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La partita di San Siro di ieri sera è la sublimazione della poca cultura sportiva che c’è in Italia.
E in tutto questo il calcio resta solo lo spettacolo che fa da contorno a veleni, insulti e quant’altro.
Allora mettiamo un po’ di ordine.
Quello di Muntari è goal. Vabbè, non serve certo lo dica io.
La palla è nettamente dentro e Vidal è da considerarsi – a mio avviso giustamente – in gioco anche a termini di regolamento (senza l’ok dell’arbitro un giocatore fuori dal campo è da considerarsi in gioco).
Anche qui… ho letto, su Facebook, chi tirava in ballo un goal di Boniek per giustificare il fatto che Vidal andasse considerato non in gioco e quindi che quello di Muntari fosse goal da annullare per posizione irregolare.
Il tutto con pochissima obiettività e scarsa cultura sportiva. Del resto il tifo spesso acceca e non ci si rende conto che in venticinque anni il regolamento è cambiato. E che come agli Europei del 2008 subimmo una rete contro l’Olanda con Panucci – mi pare – fuori dal campo qui alla Juventus è successa la stessa cosa.
Ma no. Milanisti che schiumano verde insultando a destra e a manca. Partendo da Conte con tanto di mamma per arrivare all’ultimo dei tifosi.
In risposta, ovviamente, arrivano solo – o quasi – altrettanti insulti o teorie balzane per provare a difendere la propria squadra.
Allo stesso modo di tutto mi è capitato di leggere rispetto al goal di Matri. Assolutamente regolare (per quanto si tratti di una questione davvero di millimetri).
E anche qui: basterebbe ammetterlo.
Nessuno dice che l’errore su questo goal sia paragonabile a quello fatto nella situazione che ha visto il goal di Muntari non venire convalidato.
E’ semplicemente questione di obiettività.
Nel contempo Vidal viene giustamente espulso per un interventaccio su Van Bommel, Mexes invece la scampa (ma rischia la prova tv).
Arbitraggio semplicemente pessimo. Non c’è bisogno di lasciarsi dominare dalla follia come Pellegatti o offendere i tifosi avversari senza un motivo valido.
Cultura sportiva. Quando ne avremo una in Italia?
Nota a margine: il Milan meriterebbe qualcosa di più. E indubbiamente quel goal annullato a Muntari avrebbe potuto decidere il match.
Juve che nella ripresa si riprende e tutto sommato non demerita il pareggio. Certo però che quando non corre come ci ha abituati è una squadra poco più che normale.
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Nome: Paul Pogba Data di nascita: 15 marzo 1993 Luogo di nascita: Lagny-sur-Marne (Francia) Nazionalità: francese, guineana Altezza: 186 centimetri Peso: 80 chilogrammi Ruolo: centrocampista centrale Club: Manchester United Scadenza contratto: 30 giugno 2012 Valutazione: 5.000.000 euro
CARRIERA
Nato il 15 marzo di diciannove anni fa a Lagny-sur-Mer, cittadina che sorge a ventisei chilometri ad est del centro di Parigi, Paul Pogba è però ragazzo di origine guineana.
Terzo di tre fratelli, ha il calcio nel sangue.
Non è infatti un caso se da casa Pogba sono usciti tre calciatori su tre: Florentin, che gioca nel Sedan, Mathias, attualmente al Wrexham, e Paul, gioiellino dell’Academy dei Red Devils.
Oggi è a Manchester. Ma i primi passi da calciatore il più piccolo dei tre Pogba li mosse all’US Roissy-en-Brie, società con casa a pochi chilometri da Lagny.
Nel 2006, quindi, il passaggio al più importante Torcy, dove capitanò la squadra under 13, per poi spiccare il volo verso il Le Havre, una tra le società più importanti del settentrione d’Oltralpe.
Un altro paio di stagioni e l’ennesimo trasferimento. Questa volta, però, fuori dal territorio francese.
Su di lui hanno messo infatti gli occhi gli osservatori che Sir Alex Ferguson sguinzaglia in tutto il mondo.
Il ragazzino, ormai sedicenne, è il capitano delle selezioni under 16 di Le Havre e della nazionale francese, e viene ritenuto un potenziale fuoriclasse. Così lo United, applicando pratiche piuttosto antipatiche, lo ruba al Le Havre (che farà partire una sorta di guerra legale durata poi qualche mese) per rinforzare la propria Academy.
Scelta azzeccata, non c’è che dire.
A Manchester Paul viene subito aggregato alla formazione under 18, dove esordisce il 10 ottobre (quattro soli giorni dopo l’ufficializzazione del suo passaggio ai Red Devils) contro il Crewe Alexandra.
Nel complesso, quell’anno, Pogba metterà a referto 19 presenze e 7 reti. Un bottino niente male per un centrocampista.
Le vittorie di squadra, però, stentano ad arrivare. Almeno nei club.
Perché dopo aver sollevato i trofei dell’Aegean Cup e del Tournoi Val de Marne Paul si era dovuto accontentare solo della seconda piazza nel campionato nazionale francese under 16, dove il suo Le Havre si era dovuto inchinare al Lens (che come ho già avuto modo di dire in altre situazioni è indubbiamente un punto di riferimento per il calcio giovanile francese).
Allo stesso modo Paul deve chinare la testa anche al suo primo anno inglese. Quando lo United viene sconfitto – ai rigori – dai pari età dell’Arsenal nella semifinale playoff del campionato under 18 di quell’anno.
Le vittorie, così, continuano ad arrivare solo in maglia Bleus.
Proprio quell’estate, infatti, l’under 18 francese è chiamata a confermarsi nel torneo Memorial Carlo Sassi. E Paul fa, ovviamente, parte di quella squadra che riuscirà a riportare la vittoria finale.
La stagione successiva arriverà invece il suo esordio tra le riserve. Che avverrà, più precisamente, il 2 novembre 2010, in un 3 a 1 con il Bolton.
Sfiorerà solo, invece, l’esordio in prima squadra. Con Ferguson che lo convocherà, il febbraio seguente, in vista del match di FA Cup contro il Crawley Town (oltre che in quello di campionato con i Wolves) senza però dargli modo di scendere in campo.
La mancata gioia dell’esordio in prima squadra sarà comunque compensata dalla prima vittoria di club.
Quell’anno, infatti, le Riserve dello United riusciranno ad imporsi nella FA Youth Cup, battendo 6 a 3, nel doppio confronto finale, lo Sheffield United.
Questa stagione, quindi, il debutto ufficiale in prima squadra. Che arriverà il 19 settembre in Coppa di Lega contro il Leeds.
Il 31 gennaio scorso, invece, sarà la volta dell’esordio (nonché unico cap, finora) in Premier. Quando, in un match contro lo Stoke City, rileverà il Chicharito Hernandez al settantaduesimo minuto.
Pogba che, nel contempo, continua la sua brillante carriera come alfiere delle nazionali giovanili francesi.
Così dopo aver vestito le maglie dell’under 16, dell’under 17 e dell’under 18 è oggi uno dei punti fermi dell’under 19 guidata da Pierre Makowski.
Basta scorrere la lista dei convocati per l’amichevole del 29 con la Spagna, infatti, per trovare il suo nome in mezzo a quello di Areola, Digne, Kondogbia e Bahebeck.
Il suo futuro prossimo, comunque, potrebbe non essere più colorato a tinte Red Devils.
Il suo contratto, come è possibile leggere nella scheda riassuntiva ad inizio di questo articolo, scade infatti a fine stagione. E su di lui sarebbero piombate diverse squadre.
Tra cui anche Milan e Juventus. Con quest’ultima che, secondo quando si vocifera tra Francia ed Inghilterra, sarebbe oggi in pole position per assicurarsi le prestazioni di questa giovane stellina francese (cui Marotta e Paratici starebbero di far firmare un quadriennale).
Il tutto nonostante Ferguson abbia ribadito più volte di puntare sul ragazzo. E nonostante lo United gli abbia offerto – pare – un rinnovo da 15mila sterline a settimana.
Ovvero sia poco meno di un milione di euro l’anno.
CARATTERISTICHE
Come facilmente intuibile dal titolo c’è chi paragona Paul Pogba a Patrick Vieira.
E nel guardare questo colosso d’ebano viene facile capire perché: fisico importante, potenza muscolare, ruolo simile.
La verità, però, è che troppo spesso questi paragoni vengono fatti in maniera superficiale.
Esattamente come in questo caso.
Perché Vieira era giocatore piuttosto completo che sapeva alternare bene le due fasi. Ma che, nel complesso, era, potremmo dire, un mediano molto tecnico con capacità d’inserimento.
In questo senso, invece, Pogba è ben altro tipo di giocatore.
E quindi se entrambi, per semplificare, possono essere definiti “centrocampisti centrali” è altrettanto vero che ci sono due differenziazioni importanti da sottolineare, che fanno saltare il banco a chi azzarda paragoni superficiali: posizione e propensione.
Perché se il collocamento, appunto, è da centrocampista centrale la posizione è più avanzata rispetto a quella occupata da Vieira.
Per non parlare poi della propensione: perché Pogba è giocatore con una gran bella tecnica di base che non disdegna qualche buon dribbling e che soprattutto ama supportare con continuità la fase offensiva della propria squadra.
In più, nonostante l’altezza, si tratta di un giocatore che ha qualche numero interessante palla al piede nella propria faretra ed un calcio che sembra essere più potente e preciso di quello dell’ex Milan, Arsenal, Juventus ed Inter.
Insomma tecnica, rapidità nel gioco di gambe inusuale in un giocatore col suo fisico, forza, potenza, discreta visione di gioco, propensione ad offendere.
Tutte caratteristiche che ne fanno un centrocampista temibile e, soprattutto, un giovane dal potenziale più che interessante.
IMPRESSIONI E PROSPETTIVE
Per sapere dove potrà arrivare Paul Pogba dovremmo essere degli indovini.
Perché è già capitato in passato di vedere giocatori di 18/19 anni con un potenziale adatto ad imporsi a livello mondiale perdersi poi in un bicchier d’acqua, compiendo una carriera molto al di sotto delle proprie possibilità.
Nel calcio come nella vita, però, chi non risica non rosica.
E se Ferguson se ne è innamorato tanto da portare lo United a presentargli un’offerta faraonica (a maggior ragione se pensiamo al fatto che non ha ancora nemmeno esordito dal primo minuto in prima squadra) e Paratici è disposto a dichiarare guerra allo United è perché questo giocatore ha effettivamente potenzialità importanti.
Avendo la possibilità di acquistarlo a zero, quindi, è un colpo che qualsiasi società al mondo dovrebbe provare a fare.
Perché sì, l’impressione è di essere di fronte ad un giocatore con le potenzialità per essere uno dei migliori centrocampisti della sua generazione.
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Probabilmente no, a Milano non lo rimpiange nessuno.
Forse però anche perché in Italia tendiamo ancora un po’ – e sicuramente a torto – a snobbare la Bundesliga. Per non parlare dell’Europa League.
E quindi probabilmente in pochi staranno seguendo le sue gesta.
Ma partiamo dal principio.
Klaas-Jan Huntelaar parte sommessamente. Nel 2002 fa una presenza nel PSV, per terminare la stagione, da gennaio in poi, al De Graafschap, dove ne accumula altre dieci (coppa compresa). Il tutto senza mettere a segno una sola rete.
Per timbrare il suo primo goal da professionista deve quindi aspettare la seconda stagione. Quella che il giovane nativo di Drempt disputa in prestito ad Apeldoorn, nell’AGOVV.
Sceso di categoria, infatti, il suo talento esplode fragorosamente e Klaas diventa subito uno degli idoli dello Sportpark Berg & Bos.
Quell’anno il ventenne centravanti di proprietà del PSV si scatena e si impone come uno dei giovani attaccanti Oranje più prolifici e interessanti in circolazione.
Tra campionato e coppa il suo score è notevolissimo: 37 partite disputate, 27 reti realizzate.
Che però non bastano a convincere il PSV a riportarlo alla base.
Huntelaar, così, decide di lasciare definitivamente Eindhoven. L’Heerenveen è infatti disposto a puntare forte su di lui e gli offre una maglia da titolare in Eredivisie.
Offerta irrinunciabile per un ragazzo che punta ad imporsi nel grande calcio.
E in Frisia la musica non cambia. Anzi.
La prima stagione il rendimento di Klaas è subito notevole. In campionato timbra 16 centri in 31 presenze. Altre tre reti le realizza in Coppa Uefa.
L’anno successivo il botto. La stagione 2005/2006 è infatti la più prolifica, fino ad oggi, della storia di questo bomber implacabile.
La prima metà di stagione la disputa in Frisia. E ogni palla che tocca è un goal. 17 in 15 partite di Eredivisie, media allucinante. Peccato solo che la Uefa un po’ lo penalizzi. L’Heerenveen del resto non è attrezzatissimo per imporsi in Europa e lui trova qualche difficoltà in più: 2 goal in 6 presenze.
A gennaio, quindi, la chiamata dell’Ajax. Che vuole puntare su di un giocatore in qualche modo bocciato dai rivali storici di Eindhoven per continuare a dare lustro alla propria storia.
E nemmeno qui la media goal si abbassa. Anzi, nel complesso si alza: dalle 20 reti in 22 presenze in Frisia alle 24 in 25 in quel di Amsterdam. Nel complesso, playoff inclusi, Huntelaar quell’anno realizza 35 goal in 35 partite di campionato.
Ma è solo l’inizio.
Statistiche alla mano, infatti, il suo rendimento resterà elevatissimo. Dopo quella stagione ne arriveranno due da 36 goal (la prima delle quali con un bel 9 centri su 9 match in Europa, tra Champions e Uefa). Poi, nel gennaio del 2009, l’ennesimo salto in avanti, con l’approdo al Real. Dove in 20 partite di Liga metterà a segno 8 reti. Dimostrando di non riuscire, almeno da subito, a tenere i ritmi olandesi. Ma comunque confermandosi macchina da goal implacabile anche nella Liga.
Nel suo futuro, comunque, era scritta da tempo la parola “Italia”.
Fin da giovanissimo, infatti, spesse volte il suo nome era stato accostato al nostro paese.
La squadra più vicina a lui, ed in più occasioni, sembrava potesse essere la Juve.
Dopo i sei mesi di Madrid, invece, arriverà il suo sbarco a Milano, sponda Rossonera.
Dove il suo rendimento calerà drasticamente. Arrivando ad essere, se escludiamo la primissima stagione passata tra PSV e De Graafschap, il peggiore della sua carriera.
A Milano, infatti, non si inserisce. Fa fatica ad adattarsi al calcio italiano e non sembra nemmeno a suo agio nel modulo della sua nuova squadra.
Quell’anno, così, per lui sembra essere un po’ un calvario.
Inevitabile, a giugno, l’ulteriore trasferimento.
Così per rilanciare la sua carriera Klaas sceglie, anche intelligentemente, un campionato in netta crescita come la Bundesliga. E, più precisamente, si accasa allo Schalke 04.
Il primo anno, con ancora addosso le scorie psicologiche della stagione passata in Italia, Huntelaar fa però fatica a ritrovarsi. Così in campionato chiude con un goal ogni tre partite, in media. Che, coppe comprese, fanno 13 reti in 35 match. Ovvero sia meglio della stagione precedente, ma comunque non ai suoi livelli.
Quello è comunque un anno di ambientamento ad un calcio nuovo e di disintossicazione dopo la triste esperienza di Milano.
Quest’anno, infatti, Klaas torna ai suoi livelli.
Anzi, anche più in alto che mai. Tanto che l’idea di poter battere il proprio record personale (44 reti in 47 partite nel 2005/2006) non è assolutamente peregrina.
Huntelaar che vuole diventare capocannoniere di tutto. E così ne ha già messi 18 in 21 partite in campionato (dove è attualmente il capocannoniere in coabitazione con Mario Gomez), 5 in 3 presenze in coppa e 10 in 9 match in Europa League. Dove non è capocannoniere solo perché 4 di questi li ha realizzati nel ritorno del turno di playoff contro l’HJK (così che nella classifica marcatori della competizione ufficiale si trova a quota 6, ad una lunghezza da Matias Suarez dell’Anderlecht, eliminato ieri dall’AZ).
Qualcosa tutto questo vorrà pur dire.
Forse Huntelaar non era adatto al nostro calcio. O forse, semplicemente, aveva bisogno di un contesto – soprattutto tattico – diverso in cui potersi esprimere al meglio. O forse, ancora, è stato scartato troppo frettolosamente.
Di certo, però, c’è un fatto: questo ragazzo non è quel brocco che qualcuno disegnò al termine della sua esperienza milanista. Quel giocatore sopravvalutato capace di segnare solo in Olanda.
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Premessa doverosa: giocavano contro degli “scappati di casa”.
Perché sì, l’Udinese vince e convince in Grecia, dove batte nettamente il Paok strappando il biglietto per gli ottavi di finale.
Ma non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia: troppa la differenza di potenziale tra i due club. E questo nonostante le numerose assenze con cui deve fare i conti Guidolin.
Tre nomi su tutti: Di Natale, Isla, Armero (in panca).
Vince e convince l’Udinese, che dopo un quarto d’ora si trova già con la qualificazione in tasca. A sbloccare il risultato è Danilo, che svetta solissimo in mezzo all’area per schiacciare in porta un cross proveniente dalla sinistra. Dove Pasquale, giocatore che ieri mi ha piacevolmente stupito, pennella in mezzo un angolo che la difesa greca, guidata dal modesto Bruno Cirillo, non ha voglia di disinnescare.
Poi è Floro Flores, con una punizione-bomba dalla distanza, a raddoppiare, e chiudere di fatto il discorso qualificazione.
Il tutto almeno fino a quando Domizzi non realizza, pur disturbato dai soliti laser idioti, il rigore del definitivo 3 a 0.
Mi piace sottolineare, tra le altre cose, il buon arbitraggio della partita di Salonicco. Dove il norvegese Hagen scende in campo determinatissimo a non subire la pressione di uno stadio infuocato. Eccedendo anche un po’, come nel caso del rigore – un po’ generoso – concesso a Floro Flores. Ma rendendosi nel complesso autore di una bella prestazione: autoritario nel prendere le decisioni ed autorevole nel comunicare con i giocatori in campo. Arbitro da seguire.
Per ciò che concerne l’Udinese, invece, il piacere di vedere una squadra che nonostante qualche difficoltà nel mettere assieme l’11 titolare approda agli ottavi. Dove troverà l’AZ di Alkmaar, capace di superare l’Anderlecht.
Scoglio, questo, da non sottovalutare. Ma al tempo stesso assolutamente alla portata.
I quarti di Europa League, quindi, sono assolutamente alla portata. E lì tutto potrebbe succedere. Perché l’eventuale avversario sarebbe Valencia o PSV, per un incontro di alto livello. Ma nel doppio scontro tutto può succedere. E se l’Udinese già meritava l’approdo in Champions ad agosto, quando venne immeritatamente eliminata dall’Arsenal nei preliminari, chissà che non ci scappi una mezza impresa in EL.
Traguardo ragguardevole, a mio avviso, sarebbe la semifinale. Anche per ridare un po’ di lustro ad un movimento calcistico imbolsito come il nostro.
Niente da fare, come prevedibile, per la Lazio. Che in un certo qual modo rappresenta bene l’involuzione del nostro calcio: squadra che in campionato fa bene ma che probabilmente vive l’Europa League con un po’ di fastidio. Squadra che atleticamente viaggia alla metà di quello che dovrebbe e che tecnicamente e tatticamente non rappresenta certo un’avanguardia.
Alla vigilia lo si sapeva già: difficile che questa Lazio possa battere l’Atletico Madrid. Se non altro perché all’estero l’Europa League è competizione sentita.
Così è stato. E oggi in EL resta un’italiana sola.
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Alla fine il Cska la spunta. Immeritatamente, ma lascia il campo con un buon pareggio, che permette alla squadra di Sluckji di tenere aperte le possibilità di passaggio del turno.
Al Bernabeu, però, sarà durissima.
E, per altro, un pareggio a reti inviolate non basterebbe ai russi per passare il turno.
Difficilissima quindi, comunque, l’impresa del Cska, che però può quantomeno gioire alla fine di questo match.
Perché in campo, va detto, sono gli spagnoli a fare il match e meritare la vittoria.
La squadra di Mourinho, infatti, parte un po’ troppo spavalda, ma esce poi bene con l’andare dei minuti.
Certo, da un punto di vista tecnico – e pure tattico – il Barcellona è ben altra pasta, ma il talento non manca ai ragazzi di Madrid, che mettono sotto senza tanti patemi il Cska.
Russi che dal canto loro mostrano, ma era più che preventivabile, come la difesa sia il reparto che avrebbe bisogno di qualche ritocchino. Non è un caso quindi se l’unico goal spagnolo del match venga in una situazione in cui Ronaldo viene dimenticato alle spalle di tutti, e può battere facilmente Cepcugov.
Interessante, comunque, per ciò che concerne il reparto arretrato dei russi Shchennikov. Terzino sinistro di soli vent’anni (ne farà ventuno in aprile) che è assolutamente da monitorare. Ha ancora molto da migliorare per imporsi come uno dei migliori interpreti nel ruolo, quantomeno in Europa, ma comunque le potenzialità per ricavarne un bel giocatore ci sono tutte.
Discorso simile può essere fatto anche per Doumbia. Il ventiquattrenne attaccante ivoriano è indubbiamente tra le frecce migliori nell’arco di questo CSKA.
E anzi, dopo la recente partenza di Vagner Love (finito a fine gennaio al Flamengo per una cifra di poco inferiore ai 10 milioni) chissà che non finisca col lasciare anche lui Mosca, diretto verso in un campionato di livello maggiore.
Personalmente gradirei vederlo in Italia. Dove certo, le difese sono ben più ostiche di quelle russe. Ma dove potrebbe comunque consacrarsi quale dopo-Drogba (nonostante le caratteristiche piuttosto dissimili).
Bene, nel complesso, anche Callejon. Giocatore che Mourinho pare tenga in grossa considerazione.
Mi è spiaciuto invece molto, a livello personale, veder uscire subito Benzema. Altro giocatore che potenzialmente potrebbe spaccare il mondo.
Infine Ronaldo: niente da dire. Spina nel fianco costante, ha i numeri per decidere i match da solo.
Cosa ci si deve aspettare per il ritorno?
Il CSKA teoricamente dovrebbe andare a Madrid a fare la partita, posto che, come detto, non può accontentarsi dello 0 a 0 per passare.
La cosa però è praticamente inattuabile, nel concreto.
Un po’ per i limiti dei moscoviti, che oggi per altro non hanno supportato praticamente per nulla il loro bomber Doumbia, un po’ per meriti del Real, che sicuramente eviterà di lasciare il pallino del gioco costantemente in mano agli avversari.
Ecco quindi che sfruttando il maggior tasso tecnico il Real proverà a traghettare la partita sui propri ritmi, puntando a vincere per fare contenti i propri tifosi. Il tutto, magari, anche senza strafare.
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Nel corso degli ultimi giorni ho avuto modo di vedere due match cruciali della ventottesima giornata di Serie B. Lo scontro che ha visto il Torino opposto alla Sampdoria ieri sera e quello che ha visto il Varese far visita al Sassuolo in quel di Modena oggi pomeriggio (la partita sarà trasmessa, col mio commento tecnico, da Rete55Sport stasera alle 21).
Che dire?
Il Sassuolo lo vidi già nel match di andata coi Biancorossi, direttamente dalla tribuna stampa dell’Ossola. Ed anche quella volta, nonostante portò a casa i tre punti grazie all’azione personale di Boakye, mi lasciò abbastanza l’amaro in bocca.
Due, in particolar modo, le armi in più di questa squadra: Fulvio Pea in panchina, Gianluca Sansone in attacco.
Per il resto pochino. Tanto che i punti di differenza tra le due squadra non si sono concretizzati in campo.
Anzi, nel complesso è stato il Varese a dimostrare più qualità di gioco e di palleggio. Col Sassuolo, va comunque detto, a creare più occasioni di un certo pericolo, anche se più che altro su errori o disattenzioni dei singoli in maglia Biancorossa (anzi, bianca per l’occasione).
Sassuolo che quindi ha proprio nella compattezza generale il suo punto di forza. Terranova maiuscolo, Magnanelli coriaceo, tutta la squadra sempre molto attenta e poi Sansone a briglie sciolte a cercare goal e giocate.
Bene invece il Torino, che ha battuto una Sampdoria che a livello di singoli varrebbe il doppio del Sassuolo, ad esempio, ma che pure continua a dimostrare qualche falla di troppo, soprattutto dal punto di vista della compattezza.
Toro che ha avuto ieri in Ogbonna difensore assolutamente affidabilissimo. Un Ogbonna chiamato ad una rapida maturazione: giocatore di grandi potenzialità e prospettive che però troppo spesso in carriera ha dimostrato passaggi a vuoto dal punto di vista della concentrazione.
Torino che comunque dimostra di avere mezzi superiori alla diretta concorrente Sassuolo.
Sampdoria che dal canto suo, invece, dimostra come a livello di singoli potrebbe quasi dominare il campionato, ma anche come la strada per centrare almeno i playoff sia ancora lunga.
A maggior ragione quando il Varese è quello di Modena. Dove, pur con qualche sbavatura, mette in mostra buona facilità di palleggio ed una qualità tecnica nel complesso superiore alla media.
Varese che nonostante l’arrivo del Diablo Granoche, però, pecca ancora in fase di finalizzazione.
Pecca questa che se colmata garantirebbe alla squadra di Maran un posto sicuro tra le prime sei del campionato.
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Dopo il secco 4 a 0 del Milan con l’Arsenal si avvicina il momento dell’altra milanese. Che mercoledì aprirà la propria fase ad eliminazione della Champions League 2011/2012 affrontando l’Olympique Marsiglia al Velodrome.
Nativo di Châtellerault, l’ex centrocampista interista iniziò proprio in quel di Marsiglia, dove si formò come giocatore.
Al Velodrome ci giocò per tre anni. Giusto il tempo di vincere un paio di volte la Ligue 1. Poi il passaggio al Caen e al Nantes (dove vinse un’altra volta il massimo campionato francese) e, infine, al PSG (dove giocò la Supercoppa Europea, persa contro la Juventus, e con cui arrivò in finale di Coppa delle Coppe, persa contro il Barça di Ronaldo).
Da qui il passaggio in Italia: sei anni tra Milano (sponda Nerazzurra), Torino (Granata) e Como.
Carriera chiusa poi tra Bastia, CSKA Sofia e Sion.
Cauet che nell’intervista, pur breve, rilasciata al sito dell’OM dice una cosa molto interessante: “Inizialmente pensavamo fosse un buon sorteggio”.
E con pensavamo, logicamente, Cauet parla da interista. Del resto oggi lui è ancora a libro paga di Moratti, come allenatore delle giovanili.
Pensavamo fosse un buon sorteggio, appunto. Indubbiamente il migliore tra quello capitato alle italiane.
E poi?
Poi sono successe due cose: l’Inter è crollata dopo una serie di vittorie molto lunga ed il Marsiglia è ripartito, dopo un inizio di campionato un po’ stentoreo. Tanto che oggi si gioca l’Europa con Lille e Lione.
Da quando l’OM è stato sorteggiato con i Nerazzurri, infatti, non ha più perso in campionato. Tre vittorie (tra cui una con il Lille) e due pareggi (tra cui quello col Lione), con 10 reti fatte a fronte di 5 subite.
Bel ruolino di marcia, quindi, per i marsigliesi. In un momento molto positivo, a differenza della squadra di Ranieri.
Che quindi inizia a covare qualche preoccupazione. Il tutto nonostante, sulla carta, non dovrebbe quasi esserci partita.
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Tra cinque giorni Milan e Juventus si giocheranno una buona fetta dello Scudetto.
E mentre sui media impazzano già le polemiche questo blog, come da tradizione, si concentrerà sugli aspetti relativi al calcio giocato.
Perché del resto chi ama davvero questo sport non può soffermarsi a perdere troppo tempo con futilità inutili, senza pensare al campo.
E allora… che situazione stanno vivendo le due big di questa Serie A?
Partiamo da un presupposto che penso però sia chiaro un po’ a tutti: sulla carta il Milan sarebbe superiore. E potendo contare sul vantaggio di giocare in casa non dovrebbe che partire favorito.
Sulla carta, appunto. Perché poi a conti fatti ecco che la lista di giocatori indisponibili in casa Rossonera è praticamente sconfinata. Quando, di contro, a Conte dovrebbero mancare solo lo squalificato Vidal e l’infortunato Marrone (che comunque, ad onor del vero, difficilmente avrebbe visto il campo anche se un’elongazione del bicipite femorale della coscia sinistra non lo costringesse ai box).
Ai lungodegenti Cassano e Gattuso, infatti, bisogna aggiungere anche Aquilani (distorsione alla caviglia), Merkel (distorsione del ginocchio), Strasser (frattura del malleolo), Seedorf (stiramento del bicipite femorale destro), Mexes e Nesta (infiammazione al ginocchio), Boateng e Pato (affaticamento).
Di questi, certo, qualcuno potrebbe riuscire a recuperare. In particolar modo qualcuno tra gli ultimi quattro, che hanno problemi fisici di entità indubbiamente minore rispetto ai primi.
Qualora però i medici di Milan Lab non dovessero riuscire nel miracolo Allegri si troverebbe a dover studiare una formazione partendo da una base di ben undici assenti. Praticamente una formazione intera.
Agli infortunati sopracitati, infatti, va poi aggiunto, ed è un’assenza pesante, Ibrahimovic, come tutti ricorderete squalificato per lo schiaffo/buffetto ad Aronica.
Così l’ex tecnico del Cagliari potrebbe vedersi praticamente costretto a schierare la stessa formazione che ha steso ieri il Cesena grazie ai goal di Muntari, Emanuelson e Robinho.
Una formazione che sulla carta, a ben vedere, non sarebbe poi nemmeno così tanto più forte di quella che si inizia ad ipotizzare oggi potrebbe essere schierata da Conte.
Perché senza buona parte dei punti forti della sua squadra Allegri si troverebbe a schierare una difesa con il non affidabilissimo Bonera ad affiancare Thiago Silva, un centrocampo di buona sostanza (cosa questa che potrebbe in effetti aiutare a contenere il maggior agonismo Bianconero) ma poca tecnica (e risulta quasi un controsenso che la squadra che sulla carta ha indubbiamente il tasso tecnico più elevato del campionato si potrebbe trovare a giocare con un centrocampo nettamente inferiore, da questo punto di vista, a quello juventino) ed un attacco che potrebbe essere croce e delizia del match, con Robinho capace di farne tre in due partite come di sbagliare a porta vuota ed un Maxi Lopez che dopo le scintille dell’esordio, in cui aiutò a ribaltare il punteggio con l’Udinese, è stato praticamente spettatore non pagante ieri, nonostante si trovasse a giocare contro la certo non irresistibile difesa cesenate.
Molti meno problemi, invece, per Conte, come dicevamo.
Che sembra ormai orientatissimo verso il 3-5-2 che potrebbe permettere alla Juve di mettere sotto il Milan proprio a centrocampo, con un mix di atletismo e tecnica.
Punto cruciale, per la squadra di Torino, sarà quindi sicuramente l’attacco. Perché dietro sembra che la Juventus abbia trovato una discreta quadratura del cerchio, grazie ad un modulo che gli permette di giocare con tre centrali ed una bella copertura a centrocampo. Non è un caso, infatti, che la Juve con i suoi 14 goal incassati (sette meno del Milan) sia la miglior difesa del campionato. Né tantomeno lo è che i Bianconeri abbiano subito solo due goal in queste quattro partite del girone di ritorno (in attesa di recuperare il match col Bologna).
Tallone d’Achille quindi, come si diceva, la fase offensiva. Laddove la Juve con i suoi 36 goal realizzati (dodici meno del Milan) risulta avere solo il sesto attacco della Serie A, dietro anche a Napoli, Lazio, Palermo e Roma.
Del resto alla squadra di Conte manca un vero e proprio bomber. Ed in generale i giocatori che compongono il reparto offensivo risultano oggi essere, per un motivo o per l’altro, piuttosto asfittici sottoporta.
Non è quindi un caso se dietro a Matri, capocannoniere del club con 9 centri (otto meno dell’attuale capocannoniere, Di Natale, e dietro anche a Cavani, Ibrahimovic, Denis, Jovetic, Milito, Palacio, Klose, Miccoli e Calaiò), ci siano due centrocampisti: Marchisio (sei) e Pepe (cinque).
Assolutamente stitico, in quarta posizione, Vucinic (tre), che come dicevo in estate non è stato un investimento azzeccatissimo. Giocatore dalle potenzialità devastanti, che mette però in mostra troppo di rado. E, per altro, attaccante con una scarsa confidenza col goal, come dimostrato anche fino ad oggi a Torino.
Se Milan Juve sulla carta dovrebbe essere partita con un Milan nettamente favorito, quindi, ecco che tenuto conto dei vari fattori risulta in realtà essere un match molto più aperto di quanto ci si potrebbe aspettare.
Vincere certo non significherebbe cucirsi sul petto lo Scudetto, viste le molte gare che mancano al termine del Campionato. Ma sarebbe altresì un’importantissima iniezione di fiducia.
Sabato sera vedremo quindi chi si avvantaggerà, soprattutto psicologicamente, dal match di San Siro.
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Cagliari in Europa.
Anche qui, una provocazione.
Non che sia particolarmente in vena di farne, ma seguire – ahimè solo distrattamente – il match tra i sardi ed il Palermo mi ha fatto abbastanza riflettere rispetto alle potenzialità di questa squadra.
E allora partiamo da un presupposto: questo post vuol essere dedicato in particolar modo a due giocatori. Che con le proprie qualità hanno realmente, in special modo nella mediocrità del nostro campionato, la possibilità di spingere il Cagliari a caccia di un posto in Europa che, ad onor del vero, sarà più che difficile da raggiungere.
Chi sono i due giocatori che si meritano un post ad hoc su questo blog?
Mauricio Pinilla e Victor Ibarbo.
Che certo, non sono Cristiano Ronaldo e Lionel Messi. Ma che, ribadisco, nella mediocrità del loro campionato hanno un loro perché. E, soprattutto, possono essere un fattore in una squadra certo non irresistibile ma pure tutt’altro che disprezzabile.
Partiamo dalla punta cilena, allora.
Giramondo vero, sbarcò in Italia giovanissimo e fu una meteora. L’Inter non ci aveva visto male ma non aveva posto per lui. A Verona, sponda clivense, non andò tanto meglio.
Spagna, Portogallo, Scozia e il ritorno in Cile. Poi Brasile e, addirittura, Cipro.
Il giocatore però c’è tutto. Così il Grosseto decide di puntare su di lui.
Basta un-campionato-uno e Zamparini sente l’irrefrenabile desiderio di averlo in squadra. Uno score di 24 reti in 24 match di Serie B, del resto, è tutto fuorché poco impressionante.
La Serie A è ovviamente tutta un’altra cosa e Mauricio non può certo mantenere la stessa efficacia sotto porta.
Ma come dicevo il giocatore c’è e si fa sentire quando serve.
Meriterebbe miglior sorte la sua esperienza in Rosanero così come la sua carriera tutta, ma una certa fragilità fisica non lo aiuta per nulla. Anzi, è fortemente penalizzante.
A gennaio sbarca a Cagliari. L’uomo giusto al posto giusto?
Ibarbo è invece l’ultima scommessa di Cellino. Presidente che non farà i numeri di Pozzo ma che ha comunque dimostrato più volte di non avere certo un brutto occhio.
Se Pinilla è punta abbastanza completa, che trovando continuità potrebbe risultare un fattore, Ibarbo è una forza della natura.
Incontenibile quando parte palla al piede o quando s’imbuca nello spazio. Per ulteriori informazioni chiedere a Balzaretti & co.
Ibarbo con una tecnica ed un piede degni di tal nome sarebbe giocatore da grandissima squadra. E’ quello che è, ma se non lo contieni fa male anche se non gioca di fioretto.
Due giocatori del genere, appunto, possono essere un fattore.
Due pietre miliari di un attacco che può davvero impensierire chiunque. La tecnica di Pinilla unita allo strapotere atletico di Ibarbo. E passa la paura.
Ora tutto è nelle mani di Ballardini. Che per altro ha una rosa certo non disprezzabile. Basti ricordare i vari Canini, Astori, Conti, Dessena e Naingollan.
Europa? Difficile.
Però intendiamoci: l’Inter è solo a sei punti, anche se con una partita in meno. Nulla è impossibile. E se i posti disponibili per l’Europa fossero sei, per quanto riguarda il piazzamento in campionato, ecco che le possibilità di vedere Ibarbo-Pinilla trainare il team costruito da Cellino fuori dai confini si farebbero un po’ più concrete…
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“Quando dicevo che bisognava far giocare El Sharaawy anziché comprare Tevez voi dov’eravate?”
Palese provocazione. Ma è quanto ho scritto sul mio profilo Twitter non appena El92 ha girato in rete l’assist di Maxi Lopez, altro giocatore su cui nel pomeriggio si era concentrata la mia attenzione.
Ma andiamo con ordine.
L’Udinese parte meglio e dà sinceramente l’idea di poter portare a casa i tre punti senza sudare le proverbiali sette camice.
In questo senso vanno sottolineati i due aspetti dell’iniziale facilità con cui i padroni di casa gestiscono la gara: grande organizzazione loro, con un Guidolin sempre maiuscolo quando si tratta di definire lo schieramento in campo, ma anche un Allegri che fa una scelta piuttosto azzardata.
Perché obiettivamente mandare in campo il tridente formato da Seedorf in appoggio ad El Shaarawy e Robinho è un azzardo non da poco.
E così la partita cambia, guarda caso, proprio quando il tecnico Rossonero decide di inserire una punta vera. Proprio quel Maxi Lopez che, del resto, sarebbe anche stato acquistato per quello.
Pim pum ed è proprio l’argentino, con il valido supporto di un El Sharaawy che ritrovando dei punti di riferimento solidi alza il proprio livello di gioco, a domare l’Udinese.
Goal e assist per lui e prestazione da incorniciare.
Grande Udinese, comunque. Che con un Sanchez in più nel motore oggi non mi stupirei se guidasse il campionato. Peccato per questo finale di gara. Un po’ di attenzione in più dietro e il risultato sarebbe potuto essere ben diverso…
Udinese
Handanovic: 5
Il Milan gli dà una grossa mano per buona parte della partita. Poi El Sharaawy prova a metterlo in difficoltà e lui cede, respingendo male una palla che in presa diretta mi sembrava potesse essere disinnescata con molta più efficacia. Errore che costa parecchio all’Udinese, perché sancisce il momentaneo pareggio Rossonero e dà la carica per l’arrembata finale che varrà il ribaltamento del risultato.
Benatia: 6
Anche lui aiutato per buona parte del match, come tutta la difesa, da un Milan piuttosto fumoso là davanti. Deve contrastare El Sharaawy, che alla fine risulterà decisivo. Ha fatto ben di meglio in passato.
Danilo: 6
Un paio di sbavature evitabili.
Domizzi: 6
Gara ordinata e condita da qualche sortita offensiva. Come quella che lo vede presentarsi a tu per tu con Amelia, liberato dall’inesauribile Armero. Peccato solo, in quel caso, che anziché provare a liberare il solissimo Di Natale in mezzo cerchi il goal di punta, trovando la manona di Amelia a dirgli di no. Ora probabilmente staremmo parlando di un’altra partita.
Basta: 6,5
Molto concentrato, fa una partita attenta. E’ sempre preciso e pulito.
Abdi: 6
Poco appariscente, effettua comunque un buon lavoro oscuro.
Pazienza: 6,5
Dimostra di non essere quel broccaccio che molti tifosi della Juventus hanno dipinto.
(Dall’87’ Torje: s.v.)
Fernandes: 6,5
Ci mette intensità e condisce il tutto con qualche pizzico di qualità. Come quando libera Di Natale per il goal della bandiera Bianconera.
Armero: 7
Atleticamente è un giocatore devastante. Imprendibile praticamente per tutti (tranne che per Abate) può essere un vero fattore in special modo quando si tratta di giocare in contropiede. Dategli una grande squadra, merita una chance.
Isla: 6,5
Gioca a supporto di Di Natale facendo una partita di livello, a maggior ragione se si pensa che la disputa in un ruolo che non è certo cucito su misura.
(Dal 61′ Pasquale: 5
Il suo ingresso sembra quasi minare la solidità Bianconera.)
Di Natale: 7
Solito bomber di razza. Che ai goal unisce la tecnica sopraffina con cui incanta il pubblico friulano. Giocatore che meriterebbe sicuramente altri scenari, peccato per la sua decisione di chiudere la carriera ad Udine.
(Dal 75′ Floro Flores: s.v.)
Milan
Amelia: 6,5
Il mezzo miracolo fatto su Domizzi vale da solo mezzo punto. Sul goal, deviato da Thiago Silva, non può nulla.
Abate: 6
Bello il duello tra velocisti che ingaggia con Armero, che è comunque su di un livello di forma superiore al suo.
Mexes: 4
Voto forse più pesante di quello che meriterebbe, ma in certe situazioni è giusto lanciare un messaggio forte. Così proprio non va, Philippe. E vedendoti oggi credo nessuno possa rimpiangerti, in quel di Roma.
Thiago Silva: 6,5
Giocare di fianco al Mexes di oggi non dev’essere stato facile. Ma lui è un gigante. Sfortunato in occasione del goal di Di Natale.
Mesbah: 6
Buona presa per il Milan. Almeno in ottica campionato. Da verificare sui campi europei.
Emanuelson: 5
E’ semplicemente un giocatore inadatto a certi livelli.
Ambrosini: 6,5
Mette la propria esperienza al servizio della squadra. Certo che atleticamente l’età inizia a farsi sentire.
Nocerino: 6
Dà un tocco di dinamicità al centrocampo Rossonero. Sicuramente sarà prezioso in questo finale di stagione.
(Dal 66′ Maxi Lopez: 8
Mi chiedevo come potesse partire in panca e tac, entra e risolve il match. Non certo un fenomeno, ma è quel punto di riferimento che può essere utile al Milan in certe situazioni. In special modo quando manca Ibrahimovic.)
Seedorf: 5
Sempre più giocatore da prestazione. E quando questa non arriva si può solo rimpiangere il fatto di averlo mandato in campo.
Robinho: 5
La colpa non è nemmeno tutta sua. Che attacco può formare con El Sharaawy e Seedorf!?
(Dall’87’ Bonera: s.v.)
El Sharaawy: 7,5
E’ tra i migliori dei suoi – o tra i meno peggio – nel momento di massima pochezza Rossonera. Poi, affiancato dal neo entrato Maxi Lopez, guida la risalita della squadra, propriziando il primo goal e firmando di giustezza il secondo, che vale tre punti pesantissimi.
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