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Archive for novembre 2013

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Solo ieri parlavo della possibile fine di un’era.
Giusto oggi Adriano Galliani ha annunciato che lascerà il Milan.Adriano Galliani

Si chiude quindi così il ciclo di uno dei dirigenti più capaci e vincenti della storia del calcio. Italiano certo, ma credo non solo.

Il suo approdo in Rossonero è datato 1986 (chi scrive aveva solo un anno). In questi ventisette anni il Milan ha saputo, anche grazie a lui, vincere ben 28 trofei. Più di uno all’anno.

Ma anche la sua storia d’amore con il club della famiglia Berlusconi, come tutte le storie d’amore, era destinata a finire.

Niente di scandaloso, quindi, vederlo lasciare quella che è stata casa sua nelle ultime tre decadi.

Il problema vero sono modi e tempi in cui questo divorzio si è consumato.

Partiamo dalla scarsa tempestività della cosa: era proprio necessario generare la rottura ad inizio stagione per fare in modo che la situazione esplodesse oggi?
Non sarebbe stato meglio tenere tutto sottotraccia, iniziare a lavorare per il futuro facendo presente a Galliani che ci sarebbe stato un deciso cambio di rotta, ma rendere il tutto pubblico solo a fine stagione?

In realtà non credo che la squadra, che ha già tantissimi problemi senza pensare alle vicende societarie, risentirà in maniera particolare della cosa. Del resto Galliani è sì stato un faro della squadra, ma la proprietà non cambia e gli stipendi non sono a rischio (ed alla fine è questo che conta).

Però nel contempo non trovo nemmeno utile aggiungere ulteriore pressione ad un ambiente che, appunto, ha già le sue belle gatte da pelare.

Poi, i modi. E questa è probabilmente la faccenda più triste di questa vicenda.Barbara Berlusconi

Visti i tantissimi anni passati in Rossonero Galliani meritava un trattamento diverso. La rottura è stata uno strappo. La situazione andava gestita coi guanti. Galliani andava accompagnato all’uscio, non defenestrato come è stato fatto.

Perché si può essere potenti e danarosi, ma non bisogna mai dimenticarsi una parola: RISPETTO.

Che dire? La parabola calcistica di Adriano Galliani penso sia finita, perché non lo vedo collaborare con altre società (sicuramente non italiane, comunque). Resta il ricordo di un dirigente vincente e chiacchierato (come capita sempre, a certi livelli).

E per il futuro?

Personalmente tenterei di riavvicinare un po’ di bandiere. In primis Paolo Maldini, che oltre ad essere stato un grande calciatore mi sembra essere anche un uomo molto intelligente.

E poi chissà. Seedorf, anche se non subito da allenatore (quantomeno non della prima squadra). Magari Albertini, che dovrebbe liberarsi dal suo ruolo Federale a fine stagione. Perché no un Arrigo Sacchi nel ruolo di supervisore, magari proprio del settore giovanile visto il suo attuale incarico in Federazione.

Ma non solo. Il Milan sta rifondando la sua dirigenza e Barbara Berlusconi, di cui sinceramente non conosco la competenza calcistica, deve circondarsi di persone capaci. E che, ovviamente, non debbano per forza avere un passato milanista.Sean Luca Sogliano

Su chi punterei io come Direttore Sportivo? Su quello che ritengo essere il migliore in prospettiva, ammesso e non concesso non lo sia già oggi: Sean Luca Sogliano.

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“Il Presidente ha altro cui pensare”, “Galliani è bollito”, “Braida non conta nulla”, “Barbara non ha la competenza adatta”.

Sono queste alcune delle frasi che sento ripetere più spesso ai tifosi del Milan, che conosco o in cui mi imbatto in rete.Berlusconi e Galliani

Il pessimismo ormai è imperante. Ed ovviamente la cosa è capibile: la squadra attualmente naviga in zone di classifica poco confortanti, essendo tredicesima con quattordici soli punti guadagnati in tredici match (venti giusti meno della capolista Juventus e a meno quattordici dal terzo posto), cioè a quattro sole lunghezze dalla zona retrocessione.

I punti su cui si soffermano più spesso i ragionamenti dei supporter Rossoneri sono noti: la presunta stella della squadra, Balotelli, colleziona cartellini più che goal. L’allenatore sembra essere inadeguato al ruolo che occupa (ed è ormai quasi solo un parafulmine per la società, aggiungo io). La rosa è povera di talento in un po’ tutti i reparti. L’unico a giocare bene è un quasi ex giocatore che però, grazie al talento e alla professionalità, riesce ad emergere in un contesto “povero” come quello Rossonero. Ecc, ecc, ecc.

Bene.
Sinceramente ho poco da obiettare a chi fa ragionamenti di questo tipo, perché rispecchiano abbastanza fedelmente la realtà delle cose.

Ma… c’è sempre un ma.

Da quando seguo il calcio con buona costanza (ahimè il conto degli anni è ovviamente in continua crescita) devo dire che non è la prima volta che mi trovo ad assistere a situazioni simili che riguardano il Milan.

Del resto il calcio, un po’ come dovrebbe essere (e speriamo sia) per l’economia, vive di cicli.
Nessuna squadra può pensare di vincere sempre e per sempre.

Così si alterneranno momenti, composti da una o più stagioni, in cui le cose andranno bene (Milan di Sacchi, Capello e Ancelotti per restare in ambito Rossonero, Juventus di Lippi e Capello per fare un paio di esempi colorati di bianco e nero, Inter di Mourinho per venire all’altra compagine milanese) ad altri in cui nulla sembrerà girare e non si vedrà la luce in fondo al tunnel (dal Milan di Tabarez all’Inter di Orrico passando per la Juve del ritorno in A post Calciopoli, gli esempi sarebbero svariati anche solo limitandoci alle tre “grandi strisciate” del nostro calcio).Corrado Orrico

Quindi non tutto è perduto, cari amici milanisti.

Del resto giusto oggi pomeriggio mi sono imbattuto nella lista degli acquisti fatti nella stagione 97-98 dal club. E credo che, soprattutto visti col senno del poi, fossero stati quasi tutti acquisti senza capo né coda.

Eppure… eppure da quel momento in avanti il Milan ha saputo ritrovarsi e darsi nuovo slancio verso altre gloriose vittorie. L’elenco della spesa sarebbe inutile farlo. E credo basti citare le Champions vinte nel 2003 e nel 2007.

Ma chi furono i prodi guerrieri sbarcati nella Milano Rossonera quell’anno?

Come portieri arrivarono Simone Braglia e Massimo Taibi.
Il primo sarà una semplice riserva, il secondo un buco nell’acqua clamoroso: dopo le buone cose mostrate a Piacenza, infatti, l’ex Licata non riuscirà a ripetersi in una piazza importante come Milano, mettendo in scena una serie di prestazioni non all’altezza e finendo col perdere il posto in favore di Sebastiano Rossi al termine del girone d’andata. Venendo poi prestato al Venezia la stagione successiva e ceduto quella dopo ancora.

Non molto differente il discorso che riguarda la difesa. Il partente Reiziger sarà rimpiazzato con l’ex compagno Winston Bogarde, ma i tifosi non apprezzeranno miglioramenti.

Sui navigli approderanno anche Steinar Nielsen dal Tromso e Dario Smoje dal Rijeka.
Il primo non fu consideratissimo. A questo si aggiunse la sfortuna di una problema al menisco esterno, e finì col giocare pochissimo, venendo spedito a Napoli al termine della stagione (dopo tre anni in Campania tornerà là da dove era partito).
Il secondo non avrà molta più fortuna in maglia Rossonera, e dopo un paio di stagioni discrete passate in B a Monza tenterà il rilancio a Terni, decidendo però di tornare in patria nel 2001, per non fare mai più ritorno in Italia (e tantomeno al Milan).Dario Smoje

Un pochino di più seppe fare Giuseppe Cardone che, cresciuto proprio nelle giovanili della società guidata da Silvio Berlusconi, tornò all’ovile dopo un breve girovagare tra Pavia, Leffe, Lucchese e Bologna.
Le cose non andarono comunque a meraviglia, e dopo una stagione in cui collezionò qualche presenza venne accantonato da mister Zaccheroni, giunto al Milan l’anno successivo, per essere ceduto definitivamente nel gennaio del ’99.

E che dire di Christian Ziege? Giunto in Rossonero coperto dalle più alte aspettative, non seppe mantenere le promesse. E dopo un paio di stagioni condite da alti e bassi (pochi alti e tanti bassi, oserei dire) tenterà una comunque non fortunatissima avventura inglese, per chiudere poi la carriera nel 2005 al Gladbach.

Assolutamente nulla di eccezionale nemmeno l’esperienza milanista di Andrè Cruz, che dopo le tre buone stagioni disputate a Napoli sbarca al Milan nonostante fosse ad un passo dall’Inter (che per una sorta di risarcimento girarono ai cugini Checco Moriero, appena acquistato dalla Roma) senza però brillare come ci si aspetterebbe da lui. Che, esattamente come Cardone, sarà messo ai margini della squadra l’anno successivo da Zac, decidendo di accettare il prestito allo Standard Liegi nel gennaio successivo.

Tra i vari cavalli di ritorno, oltre a Cardone, ci fu anche Roberto Donadoni. Che dopo le grandi cose fatte tra l’86 ed il 96 decise di tentare l’avventura newyorkese, salvo poi tornare all’ovile proprio nell’estate del 1997.
Anche per lui un impatto non straordinario con questa nuova vecchia esperienza, con un totale di 29 presenze collezionate in due stagioni che gli fecero maturare la decisione di tentare una nuova scommessa esotica firmando con l’Al Ittihad nell’estate del 1999.

A centrocampo quell’anno arrivarono anche Ibrahim Ba e Giampiero Maini.
Il primo, subito ribattezzato Beaujolais nouveau dal Presidente Berlusconi, ebbe un rendimento altalenante ed è ricordato dai tifosi più per la sua figura pittoresca (colored coi capelli ossigenati) che non per le gesta in campo. Il secondo, reduce dalla Coppa Italia conquistata a Vicenza, scenderà in campo ben 25 volte. Risultando così uno dei principali artefici della pessima stagione disputata dai Rossoneri.
Lascerà anche lui la squadra a gennaio del 1999.Ibrahim Ba

L’unico acquisto di peso in mediana, quindi, fu quello di Leonardo, che sbarcò a Milano proveniente da Parigi. La sua classe e la sua personalità non aiutarono a non far affondare la nave, certo, però furono determinanti per la vittoria dello Scudetto dell’anno successivo.

Infine, l’attacco. E cari amici milanisti: reggetevi forte.

La vera e propria punta di diamante doveva essere Patrick Kluivert. Che dopo aver purgato proprio i Rossoneri in finale di Coppa dei Campioni solo un paio d’anni prima era pronto a vestire i panni di novello Van Basten.
Nulla di più sbagliato.
In Rossonero resterà un solo anno, non dimostrando l’attitudine e la cattiveria agonistica giusta per affrontare il nostro campionato, meritandosi la fama di mangia-gol ed attirando su di sé le attenzioni della Gialappa’s Band.
Esperienza meneghina che, così, durerà solo un anno per lui.

L’altro acquisto, destinato a dare nuova linfa al reparto offensivo milanista, fu Andreas Andersson. Capace di siglare una sola rete (per altro inflitta ad un ragazzo che lasciò il Milan proprio quell’estate, Pagotto) finendo con lasciare il Duomo e la Madonnina solo dodici mesi più tardi.

Insomma, in quell’intera sessione di mercato possiamo dire si salvò un giocatore solo.

E chissà quanti furono i tifosi milanisti che, all’epoca, sentivano come se un’era Rossonera fosse destinata a chiudersi.

Eppure… eppure il Diavolo è tornato a scaldare i cuori e vincere molto presto.
Ovviamente non ho la sfera di cristallo e non so se e quando ciò accadrà di nuovo. Ma se la storia deve insegnarci qualcosa, cari amici milanisti, non può insegnarci che un Diavolo non si da mai per morto!Andreas Andersson

(Per la cronaca, il Milan quell’anno terminerà al decimo posto in classifica.)

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Ieri un tweet di Pietro Nicolodi ha scatenato un po’ di reazioni in rete e una serie considerazioni in me su quello che è Gonzalo Higuain.

Un giocatore che chi mi conosce sa non essere tra i miei preferiti. Ma che nel contempo resta una punta di buonissimo livello.Gonzalo Higuain

La questione è: un giocatore di questo genere rientra nella tanto inflazionata definizione di top player?

Vedendo quanto è stato pagato la risposta sarebbe automatica: sì. Forse, però, la sua valutazione di mercato è un pochino più alta del suo effettivo valore.

Parlando genericamente di lui ci sono delle cose che saltano all’occhio: punta dotata di un’ottima base tecnica e di un fiuto del goal comunque notevole, ha sicuramente limiti evidenti ma nel contempo non ci sono moltissimi bomber che gli sono indubbiamente superiori, al mondo.

In più credo che, nei prossimi anni di carriera, possa maturare ulteriormente, accrescendo il proprio – già tutt’altro che disprezzabile – livello di gioco.

Se dovessi provare a “pesarlo”, però, non lo farei rientrare nella categoria “top player”.

Dove per top player intendo un giocatore di valore assoluto, che sappia impattare sui match in maniera più o meno sempre significativa.

Higuain, come detto, è un buon bomber, ma comunque limitato. Un giocatore di alto ma non altissimo profilo.

Eppure è costato 40 milioni. Una cifra altissima, soprattutto per l’attuale mercato italiano.

Così mi sono messo a fare due conti. Un paragone per definire meglio i contorni di questa operazione.

Il parallelo quindi viene fatto in rapporto al mercato della Juventus che ha riguardato il reparto offensivo.

Intendiamoci. I moduli utilizzati dalle due squadre sono diversi. Però la cosa ritengo risulti comunque interessante.

Così se sommiamo i soldi spesi per l’acquisizione del cartellino dell’ex Real a quelli che ogni anno deve investire la società per pagargli lo stipendio arriviamo ad una cifra complessiva che, secondo i miei calcoli, dovrebbe ammontare a 83.5 milioni di euro circa. Un investimento sicuramente pesantissimo, anche se spalmato su base quinquennale.

Dal canto loro, invece, i dirigenti della Juventus hanno acquisito due nuove punte, ristrutturando così – efficacemente – il proprio reparto offensivo.

Ovviamente, parlo di Tevez e Llorente.

Il primo è arrivato per 9 milioni più sei di bonus, da pagare a seconda delle prestazioni e dei risultati raggiunti nelle prossime tre stagioni.
Il secondo è invece stato acquistato, come è noto, a parametro zero.

In questo caso l’operazione totale, compresa ovviamente di stipendi al lordo, ammonta a 71.1 milioni di euro.

Ovvero: la Juventus ha acquistato due punte spendendo complessivamente meno di quanto il Napoli ha speso per il solo Higuain.

Logicamente le situazioni non sono paragonabili. Ma siamo sicuri che il detto “chi più spende meno spende” sia sempre valido?

A parità di costo (senza contare il fatto che in questo caso, come si è visto, non è nemmeno una vera parità) meglio, in generale, acquistare il solo Higuain o affidarsi al duo Llorente-Tevez?Llorente Tevez

A voi l’ardua sentenza.

Io un’opinione ce l’ho. E credo si legga bene, tra le righe.

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Non esistono allenatori capaci di non sbagliare.

Se dovessi dare una definizione dei grandi coach, quindi, direi che sono coloro i quali riescono a sbagliare il meno possibile.
Anche se in questo senso mi piace ricordare anche la definizione che ne diede Mauro Milanese nel corso di una cena cui partecipai per lavoro: “I grandi allenatori sono quelli che fanno meno danni possibili”.Walter Mazzarri

Comunque la si voglia guardare, un grande allenatore, per definirsi tale, deve essere munito di coraggio.

Che sia per lanciare un giocatore quanto per vincere una partita, credo questa sia una qualità da cui non si possa prescindere se si vuole assurgere alla perfezione.

Coraggio che sembra spesso mancare al buon Walter Mazzarri, coach con tante qualità (splendido il suo gioco in verticale ed in velocità del Napoli di Hamsik e Cavani, come evidente la sua capacità di rinvigorire giocatori in fase opaca, come Jonathan, Alvarez o Cambiasso) ma con anche limiti evidenti.

Il primo è ormai notissimo ai più e riguarda proprio la sua riluttanza a lanciare i giovani, ribadita anche quest’anno a Milano.

Se già in quel di Napoli aveva infatti fatto capire che al giovane virgulto tendeva a preferire l’esperto mestierante, all’Inter la cosa è ancora più evidente.

Proprio in estate dissi che Icardi e Kovacic, tra gli altri, avrebbero maledetto presto il suo arrivo alla Pinetina.

Certo, siamo ancora ad inizio stagione, ma le cose sono già piuttosto evidenti.

Kovacic continua a partire costantemente in panca, nonostante per talento sia uno dei giovani più interessanti d’Europa e, se non bruciato, potrebbe diventare centrocampista di alto livello richiesto da tutti i top team.

Icardi è sì infortunato, ma non è che se la passasse tanto meglio quando a disposizione.

Del resto Mazzarri schiera la sua Inter senza punte pure (l’unico attaccante, Palacio, è infatti una seconda punta). Ed in mezzo all’inventiva che potrebbe apportare il genietto croato preferisce la “solidità” dei vari Cambiasso, Taider e Guarin.

Da questo semplice ragionamento, corroborato dai fatti, nasce quindi spontanea una domanda: può Walter Mazzarri essere l’allenatore giusto di un Presidente – Thohir – che ha detto di voler puntare su giovani di valore per un progetto che rifaccia grande l’Inter?

L’altra riflessione sorge invece spontanea dopo aver visto l’atteggiamento dei Nerazzurri ieri a Bologna.

Partendo dall’ormai noto – quanto rinunciatario – 3-5-1-1, Mazzarri ha deciso di sbilanciarsi solo al 40esimo del secondo tempo, con l’inserimento di Belfodil in luogo di Campagnaro.Erick Thohir

Una decisione troppo tardiva che non ha permesso ai suoi di trovare la rete che avrebbe garantito i tre punti e, soprattutto, l’aggancio al Napoli.

Tutte situazioni in cui il poco coraggio dell’allenatore livornese si è mostrato palese.

E la solita domanda: può essere lui l’allenatore giusto per l’Inter di Erick Thohir?

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Si giocherà stasera l’andata dei playoff della zona UEFA che consegneranno gli ultimi quattro posti utili per sbarcare al Mondiale brasiliano la prossima estate.

Quattro i match che verranno giocati. Tra lo scontro tra i titani Ronaldo e Ibrahimovic  – cui A Bola dedica una splendida copertina – in Portogallo vs. Svezia, agli scontri tra Grecia – Romania ed Islanda – Croazia, sino ad arrivare all’impegno che vedrà la Francia impegnata in Ucraina.

Un impegno tutt’altro che semplice per i Galletti, che proprio agli ucraini avevano ceduto, per un solo punto, l’ultimo posto utile nell’urna 1 del sorteggio di questo spareggio, non venendo quindi considerati teste di serie.

Ucraina vs Francia

I francesi quindi – già campioni del Mondo nel 1998 nonché bicampioni d’Europa grazie agli allori conquistati nell’84 e nel 2000 e vincitori di due Confederations Cup – si apprestano ad affrontare un ennesimo spareggio per accedere alla fase finale di un Campionato del Mondo.

I Transalpini non sono infatti nuovi a questo tipo di situazione, più o meno formale, come dimostrato dalle foto pubblicate oggi da L’Equipe, che ripercorrono un po’ la storia delle qualificazioni.

Nel lontano 1949 (ovvero, per la serie “corsi e ricorsi storici”, prima dei Mondiali giocati proprio in Brasile l’anno seguente) – i Bleus affrontarono in un match di andata e ritorno l’allora nazionale jugoslava cercando, esattamente come faranno stasera, di strappare un pass per la rassegna iridata.

In quel caso entrambi i match terminarono 1 a 1, non permettendo a nessuna delle due compagini di guadagnarsi la qualificazione.
Che venne quindi decisa in uno spareggio ulteriore giocato su campo neutro, in quel di Firenze: davanti a 25mila spettatori la Jugoslavia si impose – anche se solo ai supplementari – per 3 a 2, vanificando così le reti realizzate da Marius Walter (nella foto qui sotto) e Jean Luciano.Marius Walter 1949 vs.  Jugoslavia

Non è uno spareggio formale, ma nei fatti lo fu, quello che vide i Transalpini scontrarsi a Bruxelles contro il peggio il 27 ottobre del 1957.

Inseriti nel gruppo 2 europeo, i francesi vinsero i primi tre match contro Islanda (due volte) e gli stessi cugini belga, giocandosi quindi tutto proprio nell’ultima partita del girone.

In virtù delle tre – per altro comode – vittorie i Galletti avevano bisogno solo di un pareggio, che arrivò – a reti inviolate – in particolar modo grazie alle parate di Claude Abbes (già presente ai Mondiali precedenti, in cui però non scese in campo).

Alla fase finale di quel torneo, disputato in Svezia, i francesi (forti dei 13 goal totali di Just Fontaine) arriveranno quindi terzi, dovendosi inchinare allo strapotere del Brasile dei cinque grandi (Didi, Pelè, Vavà, Garrincha e Zagallo) in semifinale.

Quello rimarrà il miglior risultato (eguagliato nel 1986) della nazionale Transalpina fino al 1998, quando di fronte al proprio pubblico la Francia guidata da Zidane riuscirà a salire per la prima volta sul tetto del mondo.Claude Abbes vs. Belgio 1957

Terzi al mondo nel 1958, nessuno si aspetterebbe di vedere una Francia faticare per guadagnare la qualificazione all’edizione successiva.

Invece i Galletti, inseriti nel gruppo 2 della zona UEFA, termineranno a parità di punti con i bulgari il proprio cammino, demandando allo spareggio il responso finale.

Così il 16 dicembre del 1961 San Siro ospiterà la gara secca che deciderà chi dovrà volare in Cile nell’estate successiva.

Alla fine un autogoal di André Leonard su tiro di Yakimov condannerà i Transalpini a guardarsi il Mondiale da casa.Francia vs. Bulgaria 1961 @ San Siro

Il 1965 dà invece la possibilità ai Bleus di prendersi una rivincita. Non contro i bulgari, rei di aver lasciato una delle presunte potenze fuori dall’ultimo Mondiale, bensì contro quella nazionale jugoslava che aveva messo i bastoni tra le ruote dei francesi una quindicina d’anni prima.

Così inseriti nel gruppo 3 i francesi, che caddero comunque in quel di Belgrado, seppero imporsi grazie alla vittoria casalinga – decisiva – ottenuta al termine del proprio percorso contro la Jugoslavia.

Eroe del match fu Philippe Gondet (nella foto sotto il primo da sinistra): la punta del Nantes, alla sua prima presenza in nazionale, marcò l’unica rete del match, consegnando ai suoi il pass per i Mondiale del 1966.

Oltremanica i Galletti non riuscirono però a brillare: così dopo il pareggio iniziale contro il Messico e le sconfitte con Uruguay ed Inghilterra dovettero abbandonare fin dal primo turno la competizione.Philippe Gondet, Bernard Bousquier e Louis Cardiet in Francia vs. Jugoslavia del 1965

La storia però non si ferma lì.

Dopo un periodo buio che porta i Galletti a mancare la qualificazione per due edizioni consecutive la Francia si prende la sua seconda rivincita, questa volta contro la Bulgaria: è il 16 novembre del 1977 quando i francesi s’impongono al Parc des Princes contro la nazionale bulgara per 3 a 1, in un match fondamentale per strappare la prima posizione nel gruppo 5 e volare in Argentina.

Di Rocheteau, Platini (foto sotto) e Dalger le marcature che permettono ai ragazzi di Martin Hidalgo di strappare un pass per il Mondiale.

Spedizione francese che non sarà comunque molto fortunata: inseriti nel raggruppamento 1 con Italia, Ungheria ed i padroni di casa, i Bleus perderanno i primi due match, riuscendo ad imporsi solo contro i magiari. E terminando così, anche in questo caso, il proprio Mondiale al primo turno.Platini vs. Bulgiaria 1977 @ Parco dei Principi

Due simil spareggi sono necessari anche quattro anni più tardi, quando Platini e compagni si giocheranno l’approdo al Mondiale spagnolo (sì, quello vinto dagli Azzurri).

Inseriti nel gruppo 2 di qualificazione della zona europea, i galletti non raccoglieranno prestazioni brillantissime, trovandosi nella non comodissima condizione di dover assolutamente raccogliere due vittorie negli ultimi due match, rispettivamente contro Olanda e Cipro.

Missione compiuta, anche grazie ad una punizione di Le Roi (foto sotto) e Irlanda beffata in virtù della differenza reti.

Transalpini che poi ben figurarono in Spagna, dove cedettero solo ai rigori contro la Germania Ovest in semifinale, per poi veder sfumare il secondo possibile bronzo della propria storia nella finalina persa contro la Polonia di Boniek.Platini vs. Olanda 1981

Per la qualificazione al Mondiale successivo la Francia verrà inserita nel gruppo 4 di qualificazione al torneo iridato, assieme a Bulgaria e Jugoslavia.

Proprio gli jugoslavi verranno affondati da una doppietta del solito Platini (foto sotto) il 16 novembre del 1986, in un match che sancirà la convocazione dei Galletti, che strapperanno così un pass per il Messico.

Dove ben figureranno ancora una volta, trovando il proprio capolinea in semifinale. Andando però a guadagnarsi la propria seconda medaglia di bronzo: dopo aver eliminato Italia e Brasile i Transalpini si dovettero piegare alla Germania Ovest, per consolarsi poi con la vittoria 4 a 2 sul Belgio di Scifo.

Certo che fascino avrebbe avuto una sfida Platini – Maradona in finale!Michel Platini vs. Jugoslavia 1985

Quella dei francesi con i bulgari sembra però essere una battaglia infinita. Così dopo non essersi qualificati per i Mondiali del 1990 i Galletti sono determinitassimi a rifarsi quattro anni più tardi, andando a guadagnarsi un pass per il mondiale americano.

Impresa che sembra tutt’altro che proibitiva ma che in qualche modo si complica con la sconfitta contro Israele.

A quel punto, con una sola gara da giocare, ai ragazzi di Gerard Houllier basterebbe solo un pareggio contro la Bulgaria. Che però il 17 novembre del 1993 giocherà un brutto scherzo ai Transalpini.

Il goal firmato da Eric Cantona illude un intero popolo. Che viene però ghiacciato dalla doppietta di Kostadinov (nella foto sotto il secondo goal), che affosserà così le speranze francesi lanciando in orbita una nazionale bulgara poi capace di arrampicarsi fino al quarto posto negli States.Kostadinov vs. Francia 1993 @ Parco dei Principi

La nostra storia salta così a tempi molto più recenti, più precisamente al 7 settembre del 2005.

Quando al Lansdowne Road di Dublino Thierry Henry regalerà (foto sotto) una vittoria fondamentale alla sua nazionale, capace di strappare il biglietto per la Germania qualche settimana dopo contro Cipro.

In terra tedesca, difficile dimenticarselo, le cose non andarono certo male per la nazionale allenata da Raymond Domenech, piegata solo in finale dall’Italia di Marcello Lippi, capace così di guadagnarsi la quarta Coppa del Mondo della propria storia.Thierry Henry vs. Eire 2005

Infine, il match dello scandalo.

E’ il 19 novembre del 2009 e a Saint-Denis i Galletti si giocano tutto contro l’Irlanda.

Dopo la vittoria di Dublino (marcata da una segnatura di Anelka), infatti, ai francesi può bastare un pareggio. Ma le cose non girano, ed una rete di Robbie Keane spedisce la gara ai supplementari.

Qui, il fattaccio.

Thierry Henry riceve palla in area e controlla, in maniera vistosissima, con la mano (foto sotto), per poi assistere Gallas per il goal che vale un pass per il Sudafrica.

Il karma però non mente, e alla prova dei fatti La Francia si scioglierà sotto il sole africano, pareggiando contro l’Uruguay e rimediando due brutte sconfitte con Messico e Sudafrica.Fallo di mano Thierry Henry vs. Irlanda

Così stasera la nazionale francese scriverà la prima parte di un nuovo capitolo che riguarda le qualificazioni ai mondiali, non sempre semplici e felici per i nostri cugini d’Oltralpe.

Se positivo o negativo, per loro, lo sapremo tra poche ore…

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Il calcio italiano, è ormai palese a tutti, sta attraversando un momento di difficoltà a più livelli.

Il talento complessivo dei nostri ragazzi sembra essere sceso rispetto a qualche decade fa, e se a questo ci aggiungiamo la crisi economica che attanaglia l’intero Stivale (e forse anche l’incapacità dei nostri club di lavorare affinché possano competere economicamente con le attuali superpotenze europee) ecco che il quadro è completo.Serie A 2013-2014

Proprio in questo scenario si vanno ad incastonare tutti quei giocatori nostrani che hanno deciso di abbandonare la nostra Serie A per cercare fortuna (tecnica e/o economica all’estero).

Scorrendo i nomi mi è venuto da comporre una sorta di formazione-tipo, che ho deciso di riproporvi per sapere quale può essere il vostro parere.

Se una squadra italiana avesse deciso, per assurdo, di riportarli tutti in Serie A e comporre la propria rosa solo di (a quel punto ex) “italiani all’estero” quanto competitiva sarebbe stata quella squadra?

Iniziamo dalla porta, dove il titolare praticamente obbligato sarebbe Sirigu, come ben sappiamo oggi titolare del PSG arabo che sogna di fare strada in Champions e di confermarsi campione di Francia ai danni del Monaco dell’oligarca russo.

Attuale secondo di Buffon in Nazionale, sarebbe indubbiamente uno dei migliori portieri del campionato.

E se Sirigu sarebbe titolare fisso, nessun problema nemmeno nel reperire alternative di livello quantomeno discreto. Entrambi attualmente impegnati in Premier, le spalle dell’ex estremo difensore del Palermo sarebbero coperte da Viviano e Mannone, per un trio certo non disprezzabile.

La difesa, nonostante una discreta moda che negli ultimi anni ci ha portato a vedere diversi schieramenti a 3, sarebbe poi schierata a cinque.

Nessun grande dubbio sul terzino sinistro, Mimmo Criscito. Che dal suo “esilio dorato” di San Pietroburgo non avrebbe grande difficoltà a strappare una maglia da titolare a Crescenzi, approdato in estate all’Ajaccio.

Qualche perplessità in più sul fronte opposto dove Santon, che potrebbe comunque giostrare tranquillamente su entrambi i fronti di gioco, lotterebbe con una maglia da titolare con un altro prodotto della cantera interista, quel Donati sbarcato proprio in estate, dopo un discreto Europeo under 21 giocato da titolare, in Bundesliga.Davide Santon

Sempre in Germania gioca, da quest’anno, un ragazzo che con Donati ha davvero molto in comune: Caldirola. Cresciuto in Nerazzurro, ha partecipato all’ultima kermesse europea di categoria per poi fare le valigie e lasciare l’Italia in cerca di fortuna.

Anche lui potrebbe guadagnarsi una maglia da titolare, andando quindi a formare con Bocchetti una coppia di centrali perlomeno discreta ed un reparto tutto sommato globalmente non disprezzabile.

E le alternative? Le principali sarebbero probabilmente il buon vecchio Matteo Ferrari ed Angella. Il tutto con un pensiero a Nesta, ritiratosi da poco e che potenzialmente avrebbe comunque potuto comporre la rosa di questo fantomatico club ad inizio stagione!

Passando a centrocampo si potrebbe poi pensare di scalare in fascia, sacrificandone comunque gli istinti da killer sotto porta, Fabio Borini, che ha già fatto un paio di volte in carriera la spola tra l’Italia e l’Inghilterra.
Giocatore che per spirito di sacrificio potrebbe provare ad adattarsi a questo ruolo, avrebbe nell’ex Parma Pisanu un sostituto forse più naturale ma sicuramente anche di livello complessivamente inferiore.

La fascia di sinistra potrebbe invece essere presidiata da uno dei pupilli di Conte, Giaccherini, trasferitosi anche lui Oltremanica di recente.
In questo caso l’alternativa potrebbe essere Fabbrini.

Certamente, nel complesso, una soluzione sugli esterni piuttosto offensiva.

Per comporre la coppia di centrali, poi, bisogna tornare in quel di Parigi, dove giocano Motta e Verratti, sicuramente una delle stelle di questa ipotetica formazione.
Quantità e qualità al servizio della squadra.Marco Verratti

Senza dimenticare che lì in mezzo tanta qualità potrebbe darla anche l’italoargentino, attualmente impegnato con la nostra under 21, Battocchio, giocatore dalla spiccata propensione offensiva che potrebbe comunque porsi come alternativa soprattutto all’ex pescarese.

Infine, l’attacco. Dove le soluzioni non mancano.

Indubbio dire che sulla l’unico vero titolare indiscutibile sarebbe Osvaldo, per altro giocatore stabilmente nel giro della Nazionale (e che con un’altra testa giocherebbe stabilmente a livelli più alti).

Al suo fianco diversi i giocatori che potrebbero provare a supportarlo. Tra questi sceglierei sicuramente Alessandro Del Piero, campione senza tempo. Che però logicamente non potrebbe garantire continuità di rendimento, ed ecco che entrano in gioco anche il sempreverde bomber Di Vaio, il piccolo funambolo italoargentino Forestieri e, utilizzabile anche come alternativa all’ex puntero romanista, quel Graziano Pellè che in Olanda sta facendo valanghe di goal.

A completare una rosa già comunque piuttosto folta potrebbero poi pensarci Davide Faraoni, Federico Macheda, Andrea Dossena, Andrea Raggi, Christian Molinaro, Fausto Rossi, Federico Piovaccari e perché no il giovane Antonio Rozzi, in goal ieri con l’under 21 contro i parietà nordirlandesi.

Insomma, un piccolo esercito di calciatori Azzurri che se riportato in Serie A potrebbe andare a comporre un roster di livello discreto, con qualche picco di qualità come i nazionali di Prandelli.Cesare Prandelli

Una squadra che secondo il mio avviso partirebbe per posizionarsi almeno a metà classifica, ma che se ben allenata e messa in campo (ed in questo caso le opzioni sono le più svariate, visti i nostri tanti tecnici emigrati) potrebbe perché no provare a lottare fino in fondo a lottare anche per un posto quantomeno a ridosso dell’Europa.

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Venerdì a mezzogiorno ho fatto visita al Franco Ossola per tastare sul campo quale fosse lo stato di salute del Varese (squadra che mi è, geograficamente, molto vicina).

I Biancorossi, dopo un buon avvio di stagione, venivano infatti da una serie di partite in cui oltre a non aver brillato non erano nemmeno riusciti a centrare il bersaglio grosso: i tre punti.Stefano Sottili

Quale occasione migliore se non tornare alla vittoria di fronte al proprio pubblico contro l’ultima in classifica?

La cornice era perfetta. Su iniziativa del (sempre meno) neo Presidente Laurenza il Franco Ossola appariva gremito quasi in ogni ordine di posto, grazie ai 2500 bambini delle scuole calcio della provincia invitate sugli spalti.

A mancare, a quel punto, era solo la prestazione in campo.

Che però non è arrivata.

Nonostante il vantaggio – firmato da Neto, a secco da un po’ ma giocatore indiscutibile nella categoria – infatti i Biancorossi si sono fatti prima rimontare e poi superare dagli ospiti, riuscendo a trovare un rocambolesco pareggio solo grazie ad una papera-regalo confezionata da Calderoni e scartata da Bjelanovic in chiusura di match.

Un pareggio che addolcisce, e nemmeno di molto, una pillola comunque indigesta tanto per la squadra quanto – immagino – per la dirigenza che – sicuramente – per i tifosi.

Quale sarà mai, quindi, il problema che tanto assilla questo Varese?

In realtà, ovviamente, il discorso andrebbe fatto al plurale. La rosa non è stata costruita male da Mauro Milanese, D.S. dei lombardi. Che ha operato sul mercato in maniera diligente e pur senza grandi fondi a disposizione per costruire, ancora una volta, una squadra che (ancora forte del nucleo storico) sapesse lottare per i play off.

Missione a mio modesto avviso riuscita anche e soprattutto con l’arrivo di Pavoletti ad arricchire un attacco che – Neto a parte – presentava molte incognite.

A questo punto qual è il problema?

Senza dubbio il gioco non appare brillante e la squadra non sembra, nel suo complesso, particolarmente compatta e robusta.

I giocatori in campo tendono infatti spesso ad allungarsi, e quando in possesso di palla si fatica a creare prediligendo i lanci o le giocate dei singoli.

Il problema alla base, comunque, sembra venire dagli esterni.

Se la coppia di difensori centrali appare nel complesso all’altezza della situazione (Rea è un giocatore che ha già dimostrato, salvo qualche passaggio a vuoto, di poter tranquillamente reggere certi livelli, idem Ely che se continuerà di questo passo potrebbe presto trovare una maglia da titolare in Serie A) sono i terzini che non convincono appieno.

E la cosa non cambia nemmeno a centrocampo, dove facendo giocare Zecchin – l’unico in grado di dare fosforo alla manovra – centrale, affiancato da un segugio come Corti, gli esterni restano un po’ scoperti, o forse troppo offensivi.

Un passo alla volta.I tre moschettieri

Lazaar è un giocatore interessante, soprattutto in fase propulsiva. Nato esterno di centrocampo, si sta evolvendo in terzino. Anche perché, a detta sua, ama avere più campo di fronte a sé per poter liberare la velocità e trovare il fondo.
In fase difensiva, però, i suoi limiti sono ancora evidentissimi, anche per una Serie B.

Giocatore ancora piuttosto giovane che crescendo – considerevolmente – potrebbe anche sperare in un approdo nella massima serie (alcuni club si sono già mossi per osservarlo e lo stesso Sottili ha detto che potrebbe avere un futuro in A), è spesso deficitario in fase di non possesso ed è difficile costruire una difesa solida quando si creano spesso buchi su di una fascia.

Se poi davanti a sé ha – come venerdì e come è accaduto spesso – un giocatore come Calil ecco che la questione peggiora ulteriormente.

Dalla parte opposta, poi, Fiamozzi viene da una buona stagione ma è ancora giovane e ha già mostrato qualche passaggio a vuoto di troppo nell’arco di questa stagione. Ed anche qui se davanti a sé si trova un giocatore dalle caratteristiche prettamente offensive come Falcone ecco che finisce con il soffrire oltremodo le avanzate avversarie.

Sono quindi proprio gli esterni, a mio avviso, i problemi principali di una squadra che non avendo due terzini ancora particolarmente abili sotto il profilo difensivo (e nel complesso più apprezzabili in fase di possesso) non può probabilmente permettersi due esterni particolarmente offensivi.

Zecchin, in questo senso, potrebbe anche aiutare più di Calil (che esterno non lo è nemmeno, in realtà) il Lazaar di turno. Ma tenendo il veneto esterno, almeno fino a che Blasi non tornerà al 100%, si regalerebbe il centrocampo agli avversari, con Corti che è un motorino e un uomo ovunque insostituibile, ma certo non un grande gestore di palla. E Damonte che non mi è mai sembrato adatto a certi livelli, e comunque non si spinge mai oltre ai passaggi più elementari.

Che fare?

Difficile da dire. Il Varese di Sannino poteva contare su Pisano e Pugliese, come terzini. Quello di Maran (che arrivò ad un colpo di testa, quello sbagliato da un metro da Plasmati, dalla Serie A) su Pucino e Grillo. Questo su due giovani fluidificanti ancora tutti da costruire.

Forse la soluzione migliore sarebbe intervenire sul mercato. O forse cambiare modulo.

Del resto inizialmente sembrava che il Varese potesse giocare col trequartista anziché con gli esterni. E con un Blasi in forma (ammesso e non concesso che l’ex Juve torni al top a breve) un centrocampo a tre dietro ad un Calil trequartista potrebbe, avendo due portatori d’acqua ma anche due giocatori abili ad impostare nel vivo del gioco, dare più equlibrio alla squadra.

O forse, ancora, si potrebbe optare ad un 3-5-2, che garantirebbe una difesa sulla carta più solida e darebbe modo a Lazaar e Fiamozzi di esprimersi come fluidificanti veri, sgravandoli un minimo di più dai compiti più prettamente difensivi.Achraf Lazaar

Le soluzioni per provare a cavare qualche ragno dal buco, insomma, ci sono. Sta a mister Sottili trovarle.

Anche perché in una situazione come quella attuale potrebbe forse bastare anche solo un po’ di convinzione nei propri mezzi in più, anche senza stravolgimenti di modulo, per ricominciare a marciare decisi verso i play off.

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