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Archive for gennaio 2015

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Chi mi segue da un po’ (magari anche su Facebook Twitter, dove sono inevitabilmente molto più attivo che sul blog) è senza dubbio a conoscenza della mia sconfinata passione per il calcio giovanile. Che recentemente mi ha portato a guardare, ad esempio, un torneo internazionale di dodicenni. E che nel corso degli ultimi due anni mi ha invece fatto scrivere altrettanti libri sui giovani talenti disseminati in giro per il mondo (l’ultimo dei quali, “La carica dei 301″, è acquistabile al modico prezzo di soli 99 centesimi).

Proprio partendo dalla mia passione per il calcio giovanile, non potevo certo lasciar passare sotto traccia l’orientamento di mercato preso dal Real Madrid. Che in questi ultimi mesi, dopo aver preso l’ennesima stella – James Rodriguez – a suon di milioni, si è messo a porre un pochino di basi anche per il futuro.

Il tutto andando ad ingaggiare, in giro per il mondo, alcuni ragazzi di buon valore e potenzialità assolutamente interessanti che potrebbero tornare utili nei prossimi anni.Giovani Real

  • Martin Ødegaard
    Di lui ne ho – ovviamente – già parlato nel mio ultimo libro, “La carica dei 301″. Un classe 98 con qualità eccellenti ed un talento davvero notevole. Il problema, in casi del genere, è che un po’ la crescita fisicoatletica non va sempre come si spererebbe, un po’ le pressioni che avere tutti i riflettori addosso comportano possono finire col bruciare il ragazzo. Che, bene ricordarlo, ha da poco compiuto 16 anni.
    Talento e tecnica, comunque, restano indiscutibili.
  • Mink Peeters
    Altro classe 98, altro giocatore spiccatamente offensivo. In questo caso parliamo di un giocatore di scuola olandese (è passato sia dalle minors del PSV che dalle giovanili dell’Ajax, da cui il Real lo ha prelevato), tutto mancino, che predilige giocare sulla fascia per trovare più spazio per le sue incursioni palla al piede. Piuttosto innamorato della sfera, è comunque in possesso di una grande visione di gioco e di una certa facilità di assist. Ottimo in fase di rifinitura, può agire anche centralmente, come trequartista classico.
    Anche in questo caso, pur non essendo famoso come Ødegaard (anzi, in Italia credo che lo conosciamo davvero in pochi, posto che non ho mai sentito nessuno parlarne), talento e tecnica restano indiscutibili.
  • Lucas Silva
    Il mediano brasiliano è invece già più “stagionato”. Classe 93, tra meno di un mese compirà 22 anni. Ex Cruzeiro, ama giostrare davanti alla difesa ed è abbastanza utile in entrambe le fasi. Come tipologia di gioco mi ricorda un po’ Xabi Alonso, insomma: si spende per schermare la difesa, ma nel contempo ha anche una tecnica discreta abbinata ad una certa visione di gioco e capacità di far girare il pallone.
    Certo, devono cercare di non fargli fare la fine che ha fatto Casemiro…
  • Marco Asensio
    Una joya tra le più quotate, nel floridissimo panorama giovanile spagnolo. Classe 1996, parliamo di un centrocampista spiccatamente offensivo che può giocare sia da trequartista che da ala (prevalentemente a sinistra), abbinando tecnica e rapidità di gambe a grande inventiva.
  • Abner
    Altro protagonista de “La carica dei 301″, Abner – classe 96 – è un terzino sinistro brasiliano che in passato è stato molto vicino alla Roma. A dispetto dell’interesse dei Giallorossi la scorsa estate è sbarcato a Madrid, per giocare nel Castilla. Atleticamente dotatissimo, è un fluidificante che ama scorrazzare lungo la propria fascia di competenza e supportare molto la manovra offensiva, come da tradizione Verdeoro.
  • Augusto Batalla
    1996 che è anche l’anno di nascita di Augusto Batalla, portierino scuola River che secondo alcune fonti sarebbe stato già acquistato dalla Casa Blanca. Campione sudamericano under 17 due anni fa, oggi sta disputando il torneo continentale under 20. Reputato tra i migliori giovani estremi difensori del Sud America (e da qualcuno del mondo), deve cercare di non ripercorrere le orme di Albano Bizzarri, che nel 1999 sbarcò a Madrid accompagnato dalla promessa di diventarne leader indiscusso per fallire poi miseramente…

A questi giovani, secondo alcune voci di mercato, potrebbe poi unirsi l’ormai famosissimo Hachim Mastour, mediaticissimo talento scuola Reggiana da ormai due anni e mezzo in forza al Milan.

Insomma, il Real non pensa solo al presente ma prova anche a costruire il proprio futuro. C’è solo da capire se lo stiano facendo con senno o se, anche qui, si facciano prendere dalla solita voglia di fagocitare tutto il talento fagocitabile. Anche perché, parlando di giovani, ci vuole poco a bruciare un ragazzo di quest’età. E sarebbe proprio un peccato…

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Era il 29 agosto del 2010 quando Salvatore Bocchetti, all’epoca non ancora ventiquattrenne, lasciò l’Italia dopo un paio di ottimi campionati nel Genoa (in precedenza aveva giocato a Lanciano in C1, un paio di presenze nell’Ascoli in A e due stagioni a Frosinone in B) per trovare fortuna – almeno economica – in Russia, più precisamente al Rubin.

Dopo quattro anni e mezzo passati tra Kazan e lo Spartak Mosca, dove approdò nel 2013, pare proprio che Bocchetti, a lungo inseguito da molte italiane (Napoli e lo stesso Genoa su tutte), sia sul punto di tornare nel Belpaese.

Pare sia infatti ormai chiuso l’accordo con il Milan, che lo preleverebbe in prestito sino a giugno con un probabile diritto di riscattarne l’intero cartellino alla fine della stagione.

Ma che giocatore è Bocchetti?

Ai tempi dell’under 21 prometteva sicuramente bene. Probabilmente proprio la decisione di andare a giocare in Russia gli ha tagliato un po’ le gambe: quello italiano è un calcio molto conservatore, in cui spesso chi va a giocare all’estero (gli esempi sono molteplici) finisce per essere tagliato fuori dal giro Azzurro.

Non è un caso quindi se tra il terzo posto ottenuto con l’under 21 all’Europeo del 2009 e la sua partenza per l’est Europa Bocchetti mise assieme cinque presenze in nazionale. L’ultima delle quali il 5 giugno del 2010, proprio un paio di mesi prima di lasciare l’Italia.

Una decisione, quella di accettare il principesco contratto offerto dai tatari, che ha sicuramente segnato profondamente la sua carriera. Se da una parte ha contribuito a far lievitare fortemente il suo portafoglio, dall’altra ha contribuito a non fargli spiccare mai quel salto di qualità che in molti si aspettavano.

Oggi, ormai ventottenne, è ai margini dello Spartak. Deluso e malinconico, quindi, pare ormai pronto a rientrare in Italia.

Ma com’è andata la sua esperienza russa e cosa ci si può aspettare dal suo ritorno in Italia? L’ho chiesto a chi la Premier Liga la segue costantemente, con amore e passione.

“Bocchetti partì molto bene al Rubin – dice Alberto Farinone, amministratore del forum “Calcio Russo” – con cui disputò da titolare anche la CL, non sfigurando. La stagione 2011-12 è stata probabilmente la migliore della sua carriera. Fu tra i pre-convocati di Prandelli per EURO 2012, anche se alla fine venne tagliato insieme a Ranocchia (partecipò comunque al Mondiale sudafricano con Lippi, anche se nessuno lo ricorda). Impiegato da Berdyev prevalentemente come centrale di sinistra in una difesa a 4, raramente da terzino (ruolo in cui è assolutamente adattato, per non dire improponibile). Nell’inverno del 2013 passa poi allo Spartak, parte forte ma si rompe il ginocchio e rimane fuori sei mesi abbondanti. Così così nella scorsa annata. In questa stagione ha giocato poco, il neo-tecnico dei moscoviti Yakin lo ha bocciato quasi subito. Non gioca da parecchi mesi, praticamente da agosto. Appena 226 minuti in RPL e 172′ in Coppa di Russia.”

A fargli eco anche Matteo Mongelli, grande appassionato ed esperto di calcio russo, che traccia un bilancio simile dell’avventura di Bocchetti in Russia: “Due volti: decisamente bene a Kazan, dove si è affermato come uno dei centrali difensivi più validi di tutta la RPL. Esperienza invece a dir poco drammatica quella allo Spartak: male lo scorso anno, fino ad arrivare all’esclusione dai titolari in questa stagione, dove ha influito anche il pessimo rapporto con Yakin (si è detto che lo stesso svizzero – dopo una lite con Tino Costa, Shirokov e Bocchetti stesso avesse posto un aut aut alla dirigenza: o le loro cessioni o le sue dimissioni)”.

Cosa dire, invece, delle sue prospettive italiane?

“Per me – riprende Alberto Farinone – è un centrale più che discreto, potrebbe rivelarsi anche un buon acquisto per il Milan (di sicuro non vale meno di Bonera, Zapata o del Mexés attuale), però ha bisogno di tempo per recuperare la forma, considera che è indietro in quanto a preparazione, essendo il calcio russo fermo da fine novembre. Spero per lui non l’abbiano preso per impiegarlo come terzino sinistro al posto di Armero, come temo.”

Insomma, cosa aspettarsi da questo rientro in Italia di Bocchetti?

Difficile a dirsi. Di certo se tornasse a giocare sui suoi migliori livelli sarebbe un ottimo acquisto per questo Milan. Andrebbe infatti ad aumentare la – scarsa – qualità della squadra e, riscattato, potrebbe dare un po’ di continuità tecnica là dietro, avendo ancora almeno tre o quattro anni di carriera importanti, davanti a sé.

Attenzione, però. Leggevo oggi che qualcuno pensa possa essere stato preso come terzino. Beh, fosse così mi preoccuperei, cari amici milanisti. Vero è che in passato gli è anche capitato di giocare in fascia, ma Salvatore Bocchetti è un centrale fatto e finito. A che pro prenderlo per farlo poi giocare fuori posizione?

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Secondo i vari esperti di mercato nostrani la trattativa che dovrebbe portare Mattia Destro dalla Roma al Milan sarebbe ormai cosa fatta e se ne aspetterebbe solo l’ufficializzazione (le visite mediche sarebbero già state organizzate per domani).

Ma può essere l’attaccante ascolano la punta giusta per questo Milan?

Il valore assoluto del giocatore non è in dubbio. Destro è un attaccante dotato di uno spiccato senso del goal, come già dimostrato sia a livello giovanile (all’interno dei patri confini quanto anche con le maglie delle varie rappresentative Azzurre, in particolar modo l’under 19) che tra i professionisti (bene a Siena, ottima media minuti/goal lo scorso anno). Però ha anche molti limiti.

In primis il fatto che sia proprio un attaccante più finalizzatore che non di manovra. Un giocatore, quindi, che ha bisogno di essere fornito negli ultimi sedici metri con costanza, per poter segnare con continuità. Certo non un ragazzo capace di dare una mano alla costruzione del gioco, né tantomeno di crearsi goal dal nulla, con spunti personali.

Proprio questo ritratto piuttosto chiaro di Mattia Destro spiega bene i problemi cui potrebbe andare incontro una volta tornato a Milano, anche se questa volta sulla sponda rossonera del naviglio.

Come già ampiamente dimostrato in tutta questa prima parte della stagione il Milan è una squadra senza la minima identità di gioco, gestita da un allenatore ancora totalmente inadeguato a sedersi su di una panchina di Serie A e per lo più incapace di creare trame efficaci. Non è quindi un caso se a splendere là davanti siano stati più che altro il redivivo Honda, dotato di una tecnica di tiro che gli ha permesso di trovare conclusioni efficaci anche senza il supporto del team, e Menez, stellina capace di accendersi a fasi alterne con però delle giocate da trascinatore assoluto nella faretra.

Ecco, Mattia Destro ha un grande killer instinct, ma nessuna di queste qualità che hanno permesso ai suoi due futuri – potenziali – compagni di salvarsi nel marasma Rossonero di quest’inizio di stagione.

Di per sé, quindi, non possiamo negare il fatto che il profilo dell’ex nerazzurro non sia quello migliore, da inserire nell’attuale contesto Rossonero.

Questo discorso va anche tenuto quindi in considerazione rispetto a quelli che saranno i giudizi che verranno tirati a proposito dell’impatto che Destro avrà a Milano. Pensate proprio ad un Pippo Inzaghi scarsamente rifornito dalla squadra (ricordando che all’Atalanta aveva un grande Morfeo a sostegno e che tra Juve, Milan e Nazionale ha giocato con fior di Campioni a rifornirlo): che giocatore sarebbe stato?

Quindi, acquisto bocciato?

Non direi, per più motivi. In primis per il fatto che nel grigiore delle ultime campagne acquisti milaniste questo resta comunque un raggio di sole importante, trattandosi di un ragazzo di talento.

Poi perché, vista l’età, si tratta di un investimento a medio-lungo termine: se anche Destro dovesse fallire in questi primi sei mesi, avrà tutto il tempo per ritrovarsi, integrarsi e tornare a timbrare con continuità.

Insomma, credo che quello di Mattia Destro sia un buon acquisto, di per sé. Ora però il Milan dovrà lavorare molto sull’impalcatura generale, per fare in modo che il ragazzo di Ascoli non sia abbandonato a sé stesso, là davanti.

Di certo inserito nel giusto contesto potrà rivelarsi una buona presa per il Milan, che si garantirebbe così un discreto goleador per diversi anni a venire.

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Come giocherà la nuova Inter di Roberto Mancini?

La risposta sembra scontata: 4-2-3-1, con Podolski e Shaqiri larghi ed il trio Medel-Brozovic-Kovacic (al netto di altri arrivi, ovviamente) a gestirsi le altre tre posizioni.

Eppure la rosa dell’Inter lascia pensare che Mancini potrebbe anche schierare una formazione differente. Ad esempio un 4-3-3, con i due giovani croati ad agire come mezz’ali, o un 4-3-1-2, con Shaqiri trequartista ed uno tra Podolski e Palacio a sostegno del solo Icardi, i cui limiti in fase di manovra sono ben noti da tempo (anche da qui il mio paragone con Trezeguet, di cui chi mi segue su Twitter e Facebook avrà già letto).

Proprio questo è l’argomento al centro del mio ultimo video, pubblicato sul canale Youtube del blog. Date un’occhiata e fatemi sapere come, secondo voi, dovrebbe schierare l’Inter il buon Roberto Mancini…

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Ormai è deciso: da giugno (anche se la Juventus starebbe premendo affinché Sebastian lasci Torino già in questa finestra di mercato) Giovinco sarà un giocatore dei Toronto FC, squadra canadese che milita in MLS (il campionato professionistico USA).

Una scelta da un certo punto di vista sicuramente interessante, quella fatta dalla Formica Atomica, ma da un altro abbastanza deludente. Ma entriamo nel dettaglio.

PRO

  • Stipendio: le cifre ufficiali ancora non si sanno e restano un mistero. La Gazzetta, solitamente bene informato al riguardo, parla di un totale di 8,6 milioni netti l’anno, comprensivi di stipendio (6), bonus e diritti d’immagine.
  • Esperienza: solitamente quello americano è un campionato che chi ha la possibilità di giocare ad alto livello in Europa (quindi vincere campionati, giocare in Champions, essere Nazionale, ecc) prende in considerazione solo dopo una certa età. Gli esempi sono molteplici: da Beckham ad Henry, fino ad arrivare a Kakà, Gerrard e Lampard (che prima o poi lascerà il City di Manchester per quello di New York). A prescindere dall’età, però, quella che si appresta fare Giovinco resta una esperienza di vita notevolissima, che arricchirà sicuramente il suo bagaglio in questo senso.
  • Leadership: da un punto di vista carismatico Sebastian Giovinco non sembra essere giocatore in grado di rappresentare il leader di un gruppo, a prescindere dal campionato in cui si trova a giocare. In compenso, però, sarà sicuramente uno dei leader tecnici della squadra. Insomma, sarà finalmente nella condizione di poter avere i compagni che si troveranno a giocare in funzione alla sua presenza. Cosa che finora non gli è praticamente mai successa.

CONTRO

  • Nazionale: se già in Italia c’è il malvezzo di ignorare per lo più i giocatori che si disimpegnano all’estero (salvo qualche raro caso), la cosa si aggrava per campionati ritenuti di livello inferiore ai quattro o cinque principali d’Europa. Come è stata la Cina per Diamanti e come con ogni probabilità sarà l’America per Giovinco. Insomma, con questa scelta Sebastian rischia di essersi giocato la Nazionale.
  • Coppe europee: un grossissimo limite allo sviluppo della MLS (campionato in forte crescita sotto ogni punto di vista) è sicuramente rappresentato dall’ovvia impossibilità di qualificare squadre a Champions ed Europa League. Un aspetto che spesso pesa molto nelle scelte dei giocatori, che tra nobili decadute da far risorgere e squadre dal passato mediocre ma dal presente europeo scelgono per lo più le seconde. Europa che quindi resterà un ricordo, per Giovinco.
  • Ambizione: a quanto già detto aggiungiamo il fatto che Giovinco si è sempre ritenuto giocatore di fascia alta. Sicuramente più di quanto non fosse realmente. Convinto che avrebbe potuto impattare a livello assoluto a Torino, mi è sempre parso che si reputasse giocatore da top club. Sarà che il tempo l’ha fatto maturare, probabilmente è arrivato a capire che un Barcellona – ma anche, per scendere di qualche gradino, un Arsenal – difficilmente si sarebbero mai fatte avanti per lui. Così ha definitivamente rinunciato alla propria ambizione (oltre che all’Europa e, probabilmente, alla Nazionale), decidendo di volare dall’altra parte dell’Oceano…

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Gli appassionati più attenti lo avranno sicuramente già notato ai Mondiali brasiliani, dove fece ottima mostra di sé nonostante la sua Australia fosse inserita in un girone obiettivamente proibitivo.

Oggi, che è impegnato in Coppa d’Asia, è quindi chiamato al salto di qualità in una competizione internazionale.

Il contesto è l’ideale: livello medio al massimo discreto, pubblico a favore, squadra ben amalgamata e funzionante.

Di chi sto parlando? Ma di Mathew Leckie, quasi 24enne ala australiana che lasciò l’Adelaide United nel 2011 per sbarcare in Germania, più precisamente nel Borussia Moenchengladbach.

Una stagione in Bundesliga, condita da sole 9 presenze (più 2 in Coppa di Germania) e via verso Francoforte, in Zweite Liga. Dove, dopo tre stagioni, gioca ancora (ma questa volta con la maglia dell’Ingolstadt).

Eppure il ragazzo meriterebbe un palcoscenico molto più importante – con tutto il rispetto – della seconda lega tedesca (posto che comunque, oggi, l’Ingolstadt è primo a +7 da seconda, terza e quarta).

Valutato solo 1.5 milioni dalla bibbia del calciomercato Transfermarkt (ma credo che il suo prezzo ideale sia molto più elevato), Mathew ha il contratto in scadenza a giugno 2017.

Esterno offensivo – prevalentemente a sinistra, ma con capacità di adattarsi anche sull’altro fronte di gioco oltre che più centralmente -, destro di piede, ha una grandissima gamba: giocatore dall’energia quasi interminabile, sfreccia su e giù lungo la fascia con grande disinvoltura e senza apparente sforzo.
Resiliente, passo notevole, discretamente freddo quando arriva sotto porta, dotato di un dribbling discreto e di una certa capacità di assist.

Se velocità e stamina sono sicuramente le su caratteristiche fondanti, Mathew Leckie è comunque dotato di un buon bagaglio tecnico generale, che ne impreziosisce le prestazioni.

Insomma, stiamo parlando di un’ala di passo e sostanza capace di dare anche un tocco di qualità alla squadra per cui si trova a giocare.
Di certo non è Cristiano Ronaldo (ma del resto, chi altri lo è?), ma resta comunque un giocatore molto valido. Che per altro, andando verso i 24, sta entrando ora nella fase migliore della propria carriera.

Mathew Leckie è quindi un giocatore da tenere d’occhio. Anzi, un ragazzo su cui bisognerebbe fiondarsi (in vero, ci si sarebbe dovuti fiondare quantomeno già in estate) ora, prima che la sua valutazione salga a dismisura.

Certo, non va nemmeno dimenticato che ad ora, Mondiale a parte, si è misurato per lo più su palcoscenici di non altissimo livello. Ma i numeri per far bene anche ad un livello superiore li ha sicuramente. Tutto dipenderebbe dal grado di ambientamento.

In Italia credo potrebbe fare comodo a molti. La stessa Roma, giocando col 4-3-3, potrebbe usarlo quantomeno come alternativa agli esterni titolari. Così come il Milan potrebbe usarlo in staffetta con El Shaarawy (che reputo superiore come over all, ma che ultimamente non sta rendendo come dovrebbe) o l’Inter potrebbe puntare su di lui a giugno per rimpiazzare Podolski (destinato, in teoria, a fare rientro a Londra).

Però certo, quando si tratta di posti ritenuti esotici come l’Australia c’è sempre un bug importante, nel nostro paese: la maggior parte degli operatori (e dei tifosi, per quello che vale) sembrano convinti che non si possano trovare giocatori utili a certe latitudini…

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Arrivati i risultati del sondaggio fatto a fine 2014 su quale sia la Top XI Mondiale del momento.

In porta, e non poteva essere altrimenti, Manuel Neuer, che prende addirittura il 68,97% dei voti. Un grande risultato per il portiere tedesco, per altro finalista del Pallone d’Oro. Del resto non poteva essere molto diversamente, per quello che oggi è, a tutti gli effetti, il miglior estremo difensore al mondo.
Ad inseguire, ma molto distanziato, Thibaut Courtois, reduce da una stagione fantastica in quel di Madrid ed oggi titolare al Chelsea. Il portierino belga, con ogni probabilità futuro top mondiale nel ruolo, guadagna il 15,52% delle preferenze.
Terzo, infine, il nostro Gigi Buffon, scelto dal 3,45% dei votanti.
Raccolgono qualche preferenza anche De Gea, Handanovic, Diego Lopez, Keylor Navas, Claudio Bravo, Tim Howard, Mattia Perin e Salvatore Sirigu.

Terzino destro, ed anche qui la scelta mi appare scontata, Philipp Lahm. Il capitano del Bayern e della nazionale tedesca campione del mondo si conferma ancora una volta dopo l’anno scorso, ricevendo il 53,57% delle preferenze.
Secondo, ben distanziato, Pablo Zabaleta (10,71%), che distanzia di pochissimo lo juventino Stephan Lichtsteiner (9,82).
Bene anche Ivanovic, che prende poco più dell’8%, e Coleman, fermo al 5. Raccolgono voti anche Carvajal, Azpilicueta, Darmian, Maicon, Alves, Aurier, Arbeloa e Glen Johnson.

Il centro della difesa è invece il regno di Diego Godin (25,35%) e Sergio Ramos (21,66%), ovvero i protagonisti assoluti della scorsa finale di Champions. Mi fa particolare piacere vedere Godin premiato come miglior centrale al mondo, posto che mi sembra di lui si parli troppo poco, in relazione al suo valore effettivo.
Terzo col 17,05% dei voti il mio secondo centrale del momento, ovvero il tedesco Hummels. Quarto, molto in calo rispetto all’anno scorso, Thiago Silva (13,36%). Anche se il vero tracollo lo registra Kompany, sesto col 3,23% delle preferenze (poco davanti a lui Mehdi Benatia).
Qualche voto lo prendono anche Mascherano, Boateng, Chiellini, Garay, Miranda, Bonucci, Cahill, Luiz, Manolas, Terry, Varane, Pepe e Piquè.

La difesa si completa quindi con un ennesimo giocatore del Bayern Monaco, David Alaba, che sbaraglia la concorrenza tra i terzini sinistri raccogliendo il 59,46% delle preferenze.
Al secondo posto, staccatissimo, l’ex Colchoneros Felipe Luis con l’11,71%. Terzo Marcelo a 8,11%.
Raccolgono voti anche Daley Blind, Jordi Alba, Marcos Rojo, Leighton Baines, Luke Shaw, Kwadwo Asamoah, Domenico Criscito, Lucas Digne ed Arthur Masuaku.

A centrocampo, esattamente come scelto nella mia formazione, si disimpegnano quindi Toni Kroos (22,02%) e Yaya Tourè (15,6%).
Niente Vidal, quindi. Che perde il posto guadagnato lo scorso anno a causa di una forma scadentissima, cadendo all’undicesimo posto col 2,29% delle preferenze.
Terzo, invece, Luka Modric (11%), che sopravanza di mezzo punto Paul Pogba. A seguire gli spagnoli Xabi Alonso e Fabregas, poi Pirlo.
Briciole di voto anche per Schweinsteiger, Iniesta, Ramsey, Pjanic, Gabi, Verratti, Matic, Nainggolan, Marchisio, Rakitic, Xavi, De Rossi e Fellaini.

Sulla destra, esattamente come l’anno scorso, la spunta il gallese Gareth Bale, 45,71% dei voti. Secondo il sempre devastante Robben, 26,67%, mentre solo terzo il campione del mondo Thomas Muller (16,19%), che nonostante le sue sempre ottime prestazioni evidentemente non accende la fantasia di molti.
Spiccioli li raccolgono anche Sterling, Cerci, Callejon, Cuadrado e Cazorla.

La fascia opposta, manco a dirlo, è il regno di un altro madridista, Cristiano Ronaldo. Il fenomeno lusitano si prende il 57,55% dei voti, distanziando di parecchio l’ex compagno di club Angel Di Maria (23,58%).
Solo terzo, con una percentuale ridicola se si pensa al suo valore effettivo, Eden Hazard, 8,49%. Ma del resto con un cannibale come Ronaldo è difficile fare i conti…
Qualche voto va anche a Reus, El Shaarawy, Gervinho, Kagawa, Schurrle, Silva ed Arda Turan.

Davanti, infine, niente trequartista. La maggior parte dei votanti, infatti, decide di giocare l’all in e schierare due punte davanti ad una squadra già comunque molto offensiva.
Solo per info, il trequartista più votato è stato James Rodriguez col 45,21% dei voti. Molto staccato l’eroe della finale Mondiale Gotze, 28,77%.

Chi in attacco, quindi? Diego Costa (24,4%) e Lionel Messi (23,81%), che superano Zlatan Ibrahimovic fermo al 20,83%.
Niente titolarità quindi per Suarez, che probabilmente a causa del morso rifilato a Chiellini scende al quarto posto, raccogliendo solo il 12,5% dei voti.
Qualcosa lo ricevono anche Aguero, Benzema, Martinez, Bony, Lewandowski, Neymar, Sanchez, Sturridge, Tevez, Balotelli, Cavani, Higuain e Rooney.

Allenatore di questa super squadra, ovviamente, Ancelotti. Che straccia la concorrenza di Simeone e Low.

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In questi giorni è iniziata la Coppa d’Asia 2015 (in Italia trasmessa da EuroSport, anche se purtroppo non tutti i match vengono trasmessi live). Una competizione sempre interessante, che dà modo di vedere realtà spesso ignorate, nel tran tran di tutti i giorni.

Ecco quindi che proprio andando a guardare partite esotiche come quelle che la caratterizzano si può andare a scoprire – o riscoprire – una serie di giocatori comunque interessanti, perché no, anche alle nostre latitudini.

E’ il caso di Omar Abdulrahman Ahmed Al Raaki Al Amoodi, stella assoluta del calcio degli Emirati Arabi Uniti.

Cresciuto nell’Al Hilal, passò all’Al Ain nell’ormai lontano 2007, entrando contestualmente nel giro dell’under 20 emiratina.

Passato anche per la nazionale olimpica, sbarca nel giro della maggiore nel 2010, a soli 19 anni.

Vero e proprio idolo calcistico nel suo paese, Abdulrahman è un punto di riferimento per tutto il movimento emiratino.
Uomo immagine della Federazione, leader tecnico della Nazionale, stella indiscussa del proprio club (dove attualmente gioca, in prestito dal Fenerbache, anche lo slovacco ex Chelsea Miroslav Stoch), il numero 10 degli Emirati Arabi Uniti vive una sorta di esilio dorato a casa sua.

La sua statura di uomo immagine, infatti, ne ha fatto un bersaglio prelibato anche per molti sponsor, che lo coprono di soldi per poter affiancare il proprio nome alla sua immagine.

Così un giocatore tecnicamente dotatissimo che potrebbe dire la sua anche in Europa si trova a giocare ancora, nonostante l’ormai raggiunta maturità sportiva, in un campionato di secondo (ma che dico, terzo o quarto) piano.

Eppure Abdulrahman ha mezzi interessantissimi.

Trequartista dal grande bagaglio tecnico, tutto mancino, ama disimpegnarsi o centralmente, a ridosso delle punte, o partire largo sulla destra per potersi rendere pericoloso accentrandosi.

Sorta di regista avanzato, sa distribuire gioco e dettare i tempi alla propria squadra, pur giocando tra le linee. Abile nel controllo e nella gestione della sfera, si disimpegna bene in fase di rifinitura ma non disdegna nemmeno la conclusione personale.

A volergli trovare un difetto, si potrebbe parlare di una certa qual mancanza di ritmo. Almeno rispetto agli standard di oggi.

Pur non lentissimo nel suo incedere e nella gestione della sfera, infatti, lo vedrei in difficoltà alle folli velocità di gioco che si tengono in realtà come, ad esempio, l’Inghilterra.

Eppure il suo periodo di prova al Manchester City (un mese nell’estate del 2012) venne giudicato positivo, ed al ragazzo pare venne offerto un quadriennale. Trasferimento che però, alla fine, non si concretizzò.

Di certo, personalmente, lo vedrei meglio in altre realtà.

Ad esempio, proprio viste le sue caratteristiche tecniche e la sua capacità di palleggio, potrebbe adattarsi bene al Toque spagnolo. O, in virtù del già citato gap ritmico, proprio nel nostro campionato.

Intendiamoci, quando si giudica un giocatore va sempre valutato anche il contesto in cui lo si è visto esprimersi.

In questo senso, ovvio, è facile per lui svettare rispetto al livello medio con cui si confronta abitualmente.

Detto ciò, però, la tecnica resta a prescindere dal livello con cui ci si misura. Ed è per questo che mi piacerebbe vederlo abbandonare il proprio auto-esilio per misurarsi sul palcoscenico europeo. Una scelta, questa, che se potrebbe non pagare a livello economico di certo potrebbe aiutarlo a fare un ulteriore salto di qualità a livello prettamente sportivo.

Il problema, però, è duplice: da una parte di cash, appunto. Dall’altra di importanza: da noi oggi dovrebbe accontentarsi di essere comprimario, non leader assoluto di un intero movimento. E questo potrebbe non essere semplice da accettare.

Di certo tra Spagna ed Italia un posto in una squadra di medio cabotaggio, magari che lotta per l’Europa League, credo potrebbe trovarlo comodamente. Se solo volesse…

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Qualche giorno fa radiomercato fece rimbalzare una voce di mercato accattivante: l’Inter (ma pare anche la Fiorentina) avrebbe pensato al 26enne terzino sinistro messicano Miguel Layún per rinforzare la squadra già nel corso del mercato invernale. Trattativa comunque già sfumata, dato che il ragazzo ha firmato per il Watford, venendo poi girato in prestito al Granada (quindi è entrato nel giro dei Pozzo, patron dell’Udinese).

Una voce che immaginavo non si sarebbe concretizzata, ma certo non poteva stupire l’interesse dei Nerazzurri nei confronti dell’esterno difensivo ex America di Città del Messico: tra i migliori interpreti nell’ottima avventura mondiale del Tri, il ragazzo nativo di Cordoba ha dimostrato di poter reggere il confronto anche su palcoscenici importanti.

Eppure ai più attenti il nome di Layún non suonerà certo nuovo. Il link col nostro paese, che difficilmente va a battere strade di mercato considerate “esotiche” come quella messicana, affonda le radici indietro nel tempo, più precisamente nell’agosto del 2009. Quando l’Atalanta, dopo un lungo periodo di prova, decise di prelevarlo dal Veracruz in prestito annuale con diritto di riscatto.

A Bergamo le cose sembrarono partire benino: il ragazzo dimostrò grande impegno nel ritiro di Brentonico, mettendo in mostra buone cose durante le amichevoli estive ed esordendo in Serie A – primo messicano nella storia – a fine settembre.

In realtà, però, né Gregucci (che guiderà la squadra per le prime quattro di campionato) né Conte (subentrato dopo il 4 a 1 di Bari) faranno grande affidamento su di lui. Così a gennaio, proprio mentre l’Atalanta si troverà a cambiare nuovamente guida tecnica, le presenze sono solo due e l’addio inevitabile: lo chiama l’America, club che ha appena lasciato per ritentare l’avventura europea. Così dopo aver preso armi e bagagli Miguel Layún saluta l’Italia, amareggiato.

La sua storia penso certifichi bene buona parte dei difetti del nostro calcio. Un sistema in cui si fa fatica a guardare oltre al proprio naso, in cui non si dà tempo ai giovani di adattarsi ed imporsi, in cui spesso ci si accorge tardi del capitale dilapidato.

Così un giocatore che già cinque anni fa poteva diventare uno dei terzini più interessanti del nostro panorama è stato bocciato prematuramente e rispedito a casa, dove ha – per sua fortuna – trovato ambiente e fiducia adatta ad imporsi, vincere trofei, conquistare la Nazionale e tornare a vedere il proprio nome al centro delle trattative di mercato italiche.

Lungi da me voler gettare la croce addosso ai dirigenti atalantini, che solitamente sui giovani ci vedono bene. Il discorso è molto più ampio e riguarda tutto il nostro movimento: l’Atalanta visse una stagione molto travagliata, e vista la retrocessione di fine anno con ogni probabilità non avrebbe comunque riscattato il ragazzo. Vero però che una sua eventuale – e non così improbabile – imposizione avrebbe permesso ai bergamaschi di acquistare il cartellino per girarlo poi subito ad una qualche altra squadra di maggior lignaggio, che avrebbe potuto così acquistare un giocatore extracomunitario senza però gravare sul proprio cap, essendo a quel punto Layún già tesserato per una squadra italiana.

Invece?

Invece Miguel Layún non è stato sfruttato per quelle che erano le sue capacità, ha dovuto subire l’umiliazione della bocciatura, tornare in Messico, correre e lottare per dimostrare di essere meglio di quanto non lo ritenessimo in Italia ed, infine, venire riscoperto dai nostri operatori di mercato solo dopo un Mondiale giocato su ottimo livello.

Perché quello è un altro grosso problema del nostro sistema-calcio: la quasi totale incapacità – salvo rarissime eccezioni – di fare scouting come si deve. Affidarsi ad un Campionato del Mondo sono capaci tutti. I giocatori vanno scoperti prima. Ed è il colmo vedere che un giocatore sbarcato in Italia già cinque anni e mezzo fa sia stato ri-scoperto solo grazie a Brasile 2014…

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