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Archive for dicembre 2015

29 maggio 2002. L’Italia si appresta ad esordire al Mondiale nippo-coreano. Avversario nel match d’esordio di un girone non certo di ferro l’esotico Ecuador, alla prima partecipazione iridata della propria storia.

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Sui media italiani inizia ad aleggiare l’ombra di un presunto fenomeno che causerebbe notti più o meno insonni a Giovanni Trapattoni, commissario tecnico Azzurro dell’epoca: Ulises de la Cruz, rapido esterno destro difensivo – ma con qualità marcatamente offensive – sbarcato in Europa solo un anno prima. Dove? Hibernian Football Club, Edimburgo, Scozia.

Solo il campo ridimensionerà lo spauracchio De la Cruz e rimetterà al proprio posto l’Ecuador: pratica risolta in ventisette minuti da una doppietta di Christian Vieri. Quello stesso Vieri che proprio pochi mesi fa, nel suo “Chiamatemi Bomber”, ha riservato un breve passaggio a questa vicenda. Cito testualmente: “De la Cruz? Non pervenuto! Chi cazzo era De la Cruz per mettere in ansia il CT dell’Italia? Boh…”

14 dicembre 2015. L’Italia ha da poco conosciuto gli avversari che dovrà affrontare nel primo turno dell’Europeo francese. Sono passati tredici anni e mezzo da quel fine maggio ed in questo lasso di tempo la nostra Nazionale ne ha vissute di ogni: dall’eliminazione per mano della Corea del Sud di quel Mondiale fino al tonfo brasiliano, passando anche per quello di quattro anni prima in Sudafrica, per l’oro iridato del 2006 e per l’argento europeo del 2012.

Insomma, l’Italia in questi tredici anni e mezzo ne ha passate di tutt’un po’, eppure lo stato d’animo di fondo è sempre quello.

In questi giorni si sente infatti da più parti dipingere il nostro come un girone tosto, addirittura per qualcuno il più tosto dell’Europeo.

Ora, premesso che siamo stati capaci di uscire da un Mondiale pur giocando in quello che probabilmente è stato il girone più facile della nostra storia (per chi non lo ricordasse più, Paraguay – Slovacchia – Nuova Zelanda) ed è quindi evidente che saremmo capaci di suicidarci anche contro San Marino, le cose non ci sono andate esattamente male.

Dice: “L’Irlanda è una buonissima squadra, organizzata benissimo, tignosa. In più è guidata da un grande tecnico come Martin O’Neil”.

Ragazzi, se dobbiamo aver paura di questo Eire possiamo anche non presentarci nemmeno in Francia, perché il fallimento sarebbe assicurato.

Con tutto il rispetto per i nostri avversari, che magari Oltralpe finiranno con lo stupire tutti, parliamo di una compagine piuttosto povera in quanto a talento, probabilmente tra le più povere in assoluto dell’intera competizione. Una squadra che continua a convocare il futuro 36enne Robbie Keane perché non è – ancora, almeno – riuscita in un ricambio generazionale efficace. Una nazionale che a parte forse il buon Seamus Coleman, terzino destro in forza all’Everton, non ha giocatori che potrebbero giocare da titolari in maglia Azzurra.

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L’Eire solo quattro anni fa, con il girone eliminatorio che ha giocato, non si sarebbe nemmeno qualificato a quest’Europeo. Poi il calcio è bello perché gli upset sono all’ordine del giorno, ma nemmeno nel 2012 – quando erano superiori alla squadra che sono oggi – ci impensierirono (ricordate? 2 a 0 proprio nel girone, goal di Cassano e Balotelli. Ah, per la cronaca le altre due compagini con cui ci confrontammo furono la Spagna campione del Mondo e d’Europa in carica e la Croazia…).

Dice: “La Svezia è una squadra organizzata, ha vinto l’Europeo under 21 ed ha quindi tanti giovani forti, in più c’è Ibrahimovic che è un fenomeno”.

Ecco. Passi quest’ultima affermazione. Ma la Svezia, di fatto, si ferma qui. Ibrahimovic + dieci.

Il livello medio della nostra compagine è indubbiamente superiore. Stiamo parlando di una squadra giunta terza dietro ad Austria e Russia, quindi di una nazionale che in un Europeo a sedici, anche qui, non ci sarebbe proprio stata.

Non solo: ai playoff si è presa la Danimarca, passando esclusivamente grazie ad Ibrahimovic, che si è letteralmente caricato la squadra sulle spalle. Ho guardato sia andata che ritorno, e posso dire meritassero i danesi. Con gli svedesi che comunque, senza il loro fenomeno, non sarebbero nemmeno andati vicini a giocarsela.

Avere un Ibrahimovic è una colpa? Affatto. Ma noi, da avversari, dobbiamo dare il giusto peso a questa squadra. Se giochiamo da Italia non possiamo non andare là e vincerla. Provando a contenere Ibrahimovic, sperando non faccia la partita della vita proprio contro di noi.

Per il resto… sono mediamente organizzati, vero. Ma ormai tutti lo sono. La Romania, squadra per molti chissà quanto inferiore alla Svezia, ha un livello di organizzazione maggiore. Solo che loro non hanno Ibrahimovic a cambiargli le partite…

In ultimo, sfatiamo la questione giovani: hanno vinto l’Europeo under 21, ma non erano la squadra più forte del lotto. Vanno comunque dati loro tutti i meriti, ma bisogna pure dire che quando è contato – cioè nel succitato playoff contro la Danimarca – in campo si è visto solo Lewicki per novanta minuti, con due sprazzi di Guidetti e Hiljemark. I cugini danesi, invece, hanno schierato Hojbjerg, Poulsen, Durmisi ed Eriksen (che agli ultimi Europei under 21 non c’era, ma che era in età per esserci essendo un ’92 come Guidetti), più scampoli di Vestergaard. Insomma, la transizione generazionale sicuramente la faranno anche gli svedesi, e magari come qualità media ci guadagneranno anche. Ma parlare dei loro giovani, ad oggi, non ha molto senso.

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Dice: “Il Belgio è primo nel ranking Fifa, ha un sacco di talenti, ci asfalta”.

Questo è anche probabile. Del resto noi, sulla carta, partiamo come seconda forza del girone. E se tutte le big facessero il loro dovere negli altri gruppi arrivare secondi, per la questione incroci, ci potrebbe anche andare meglio che finire primi.

Anche sul Belgio, comunque, ci sono almeno un paio di “ma”. In primis il fatto che per quanto siano molto talentuosi (Hazard, De Bruyne, Lukaku e Courtois giusto per citare qualche nome) si tratta comunque di una squadra per lo più giovane, ancora inabituata a certi contesti. Il salto di qualità mentale definitivo credo siano destinati a farlo, in futuro. Non è però detto questo capiti già la prossima estate in Francia.

Inoltre, per quanto talento abbiano, ci sono anche zone di campo in cui sono comunque meno forniti. Insomma, non sono un’armata imbattibile, sulla carta. Più talentuosi e futuribili di noi, ad oggi. Ma comunque coi loro punti critici, come più o meno ogni squadra della storia.

Dice: “Siamo scarsi”.

Ma anche fosse, perché magnificare le nostre avversarie ben oltre le loro effettive potenzialità ed i loro effettivi meriti?

Io credo che questa Nazionale sia inferiore a molte delle rappresentative che abbiamo avuto in passato, ma che non sia nemmeno così povera come viene dipinta. Alla fine, come sempre ci capita, a fare la differenza sarà l’amalgama che riusciremo a trovare. Perché se la difesa della Nazionale dovesse confermarsi sui suoi livelli migliori, con un Buffon che è ancora tra i top al mondo nel ruolo ed un centrocampo che spero venga messo nelle mani – anzi, nei piedi – di Verratti (con in primis l’ottimo Marchisio a supporto, ché da secondo violino resta un signor giocatore), potremmo avere limiti evidenti solo davanti. Dove io inizierei a costruire l’attacco / la fase offensiva da Lorenzo Insigne. Perché oggi come oggi è l’unico giocatore convocabile capace di dare una scintilla in più.


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Dopo aver parlato della nuova generazione che proverà a ridare spolvero al calcio polacco eccomi volare in Danimarca, dove una serie di giovani calciatori dipinge un futuro che par esser roseo per la Danish Dynamite.

Partiamo da ciò che fu.

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Dicendo che agli albori del calcio la Danimarca fece buone cose, vincendo gli argenti olimpici del 1908 e del 1912, più il bronzo nel 1948.

Di fatto, però, il calcio danese si imporrà all’attenzione del mondo solo a partire dalla metà degli anni ottanta: semifinale europea nell’84, ottavi Mondiali (alla prima partecipazione della loro storia) due anni più tardi, oro Europeo (da ripescati, in sostituzione dell’esclusa in fase di scioglimento Jugoslavia) nel 1992.
Da lì in poi una serie di piazzamenti europei e mondiali a dare discreta continuità ad un paese che però dal 2006 in poi ha registrato un netto passo indietro: dopo i quarti europei del 2004 (col crollo contro la Repubblica Ceca di Koller e Baroš, 3 a 0 secco) la Danimarca non si è qualificata ai Mondiali del 2006 e del 2014 ed agli Europei del 2008, uscendo al primo turno sia ai Mondiali sudafricani che al torneo continentale del 2012.

Questo discretamente lungo periodo di insuccessi potrebbe però essere superato nei prossimi anni, con una serie di giovani promesse che se probabilmente non sapranno ripetere quanto fatto da Schmeichel e compagni nell’ormai lontano 1992, di certo potranno dar battaglia per riportare i danesi a livelli più accettabili.

Partiamo quindi dall’estate appena passata: proprio in Repubblica Ceca si è giocato l’Europeo under 21, con i danesi che hanno saputo classificarsi terzi a parimerito con la Germania (in questa competizione non si gioca la finalina).

Un buon risultato arrivato grazie al secondo posto nel girone, maturato come conseguenza delle vittorie sui padroni di casa e sulla Serbia e della sconfitta con i tedeschi. Cui ha fatto seguito il netto 4 a 1 (ma era 2 a 1 fino a sette dalla fine, per una partita più aperta di quello che il risultato direbbe) della semifinale, persa contro i futuri campioni svedesi.

Proprio in quell’under 21 ci sono una serie di giocatori molto interessanti, diversi dei quali sono già stati integrati nelle fila di una nazionale maggiore che ha perso solo ai playoff, schiantandosi contro Ibrahimovic, l’accesso all’Europeo francese.

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Primo tra tutti citerei un giocatore di cui ho già parlato anche nei miei libri, quel Pierre-Emile Højbjerg che dal 2012 si è trasferito in Germania per completare formazione e maturazione.
Parliamo di un ragazzo dalle grandi doti tecniche, con controllo e calcio pulito, abile sia a gestire la sfera che a rifinire il gioco per le punte.
Di proprietà del sempre attento Bayern Monaco, ha giocato la seconda parte dell’ultima stagione all’Augsburg (che ha contribuito a qualificare all’Europa League), per passare poi in prestito allo Schalke all’inizio di questa.
A Gelsenkirchen sta trovando poco spazio, ma non per questo in Danimarca si sono scordati di lui. Anzi, ha giocato entrambi gli spareggi di qualificazione ad Euro 2016, segno del fatto che nonostante la giovane età (è un classe 95, quindi nel pieno del suo biennio under 21, dopo aver giocato già lo scorso da sottoetà) resta uno dei giocatori su cui si impernierà il nuovo corso danese.

Restando ai reduci di quell’under 21 passiamo al “macedone” Riza Durmisi, entrato all’età di 10 anni nell’Academy del Brøndby, dove milita tutt’ora.
Si tratta di un terzino sinistro molto ordinato ed educato, che mi ha davvero ben impressionato in Repubblica Ceca. Strano che nessuno, al termine di quella manifestazione giovanile, abbia pensato di andare a prelevarlo. Oggi è il terzino sinistro titolare della nazionale maggiore danese, nonostante per età (parliamo di un classe 94, in questo caso) sia ancora virtualmente un under 21.

Classe 94 è anche Yussuf Yurary Poulsen, lungagnone offensivo abile a giocare sia largo che come riferimento centrale per l’attacco, giocatore in forza al Red Bull Lipsia e già titolare della nazionale maggiore.
Non è un giocatore che mi riempie gli occhi, ma di certo si tratta di un ragazzo con un buon talento e soprattutto una grande abnegazione.

E del 94, annata che ha dato ottimi frutti in Danimarca, è anche Viktor Fischer, attaccante esterno scuola Ajax.
Scuola che condivide con un giocatore che seppur sulla bocca di tutti da tanti anni ha solo 23 anni: Christian Eriksen, probabilmente il giocatore più tecnicamente dotato in assoluto dell’attuale formazione danese.

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Beh, se anche mi fermassi qui vi avrei già dato un po’ di motivi per cui la Danimarca, continuasse su questa strada, potrebbe tornare a raccogliere buoni risultati a livello di nazionale maggiore.

Ma la verità è che ci sono altri giocatori che vale la pena citare.

Ad esempio, per quanto concerne la cerniera centrale del reparto arretrato, il capitano della spedizione ceca Jannik Vestergaard, 23enne centrale del Werder Brema, ed il giovanissimo (classe 96, ma già titolare in Champions League con la maglia del Borussia Moenchngladbach) Andreas Christensen, due giocatori che potranno dare una certa solidità là dietro per diversi anni.
In particolare sono molto curioso di seguire il percorso di crescita, già piuttosto precoce, del secondo. Anche lui è uno dei tanti ragazzi che ho presentato già nei miei libri: scuola Chelsea, con cui ha vinto l’ultima edizione della Youth League, è un centrale educato ed elegante, già molto più maturo di quanto i suoi 19 anni non lascino pensare. Ha sicuramente i numeri per imporsi come uno dei migliori interpreti europei del ruolo, a maggior ragione in un periodo storico in cui la qualità, in difesa, latita.

Nei miei libri, gli anni scorsi, presentai anche il buon Pione Sisto, anche lui – come i due centrali appena citati e molti altri ragazzi cui mi riferisco in questo pezzo – presente in Repubblica Ceca lo scorso giugno.
In questo caso parliamo di un colored – le origini ugandesi vengono tradite anche dal nome, non propriamente danese – che ama agire sulla fascia (preferibilmente destra), con qualità e spunti in velocità. Abile nel dribbling e dotato di una buona progressione, Sisto venne seguito da club italiani già un paio d’anni fa, pur rimanendo poi – almeno fino ad oggi – al Midtjylland.

A questi giovani o giovanissimi aggiungerei poi qualche giocatore già un po’ più maturo, ma comunque con diversi anni di carriera ancora davanti. Ad esempio l’ex palermitano Kjær (26 anni!), i 24enni Delaney, Braitwhaite e Nicolai Jørgensen, il 23enne Falk.

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Insomma, il materiale umano per provare a riportare la Danimarca a livelli accettabili (intendo nella fase ad eliminazione diretta di Mondiali ed Europei) c’è senz’altro.
Vedremo se tutti questi ragazzi sapranno mantenere le promesse anche a livello di nazionale maggiore, o se dopo le belle speranze lasciate intravvedere da ragazzi non sapranno ripetersi dove più conta davvero…


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Sono stati sorteggiati stasera, con due conduttori d’eccezione come gli ex campioni continentali Gullit e Lizarazu, i gironi che vanno a comporre la prima fase dell’Europeo 2016.

Che, ricordo, sarà innovativo rispetto al passato: si passerà infatti dalle 16 squadre qualificate dall’edizione 1996 in avanti (ancora nel 1992 le squadre erano 8) alle attuali 24, col primo turno che diventerà di fatto una sorta di girone preliminare a scremare le 16 squadre che si giocheranno il tutto per tutto in partite secche ad eliminazione diretta, dagli ottavi in avanti.

Questa modifica regolamentare va tenuta ben presente, perché porterà una modifica anche nella qualificazione alla fase ad eliminazione diretta: oltre alle canoniche prime due di ogni raggruppamento, infatti, si qualificheranno anche le migliori quattro terze (su sei). Una scrematura più che un’eliminazione, appunto.

Per questo, partiamo da un presupposto: si tratta di una sorta di “secondo turno di qualificazione”. C’è da aspettarsi che tutte le squadre più forti, anche qualora tentino di suicidarsi sportivamente in Francia, approderanno alla fase ad eliminazione diretta…

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Il girone A è quello dei padroni di casa.

Che tutti leggono come facile e scontato e beh, stante quanto abbiamo detto prima (e cioè che tutte le teste di serie passeranno al 99%), difficile pensare altrimenti.

Anzi, è probabile che i padroni di casa, anche al di là del fattore campo, vincano questo raggruppamento.

C’è comunque da dire che i francesi hanno già iniziato a cercare un modo nuovo per tentare il suicidio, loro che sono sempre così bravi a farlo (negli ultimi dieci anni l’hanno fatto diverse volte), con l’affaire Benzema.

Certo, davanti restano comunque forti (Giroud, Griezmann, Lacazette, Martial, Coman e chi più ne ha più ne metta), ma come al solito saranno loro i primi avversari della Francia.

Alle spalle dei Galletti la lotta potrebbe comunque essere interessante, equilibrata. La Svizzera è una squadra interessante e di prospettiva, anche se rischia di arrivare con il proprio miglior talento – Shaqiri – totalmente appannato.

L’Albania è una squadra molto quadrata, ben allenata dal nostro De Biasi, che in particolar modo contro gli svizzeri giocherà una partita carica di emotività, posto che molti dei loro giocatori sono cresciuti proprio nei cantoni elvetici.

La Romania non è particolarmente talentuosa (anzi, è forse una delle squadre meno talentuose dell’Europeo), però si è dimostrata molto solida nell’ultimo paio d’anni.

Sicuramente sarà interessante vedere chi la spunterà, con la Svizzera che parte come seconda forza del girone.

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Nel secondo raggruppamento troviamo un’altra squadra dedita al suicidio sportivo, l’Inghilterra.

Anche qui sulla carta non dovrebbero esserci grossi dubbi, a patto che i Tre Leoni tengano fede al loro potenziale e non alla loro tendenza suicida.

Alle loro spalle sono curioso di vedere cos’accadrà. Sulla carta non è certo uno dei gironi più interessanti, ma potrebbe essere aperto. Perché i russi non stanno attraversando un momento storico particolarmente positivo, e tutto sommato credo possano aver gioito per questo sorteggio.

Chissà se il Galles dopo aver trovato la qualificazione alla fase finale non abbia in serbo altre sorprese. I vari Bale e Ramsey hanno sicuramente un’occasione importante per scrivere la storia del football del loro paese.

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Il gruppo C dovrebbe essere un po’ più definito.

Davanti a tutti partono di certo – e probabilmente finiranno anche – i tedeschi campioni del mondo.

Seconda forza del girone, a mio avviso, la Polonia della nuova generazione d’oro, di cui ho parlato un paio di mesi fa. Con la stella Lewandowski davanti più alcuni altri buonissimi interpreti nel resto del campo i polacchi avrebbero potuto dire la loro anche in un Europeo più ristretto. Certo non un’outsider per la vittoria finale (poi vabbè, dopo il caso “Grecia 2004” tutto è possibile!), ma una Nazionale che potrebbe togliersi qualche soddisfazione.
Ecco, essere stata inserita con quella che sulla carta è la squadra più forte del mondo non le renderà facile centrare un possibile upset. Perché dal mio punto di vista ci sono almeno un paio di teste di serie cui la Polonia avrebbe potuto anche provare a giocare lo scherzone…

Ucraina ed Irlanda del Nord quindi, sulla carta, dovrebbero giocarsi la terza piazza, provando a strappare uno dei quattro posti utili alla qualificazione.

Poi certo, in campo non ci va mai la carta…

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Sulla carta sicuramente il girone più competitivo del lotto.

Difficilmente la Spagna replicherà il fallimento totale del mondiale brasiliano, ovvio quindi che partiranno per vincere (il loro raggruppamento, ma pure l’Europeo).

Dietro, seconda forza del girone, sicuramente la Croazia. Che se non si fosse complicata le cose con le proprie stesse mani nel corso della qualificazione avrebbe potuto tranquillamente sopravanzarci.

Croati che sono la nazionale, in un certo senso, più “spagnola” tra tutte (le altre che non siano spagna). Col duo Modric – Rakitic a centrocampo (motorino del Real e del Barcellona non per caso) daranno quindi vita ad una sfida sicuramente molto interessante con la mediana iberica.

Dietro a queste due, non senza possibilità di un qualche upset, Repubblica Ceca e Turchia. Per un girone che, come detto, è sicuramente quello sulla carta più interessante. Per quanto ceki e turchi non stiano attraversando momenti brillanti come in passato (1996 per i primi e 2002 per i secondi, ad esempio).

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A bocce ferme penso non ci sia andata così male come molti penserebbero. Certo, Ibrahimovic permettendo.

Allora, il Belgio è una squadra molto talentuosa. Ma ancora un po’ inesperta (i talenti sono praticamente tutti nati negli anni novanta e stanno al massimo alla seconda esperienza a questi livelli, dopo il discreto Mondiale giocato due estati fa). Sulla carta ci partono davanti, ma nello scontro diretto, quantomeno se trovassimo l’amalgama dei tempi migliori, potremmo anche superarli.

Al di là della prima forza del gruppo, comunque, partiamo nettamente davanti a Svezia ed Eire.

Questi ultimi sono sì tignosi, come si dice, ma assolutamente abbordabili. Poi la palla è rotonda, come si dice, e soprattutto ultimamente siamo usciti in gironi più morbidi di questo. Però se dobbiamo andare in Francia con la paura degli irlandesi stiamo a casa direttamente.

Che dire poi della Svezia, se non che è Ibrahimovic + 10?

Certo, si parla di uno dei migliori giocatori del suo tempo, ma è comunque un giocatore solo. Senza di lui, per intenderci, sono abbastanza convinto che la Svezia non sarebbe nemmeno arrivata a questo Europeo allargato.

Che dire, pur non avendo un Ibrahimovic la squadra del 1994 era sicuramente di profilo molto superiore a questa.

Anche qui, sulla carta partiamo favoriti.

In definitiva, quindi, l’obiettivo non può non essere il secondo posto come minimo, con un pensierino al primo. Anche se secondo me questa Italia, che è povera di talento ma meno scarsa di come molti la dipingono, manca in convinzione nei propri mezzi, proprio perché dipinta come scarsa. Speriamo che Conte ripeta il miracolo che già compì al suo primo anno di Juve (quando vinse uno Scudetto con una squadra oggettivamente inferiore a quel Milan, che ancora vantava giocatori come lo stesso Ibrahimovic e lo stellare Thiago Silva, a roster).

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Se l’Ungheria fosse quella dell’Aranycsapat non avrei dubbi su chi vincerà questo raggruppamento. Invece i magiari sono tra le squadre meno talentuose del torneo, e difficilmente passeranno il turno.

Questo perché se il Portogallo è sulla carta la più morbida delle teste di serie, ma comunque non dovrebbe finire fuori se non altro per la presenza del buon Cristiano Ronaldo, Islanda ed Austria sono due squadre rampanti che potrebbero fare da outsider in un po’ tutti i gironi di questo Europeo.

Sarà quindi molto interessante, ammettendo che il Portogallo riesca a vincere il girone, vedere chi tra le due gli arriverà dietro.

Debbo dire che per interesse mi auguro passino comunque entrambe, e che quindi una delle quattro migliori terze esca da qui.


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Torniamo a dare un’occhiata al Ranking UEFA, aggiornando la situazione post fase a gironi.

L’Italia chiude questa sesta giornata con un bottino non più che discreto: una sconfitta, due pareggi e due vittorie.

Il tutto va a sommarsi ai 18 punti di bonus (ovviamente totali, non a coefficiente nazionale) raggranellati da Juventus e Roma in virtù dell’accesso agli ottavi di Champions League (che pesa 9 punti a squadra), portando l’Italia a crescere dagli 8.5 punti di coefficiente della scorsa giornata ai 10.3 attuali.

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Proprio il bonus qualificazione gioca però contro l’Italia: come dicevo in questi giorni a chi – erroneamente – diceva fosse meglio che le inglesi passassero in Champions perché in Europa League avrebbero potuto accumulare più punti, l’Inghilterra porta a casa ben 31 punti totali come bonus qualificazione (27 per il passaggio del turno di City, Chelsea ed Arsenal più i 4 della partecipazione ai gironi dello United) e ci scavalca nella classifica dei coefficienti di questa stagione.

Certo, se poi davvero le inglesi di Champions dovessero uscire subito potremmo pensare che il bonus si compensi con quello che avrebbero invece potuto guadagnare in Europa League, ma siamo nella terra dei se e dei ma, perché giocando al 100% potrebbero passare così come giocando al 10% sarebbero potute uscire anche in Europa League.

Inghilterra che passa così dal sesto al quarto posto stagionale. Un buon duplice salto in avanti, che ora andrà però confermato con l’anno nuovo (e noi, da italiani, non possiamo sperare altro che ciò non avvenga!).

Passando quindi al ranking quinquennale, quello che ricordo a tutti “fa fede” e porta all’assegnazione dei posti in Europa, la situazione rimane per noi sostanzialmente invariata. L’Inghilterra torna ovviamente ad allungare di qualcosa, ma la differenza è sempre intorno ai tre punti totali.

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Una distanza che potrebbe essere difficile da colmare in questa stagione (ma non impossibile, soprattutto qualora le inglesi dovessero riprendere il proprio “suicidio di massa” all’inizio della fase ad eliminazione diretta) ma che in proiezione futura non deve spaventare affatto.

Terminasse oggi l’attuale stagione, infatti, inizieremmo la prossima virtualmente davanti ai Figli d’Albione, come mostra la grafica che segue.

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In più bene sottolineare, anche se si inizia ad andare troppo in là nel tempo ed a stagione non ancora terminata significa parlare un po’ di aria fritta (ma per una volta facciamolo!) che se la nuova stagione iniziasse così ci basterebbe anche solo pareggiare i conti con gli inglesi per allungare ulteriormente l’anno dopo, come mostra la grafica qui sotto. Che, addirittura, racconta di un’Italia davanti anche alla Germania, virtualmente. Ma con una stagione e mezza ancora da disputare, è veramente uno sguardo in avanti troppo ardito per parlarne in maniera concreta (nel complesso, però, serve a far capire che rispetto a qualche stagione fa il miglioramento delle italiane in Europa c’è ed è tangibile).

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Ma se la Catalogna arrivasse davvero ad ottenere l’indipendenza, cosa ne sarebbe del Barcellona?

Chi mi conosce da tempo sa che raramente mi discosto da questioni strettamente calcistiche, di campo. Questa volta mi perdonerete lo strappo alla “regola”.

Partiamo dal principio: per farla molto breve, i catalani hanno da sempre un fortissimo spirito identitario ed un certo qual moto indipentista in sé.

Se vi è mai capitato di parlare con qualche catalano della cosa, questo vi spiegherà che tutto ciò ha radici profonde ed importanti nella storia del paese e del loro “popolo”, che si rifà ad esempio alla repressione franchista vissuta in uno dei momenti più bui della storia spagnola.

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Beh, come molti di voi avranno sicuramente quantomeno sentito dire, lo scorso 27 settembre si sono consumate le elezioni in Catalogna, vinte – come da previsione – dalla coppia di partiti indipendentisti conosciuti come “Junts pel sì” e “Cup“.

I due, uniti dalla comune matrice indipendentista, hanno quindi ottenuto la maggioranza dei seggi, 72 su 156, anche se non la maggioranza assoluta dei voti, fermandosi ad un comunque ottimo 47,8% totale (diviso con il 39,5% del totale appannaggio dei primi ed il rimanente 8,3% appannaggio dei secondi).

Da subito i leader dei due movimenti hanno lanciato i propri strali: “Nelle prossime settimane metteremo le basi per l’indipendenza dalla Spagna” il messaggio, chiaro, lanciato da Artur Mas. Con un altrettanto significativo “Spagna, adios” pronunciato da Antonio Banos.

Come si lega e si riflette, tutto ciò, al e sul calcio?

Semplice: qualora la Catalogna ottenesse davvero l’indipendenza (nota bene: la Corte Costituzionale spagnola ha revocato la mozione sull’indipendenza catalana approvata lo scorso mese dai neo eletti parlamentari della regione iberica, ma la situazione resta tutta in divenire) si porrebbe la questione Barcellona, non proprio un club di poco conto sullo scenario calcistico mondiale.

Oggi la squadra allenata da Luis Enrique è indubbiamente la più forte del mondo.

Campionessa europea in carica, con ogni probabilità futura campionessa del mondo, ha un mix di talento pazzesco, soprattutto in fase di costruzione e di conclusione del gioco.

Un trio offensivo Messi – Suarez – Neymar (la famosa “MSN” di cui si parla in questi mesi) è qualcosa di più unico che raro. Nella storia del calcio, non solo sullo scacchiere mondiale odierno.

In più, il Barcellona è anche una macchina da soldi (l’ultimo fatturato parla di  un giro d’affari di 566 milioni, solo 12 in meno del Real Madrid), che può spostare gli equilibri di un campionato intero, con la sua presenza o il suo addio.

Logico quindi che un calciofilo come il sottoscritto non può non farsi stuzzicare dalla domanda “dove giocherà il Barcellona in caso di indipendenza catalana?

Le ipotesi sono, di fatto, tre.

Quella che nell’immediato ritengo meno probabile e realizzabile, ma che in compenso potrebbe avere degli sviluppi futuri anche a prescindere dall’eventuale lotta per l’indipendenza della Catalogna, è la nascita di una nuova entità sovranazionale, una sorta di “campionato iberico“.

Di questo pare che le due leghe stiano già parlando, che ci sia quantomeno un’idea – pur ancora primitiva – in discussione.

Senza volermi soffermare troppo sulla bontà o meno di un’idea che di fatto prelude a quella famosa “SuperLega Europea” di cui spesso abbiamo sentito parlare, è indubbio che qualora questo torneo transnazionale dovesse partire prima di una sopraggiunta indipendenza catalana risolverebbe ogni problema in partenza: la Catalogna, geograficamente, resterebbe ovviamente parte della penisola iberica e non credo ci sarebbero problemi, a quel punto, ad inglobare anche il Barcellona in questa competizione.

La seconda chiama invece in causa l’ultimo articolo pubblicato su questo blog, quello riguardante il Club Atlético Tetuán, unico club nella storia della Liga a non essere geolocalizzato entro i confini spagnoli.

Una peculiarità oggi non più replicabile, posto che le regole, nel frattempo cambiate, spiegano bene come ai campionati di Spagna possano partecipare solamente squadre di quel paese.

E Barcellona, in caso d’indipendenza catalana, non sarebbe più una città spagnola.

La terza, infine, è ancor più particolare e chiama in causa il Primo Ministro di un altro stato, la Francia.

Manuel Valls, infatti, è un politico francese nato guarda caso a Barcellona, nonché socio del club blaugrana.

Proprio da lui, ormai più di un mese fa, arrivò un’apertura importante alla possibilità di vedere la sua squadra del cuore partecipare al “Campionato Esagonale”, tanto da guadagnarsi addirittura la prima pagina del quotidiano sportivo “AS”, in luogo di un Messi o un Ronaldo.2anlutc

Non essendo esperto di geopolitica non mi azzarderò a dire se le velleità indipendentiste catalane abbiano o meno possibilità di concretizzarsi e se quindi, tra qualche tempo, dovremo davvero porci il problema “dove andrà a giocare il Barcellona?”

Di certo credo che se prendessimo per buona un’indipendenza catalana a breve-medio giro di posta, ne vedremmo delle belle. Perché il Barcellona è ormai un colosso economico e di marketing prima che sportivo. Il che significa che la stessa Liga, pur con tutte le frizioni che nascerebbero nel caso, non potrebbe far altro che spingere per mantenere in sé i blaugrana, anche arrivando a ri-modificare l’attuale regolamento.

Chissà, magari a sessant’anni dallo scioglimento del Club Atlético Tetuán arriveremo a vedere un altro club non spagnolo partecipare al loro campionato…


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atletico-tetuan-logoOggi non sarebbe più possibile, ma è bello sappiate che sino alla metà degli anni cinquanta in Spagna era possibile giocare in campionato contro un club… marocchino: il Club Atlético Tetuán.

Fondato nel 1922 nell’omonima città, il club del nord del Marocco giocò per diversi anni nel campionato spagnolo, essendo a quel tempo il nord del paese africano un protettorato spagnolo.

La vita del club fu relativamente breve (rispetto a quello che possiamo vedere oggi, con moltissime squadre ormai ultracentenarie disseminate un po’ in tutta Europa), durando trentaquattro anni. Con l’indipendenza del Marocco del 1956, infatti, il club si spaccò in due. Una parte – di fatto composta da dirigenti e giocatori europei – si fuse con la Sociedad Deportiva Ceuta (Ceuta che è una enclave spagnola sulla sponda marocchina dello stretto di Gibiliterra), andando a creare il Club Atletico de Ceuta.
L’altra, composta dalla parte marocchina della squadra, andò a fondare una nuova società, affiliata alla federazione africana: il Mogreb Atlético Tetuán.

Nella sua pur relativamente breve storia il Club Atlético Tetuán conobbe anche il piacere di raggiungere la prima divisione spagnola, proprio nei suoi ultimi anni di vita. Vincendo la Segunda División de España nel 1950/51, infatti, il club ispanomarocchino ottenne l’ingresso in Primera, dove le cose non andarono però molto bene. Con 7 vittorie e 5 pareggi in 30 gare, infatti, il Club Atlético Tetuán non seppe andare oltre l’ultima posizione, arrivando a tre lunghezze dal Las Palmas penultimo.

Le due “figlie” del Club Atlético Tetuán hanno avuto diverse ed alterne fortune.

La diramazione spagnola non ha più raggiunto la massima divisione, arrivando a disputare “solo” undici stagioni in Segunda.

Quella marocchina, invece, ha vissuto un lungo periodo di saliscendi tra prima e seconda divisione, per poi riuscire a laurearsi campionessa del Marocco per la prima volta nella sua storia nel 2012.

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Una situazione particolare, quella del Club Atlético Tetuán, che oggi non sarebbe più possibile ripetere. Perché secondo quelli che sono i regolamenti interni del calcio spagnolo solo i club con base entro i confini nazionali possono iscriversi ai vari campionati


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