stabile nella rosa a disposizione di Franck Dumas e Patrice Garande. Che ne fanno quasi subito un titolare assoluto.

Dopo aver assaggiato il campo contro il Tolosa da subentrante (qui gli highlights del match), infatti, il nostro sarà lanciato titolare già nel match successivo – un 4 a 0 sul Nizza (qui gli highlights del match) – che lo renderà il più giovane professionista nella storia del club ad essere partito dal primo minuto.
La sua prima rete arriva invece il 7 maggio contro il Lens quando schierato titolare contro i Sang et Or firmerà, dopo due soli minuti di gioco, la rete del momentaneo vantaggio caennaise: servito in area, decentrato sulla sinistra, farà partire un diagonale mancino tutt’altro che irresistibile con il pallone che salterà giusto davanti al malcapitato Runje, che farà una mezza papera regalandogli la segnatura (qui gli highlights del match).

Questa rete, per altro, lo rende – secondo France Football – il secondo più giovane marcatore nella storia della Ligue 1 dopo Laurent Roussey.
A recuperare poi il risultato,  per la cronaca, sarà un colpo di testa di Raphael Varane, altro giocatore di cui spero di avere modo di parlarvi a breve.

Niang che però non si accontenta. Così quattro giorni dopo scende in campo alla Route de Lorient di Rennes solo al cinquantesimo minuto, risultando però assolutamente decisivo.
A cinque minuti dalla sua discesa in campo, infatti, il goal del pareggio: El Arabi riceve all’interno della propria metacampo facendo secco Danze con un bel movimento. Proprio l’aver messo fuori gioco il terzino destro della formazione di casa permette agli ospiti di avere molto spazio davanti a sè. Il passaggio filtrante che ne segue mette quindi in movimento Mollo che scattando al momento giusto si trova a prendere d’infilata il povero Mangane, che non avrà modo di recuperarlo. Arrivato al vertice sinistro dell’area di rigore l’esterno caennaise farà partire un filtrante basso in direzione dello stesso Niang, nel frattempo bravo a non farsi recuperare da Kana-Biyik. A quel punto per l’attaccante di soli sedici anni non ci sarà null’altro da fare se non bucare comodamente Douchez (qui gli highlights del match).

Domenica scorsa, poi, altra titolarità contro il Montpellier (qui gli highlights), per un computo totale (ad oggi) che recita 265 minuti giocati con due reti all’attivo, una ogni 130 minuti circa.

CARATTERISTICHE

Non avere ancora compiuto sedici anni e mezzo ed avere già una fisicità come la sua è roba non da poco.

Perché M’Baye Niang ha sviluppato un fisico e delle qualità atletiche davvero impressionanti, in questi suoi primi anni di vita. Quanti, a quell’età, possono permettersi di lottare praticamente alla pari, da questo punto di vista, con uomini nel pieno della loro forza fisica, nonché professionisti da anni?

Ecco, quindi, la grandissima qualità che ha permesso a questo ragazzino di imporsi così giovane all’attenzione degli sportivi transalpini.

Escluso il suo punto di forza resta un giocatore piuttosto normale, coi pregi e i difetti dell’avere sedici anni.
Se da una parte mostra infatti grandissima voglia di fare e generosità, dall’altra emerge chiaramente la sua inesperienza.

Corre tanto, M’Baye. E lo fa sia nel cercare di dare una mano in fase di non possesso ai propri compagni, sia nello svariare lungo tutto il fronte di attacco una volta che è il suo Caen a gestire il pallone.
Del resto nello scacchiere della squadra del nord della Francia lui ricopre, ad oggi, il ruolo di unica punta. Cosa notevole, per un ragazzo così giovane. E proprio in questo suo essere l’unico attaccante di ruolo (El Arabi, stella della squadra, agisce da trequartista centrale, alle sue spalle) del Caen Niang prova a muoversi quanto più possibile, sia per evitare di dare un punto di riferimento fisso ai difensori avversari che per provare a creare dei varchi per i propri compagni.

L’inesperienza, invece, emerge chiaramente in alcune piccole cose: ama giocare sul filo del fuorigioco, ma non sempre è attentissimo, in questo senso. Ha una buona forza fisica, ma non sempre sa muovere il proprio corpo per difendere il pallone al meglio. E’ molto generoso nell’aiutare i compagni, ma in qualche occasione commette falli – di generosità, appunto – comunque evitabili (si è già guadagnato due ammonizioni, tra l’altro).

Tatticamente risente – positivamente – dell’influenza delle scuole calcio francesi (indubbiamente tra le migliori al mondo). Anche se, ovviamente, va fatto crescere.
Tecnicamente è invece giocatore certo non da mozzafiato, ma comunque dotato al punto da reggere tranquillamente un palcoscenico importante come la massima serie francese.

IMPRESSIONI E PROSPETTIVE

Meno di trecento minuti di gioco sono davvero pochi per poter giudicare un ragazzo. Quindi prima di esprimere un giudizio definitivo non potremo che dargli altro tempo per mettersi in mostra.

Quel che è certo è che se da una parte ha già fatto qualcosa di straordinario (due reti in cinque presenze totali – tre se andiamo a vedere i minuti giocati – in un campionato piuttosto competitivo come quello della Ligue 1, il tutto a sedici anni e cinque mesi), dall’altra non ha ancora mostrato le stimmate del campione.

Tanta buona volontà, sicuramente. E doti, soprattutto fisico-atletiche, fuori dal comune per un ragazzino (per quanto, va detto, è cosa comune per un colored maturare piuttosto presto, sotto questo punto di vista).
Ma la strada per affermarsi ad altissimi livelli per lui sarà ancora lunga e tortuosa. L’impressione è quella di non essere davanti ad un predestinato. Scalare la vetta, quindi, richiederà sforzo immane.

Qualità importantissime da usare come fondamenta, comunque, ci sono tutte. E, secondo Philippe Tranchant (suo allenatore nell’under 19 del Caen), anche un potenziale enorme da sviluppare.A questo punto non ci resta quindi che aspettare e vedere. Non sarà Messi o Ronaldo – predestinati, appunto -, ma i numeri per fare bene li ha di certo.

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CRONACA

Il Galles prova a raddoppiare: dopo la qualificazione alla finale playoff ottenuta ieri dallo Swansea è il Cardiff a cercare di raggiungere lo stesso traguardo, provando a sfidare il Reading dell’ex Leeds Ian Harte.

Anche in questo caso, esattamente come nella gara di ieri, sono i gallesi a partire forte. Di contro il Reading riesce comunque a difendersi con buon ordine, senza scoprire troppo il fianco agli avanti vestiti di blu.
Al dodicesimo i Bluebirds provano quindi a concretizzare il forcing, ma il batti e ribatti che scaturisce in area di rigore da un cross dalla destra di Emmanuel Thomas fa solo alzare la pressione ai tifosi Royals.

Cardiff costantemente nella metacampo avversaria. Cardiff incapace di rendersi realmente pericoloso dalle parti di Federici.
Al diciottesimo Chopra riceve palla in area da un compagno ma viene chiuso, proprio al momento del tiro, dall’intervento in scivolata di Mills.

Al ventitreesimo è invece Bothroyd a rendersi pericoloso. Il suo tiro, questa volta, è deviato in angolo da Khizanishvili.
La prima rete viene segnata però dal Reading: al ventottesimo Bywater effettua un’uscita fuori dall’area nel tentativo di calciare lontano un pallone che spedisce invece dritto contro a Long, per cui è un gioco da ragazzi, a quel punto, spedire la palla in porta.

Il Cardiff prova comunque subito a reagire: sessanta secondi ed Emmanuel-Thomas riceve palla sul secondo palo, andando a girarla di testa giusto sotto l’incorcio a lui più vicino. Buona, comunque, la risposta di Federici, che si allunga raggiungendo il pallone.
Al trentaseiesimo è Olofinjana a rendersi pericoloso: sul cross servito dalla destra da Burke il mediano nigeriano è però sbilanciato, forse fallosamente, da Legertwood, con Webb che decide comunque di far correre.

Se non bastasse il pasticcio della mezz’ora, però, al quarantaquattresimo  Keinan trattiene Mills sugli sviluppi di un angolo e Webb fischia un calcio di rigore piuttosto netto.
Sul dischetto si presenta lo stesso Shane Long, che spiazza Bywater senza problemi.

I Bluebirds provano ancora una volta a reagire immediatamente: Emmanuel-Thomas riceve al limite, converge e libera un destro che è bloccato in due tempi, senza grandissimi problemi, da Federici, per una prima frazione che di fatto si chiude così.

La ripresa si apre con un’altra occasione per Emmanuel-Thomas: Bothroyd scende da destra, converge e pennella di sinistro sul secondo palo dove il giovane scuola Arsenal colpsce male, mettendo a lato, per la disperazione di un Bellamy in borghese in tribuna.
Cardiff che perdura nel proprio sterile forcing, Reading che si porta vicino al colpo del K.O. E’ il cinquantacinquesimo minuto quando Long scende sulla sinistra e centra un pallone che dopo essere stato deviato da un difensore finisce sul petto di Hunt, che lo spedisce sul palo.

Tre minuti più tardi bell’azione di McAnuff che entra in area e dopo essersi liberato di Darcy Blake con una bellissima finta di tiro spedisce il pallone a lato, da posizione piuttosto favorevole (quantomeno per centrare lo specchio).
Al sessantacinquesimo è però Bothroyd a vedersi schizzare la palla davanti a pochi metri dalla porta. L’ex punta del Perugia non riesce però a girarla in porta con efficacia.

Poco dopo è Ian Harte a provarci, direttamente su calcio di punizione. L’ex Leeds prova a mettere in mostra il suo celebre mancino, ma il pallone non si abbassa per tempo, terminando alto sopra la traversa.
Al settantasettesimo sbavatura della difesa Royals, Federici esce della propria area e – a differenza del collega in blu – spazza anticipando l’avversario.

Tre minuti e Hunt, partito in posizione sospetta, si divora letteralmente una ghiottissima occasione di chiudere ogni discorso.
Il tre a zero arriva comunque all’ottantatreesimo quando McAnuff effettua una splendida serpentina centrale per poi portarsi in area battendo senza troppi problemi Bywater, chiudendo nel migliore dei modi il suo splendido assolo.

COMMENTO

Non riesce l’impresa, Cardiff City Stadium ammutolito.

Chi sognava una finale di playoff tutta gallese rimarrà deluso: la squadra allenata da Dave Jones parte infatti meglio degli avversari, ma non riesce a fiaccare la resistenza Royals.

Reading che dal canto suo gioca come deve: affronta questo impegno esterno con attenzione, senza lasciare nulla al caso. Difesa granitica e attacco pronto a sfruttare ogni minima disattenzione avversaria.

Un po’ come quella commessa intorno alla mezz’ora da Bywater, primo terribile atto del naufragio dei Bluebirds.

MVP

Bastano quarantacinque minuti a Long per risolvere la pratica Cardiff.
Buon match da parte della punta irlandese, grimaldello capace di scassinare la cassaforte gallese.

TABELLINO

Cardiff vs. Reading 0 – 3
Marcatori: 28′, 45′ Long, 83′ McAnuff

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