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Archive for settembre 2012

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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E’ una brutta Juve quella scesa in campo al Franchi di Firenze stasera. Che al cospetto di una bella Fiorentina stenta, fatica, non produce gioco ma dimostra grande solidità, portandosi a casa un punto comunque importante visto come si era messa la partita.

Giù il cappello quindi davanti a Montella e alla sua squadra, che mette alle corde per buona parte del match una Juve che continua comunque la propria striscia di imbattibilità in campionato.

Più Viola che Bianconeri quindi, coi primi che sicuramente meriterebbe di più ma, alla fine, devono accontentarsi dello 0 a 0.

Juve che resta ovviamente favoritissima per la vittoria del campionato. Ma occhio alla Fiorentina. Non per il primo posto, ma la squadra dei Della Valle sicuramente si giocherà un posto in Europa. E chissà se nella mediocrità di questo campionato, con Inter e Milan che stentano oltremodo, i Viola non possano arrivare a giocarsi anche l’Europa più prestigiosa… un posto in Champions League…

Fiorentina

Viviano s.v.
Praticamente mai impegnato seriamente. Sarebbe ingiusto dargli un 6.

Roncaglia 7
Il migliore dei suoi. Generoso, bravo in chiusura, propositivo e coraggioso davanti. Ad oggi davvero una bella presa.

Rodriguez 6,5
Dirige bene il pacchetto arretrato Viola, che controlla bene i tre attaccanti – che si alternano – juventini.

Tomovic 6
Fa il compitino.

Cuadrado 6,5
Parte bene. Poi Asamoah gli spiega chi comanda su quella fascia. E non riesce ad essere incisivo come potrebbe.

Romulo 6
E’ giovane ma volenteroso. Solo un po’ fumoso, ancora. E tende ad andare a pestare troppo i piedi a Cuadrado, pur senza dare il plus necessario per mettere in seria difficoltà Asamoah.

Pizarro 7
Il metronomo cileno distribuisce gioco e fa girare attorno a sé una squadra che a tratti riesce quasi a dominare, a livello di gioco, gli avversari.

Valero 6,5
Premetto che a me piace molto. Proprio in questo senso da lui mi aspetto di più. Potenzialmente può incidere tanto nella Serie A di oggi.

Pasqual 7-
Al 7 pieno mancherebbero cross un pochino più precisi. O forse un compagno, là davanti, capace di sfruttare i tanti cross che il capitano recapita da sinistra.

Ljajic 6+
Anche lui è ancora piuttosto giovane. Non gioca certo male, ma nel complesso patisce un po’ la marcatura dei tre juventini. In più è lui ad avere la palla migliore, quando riesce a bruciare un acciaccato Bonucci trovandosi a tu per tu con Buffon. Sbagliando malamente.
(Dal 75′ Fernandez s.v.)

Jovetic 6,5
Ha tutto per essere l’arma in più di questa squadra. La traversa grida vendetta. Nel complesso, comunque, la difesa lo contiene abbastanza bene.
(Dall’87’ Toni s.v.)

Juventus

Buffon 6,5
Sempre attento. Battuto solo sul colpo di testa che s’infrange sulla traversa. Per sua fortuna.

Barzagli 6,5
Voto che vale per tutti e tre i centrali. Che riescono a contenere una grande Fiorentina. Uscire con la rete inviolata, dopo una partita del genere, è una vittoria per i difensori della Juve.

Bonucci 6,5
Come sopra. Con menzione speciale: ha problemi fisici, cosa che si denota alla grande quando Ljajic gli scappa, ma tiene bene tutta la partita. Bravo.

Chiellini 6,5
Leggasi Barzagli.

Lichtsteiner 5
Davanti non si vede mai. Dietro fa una fatica notevole a tenere Pasqual. Male.

Vidal 5,5
E’ il leader emotivo di questa squadra. Che oggi viene a mancare. Giocasse come a Londra

Pirlo 5,5
E’ palesemente fuori forma. Pesante dirlo, ma forse dovrebbe fermarsi per qualche giorno a lavorare un po’. Perché così non riesce a dare quel quid capace di rendere grande questa squadra.
(Dal 67′ Pogba 6
Un po’ meno timido di sabato. La strada è quella giusta. Ci si deve lavorare tanto. Certo è che oggi, con questo Pirlo, servirebbe una presa di coscienza da parte sua ed un salto di maturità che è però piuttosto improbabile in quanto non fisiologico.)

Giaccherini 6
E’ – Asamoah a parte – il più volenteroso del suo centrocampo. Davanti fa poco, perché del resto la squadra non si propone, in fase di non possesso cerca di fare il possibile. Meno peggio.
(Dal 74′ Marchisio s.v.)

Asamoah 7,5
Nettamente il migliore in campo. Davanti non può fare molto, ma dietro chiude qualsiasi cosa, fin dentro l’area. Londra a parte un inizio di stagione stupefacente, soprattutto perché sta giocando in un ruolo che sembrava non calzargli a pennello.

Giovinco 5,5
E’ l’unico, per buona parte della partita, che quantomeno ci prova. Qualche dribbling (l’unico dei suoi a saltare l’uomo, per altro), quattro tiri (di cui uno solo nello specchio, non difficile da parare per Viviano), un po’ di movimento. Di certo non può bastare così. Ma l’accanimento dei tifosi nei suoi confronti è davvero eccessivo.

Quagliarella 5
Dopo Londra e la partita col Chievo una battuta a vuoto per Quagliarella. Che non era un fenomeno “ieri”, non è una pippa oggi.
(Dal 58′ Vucinic 6
Giusto per la volontà. Ma anche lui, non supportato, non può cambiare una partita che la Juve certo non merita di vincere.)

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Uno si mette comodo in poltrona per gustarsi il “Super Sunday” inglese tra City e Gunners aspettandosi di vedere chissà quale spettacolo magnetico.

Dimenticandosi però certi particolari non da poco…

Come ad esempio il fatto che, da una parte, sulla panchina di una delle quattro squadre più forti del mondo siede un allenatore che non è ancora riuscito a dare un gioco all’accolita di campioni messi a disposizione dagli sceicchi.

E che dall’altra i tempi dei vari Pires, Ljungberg, Vieira ed Henry sono finiti da un pezzo.

Così quello che ne esce è una partita dai contenuti molto inferiori alle aspettative.

Perché i padroni di casa restano appunto vittime di quella cronica mancanza di un gioco che possa dare un senso alle presenze in campo di grandissimi giocatori come Aguero e Silva.

Non è quindi un caso se per sbloccare il risultato i Citizens debbano affidarsi a un calcio piazzato: a bucare Mannone ci pensa infatti Lescott, che svetta di testa in area avversaria sugli sviluppi di un calcio da corner.

Allo stesso modo l’Arsenal non ha più quel gioco frizzante e ficcante che aveva qualche anno fa, quando pur senza vincere nulla al di fuori dei patri confini era oggettivamente una squadra in grado di impaurire chicchessia.

Ma non solo.

La lacuna più grave di questa squadra risulta essere là davanti.

Troppo pesante la partenza di Robin Van Persie, trasferitosi sulla sponda “rossa” di Manchester a buttare palloni in rete a ripetizione (è già a quota 5 in campionato, e siamo alla quinta giornata).

Questo anche perché il buon Wenger prende delle scelte quantomeno discutibili, schierando Gervinho (giocatore che personalmente trovo anche sopravvalutato) unica punta, con alle spalle il trittico Podolski-Ramsey-Cazorla.

E se potremmo anche passare quei tre trequartisti (per quanto ci sarebbe tanto da dire anche qui) è logico che non può essere Gervinho unica punta il giocatore in grado di non far rimpiangere, dalle parti dell’Emirates, la dipartita di Campioni come Titì Henry e RVP.

Però certo, se Wenger è seduto su quella panchina ed io su questa poltrona un perché ci sarà anche…

L’Arsenal, comunque, riuscirà a trovare il – meritato – pareggio.

Come?

Ma sugli sviluppi di un calcio d’angolo, ovviamente!

A colpire è guarda caso ancora una volta un difensore centrale, Koscielny, che sfrutta una mischia in area per bucare Hart.

Tristezza, se si pensa il potenziale tecnico in campo.

Un bel sussulto, comunque, questa partita me lo regala: subito dopo il goal dell’1 a 1 Kompany – ovviamente salito per situazione di calcio piazzato, tanto per cambiare – riceve in area, stoppa di petto e rovescia in buono stile, trovando però la pronta risposta di un Vito Mannone molto bravo a chiudere anche la ribattuta di Aguero.

Finisce pari una partita che sinceramente avrei anche potuto non vedere.

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E’ un Liverpool in crisi profonda quello che ospita lo United in occasione della quinta giornata di campionato.

Reduci dalla rocambolesca vittoria di Berna, infatti, i Reds si trovano in terz’ultima posizione con due soli punti guadagnati in ben quattro match disputati.

Con questi presupposti ci si aspetterebbe di vedere una squadra chiusa all’angolo per novanta minuti, come un pugile suonato. Invece è un Liverpool dominante, che non si risparmia e cerca di non dare respiro agli avversari.

Però il calcio è uno sport veramente strano, che non ha nulla di scontato.

E così come il Liverpool è bravissimo e generosissimo a non accettare un verdetto che parrebbe scontato lo United è altrettanto spietato nell’attendere, attendere, attendere… e colpire nel momento migliore.

La partita, inutile dirlo, prende una piega decisa quando Jonjo Shelvey, protagonista assoluto con la doppietta di Berna in Europa League, si fa espellere per un fallaccio sulla trequarti avversaria (in tutta sincerità non so se ci potesse stare il rosso, almeno un arancione sì).

Siamo alla fine del primo tempo, ed il Liverpool si trova così a dover disputare cinquanta minuti in inferiorità numerica.

La cosa, a dire il vero, non scuote Gerrard e compagni, che continuano a caricare la porta avversaria col cuore grondante di generosità.

Il tutto fino a far capitolare Lindegaard, che a cinquanta secondi dall’inizio della ripresa non può nulla sulla girata di Gerrard, che riceve palla in area, la mette giù di petto e buca l’estremo difensore avversario come il più esperto dei bomber.

Ecco, in situazione di undici contro undici il match sarebbe forse segnato.

Ma il Liverpool è in dieci, e nonostante questo non resta ad aspettare nella propria metà campo gli avversari, piuttosto deludenti a dirla tutta. Continua a provarci.

Così dopo nemmeno cinque minuti è già pareggio. Con Rafael che spinge sulla destra, scarica, si porta in area e ritrova lì il pallone, che riesce a spedire d’interno sinistro a filo del palo lungo, assolutamente inarrivabile per il malcapitato Reina.

E’ un pareggio amaro per il Liverpool, nel complesso immeritato da parte Red Devils.

Il Dio del calcio è però veramente spietato. E a dieci dal termine Valencia si invola in contropiede, entra in area e finisce a terra sull’intervento in recupero di Johnson. Che, saltato a centrocampo, è poi un po’ troppo irruento nel tentare di stoppare l’esterno ecuadoriano. Ma che, altresì, nel complesso non sono nemmeno così sicuro commetta fallo.

Sul dischetto si presenta comunque Robin Van Persie, che si prende la testa della classifica marcatori in solitaria firmando la quinta rete della sua stagione di Premier (per onor di cronaca, Reina arriva sulla palla ma riesce a toccarla e basta, senza deviarla in maniera decisiva).

Punizione oltremodo dura per un Liverpool assolutamente meritevole di ben altro risultato.

Giocassero sempre così, i Reds, non avrebbero e non avranno comunque problemi a salvarsi e anzi, con ogni probabilità tornerebbero a lottare per il traguardo che più gli compete: l’Europa.

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E’ uno splendido primo tempo quello che va in scena al Marassi tra due delle squadre più interessanti di questo inizio di stagione, almeno per quello che riguarda la Serie A.

In quel di Genova si fronteggiano infatti una Sampdoria a punteggio pieno (non fosse per la penalizzazione) e lanciatissima alla rincorsa della Juve ed un Torino che, come da tradizione “venturesca”, si spende tantissimo in fase di costruzione di gioco, fin dai propri centrali difensivi.

Il problema di questo Toro è più tecnico che tattico. Perché il coach Granata ha costruito, come più o meno sempre è riuscito a fare in carriera, un’impalcatura tattica importante, ha dato un’identità chiara al gioco della sua squadra ma si trova ad avere a che fare con giocatori non sempre all’altezza della situazione.

Tra questi spicca, a mio avviso, sicuramente Glik. Che dopo aver lasciato a desiderare ed aver mostrato le sue lacune già nel primo tempo, quando con un controllo insufficiente spiana la strada della porta (chiusagli in faccia da Gillet) a Maxi Lopez, nella ripresa consegna ai Blucerchiati il pareggio con un intervento sciagurato in area di rigore.

Ma non solo.

Il gioco del Torino è fluido, piacevole. Ma è indubbio che un giro palla di quel genere avrebbe bisogno di interpreti tecnicamente più dotati per produrre risultati degni di nota.

Non è quindi un caso se nel primo tempo, in particolar modo, a produrre un gioco migliore siano proprio i Granata, che però non riescono mai a rendersi pericolosi proprio per la pochezza e la scarsa incisività dei suoi singoli.

L’esatto contrario di una Sampdoria che pur avendo un gioco meno fluido si rende molto più pericolosa, arrivando anche a colpire una traversa (Maresca su punizione) e a segnare un goal annullato – giustamente – per posizione irregolare (Maxi Lopez su assist di Berardi).

Inutile negare faccia comunque un certo effetto vedere il Torino, per lunghi tratti della partita, provare a prendere saldamente in mano il pallino del gioco sul campo di una squadra certo non inferiore a livello tecnico. Anzi.

La ripresa è invece qualitativamente un po’ meno interessante della prima frazione, pur arrivando i due goal. Entrambi su rigore.

Ad andare in vantaggio è il Toro, che inizia alla grande la ripresa e trova la massima punizione per atterramento di Soriano ai danni di Cerci. Sul dischetto si presenta Bianchi che ha buon gioco a battere Romero.

L’1 a 0 ospite è la sveglia che ridesta il Doria. Che trova quindi il pareggio per un fallo, come detto, commesso da Glik in maniera piuttosto avventata.

Pozzi, in questo caso, a trasformare, pur con Gillet sulla traiettoria del pallone.

Certo, quattro giornate son poche. Ma i tifosi di queste due squadre, entrambe neopromosse, potranno probabilmente dormire sogni tranquilli, quest’anno.

A chiudere, altre due considerazioni sul Torino: da una parte mi chiedo perché non giochi Sansone, che con Cerci rappresenta il meglio – qualitativamente parlando – a disposizione di Ventura.

Dall’altra Ogbonna: positivissimo anche oggi. Nel corso dell’ultimo anno è maturato veramente tanto. Capibile che Prandelli lo inserisca con continuità nella sua lista delle convocazioni Azzurre.

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E’ una Juve che sta entrando a regime quella che si sbarazza del Chievo senza eccessiva fatica nel secondo anticipo della quarta giornata di questo campionato.

Perché dopo che fino ad oggi la squadra non era sembrata, a livello di condizione atletica, allo stesso livello della passata stagione ecco che oggi, in quanto ad intensità, i Bianconeri hanno cambiato passo.

Una vittoria piuttosto facile, dicevo, non tanto perché il Chievo non si difenda bene, anzi. Quanto più perché davanti gli ospiti sono quasi assolutamente nulli. E anche dietro, pur non comportandosi malissimo per buona parte della partita, ha bisogno dei miracoli di Sorrentino (portiere che ritengo sottovalutato, da sempre) per restare in carreggiata almeno fino all’ora di gioco.

Quando, nell’arco di cinque minuti, Quagliarella indirizzerà la partita.

Nel complesso, comunque, la Juventus lascia una bella impressione: oltre a rullare a livello fisico stanno anche tornando, almeno parzialmente, quegli automatismi che erano valsi lo Scudetto dello scorso anno.

Parlando di singoli non benissimo Isla e Pogba, alla prima da titolari. Ma analizziamo più nel dettaglio le prestazioni di tutti.

Juventus

Buffon s.v.
Non ricordo una sua parata. Non ho una grande memoria, ok. Ma resta sostanzialmente inoperoso…

Lucio 7
Partita maiuscola per il centrale brasiliano, che qualcuno aveva già iniziato a massacrare in estate. Fortunatamente per lui Conte e Carrera sono un po’ più evoluti del tifoso medio e superati i problemi fisici eccolo qui, a far valere la propria fisicità dietro e a sgroppare come tanto ama fare ogni volta che ce n’è la possibilità.

Bonucci 6,5
Non sbaglia praticamente niente. Giocando anzi una partita più in cabina di regia che non da difensore. Significativo. Soprattutto per giudicare la prestazione di Pogba…

Chiellini 6
Contribuisce a modo suo a blindare la difesa juventina.

Isla 5,5
L’Isla di Udine era tutt’altro. Ma del resto gli va dato tempo. Sia per ambientarsi nella nuova realtà che, soprattutto, per riprendersi dal bruttissimo infortunio della scorsa stagione. Il ragazzo vale infinitamente più di quanto mostrato oggi.
(Dal 52′ Vidal 6
Normale amministrazione.)

Marchisio 6,5
Solita partita giocata a tutto campo per Marchisio, che tampona, rincula, porta palla, s’inserisce…
(Dal 67′ Lichtsteiner s.v.)

Pogba 5,5
Le cose migliori le fa in fase di non possesso, facendo valere il fisico sui rinvii avversari (duella spesso con Thereau in questo senso), tamponando alla bisogna e in generale spendendosi abbastanza bene in questo senso. Peccato che sia veramente troppo timido in fase di possesso: sia nel non andare a smarcarsi quando la palla l’hanno i suoi compagni (in special modo i difensori, con Bonucci che come detto deve fare gli straordinari) sia nel non cercare mai nulla più di un passaggio elementare quando, finalmente, la palla staziona tra i suoi piedi.

Giaccherini 6/7
Un sei al sette che lo piazza tra Marchisio (più vivace di lui) e Asamoah (più incisivo). Quando gioca mezz’ala, comunque, fa praticamente sempre bene. E nel primo tempo la sbloccherebbe pure, se Sorrentino non facesse il miracolo.

Asamoah 7
In Champions la strada da fare è ancora tanta. Ma in Italia fa onde. Diverse occasioni importanti nascono dalla sua parte. Gioca un primo tempo mostruoso.

Vucinic 6,5
Come sopra. Solo meno dirompente. Anche se sfiora un goal d’autore e delizia la platea con diverse giocate d’alta scuola.
(Bendtner s.v.)

Quagliarella 8
Mvp. Si inventa due grandissimi goal. Senza contare la prestazione, generosa come al solito. Chapeau.

Chievo Verona

Sorrentino 7,5
Para praticamente di tutto. Per metà, anche l’1 a 0 di Quagliarella. Però contro il bomber napoletano, alla lunga, non può nulla. Nettamente il migliore dei suoi.

Frey 5
Patisce l’esuberanza di Asamoah.

Dainelli 6
Una partita da sei e mezzo facile. Poi Quagliarella si scatena. E lui non può che restare a guardarlo.
(Dal 72′ Sardo s.v.)

Cesar 5,5
Anche per lui ci starebbe mezzo voto in più. Almeno se la partita finisse all’ora di gioco, prima dello show di Quagliarella.

Jokic 5,5
Dalla sua parte transita il peggiore tra gli avversari, Isla. Ma nonostante questo lui non ne approfitta. Dovrebbe osare qualcosa di più. Almeno proporsi, sostenere la manovra…

Vacek 6
Tanta quantità ma questa Juventus, soprattutto lì in mezzo, è troppa roba. Difficile da arginare.

L. Rigoni 5,5
Prova a fungere da diga.
(Dal 62′ Cruzado 5,5
Fatica ad entrare in partita.)

Hetemaj 5,5
Prova anche lui a dare quantità, ma si perde un pochino.

M. Rigoni 5
E’ uno dei giocatori deputati a dare qualità al gioco del Chievo. Non gli riesce. Certo, la missione era quasi proibitiva, quindi è anche capibile…

Thereau 5+
Per lui vale ciò che vale per Rigoni. Con la differenza, che gli vale quel “più”, che quantomeno prova a duellare nel gioco aereo.
(Dal 70′ Moscardelli 6
Il più vivace là davanti.)

Pellissier 5
Di palloni giocabili praticamente non ne ha. Ma lui non sembra nemmeno brillante come altre volte. Serataccia.

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La domanda sorge spontanea: come può il Paris Saint Germain non vincere questo campionato?

Perché oggettivamente, dopo l’ultima sessione di mercato vissuta da assoluta regina d’Europa (nonostante le spese certo non contenute di club come Chelsea e Zenit), il PSG sembra davvero non avere la possibilità di mancare, come accaduto l’anno scorso, il bersaglio grosso.

Basta leggere la formazione scesa in campo oggi all’Armand Cesari per capire che per perdere questo campionato i parigini dovrebbero davvero impegnarsi. E tanto. Auto-sabotarsi, insomma.

Sirigu a guardia dei pali (splendida la sua parata a metà del primo tempo, col portiere ex Palermo che vola a togliere dall’incrocio una punizione ben calciata da Khazri), difesa a quattro composta dall’ex Ajax Van der Wiel, terzino destro ad affiancare Thiago Silva, entrambi all’esordio assoluto in Ligue 1.

Il centro sinistra è invece affidato a capitan Sakho, già un’istituzione a Parigi nonostante la giovane età, affiancato da Armand.

A centrocampo giostrano come mezz’ali Chantome e Matuidi, angeli custodi del genietto pescarese Verratti, posto da Ancelotti in cabina di regia.

Davanti, poi, Nené e Menez larghi a dare fantasia, Ibrahimovic centrale.

Capite bene che con un undici così (e senza voler citare gli assenti) il campionato sembra già segnato.

Logico quindi che non può essere la cenerentola Bastia, tornata in Ligue 1 dopo una doppia promozione, a frapporsi tra i parigini e la vittoria finale.

Detto-fatto, infatti, arriva un 3 a 0 senza tanta storia che consegna altri tre punti ai ragazzi di Ancelotti, ora a quota 12, tre punti sotto il Marsiglia.

Che però certo, ha disputato una partita in meno. Interessantissimo quindi capire cosa l’OM riuscirà a rimediare domani, nello scontro del Velodrome contro il modesto Evian (attualmente sedicesimo con quattro punti all’attivo).

Vittoria piuttosto facile, dicevamo, pur con un Bastia che ci mette voglia e non accetta supinamente un risultato già praticamente scontato alla vigilia.

Però i vari Modeste e Khazri (miglior assistman di campionato – 3 – dopo le prime cinque giornate) non bastano a bucare la resistenza della retroguardia parigina, che anche grazie a un buon Sirigu porta a compimento un match da porta inviolata.

Davanti, invece, è l’esatto contrario: troppo talento, che i difensori corsi non possono ingabbiare a lungo.

Così dopo sei minuti il PSG è già davanti: punizione sul secondo palo, sponda di Ibrahimovic e goal sottomisura di Menez.

Ma ovviamente non può certo finire lì.

Ibrahimovic, smessi i panni da assistman, torna a vestirsi da bomber e va a sfruttare al meglio uno scavetto delizioso del solito Verratti (in tanti lo rimpiangeranno a lungo, in Italia…) per firmare il 2 a 0.

Due goal per tempo, nella ripresa ci pensano Matuidi ed ancora una volta Ibrahimovic a fissare il risultato finale sul 4 a 0.

Emblematico l’ultimo goal parigino per definire la difesa corsa: Choplin si addormenta sulla trequarti, non sale in linea coi compagni e tiene in gioco un Ibrahimovic che scattato ampiamente in posizione regolare andrà a trovarsi al piccolo trotto a tu per tu con Novaes, bucandolo con un tocco preciso.

Fenomeno svedese che grazie alla doppietta di oggi sale a quota 7 reti segnate in 5 partite effettive da lui disputate in campionato.

Ed è tutto un dire.

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Continua, inarrestabile, la corsa del Bayern Monaco che dopo le vittorie con Greuther Fürth, Stoccarda e Mainz centra anche un importantissimo 2 a 0 alla Veltins Arena contro una delle squadre più interessanti dell’intero panorama calcistico tedesco: quello Schalke 04 reduce, a sua volta, da due vittorie ed un pareggio.

La partita, almeno per i primi cinquantacinque minuti, con le due squadre che si fronteggiano senza risparmiarsi ma senza nemmeno scoprirsi in maniera scriteriata, cercando la rete con intelligenza tattica.

E alternandosi nei momenti di forcing: partenza migliore dei padroni di casa, ospiti capaci di mettere un po’ alle corde lo Schalke dal ventesimo al quarantesimo, Die Knappen bravi a tornare a farsi pericolosi a cavallo tra i due tempi.

Al cinquantacinquesimo, però, la partita subisce lo “choc” che la spacca e la cambia in profondità.

Kroos converge da sinistra e dopo aver consegnato palla a Muller si infila in area per ricere il passaggio di ritorno e battere Unnerstall sul palo lungo.

Ci si aspetterebbe una reazione dei padroni di casa, sospinti gremita in ogni ordine di posto, ma il Bayern ha altri progetti e con Muller, che sveste i panni di assist-man per vestire quello di bomber, piazza il goal del 2 a 0 che spegne le velleità di rimonta di uno Schalke che da lì in poi a parte qualche rarissima fiammata non sembrerà più in partita come nei primi cinquantacinque minuti.

Due considerazioni veloci sui team.

Da una parte – Bayern Monaco – ci troviamo di fronte ad uno dei top 4 club europei. Da semifinale Champions in scioltezza, se il calendario non ci si mette di mezzo (magari mettendo la sfida col Barça o col Real anzitempo, che comunque non sarebbe persa in partenza) e se i bavaresi decidono di non complicarsi la vita da soli.
Qualche perplessità solo sulla difesa (non tanto legata alla gara di oggi): ok l’arrivo multimilionario di Javi Martinez che immagino verrà impiegato lì, però ancora non dà le giuste garanzie, per conto mio. Basti pensare che oggi c’era Badstuber impiegato come terzino sinistro. Non esattamente quello che vorrei mai nella mia squadra!

Dall’altra parte, invece, uno Schalke che prende due pappine dai probabilissimi futuri campioni di Germania mettendo però in mostra a tratti un gioco interessante, buone individualità ed un paio di giovani da tenere d’occhio anche come valore assoluto.

Proprio parlando di singoli, continuando col discorso Schalke, mi lustro gli occhi ogni volta che vedo in campo Papadopoulos. Perché ancora una volta, per quanto sia comico dirlo, gli “osservatori” che collaborano alla realizzazione del database di Football Manager ci hanno visto lungo, puntando già diversi anni fa su di lui come uno dei possibili migliori centrali difensivi del futuro.

Anche oggi, infatti, giganteggia per lunghi tratti della partita pur trovandosi contro un Mandzukic che, certo non fenomeno, resta punta capace di creare grattacapi a un gran numero di difensori.

Ecco, peccato solo che il pacchetto centrale il malcapitato Papadopoulos si trovi a comporlo con un Matip assolutamente negativo, che balbetta fortemente sul gioco aereo (nonostante un fisico che dovrebbe favorirlo in questo senso), con un senso della posizione arrugginito e che nel complesso non si dimostra affatto all’altezza della situazione (azione esplicativa quella del goal di Muller, quando prima cicca un colpo di testa al limite, poi non va a contrare con la giusta decisione il trequartista tedesco, libero di tirare con discreta tranquillità).

Altro giovane di qualità, invece, è Julian Draxler, 19enne ala nativa di Gladbeck. Magari non un fenomeno, ma ogni volta che mi capita di vederlo giocare mi lascia una buona impressione. Ora c’è solo da capire quali sono i suoi effettivi margini di miglioramento. Qualora fossero molto ampi finiremo sicuramente per sentir parlare ancora a lungo di lui.

Venendo al Bayern Monaco bene più o meno tutti, e difficilmente può essere diversamente quando si esce dalla Veltins Arena con un bel 2 a 0 come quello di oggi. Indubbio, però, che i migliori in campo siano i tre trequartisti: gli autori delle reti più il solito Robben.

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E’ un momento complicato per i tifosi Rossoneri.

Il mercato estivo ha visto la dipartita di due big assoluti, Ibrahimovic e Thiago Silva, e l’addio di un pezzo cospicuo della storia recente con i vari Inzaghi, Nesta, Seedorf, Gattuso, Zambrotta accasatisi altrove (o riposizionati in altri ruoli). Con, come contraltare, l’arrivo di una serie di giocatori certo ben al di sotto delle aspettative. Un mix letale capace di sancire un ridimensionamento cospicuo delle ambizioni.

Tutto ciò ha ingenerato un clima cupissimo intorno ad una squadra orfana sia dei propri leader tecnici che di quelli carismatici.

Risultato: un inizio di stagione da film dell’orrore, con due sconfitte ed una vittoria in campionato cui si è aggiunto il tristissimo pareggio di Champions con l’Anderlecht.
Ovvero sia una sola imposizione in quattro match ed il “tabù” San Siro non ancora sfatato (la vittoria di fronte al proprio pubblico manca ormai da maggio).

Una situazione che ha mandato in crisi mistica molti tifosi Rossoneri (indicativa la scarsissima affluenza di pubblico nella gara contro i belgi).

I quali, ormai abituatissimi a gareggiare alla pari con le migliori in qualsiasi competizione, sono assuefatti dai bagordi dell’era Berlusconi, dove hanno visto sollevare più volte trofei di ogni tipo.

Le cose, però, non sono sempre andate come in quegli anni in cui i Milan di Sacchi, Capello o Ancelotti dettavano legge in ogni angolo del mondo.

Così, come a voler ricordare tempi ancor più bui di quelli attuali, ecco che Sergio Taccone pubblica un libro (edito da Urbone Publishing) che ci fa tornare a tanti anni fa, ormai trenta, quando, in un’altra epoca, il Diavolo attraversava una delle fasi più cupe dal dopoguerra ad oggi.

La Mitropa Cup del Milan, infatti, ripercorre un’annata, quella dell’81/82, che probabilmente resterà nella storia come la peggiore di sempre.

Tornato in A dopo la retrocessione decisa in seguito allo scandalo delle scommesse, i Rossoneri – forti della presenza in squadra di giocatori come Tassotti, Baresi, Collovati, Maldera, Novellino e dello squalo scozzese Jordan – erano impazienti di tornare ai livelli che più gli competevano.

Affidato alla guida tecnica di Gigi Radice – capace di trascinare il Torino allo Scudetto nel 1976 – e con la Stella appuntata sul petto solo pochi anni prima, il Diavolo incappò in una stagione disgraziata, che portò alla prima – e fin’ora unica – retrocessione “sul campo” della squadra.

In quella tribolatissima annata, però, una gioia – per quanto piccola – arrivò: la vittoria nella certo non irresistibile Mitropa Cup, che dopo aver conosciuto un’epoca di splendore prima della Seconda Guerra Mondiale (viene considerata tra le progenitrici della Coppa dei Campioni) era ormai relegata a trofeo disputato tra le vincitrice delle seconde divisioni di Italia, Jugoslavia, Cecoslovacchia ed Ungheria.

E questo libro si prefigge di ripercorrere proprio quell’impresa, che resterà unica nella storia milanista.

Di certo un’iniziativa molto interessante (come un qualsiasi libro che parli di storia del calcio, per conto mio), con una chiosa più che condivisibile da parte dell’autore: anche la Mitropa Cup andrebbe rispolverata ed inserita con tutti gli onori del caso nel palmeres milanista.

Quando, invece, molti tifosi – soprattutto i più giovani – nemmeno sanno o si ricordano di questa vittoria. E con la società in primis che tende a cancellare il ricordo di una coppa “di Serie B”, che rischierebbe – dal loro punto di vista – di gettare un po’ di fango sull’immagine di una delle società più vincenti del mondo.

Un solo piccolo rammarico: questo libro, sicuramente interessante ed utile in particolar modo ai tifosi milanisti più giovani che potranno scoprire un pezzo “dimenticato” di storia del loro club, lascia un po’ come l’impressione di essere “incompiuto” a metà, raccontando più la storia dell’annata nel suo complesso che della Coppa in sé, con le partite della Mitropa che anziché essere raccontate come epici duelli vengono risolte in poche paginette di cronaca asciutta.

Nel complesso, però, davvero impossibile non fare un plauso all’idea. Nella speranza che nessuno si scordi più di un trofeo che, per quanto amaro, resterà anch’esso per sempre nella storia del club di via Turati.

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Killer instinct.

Ecco cosa manca. Ad entrambe le squadre.

E poi c’è l’aspetto inerente la fortuna, che incide sugli episodi.

Partiamo dalla prima considerazione: entrambe le squadre riescono a produrre occasioni da goal, chi più chi meno. Ma non a sfruttarle. Così, ecco materializzarsi uno 0 a 0 piuttosto ingiusto per quanto visto in campo.

E proprio il killer instinct è una componente fondamentale di una squadra vincente, a maggior ragione quando si vuole arrivare ad imporsi in Europa.

A Londra, lo immagino, si staranno mangiando le mani. Anche perché in rete ci andrebbero tre volte (analizzeremo più avanti il “come”), tutte e tre annullate.

Però le decisioni arbitrali (anticipo: non sempre condivisibili) non possono essere un alibi totale. Una squadra che vuole arrivare in fondo e che là davanti può schierare giocatori del calibro di Dempsey, Bale, Lennon e Defoe non può uscire da White Hart Lane senza goal all’attivo.

Al tempo stesso la Lazio deve assolutamente essere più cinica.

Perché diciamolo chiaramente: se riesci a tenere la porta inviolata a Londra non puoi permetterti di sciupare ciò che davanti riesci a creare. Anche perché, preventivabilmente, non saranno decine e decine di palle goal.

Stupisce quindi che Klose, giocatore che porta il killer instict ben impresso nel suo pedigree, cicchi una palla che solitamente trasforma in rete cento volte su cento.

O che nella ripresa Mauri, centrocampista con un ottimo feeling col goal, sia lento, goffo ed impacciato e sciupi un’altra bella occasione.

Uscire con tre punti dal White Hart Lane sarebbe stata un’iniezione di fiducia pazzesca.

La fortuna, invece, gioca a favore della Lazio. Perché se ieri la Juve non era stata fortunata a livello episodico – basti pensare al goal deviato o alla traversa di Quagliarella – oggi la Lazio ha portato a casa la porta inviolata anche grazie a quello.

Del resto difficile credere che in occasione del goal di Dempsey (il primo dei tre annullati dalla terna) ci possa essere malafede arbitrale. Molto più sensato etichettare il tutto come “fortuna”, col guardalinee che non si avvede della posizione regolare (giusto in linea) del trequartista statunitense e sbandiera, rendendone vano il bel tuffo con incornata vincente.

Ed è una fortuna anche che la cosa si ripeta nella ripresa, quando è Bale ad essere colto in posizione di fuorigioco (se c’è è millimetrico), con l’ala gallese che nel continuo dell’azione servirà a Defoe, solo e porta vuota, la palla del vantaggio.

Non so se sia fortuna, ma certo è un episodio che gira a favore, anche quello che vede Mauri affossato in area sugli sviluppi di un angolo. Vedendo la ripresa dalle spalle della porta laziale sembrerebbe in effetti essere fallo, quello di Caulker. Va detto, però, che molti arbitri con ogni probabilità non l’avrebbero fischiato.

Poi certo, ci sono anche episodi sfortunati. Come quello che vede protagonista Gonzalez, che su una respinta aerea della difesa Spurs si avventa su di un pallone volante e calcia verso la porta difesa da Lloris, venendo fermato solo dalla traversa. Sarebbe stato un golazo notevole.

Nel complesso, comunque, buona Lazio in quel di Londra. Ai punti forse vincerebbero i padroni di casa ma gli uomini di Petkovic si comportano bene, ed escono dal campo a testa alta.

Una cosa che accade ormai piuttosto di raro, alle italiane impegnate in Europa.

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Missione compiuta per il Napoli/2.

Perché quello che scende in campo al San Paolo contro i non certo irresistibili svedesi dell’AIK è un Napoli zeppo di riserve belle e buone, senza con questo voler offendere o sminuire nessuno.

Ci sono però degli aspetti che rendono comunque interessante anche questa squadra e questo match: la presenza di alcuni giovani che, come da tradizione per un allenatore non certo disponibilissimo verso i giovani, in altri contesti non trovano moltissimo spazio.

Perché oltre all’argentino Fernandez dietro, affiancato però dagli espertissimi Gamberini ed Aronica, c’è un tridente verdissimo formato dal nuovo arrivo El Kaddouri, il cavallo di ritorno Insigne e l’oggetto misterioso Vargas.

Ed è proprio il cileno l’osservato speciale. Alla seconda presenza da titolare da quando è a Napoli (nove mesi circa) l’ex stellina dell’Universidad de Chile aveva fatto storcere il naso a più di qualcuno visto lo scarso feeling con il goal mostrato fino qui in Italia (certo però, mai messo in condizione di ben figurare).

Serve quindi la discesa in Campania dei Vichinghi per risvegliare un giocatore un po’ depresso negli ultimi mesi.

Perché l’AIK – poca roba nel complesso, pochissima dietro – si dimostra avversario ideale per il cileno.

La tripletta che sforna, infatti, è frutto sì delle sue qualità e soprattutto della sua voglia di riscatto ed imposizione, ma anche – probabilmente in primis – della pochezza del pacchetto arretrato svedese.

Basti guardare i goal: nel primo caso Johansson lo può anticipare comodamente, ma buca clamorosamente e lascia pallone e spazio a Vargas, per cui è un gioco da ragazzi bucare Turina.

La seconda rete è invece facilitata da Majstorovic, splendidamente ritratto dal commentatore tecnico di Fox Sports: un lottatore di lotta libera, troppo lento nei movimenti per poter evitare il raddoppio Azzurro.

La terza, infine, arriva su un’imbucata di Hamsik, entrato nella ripresa (su di lui torneremo più avanti) e bravo a servire nella profondità il compagno per il 3 a 0 che chiude definitivamente ogni discorso.

Per un Vargas che fa fuoco e fiamme e che si merita un otto pieno, un El Kaddouri invece non molto positivo. Il trequartista marocchino-belga, infatti, non sembra ancora essersi calato nella nuova realtà. Arrivato dal Brescia in estate, seguito da molti club importanti, tecnicamente dotato, andrà aspettato senza bruciarlo.

Discreta, invece, la prestazione di Insigne, che quando parte palla al piede fa sempre paura e che nel primo tempo cerca un goal “alla Oscar”, giusto per ricollegarci alla perla del brasiliano di ieri sera.

Hamsik, dicevamo. Entra e serve a Vargas il 3 a 0. Poi, poco più tardi, viene messo a terra da uno spintone di Johansson, reagisce e si becca un cartellino rosso che, a regolamento, ci sta tutto. Vedremo ora cosa deciderà il giudice sportivo: di certo almeno un paio di giornate dovrebbe saltarle.

Buona, nel complesso, la vittoria di questo Napoli/2, insomma.

Che inizia bene e dopo nemmeno dieci minuti è in vantaggio. Ma che poi stranamente si ferma, nel corso della prima frazione, lasciando uscire troppo l’AIK. Che, per fortuna di Mazzarri ed i suoi, è poca roba, come detto. Contro un avversario di altro valore lasciare andare così tanto la partita può voler dire buttare via il vantaggio.

Nella ripresa, per fortuna, i napoletani tornano in sé e decidono di chiudere il match tornando a giocare ai loro livelli.

Positivo anche il fatto che i partenopei, rimasti in 10, non molleranno nulla. Anzi, troveranno anche il 4 a 0 con Dzemaili, anche lui entrato nella ripresa, con un tiro da fuori deviato da Majstorovic.

Del resto il calcio italiano è in crisi. Ma ad oggi le riserve del Napoli restano superiori ai titolari dell’AIK Solna.

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