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Archive for the ‘Consigli per gli acquisti’ Category

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Gli appassionati più attenti lo avranno sicuramente già notato ai Mondiali brasiliani, dove fece ottima mostra di sé nonostante la sua Australia fosse inserita in un girone obiettivamente proibitivo.

Oggi, che è impegnato in Coppa d’Asia, è quindi chiamato al salto di qualità in una competizione internazionale.

Il contesto è l’ideale: livello medio al massimo discreto, pubblico a favore, squadra ben amalgamata e funzionante.

Di chi sto parlando? Ma di Mathew Leckie, quasi 24enne ala australiana che lasciò l’Adelaide United nel 2011 per sbarcare in Germania, più precisamente nel Borussia Moenchengladbach.

Una stagione in Bundesliga, condita da sole 9 presenze (più 2 in Coppa di Germania) e via verso Francoforte, in Zweite Liga. Dove, dopo tre stagioni, gioca ancora (ma questa volta con la maglia dell’Ingolstadt).

Eppure il ragazzo meriterebbe un palcoscenico molto più importante – con tutto il rispetto – della seconda lega tedesca (posto che comunque, oggi, l’Ingolstadt è primo a +7 da seconda, terza e quarta).

Valutato solo 1.5 milioni dalla bibbia del calciomercato Transfermarkt (ma credo che il suo prezzo ideale sia molto più elevato), Mathew ha il contratto in scadenza a giugno 2017.

Esterno offensivo – prevalentemente a sinistra, ma con capacità di adattarsi anche sull’altro fronte di gioco oltre che più centralmente -, destro di piede, ha una grandissima gamba: giocatore dall’energia quasi interminabile, sfreccia su e giù lungo la fascia con grande disinvoltura e senza apparente sforzo.
Resiliente, passo notevole, discretamente freddo quando arriva sotto porta, dotato di un dribbling discreto e di una certa capacità di assist.

Se velocità e stamina sono sicuramente le su caratteristiche fondanti, Mathew Leckie è comunque dotato di un buon bagaglio tecnico generale, che ne impreziosisce le prestazioni.

Insomma, stiamo parlando di un’ala di passo e sostanza capace di dare anche un tocco di qualità alla squadra per cui si trova a giocare.
Di certo non è Cristiano Ronaldo (ma del resto, chi altri lo è?), ma resta comunque un giocatore molto valido. Che per altro, andando verso i 24, sta entrando ora nella fase migliore della propria carriera.

Mathew Leckie è quindi un giocatore da tenere d’occhio. Anzi, un ragazzo su cui bisognerebbe fiondarsi (in vero, ci si sarebbe dovuti fiondare quantomeno già in estate) ora, prima che la sua valutazione salga a dismisura.

Certo, non va nemmeno dimenticato che ad ora, Mondiale a parte, si è misurato per lo più su palcoscenici di non altissimo livello. Ma i numeri per far bene anche ad un livello superiore li ha sicuramente. Tutto dipenderebbe dal grado di ambientamento.

In Italia credo potrebbe fare comodo a molti. La stessa Roma, giocando col 4-3-3, potrebbe usarlo quantomeno come alternativa agli esterni titolari. Così come il Milan potrebbe usarlo in staffetta con El Shaarawy (che reputo superiore come over all, ma che ultimamente non sta rendendo come dovrebbe) o l’Inter potrebbe puntare su di lui a giugno per rimpiazzare Podolski (destinato, in teoria, a fare rientro a Londra).

Però certo, quando si tratta di posti ritenuti esotici come l’Australia c’è sempre un bug importante, nel nostro paese: la maggior parte degli operatori (e dei tifosi, per quello che vale) sembrano convinti che non si possano trovare giocatori utili a certe latitudini…

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In questi giorni è iniziata la Coppa d’Asia 2015 (in Italia trasmessa da EuroSport, anche se purtroppo non tutti i match vengono trasmessi live). Una competizione sempre interessante, che dà modo di vedere realtà spesso ignorate, nel tran tran di tutti i giorni.

Ecco quindi che proprio andando a guardare partite esotiche come quelle che la caratterizzano si può andare a scoprire – o riscoprire – una serie di giocatori comunque interessanti, perché no, anche alle nostre latitudini.

E’ il caso di Omar Abdulrahman Ahmed Al Raaki Al Amoodi, stella assoluta del calcio degli Emirati Arabi Uniti.

Cresciuto nell’Al Hilal, passò all’Al Ain nell’ormai lontano 2007, entrando contestualmente nel giro dell’under 20 emiratina.

Passato anche per la nazionale olimpica, sbarca nel giro della maggiore nel 2010, a soli 19 anni.

Vero e proprio idolo calcistico nel suo paese, Abdulrahman è un punto di riferimento per tutto il movimento emiratino.
Uomo immagine della Federazione, leader tecnico della Nazionale, stella indiscussa del proprio club (dove attualmente gioca, in prestito dal Fenerbache, anche lo slovacco ex Chelsea Miroslav Stoch), il numero 10 degli Emirati Arabi Uniti vive una sorta di esilio dorato a casa sua.

La sua statura di uomo immagine, infatti, ne ha fatto un bersaglio prelibato anche per molti sponsor, che lo coprono di soldi per poter affiancare il proprio nome alla sua immagine.

Così un giocatore tecnicamente dotatissimo che potrebbe dire la sua anche in Europa si trova a giocare ancora, nonostante l’ormai raggiunta maturità sportiva, in un campionato di secondo (ma che dico, terzo o quarto) piano.

Eppure Abdulrahman ha mezzi interessantissimi.

Trequartista dal grande bagaglio tecnico, tutto mancino, ama disimpegnarsi o centralmente, a ridosso delle punte, o partire largo sulla destra per potersi rendere pericoloso accentrandosi.

Sorta di regista avanzato, sa distribuire gioco e dettare i tempi alla propria squadra, pur giocando tra le linee. Abile nel controllo e nella gestione della sfera, si disimpegna bene in fase di rifinitura ma non disdegna nemmeno la conclusione personale.

A volergli trovare un difetto, si potrebbe parlare di una certa qual mancanza di ritmo. Almeno rispetto agli standard di oggi.

Pur non lentissimo nel suo incedere e nella gestione della sfera, infatti, lo vedrei in difficoltà alle folli velocità di gioco che si tengono in realtà come, ad esempio, l’Inghilterra.

Eppure il suo periodo di prova al Manchester City (un mese nell’estate del 2012) venne giudicato positivo, ed al ragazzo pare venne offerto un quadriennale. Trasferimento che però, alla fine, non si concretizzò.

Di certo, personalmente, lo vedrei meglio in altre realtà.

Ad esempio, proprio viste le sue caratteristiche tecniche e la sua capacità di palleggio, potrebbe adattarsi bene al Toque spagnolo. O, in virtù del già citato gap ritmico, proprio nel nostro campionato.

Intendiamoci, quando si giudica un giocatore va sempre valutato anche il contesto in cui lo si è visto esprimersi.

In questo senso, ovvio, è facile per lui svettare rispetto al livello medio con cui si confronta abitualmente.

Detto ciò, però, la tecnica resta a prescindere dal livello con cui ci si misura. Ed è per questo che mi piacerebbe vederlo abbandonare il proprio auto-esilio per misurarsi sul palcoscenico europeo. Una scelta, questa, che se potrebbe non pagare a livello economico di certo potrebbe aiutarlo a fare un ulteriore salto di qualità a livello prettamente sportivo.

Il problema, però, è duplice: da una parte di cash, appunto. Dall’altra di importanza: da noi oggi dovrebbe accontentarsi di essere comprimario, non leader assoluto di un intero movimento. E questo potrebbe non essere semplice da accettare.

Di certo tra Spagna ed Italia un posto in una squadra di medio cabotaggio, magari che lotta per l’Europa League, credo potrebbe trovarlo comodamente. Se solo volesse…

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Il Mondiale brasiliano ha fatto conoscere al mondo (perché diciamolo, la maggior parte degli appassionati di calcio del pianeta – e sicuramente d’Italia – a stento segue i match della propria squadra del cuore, durante l’anno) un portierino tutto riflessi ed agilità che il sottoscritto ama da anni: Guillermo Ochoa.

Il Memo esordì nel Clausura 2004 con la maglia dell’America di Città del Messico e fin da subito mise in mostra tante qualità, ma anche qualche difetto: riflessi felini, appunto, buona spinta sulle gambe, grande agilità tra i pali, voli plastici a far da contraltare ad uscite incerte ed una non grandissima capacità nel trattenere la sfera.

Difetti che con l’andare degli anni ha ovviamente limato, il buon Ochoa, ma che comunque restano ancora parte, almeno parzialmente, del suo bagaglio tecnico.

Fin da subito, comunque, gli predissi – ma certo, con quelle qualità era pure facile – un futuro in Europa, dove sbarcò ormai tre anni fa, più precisamente ad Ajaccio, Corsica.

Ormai ben svezzato anche al calcio europeo, il Memo è pronto a difendere i pali di una squadra – senza offesa per nessuno – più blasonata di quella in cui ha giocato negli ultimi anni.

Su di lui si diceva ci fosse il Milan, che avrebbe fatto un affarone a rimpiazzare Abbiati con questo portierino messicano.

Sfumata – pare – la possibilità di arrivare all’ex idolo dei tifosi dell’America (la scelta è ricaduta sull’ex cagliaritano Agazzi), Ochoa resta quindi un pezzo sicuramente pregiato, visto il suo status di svincolato, di questo calciomercato.

In realtà, almeno fino a pochi giorni fa, nessun club europeo aveva ancora avanzato offerte ufficiali per questo estremo difensore che in Brasile ha messo in mostra tutta la sua grande qualità (ma anche, almeno per i più attenti, i suoi difetti latenti).

Stento però a credere che un portiere del genere, che ripeto non è considerabile tra i migliori interpreti del ruolo in assoluto ma che resta comunque di buonissimo livello, possa non interessare ad alcuno.

Dove lo vedrei bene?

Beh, se parliamo di Italia come minimo in un club che lotta per un posto in Europa.

Il Milan, in questo senso, poteva essere l’ideale: nobile decaduta la cui resurrezione poteva passare anche dalle sue parate.

E poi?

Stante il fatto che squadre come Inter e Lazio sono sicuramente a posto (Handanovic è indubbiamente più forte, Marchetti globalmente non lo reputo così inferiore), restano alcune opzioni: il Napoli ha perso Reina. Se il portiere spagnolo non dovesse tornare in Campania si dovrebbe decidere di puntare tutto su Rafael o, in alternativa, di scandagliare ancora il mercato. Ed in questo senso quella di Ochoa sarebbe un’opportunità che tenderei a non scartare.

La Fiorentina ha trovato in Neto un portiere che dopo molte e notevoli difficoltà iniziali ha saputo garantire un minimo di sicurezza. Ad oggi però Ochoa ha, almeno a mio avviso, qualcosa in più rispetto al collega brasiliano, e potrebbe essere una buona opzione anche per i Viola.

La Roma infine ha avuto in De Sanctis un più che discreto baluardo quest’anno. L’età però è avanzata e, almeno oggi, le qualità non sono globalmente superiori a quelle del Memo. Che resterebbe, a mio avviso, un’opzione valida anche per i Giallorossi.

Insomma, in Italia Ochoa potrebbe davvero far comodo a moltissimi club. Perché anche in un paese che storicamente ha uno dei punti di forza proprio nella sua scuola portieri alle volte importare talento può dimostrarsi scelta azzeccata (basti pensare a due casi come Julio Cesar ed Handanovic).

In definitiva però non credo che ci sarà un’italiana che deciderà di puntare su questo ragazzo, ormai giunto a maturazione. Vuoi anche solo per il suo status di extracomunitario, credo – temo – che non avrò mai il piacere di vedere il Memo giocare nel Belpaese.

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Chi ha seguito ieri sera il match tra Belgio e Stati Uniti non potrà che essere stato fortemente colpito dalla prestazione di altissimo livello mostrata dalla giovane freccia a stelle e strisce DeAndre Yedlin.

Il ragazzo, subentrato alla mezz’ora all’infortunato Fabian Johnson, ha infatti messo in campo una prestazione davvero di altissimo profilo, mangiando la fascia destra senza sosta con una rapidità ed una continuità abbacinanti.

Nato il 9 luglio di 21 anni fa in quel di Seattle, ha fatto parte del Washington Youth Soccer’s State Olympic Development Program dal 2006 al 2009 ed ha giocato con le maglie dell’Emerald City, del Northwest Nationals e dei Crossfire Premier prima di entrare a far parte dell’Academy dei Sounders, squadra della sua città natia, nel 2010.

Entrato all’Università di Akron ha quindi giocato due anni di buon livello, venendo poi inserito – ma questo con la maglia dell’under23 dei Sounders – nella top XI della USL Premier Development League.

Già nel giro della Nazionale under 20, Yedlin ha ormai totalizzato sette presenze con la Nazionale maggiore, tra cui quella che appunto l’ha visto dominare la propria fascia di competenza giusto ieri sera.

Furetto di taglia minuta – si parla di 173 centimetri per 68 chilogrammi di peso – il ragazzo di Seattle porta in dote una velocità straripante ed una capacità di correre senza sosta per tutti i novanta minuti.

Dotato di un atletismo fuori dal comune, almeno alle nostre latitudini, sarebbe un acquisto interessantissimo per qualsiasi squadra del nostro campionato. Anche tra le primissime.

Il fatto è semplice e va al di là della mera prestazione di ieri, indicativa ma non sufficiente, di per sé, a giustificare un acquisto.

L’Italia ha dimostrato anche a questo Mondiale – oltre che nelle esperienze europee dei suoi club come minimo negli ultimi quattro anni – di essere rimasta indietrissimo per quello che riguarda il ritmo, la velocità di gioco.
A mancare alle nostre compagini, tutte, non è tanto la capacità di correre per tot chilometri, quanto l’intensità che si riesce a mettere in campo.

Non trattandosi di maratona, è infatti inutile che un tal giocatore sappia macinare venti chilometri nell’arco di novanta minuti, se a questi non ci abbina un’intensità di corsa di alto livello, che gli permetta di rivaleggiare con le squadre inglesi, tedesche e spagnole (e, a livello di Nazionali, anche con realtà meno nobili come Costa Rica, Algeria o Stati Uniti).

Cosa fare per colmare questo gap, qui?

Sicuramente tutto deve partire da un lavoro di base fatto sul nostro movimento calcistico nel suo intero.

Però, per provare ad “accorciare” la distanza nell’immediato, è proprio da un sapiente uso del calciomercato che possiamo e dobbiamo passare.

La tecnica è sicuramente importante. Primaria. Però nel calcio di oggi, e proprio questo Mondiale lo sta dimostrando, non può essere l’unico metro da considerare.

Tralasciando poi il fatto che i giocatori più tecnici, ormai, non vengono in Italia, con conseguente scadimento del nostro campionato, dobbiamo comunque pensare anche a ritmo ed intensità, due aspetti rispetto cui siamo i Flintstones del calcio mondiale.

Ecco il primo motivo, nonché il principale in assoluto, per cui acquisterei DeAndre Yedlin. Con il suo atletismo, fatto di passo e di sostanza, potrebbe infatti essere addirittura dominante in un campionato compassato come quello italiano. Il tutto al netto del fatto che poi, nel complesso, non si sia di fronte ad un nuovo Cafu.

Detto dell’atletismo, comunque, bisogna anche sottolineare come l’esterno di Seattle – che oggi gioca terzino ma che può tranquillamente adattarsi anche come esterno di centrocampo e perché no ala offensiva – non sia assolutamente disprezzabile nemmeno da un punto di vista tecnico.

In un campionato che non sa più formare ed esprimere terzini di ruolo, insomma, DeAndre Yedlin potrebbe rappresentare un vero e proprio esempio da (in)seguire…

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C’era un giocatore tra i tanti che avrei voluto acquistare al FantaMondiale. Sia già all’inizio della manifestazione, che poi prima degli ottavi di finale.

In entrambi i casi, purtroppo, non sono riuscito a farlo mio.

Nonostante questo il buon José Holebas ha confermato che l’idea di base fosse giusta.

Terzino sinistro nativo di Aschaffenburg, Germania, è stato naturalizzato greco nel 2011 e proprio con la Nazionale ellenica ha già messo insieme quasi trenta presenze, diventando uno dei punti di forza della squadra nel Mondiale in corso.

Nato e cresciuto in Germania, dicevo, dopo tre anni nella squadra del suo paese natio passa al Viktoria Kahl, dove mette a segno ben quindici reti convincendo il Monaco 1860, all’epoca militante in Zweite Liga (la nostra Serie B) a puntare su di lui.

Passato in Baviera nell’estate del 2006 – quella che significò tristezza estrema per la sua gente, con la Nazionale eliminata in semifinale nel Mondiale di casa dagli Azzurri poi Campioni del Mondo – viene aggregato alla squadre riserve del club. Un anno, 47 presenze e 12 goal più tardi eccolo promosso in prima squadra. L’esordio arriva quindi all’inizio della stagione 2007/2008, in un match contro il St. Pauli.

Tre stagioni ed ecco un nuovo trasferimento. L’Olympiakos decide di riportarlo nella terra dei suoi avi (José ha origini greche ed uruguaiane), e lui accetta subito l’offerta.

La scelta è felice anche perché gli schiude le porte della Nazionale.

Il C.T. greco Fernando Santos è infatti subito molto colpito dalle sue qualità e dal suo livello di gioco e dà subito l’input in Federazione.
Parte quindi un processo, durato qualche mese, che lo porterà ad acquisire la nazionalità greca, terra natia di suo padre Achilles.

Il 3 novembre 2011 riceve il nuovo passaporto, otto giorni più tardi arriva l’immediato esordio in un’amichevole contro la Russia.

Oggi, con la Nazionale ellenica reduce dall’eliminazione agli ottavi, Holebas è uno dei punti di forza della squadra.

In carriera ha vinto quattro SuperLeague greche, più due coppe nazionali.

Colonna della difesa dell’Olympiakos, è un giocatore da sempre sottovalutato e stranamente snobbato dall’Europa intera.

Giocatore di grandissima gamba, è rapido e resistente. Grande attitudine offensiva, se la cava anche in fase di non possesso, pur essendo più adatto a giocare in contesti di gioco “ariosi”.

Piede sinistro educatissimo, sa crossare con grande efficacia e battere i calci piazzati (corner, punizioni e perché no rigori, come quello – splendido – segnato nella lotteria finale contro Costa Rica).

Cross morbidi ed indirizzati che sono uno dei suoi punti di forza. Non solo come qualità, ma anche come quantità: con 16 traversoni, infatti, è ad oggi il giocatore con più tentativi del Mondiale in corso.

Personalmente lo vedrei benissimo in Italia e sarei in particolare curioso di vederlo in una squadra che giochi col 3-5-2, in cui avrebbe compiti difensivi in qualche modo più limitati di una classica difesa a quattro e qualche chance in più di ripartire.
Al tempo stesso, comunque, potrebbe giocare tranquillamente anche in un 4-4-2 o 4-2-3-1, moduli in cui avrebbe anche la possibilità di sovrapporsi ad un’ala, creando potenzialmente un tandem e un gioco interessante.

In tutto ciò, in questi giorni, mi sto anche chiedendo se in Germania non ci sia qualcuno che si stia mangiando un po’ le mani. Intendiamoci, non parliamo certo del nuovo Roberto Carlos. Però un giocatore con questa qualità snobbato così è veramente un peccato.
Non solo: con la Nazionale che gioca con Howedes fuori ruolo magari un Holebas in luogo del mezzo infortunato Schmelzer avrebbe potuto fare comodo…

Una sola controindicazione, dovuta proprio al fatto che è stato da sempre snobbato: l’età.

Se Holebas dice poco al grande pubblico, infatti, non stiamo purtroppo parlando di un giovane terzino in rampa di lancio, ma già di un trentenne che ha ancora tre, forse quattro stagioni di livello davanti a sé. Gli auguro di sfruttarle al meglio.

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Nato ad Overland Parks, Kansas, Matt Besler si impone all’attenzione di tutti ancora adolescente, giocando alla Blue Valley West High School.

Passato al college, eccolo vestire la maglia dell’Università di Notre Dame, in Indiana, con cui giocherà ben 90 match, confermando la propria fama e venendo unanimemente riconosciuto come uno dei migliori giovani del paese.

Così al draft del 2009 torna a casa: ottava scelta assoluta, sono i Kansas City Wizards (oggi Sporting KC) a puntare su di lui, con l’idea di farne una delle colonne difensive del futuro.

Missione riuscita in pieno: sono ormai quasi 150 le presenze del ragazzo tra i professionisti, un bottino di esperienza che gli ha permesso anche di guadagnarsi la maglia della Nazionale americana (con cui sta giocando, da protagonista, il Mondiale brasiliano).

Votato nell’ultima top 11 MLS dai tifosi, un anno e mezzo fa decise di rinnovare con il suo attuale club senza farsi tentare dalle sirene inglese: su di lui si erano infatti mosse squadre come QPR, Southampton e Birmingham City.

Pur senza essere dotato di un fisico particolarmente importante – 183 centimetri per 77 chili – viene definito la Roccia della difesa di Kansas.

Discretamente abile nel gioco aereo, buon passo, ha soprattutto nella grande attenzione e concentrazione il proprio punto di forza e non è nemmeno disprezzabile da un punto di vista prettamente tecnico.

Difensore centrale abile in marcatura e nelle letture di gioco, sta confermando in Brasile le sue buone qualità di base, tanto da sembrare ormai pronto per il salto nel Vecchio Continente.

La decisione di rifiutare i provini offertigli dall’Inghilterra fu sicuramente controcorrente, ma gli ha anche permesso di crescere con maggiore tranquillità, fino ad arrivare a conquistarsi un posto da titolare indiscusso al centro della difesa statunitense.

Visto anche lo stipendio percepito oltreoceano (si parla di circa 200mila euro l’anno), potrebbe essere un acquisto appetibile per moltissimi club europei.

Così anche in Italia, dove la qualità negli ultimi anni è scesa e sta scendendo molto, diverse squadre potrebbero puntare su di lui. Già prontissimo per una squadra di media classifica, potrebbe essere un colpo di mercato interessante anche per quelle squadre che, almeno da outsider, puntano all’Europa.

E poi, da lì, chissà…

Su di lui ho chiesto un parere a chi lo conosce bene. Giacomo Costa, espertissimo di soccer (cura un blog tutto dedicato al calcio negli USA):

Besler è un centrale completo, fisico, discreto tecnicamente e pure abbastanza veloce per la media dei difensori centrali. Non altissimo essendo 183 centimetri. E’ alla sesta stagione nella Major League Soccer ed è anche il miglior difensore del campionato senza ombra di dubbio, ormai da tempo. Con lo Sporting Kansas City ha vinto la MLS Cup 2013 e dalla sua città natale (Kansas City, Missouri) proprio non vuole partire. Ci hanno provato e ci stanno provando in Premier League, ma lui risponde: “soldi e carriera non sono in cima ai miei interessi”, detto da uno che ha un salario di 200.000 dollari. A mio parere sarebbe un ottimo affare per le squadre italiane, ma se dovesse partire sarebbe di certo per l’Inghilterra. Questione di lingua, cultura e non solo.

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Quattro anni fa, in occasione di Sudafrica 2010, partecipai al FantaMondiale organizzato dai ragazzi del forum di PlayItUSA, che al tempo frequentavo assiduamente.

Accoppiato nella gestione della squadra al buon Hispa, co-gestii con lui il draft che avrebbe dovuto formare la rosa con cui affrontare, inizialmente, il primo turno della competizione.

Così al fianco dei giocatori più forti e di nome (sinceramente, non saprei dire chi prendemmo) ecco alcune chicche, classiche in ogni mio FantaGioco (puntare solo gente affermata mi annoia e non mi diverte): l’algerino Boudebouz, lo slovacco Stoch, il coreano Ki.

E proprio di quest’ultimo voglio parlarvi oggi.

Nato a Gwangju il 24 gennaio dell’89, ha ormai raggiunto un certo livello di maturità calcistica. E così se all’epoca della rassegna iridata africana il nostro militava da poco al Celtic, oggi il ragazzo cresciuto nel John Paul College è reduce da una stagione in prestito al Sunderland, in cui ha disputato un totale di 34 match realizzando 4 reti ed aiutando il club nella rincorsa verso la tanto agognata salvezza (il tutto dopo che l’anno precedente aveva fatto lo stesso con la maglia dello Swansea, detentrice del cartellino).

La sua carriera è particolare. Svezzato, come detto, al John Paul College di Brisbane, Australia, all’età di sedici anni riceve due offerte da club professionistici: da una parte i Roars, squadra locale, hanno notato le sue qualità, e non vogliono farselo scappare. Dall’altra l’FC Seoul, squadra della capitale coreana, vuole riportare in patria un talento tanto scintillante. E lui, alla fine, opta per questa scelta.
Quattro anni ed ecco il passaggio in Scozia, ai Celtic. Che nel 2012 lo cederanno allo Swansea. Il resto è storia recente.

Il suo esordio a questo Mondiale (presenza numero 59 per lui con la maglia dei Taeguk Warriors) è stata notevole: le Tigri Asiatiche hanno fronteggiato egregiamente la Russia di Fabio Capello, una delle squadre attese al varco in questo Mondiale, rischiando di uscire dal campo con tre punti in saccoccia.

In tutto questo una – ennesima – ottima impressione l’ha destata proprio il regista tempratosi in quel di Glasgow. Partita ordinata e pulita la sua, che ha gestito in maniera sapiente, pur senza eccellere, il reparto nevralgico della propria squadra, che è così girata e gravitata tutta attorno a lui.

Tecnicamente ha poco da imparare: tocco felpato, buona visione di gioco, capacità di fraseggio nello stretto e di lancio lungo all’occorrenza.
Tatticamente è cresciuto nel corso degli anni, diventando un buon playmaker abile nel giocare come regista basso di centrocampo.
Fisicamente è ormai più che formato, con un fisico longilineo che oppone i suoi 187 centimetri di altezza ai 75 chilogrammi di peso.

Oggi, nonostante la sua ancor pur in qualche modo giovane età, è uno dei punti di forza della sua nazionale e pronto ad entrare appieno al centro di un progetto tecnico stimolante.

Al Sunderland lo volle Di Canio, che vedeva nella sua qualità tecnica una possibile chance di salto di qualità per i suoi Black Cats. Ora dovrebbe tornare allo Swansea, e chissà cosa ne sarà di lui.

Di certo, in Italia farebbe comodo a tanti. Forse anche a chi, come la Juventus, un regista già ce l’ha, ma deve iniziare a pensare quantomeno ad un suo backup. Pensare ad un sostituto di Pirlo per il futuro è dura, ma quantomeno un giocatore in grado di far rifiatare già oggi, alla bisogna, il fenomeno bresciano servirebbe.

Se non alla Juve, comunque, ecco che tante altre squadre potrebbero rivolgersi a lui. Magari non quel Napoli che poi lo dovrebbe far giocare in un centrocampo “a 2”, in cui potrebbe faticare un po’. Ma certamente sarebbe un colpo interessante per chi giocherà l’Europa League, che sia la Fiorentina (Montella ha avuto proprio nel regista, Pizarro, uno dei punti di forza del suo progetto) o il Torino (temo però manchino i soldi, nonostante Immobile). Per non dire dell’Inter, dove però potrebbe entrare in conflitto – tecnico – con Kovacic, talento da preservare e valorizzare.

Infine Ki potrebbe essere un acquisto adattissimo al Milan, che di qualità a centrocampo – dopo la scellerata gestione Allegri – ne ha proprio poca.

Inserito in un contesto in cui può trovarsi a giocare al fianco di corridori come Poli e Muntari o giocatori esperti come De Jong penso che il coreano d’Australia potrebbe contribuire ad innalzare il tasso tecnico della squadra.

Transfermarket parla di un valore di mercato tutto sommato accessibile, posto a 6,5 milioni. Un investimento sicuramente non da poco per un calcio, quello italiano, in cui i soldi mancano ormai da tempo.

Ma del resto quando non si battono certi mercati (come quello orientale, appunto) non si può che arrivare tardi.

Ed in caso di mancanza di alternative, l’acquisto di un giocatore con talento ed eleganza come Ki Sung-Yeung potrebbe pagare…

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Ieri – come succede praticamente sempre – non riuscivo a dormire. Così ho iniziato una conversazione su Whatsapp con un amico (milanista) che si è rivolta, ovviamente, al calcio.

Non so bene come sia uscita la cosa, fatto sta che è uscita l’ipotesi di un super-tridente (lo dico subito, impossibile da realizzare nel concreto) per la Juventus del futuro, composto da Griezmann sulla sinistra, Sanchez sulla destra e Lukaku in mezzo.

Partendo da qui, e dall’assunto che sento ripetere da un paio d’anni secondo cui Antonio Conte vorrebbe passare al 4-3-3, vorrei proporre un’ipotesi di mercato.

Ovviamente è un gioco. Una cosa più simile a quanto succede su Football Manager che non nella realtà. Quindi, prendetelo come tale.

Iniziamo dall’elencare le cessioni. Partendo da un presupposto: ovviamente una squadra che vuole crescere esponenzialmente dovrebbe acquistare i cosiddetti “top player” senza nel contempo cedere nessuno dei propri punti di forza.

Questo, però, non sembra possibile, oggi, per le squadre italiane. Che per fare mercato hanno sempre necessità di ricorrere alle cessioni, autofinanziando così i propri acquisti.

Ecco quindi che si dovrebbe sacrificare il pur ottimo – e potenzialmente fenomenale – Paul Pogba, per il quale PSG e Manchester United pare siano disposte a spendere addirittura 70 milioni di euro.

Il francese però non può essere il solo a partire. Già ceduta la metà di Ciro Immobile al Borussia Dortmund per 9,75 milioni, si potrebbe far partire anche lo spagnolo Fernando Llorente. Ottimo giocatore, abile di testa quanto ben dotato tecnicamente. Non in grado, però, di far fare un vero salto di qualità, soprattutto europeo, alla squadra.

In questo senso radiomercato parla di una richiesta di 25-30 milioni, sicuramente troppo alta rispetto al reale valore del ragazzo (che, ricordo, ha 29 anni). Diciamo quindi che una valutazione più realistica possa aggirarsi tra i 15 ed i 20 milioni e poniamo che Marotta, dopo qualche trattativa (si parla di una richiesta importante da parte di Luis Enrique, neo allenatore del Barcellona), riesca a piazzare il giocatore a 17,25 milioni.

I soldi incassati da queste tre sole cessioni ammonterebbero a ben 97 milioni di euro, tutti reinvestibili sul mercato. Non solo. La partenza di Pogba e Llorente porterebbe il monte ingaggi (le cifre sono indicative, ovviamente riferibili al netto) da 50.1 milioni a 45.6 milioni di euro.

Le partenze, però, non si fermerebbero qui.

Davanti farebbero facilmente le valigie anche Vucinic (8 milioni richiesti dalla Juve) e Quagliarella (4) davanti ed Isla (7) e Padoin (3,5) in mezzo. In porta, lascerei invece scadere il contratto di Storari, liberandolo a zero euro.

Senza contare i vari rientri da prestito e soprattutto tutta l’intricata situazione delle comproprietà (in questo senso, meno male che sono state abolite!) ecco che la Juventus potrebbe incassare 119,5 milioni di euro dalla cessione di questi otto giocatori, abbattendo il monte stipendi a 37.9.

Poi, però, ci sarebbe da muoversi in entrata (intendiamoci, non sto dicendo che prima vadano ceduti tutti e poi acquistati altri ragazzi, perché è ovvio che poi i prezzi schizzerebbero).

Come detto, partiamo dall’attacco: Griezmann (30), Lukaku (25) e Sanchez (25). 80 milioni per un tridente giovane, talentuoso, forte e soprattutto con prospettive importanti per il futuro.

Il centrocampo lo puntellerei facendo rientrare un paio di canterani: Fausto Rossi dal prestito al Rayo Vallecano e Luca Marrone dalla comproprietà (3,5 milioni). Per sostituire Storari farei invece rientrare Leali, oggi in prestito allo Spezia. Così da fargli passare una stagione sotto l’ala protettrice di Buffon. Per poi, qualora venga reputato all’altezza, fargliene prendere a mano a mano il posto dall’annata successiva.

Per dare un’alternativa in più all’attacco, inserendo un’ala di ruolo a roster, rinnoverei la comproprietà di Domenico Berardi col Sassuolo, portandolo però a Torino.

Infine ci sarebbe da cercare un terzino sinistro, a meno che non si voglia adattare lì uno tra Chiellini ed Ogbonna.

I soliti – presunti – beninformati parlano di un interessamento per Marcelo, che però non so bene come possa sbarcare a Torino.

Ma dato che stiamo giocando, facciamolo fino in fondo. Il valore relativo di Marcelo sarebbe tra i 25 ed i 30 milioni. Il giocatore – che verso la fine della stagione aveva fondamentalmente perso il posto a favore di Coentrao – è però in scadenza tra un anno. Quindi andrà via ad un prezzo più basso (a meno di follie arabe). Quindi, assegniamogli un valore di 15 milioni, che è quello che gira tra i media.

Finite le mosse di mercato, ricapitoliamo. Partendo dalla rosa.

Portieri: Buffon, Leali, Rubinho.
Difensori: Lichtsteiner, Caceres, Bonucci, Barzagli, Ogbonna, Chiellini, Marcelo, Peluso.
Centrocampisti: Vidal, Pirlo, Marchisio, Rossi, Marrone, Asamoah.
Attaccanti: Griezmann, Lukaku, Sanchez, Tevez, Berardi, Giovinco, Pepe.

Venticinque giocatori, più qualcuno eventualmente aggregato dalla Primavera.

Queste le due possibili formazioni, ovvero titolari + squadra riserve:

Infine, l’aspetto economico.

Se le cifre fossero queste lo sbilancio tra entrate ed uscite segnerebbe un negativo di 1.5 milioni di euro. Un’inezia, per un club con un fatturato comunque importante come quello della Juve (che quindi ci si aspetta possa e debba investire anche al di là delle entrate dovute a cessioni).

Il monte ingaggi, invece, si attesterebbe indicativamente sui 56 milioni. Ovvero, di circa cinque milioni più alto rispetto a quello attuale.

Un livello di investimento che, credo, sia plausibilmente sopportabile da un club come la Juventus.

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Il nome non dirà moltissimo alla maggior parte degli appassionati italiani, che solitamente si spingono fuori dai nostri confini calcistici giusto per vedere quelle squadre o partite di blasone e poco altro (anche se essendo il nostro un calcio sempre più da esportazione questa tendenza potrebbe cambiare presto).

Benjamin Moukandjo Bilé è nato a Douala, in Camerun, il 12 novembre 1988 ed oggi gioca nel Nancy, in Ligue 2. Che quest’anno, anche grazie alle sue 9 realizzazioni, ha sfiorato la promozione in Ligue 1, chiudendo il campionato a 61 punti, ovvero sia solo tre meno del Caen terzo.

Cresciuto nel Kadji Sports Academy si trasferisce in Francia all’età di 16 anni, venendo aggregato alla seconda squadra dello Stade Rennais.

Dopo due stagioni, in cui riesce a centrare l’esordio in prima squadra, arriva il prestito a L’Entente SSG, Championnat National. L’esperienza non è esaltante, ma il ragazzo non è destinato a tornare a Rennes. Scaduto il suo prestito si fa infatti avanti il Nimes, che lo ingaggia per provare a risalire la china della Ligue 2.

La prima stagione non è esaltante, ma le cose vanno molto meglio nella seconda. Da settembre a gennaio Benji scende in campo 15 volte, trovando il bersaglio grosso in 5 occasioni. Le sue prestazioni non lasciano quindi indifferente il Monaco, che non versa in buonissime acque, e lo preleva in prestito nel mercato di riparazione per provare a rimediare alla brutta situazione creatasi.

E’ però tutto inutile. La squadra non c’è ed inserirsi in quel contesto non è facile. Così Moukandjo negli ultimi sei mesi di quella stagione ci prova, colleziona altre 16 presenze e realizza 3 segnature, ma il Monaco non riesce a salvarsi dalla retrocessione. E parte l’epurazione.

Ancora una volta al rientro da un prestito non c’è la sua squadra di origine ad attenderlo, ma una nuova destinazione. Che, questa volta, si chiama Nancy.

La nuova realtà, se non altro, gli permette di consolidarsi nel calcio che conta, in Ligue 1. Dove Moukandjo disputa due stagioni quantomeno discrete. Provando però ancora una volta, proprio al termine della seconda, l’amarezza della retrocessione.

Questa volta, e siamo arrivati proprio all’ultima stagione appena disputata, Benji decide di non cercare un lido da Ligue 1 altrove. Non abbandona la barca che affonda ed anzi diventa uno dei leader della squadra che, come detto, sfiora l’immediato ritorno nella massima serie.

Ma a chi potrebbe servire, Benjamin Moukandjo?

A tanti, in Italia. Un paese che ormai non può più permettersi il cosiddetto “top player”. Che fa mercato solo cedendo i propri pezzi migliori per coprire le falle di bilancio (Milan con Ibrahimovic, Kakà, Thiago Silva) o dare una rinfrescata alla squadra (Napoli con Cavani), che non si affida ai propri giovani perché sempre troppo inesperti (e così un Giuseppe Rossi capace di salvare quasi da solo il Parma si trasferisce al Villareal, un Immobile dopo aver vinto la classifica dei marcatori al Viareggio ed in Serie B deve passare da Genova e sulla sponda Granata di Torino per poi venire catapultato a Dortmund ed un Verratti passa dall’essere “sopravvalutato dal calcio di Zeman” direttamente ai petroldollari parigini) e che quand’anche scoutasse qualche giovane fenomeno se lo vedrebbe soffiare dal top club di turno nell’arco di due, massimo tre anni.

Ecco quindi che giocatori certo non eccezionali ma dal profilo interessante come questo possono diventare appetibili per qualcuno.

Partiamo dalle questioni pecuniarie, ormai purtroppo centrali nel calcio di oggi.

Secondo Transfermarkt il valore del suo cartellino, dopo aver toccato i 2 milioni e mezzo un paio d’anni fa, si aggira oggi attorno al milione e mezzo, una cifra assolutamente abbordabile per tantissimi club italiani, nonostante la crisi.

Ma a rendere ancora più appetibile questo nome è il dato riportato alla casella “scadenza di contratto”: 30 giugno 2014.

Le possibilità che il ragazzo resti al Nancy sono praticamente pari a zero. La Ligue 2 è infatti un palcoscenico troppo stretto e male illuminato, per uno come lui. Che ambisce, e merita, una prima serie.

Così nelle ultime settimane, mentre era impegnato nel ritiro della nazionale a Walchsee (Austria), Moukandjo ha parlato del suo futuro. Dicendo che su di lui si sono già mossi tre club della Ligue 1, più due tedeschi.

Italiani, ovviamente, nessuno.

Sintomo, se mai ci fosse bisogno di conferme, che in linea generale in pochi – tendenzialmente nessuno, forse a parte l’Udinese – nel Belpaese vantano una struttura di scouting all’altezza delle aspettative che una squadra militante in uno dei più importanti campionati europei dovrebbe possedere.

Ma che tipo di giocatore è Benjamin Moukandjo?

Prevalentemente, un’ala destra. Capace però di adattarsi anche sull’out opposto. E perché no, alla bisogna, anche come prima punta, in virtù di un fisico ben formato (180 centimetri per 74 chili) e di una più che discreta forza fisica.

Il suo meglio lo da però, dicevo, sulla fascia di destra. Giocatore rapido ed esplosivo, è dotato di una buona capacità di liberarsi dell’avversario proprio in virtù di queste sue caratteristiche atletiche, più che tecniche. Ragazzo quindi scarso, da questo punto di vista?

Assolutamente no. Per quanto non sia certo in possesso di un bagaglio da top del ruolo, è comunque cresciuto all’interno di uno dei movimenti storicamente – almeno se parliamo di storia “recente”, dalla metà degli anni ottanta in poi – più all’avanguardia dell’intero Continente Nero, per poi affinarsi in Francia.

Non è un giocatore particolarmente prolifico, ma in un campionato in cui Gervinho ha avuto un impatto dirompente anche la sua fisicità e la sua freschezza potrebbero dare un certo quid alla squadra in cui – eventualmente – giocasse.

Inserito nell’elenco dei 23 che partiranno per il Brasile da coach Volker Finke, potrà provare a sfruttare il palcoscenico Mondiale per mettersi in mostra e strappare un contratto quanto più soddisfacente possibile.

E chissà che magari proprio vedendolo all’opera in Sud America anche qualche dirigente italiano non si faccia ingolosire. Se in una piccola potrebbe tranquillamente essere titolare fisso e punto di riferimento, in una squadra di media fascia potrebbe parimenti dare il suo apporto. E, perché no, tornare utile, almeno come back up, a qualche club che punti all’Europa, quantomeno quella “minore”.

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Negli ultimi giorni si sta parlando con sempre maggiore insistenza del possibile ritorno in Italia del Coco Lamela, la cui esperienza in quel di Londra è stata sino ad oggi molto fallimentare.

Grandi speranze accompagnarono il suo multimilionario trasferimento agli Spurs: reduce da una grande stagione in maglia Giallorossa, era chiamato – assieme ai tanti altri acquisti estivi che hanno seguito la cessione di Bale – a non fare rimpiangere l’ala gallese trasferitasi sulla sponda nobile di Madrid.

Una notizia come quella del possibile ritorno, anche solo in prestito, di un giocatore così nel campionato italiano non può e non poteva ovviamente essere ignorata, tanto che in rete si è scatenata la solita ridda di constatazioni pro o contro il possibile affare.
La notizia è stata ovviamente rilanciata anche da me tramite i social network, ed ha fatto scaturire un’interessante scambio di opinioni di cui è bene parlare subito, prima di addentrarci nei possibili perché e per come di questo eventuale ritorno.

La discussione nata a seguito di questo tweet verteva fondamentalmente sull’opportunità di acquisire un giocatore come Lamela per un periodo breve come quello che porterebbe da qui a fine campionato.

Opinione di chi scrive è che essendosi ormai già ben ambientato al nostro campionato nel corso della sua esperienza romanista, Erik potrebbe – se messo nelle giuste condizioni, ovviamente – impattare da subito bene, risultando perché no determinante ai fini della conquista dell’obiettivo di turno.

Ma a chi può fare comodo il Coco?

Facile: tutti.

Logico è che la maggior parte delle 20 squadre del nostro campionato un giocatore così possono solo sognarlo, e che nelle stesse Lamela sarebbe la star assoluta. Venendo alle squadre di vertice (per posizione di classifica o blasone) la situazione comunque non cambia.

Partiamo da quella che è la Regina incontrastata della Serie A, in questo momento storico: la Juventus.

Due campionati consecutivi all’attivo, un terzo quasi ipotecato con la vittoria di domenica ai danni della diretta concorrente allo Scudetto, la Roma.

Certo, nel 3-5-2 utilizzato solitamente da Antonio Conte Lamela avrebbe poco senso di esistere. Ma chissà che proprio in virtù di questa tranquillità con cui la Juventus potrà vivere la seconda parte di stagione il mister Bianconero non possa decidere di effettuare dei cambiamenti di formazione, esperimenti che possano portare a cambiare qualcosa in vista della prossima stagione (dove la società di Torino dovrà provare a ridare l’assalto almeno ai quarti di finale di Champions).

In questo senso si potrebbe iniziare ad applicare un 4-3-1-2 che veda proprio il talentino argentino alle spalle di due punte – che potrebbero tranquillamente rimanere Tevez e Llorente -, con l’arretramento di Lichtsteiner sulla linea di difesa, il ritorno di Chiellini a terzino sinistro ed il panchinamento di Asamoah proprio in favore del Coco.Juventus con Lamela

Una soluzione, questa, sicuramente fattibile. E che porterebbe ad un accrescimento del valore “overall” della squadra, posto che chiunque credo ritenga Lamela superiore, in termini assoluti, al centrocampista ghanese ex Udinese.

Una soluzione peraltro interessante anche dal punto di vista tattico, perché se è vero che Conte sta pensando al 4-3-3 per il futuro della sua squadra è altrettanto naturale pensare che Lamela, nel corso del match, possa tranquillamente essere impiegato anche come esterno offensivo, col decentramento di Tevez sulla fascia opposta e l’uso di Llorente come unico terminale offensivo vero e proprio.

Una prospettiva sicuramente molto interessante per la Juventus, che secondo alcune fonti starebbe addirittura pensando all’acquisizione del cartellino del giocatore, con Vucinic possibile – parziale – contropartita in questa operazione.

E se Lamela farebbe comodo alla prima della classe, come potrebbe non far comodo a tutte le altre?

La Roma lo ha sacrificato in estate per finanziarsi il calciomercato (e con lui, Marquinhos), ma certo non ne avrebbe voluto fare a meno da un punto di vista tecnico.
Tornasse anche solo per sei mesi là dove si consacrò la scorsa stagione, Lamela si riprenderebbe sicuramente un posto da titolare nello scacchiere di Garcia. Troppo calcisticamente – anche se non atleticamente – superiore ad un Gervinho (che pure è uno dei punti fermi della squadra) per poter guardare gli altri dalla panchina.

E che dire del Napoli, che gioca con un modulo con addirittura tre trequartisti?

Insigne, Mertens, Callejon ed Hamsik sono tutti ottimi giocatori, soprattutto se rapportati al livello medio attuale del nostro calcio. Ma è davvero impossibile pensare che Lamela non si potrebbe ritagliare un ruolo importante, anche solo per sei mesi, pure nella squadra di Rafa Benitez.

A Firenze poi quest’anno sono stati sfortunatissimi. Dapprima l’infortunio a Gomez, poi quello a Pepito Rossi.
Giusto stamattina sentivo Montella dire in conferenza stampa che cercheranno sul mercato un esterno/seconda punta in grado anche di fare goal. Un identikit che può adattarsi benissimo a Lamela.Rossi e Gomez

Insomma, l’antifona l’avete capita. Lamela in Italia farebbe comodo a chiunque. Anche a quella Lazio i cui tifosi – almeno, una parte di essi – ne ostracizzano il possibile (per me praticamente impossibile, in realtà) arrivo a causa dei suoi trascorsi Giallorossi.
Eppure un tridente composto da Keita, Klose ed appunto il Coco proprio male non sarebbe, come ha voluto affermare stamattina la collega Monia Bracciali di Massima Woman in Sport…

Chiudo con un pensiero alle due milanesi: da una parte l’Inter, che ha nel solo Palacio un giocatore affidabile dalla metàcampo in su. Lamela non potrebbe che fare bene.

Dall’altra il Milan. Undicesimo in classifica, 22 punti in 18 giornate, ottavo miglior attacco della Serie A. Beh, direi che non serve nemmeno spiegare perché Lamela non potrebbe che far comodo ai Rossoneri…

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