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Archive for marzo 2013

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Trentuno anni senza batterli. Appuntamento con la vittoria, quindi, rimandato alla prossima occasione. Che si presenterà il 22 giugno, quando Italia e Brasile si incontreranno nel corso della terza giornata della prossima Confederations Cup.

Intendiamoci, ai punti sarebbe l’Italia a spuntarla.

Più brillante degli avversari, la nazionale di Prandelli regala qualcosa sul possesso palla, che è però gestito meglio rispetto ad un Brasile ancora tutto da costruire in ottica Mondiale casalingo.

Alla fine, quindi, resta tanto amaro in bocca per una vittoria che gli Azzurri buttano nel cestino con due disattenzioni nel corso del primo tempo che valgono le due segnature Verdeoro, poi prontamente recuperate ad inizio ripresa dalla coppia De Rossi – Balotelli.

Italia che gioca meglio ed esalta un Julio Cesar assolutamente in palla.
L’ex portiere interista del resto con ogni probabilità era alla ricerca di una rivincita dopo che in estate era stato scaricato senza troppe fisime dall’Inter e voleva dimostrare di essere ancora un grande estremo difensore. Missione compiuta.
E’ infatti per buona parte merito suo se il Brasile riesce a chiudere la prima frazione di gioco con ben due goal di vantaggio. Perché l’Italia, che chiuderà il match con ben 22 tiri (contro 15) tentati, di cui 9 nello specchio, gli dà del filo da torcere, ma fatica a trovare la via della rete.

Prima di darci all’analisi dei singoli, però, andiamo a vedere come si sviluppano i goal, per avere un’idea più chiara di meriti e responsabilità.

La prima rete, quella segnata da Fred, è da attribuire appieno a Montolivo.
Vero è che Bonucci risulta anch’esso protagonista dell’azione, tenendo in gioco la punta brasiliana prima e spizzando il cross di Felipe proprio sul piede dell’ex Lione, ma è il centrocampista del Milan che deve assumersi tutte le responsabilità su questo goal subito.
La cosa è semplice: quando parte il cross dalla sinistra tutta la difesa va a schiacciarsi proprio da quel lato, con De Sciglio che deve abbandonare il secondo palo per stringere su un avversario. Chiaro che buona norma vorrebbe che sia qualcun altro, nel caso specifico proprio il suo compagno di club, ad occupare lo spazio da lui lasciato libero. Montolivo, invece, si “addormenta”. La palla, come detto spizzata e prolungata da Bonucci, arriva giusto sul piede di Fred, che deposita in rete con facilità. Se solo Montolivo si fosse mosso prima e fosse andato ad occupare quella zona di campo, come buona norma avrebbe voluto, il goal non sarebbe mai arrivato.

La seconda viene invece presa in contropiede.
De Sciglio sbaglia il cross, e fa partire la ripartenza brasiliana. Che potrebbe essere fermata già nei pressi del centrocampo da un Pirlo che però, evidentemente, valuta la situazione non così pericolosa da spendere un fallo tattico che sarebbe significato giallo sicuro.
Neymar può così avanzare indisturbato fino al limite dell’area, dove attrae Bonucci che, uscendo, sguarnisce la zona di centrosinistra dell’area di rigore. Lì dove s’infila Oscar, che segna con grande facilità. Certo, se solo De Sciglio fosse tornato più rapidamente in difesa il goal si sarebbe potuto evitare.
Da attribuire a Pirlo e De Sciglio, quindi le responsabilità di questo goal.

Brasile quindi meno pericoloso globalmente, ma altrettanto spietato nell’approfittare degli errori altrui.
Esattamente come fa l’Italia nel secondo tempo.

La rete di De Rossi viene sugli sviluppi di un angolo che è bucato da Dani Alves e su cui è proprio il romanista a piombare per primo, con un Dante, suo diretto marcatore, assolutamente troppo lento e molle nella circostanza.

Quella di Balotelli arriva invece quando un giocatore del Brasile – sinceramente, non ho capito chi – sbaglia un retropassaggio, innescando proprio la punta rossonera. Che evidentemente spaventa i difensori Verdeoro i quali, anziché chiuderlo, rinculano, dando spazio e tempo all’ex City. Che dopo aver preso la mira impallina l’incrocio dei pali. Là dove, stavolta, nemmeno un grande Julio Cesar può arrivare.

Tornando ai singoli, e detto dell’ottima prestazione del portiere brasiliano, continuiamo con l’analisi dei nostri avversari.

Tra i più negativi in campo spicca sicuramente Dante. Il centrale del Bayern Monaco, infatti, sembra un po’ il punto debole del reparto arretrato Verdeoro (certo, teoricamente il suo posto dovrebbe essere occupato da un certo Thiago Silva…) ed è lui, come detto, a regalare la prima segnatura all’Italia.

Già diverso, invece, il discorso che riguarda David Luiz. Il centrale Blues pare essere giocatore di altra categoria rispetto al compagno di reparto. Non sempre perfetto, disputa nel complesso una buona gara, risultando nel complesso uno dei migliori in campo tra le fila brasiliane.

Senza infamia né lode Dani Alves, da cui però ci si aspetterebbe molto di più. Sicuramente un po’ meglio Filipe Luis, come detto il giocatore che col suo cross da il là all’occasione che porta i suoi sull’1 a 0.

Prove piuttosto opache anche per i due centrocampisti, Fernando ed Hernanes, bene invece Oscar, Neymar e Fred. Un discorso a parte lo merita Hulk, giocatore che fino allo scorso anno sembrava destinato a “spaccare il mondo”, ma la cui involuzione è assolutamente palese.

Tra le fila Azzurre, invece, molto bene Daniele De Rossi, che segna il goal capace di dare il la alla rimonta dei nostri ragazzi. Efficace in entrambe le fasi di gioco, il centrocampista della Roma gioca come mezz’ala destra ma, all’occorrenza va a scambiarsi di posizione con Pirlo, si abbassa a ricevere palla dai difensori, imposta il gioco con diversi lanci (ben 12, di cui 9 riusciti), e trova l’angolo giusto quando brucia Dante e fredda Julio Cesar.

Molto bene anche Christian Maggio, giocatore che si temeva potesse farsi spazzare via da Neymar ma che, nel complesso, disputa una partita con grande attenzione e fondamentalmente non ha responsabilità su nessuno dei due goal goal subiti da Buffon. Peccato solo che quando Pirlo, con un lancio dei suoi, lo pesca a tu per tu con Julio Cesar il terzino napoletano non riesca a trovare la via del goal.

Buona partita anche quella disputata da Mattia De Sciglio, ottimo soprattutto in fase di copertura, dove non sbaglia praticamente nulla. Nulla, se non in quell’occasione in cui dà il la al contropiede che Neymar e Oscar trasformano nel 2 a 0. Un’occasione in cui, purtroppo, rientra in posizione con troppa lentezza, spianando la strada per il raddoppio agli avanti Verdeoro.

Nulla da dire, invece, ai due centrali difensivi. Perché sembrerà impossibile, ma non sono loro a poter essere imputati di un qualche errore in occasione delle due realizzazioni brasiliane. Ancora una volta, quindi, una buona prestazione per i difensori Bianconeri.

Pirlo giochicchia, Giaccherini corre tanto ma combina poco, Montolivo regala un goal.

Là davanti, invece, domina Mario Balotelli, che sembra stia davvero iniziando a maturare a tutto tondo. Non solo negli atteggiamenti extra calcistici, ma proprio anche in quanto a gioco. Una notizia che, se confermata, sarebbe davvero ottima per l’Italia. Questo ragazzo ha il potenziale per arrivare ad essere uno dei migliori giocatori al mondo della nuova generazione.Mario Balotelli

Stenderei infine un velo pietoso, restando ai titolari, su Osvaldo. Che, permettetemi, non dovrebbe poter nemmeno vestire la maglia numero 10. Piuttosto la si dia a Balotelli. O a Pirlo. O a Buffon.

La strada, comunque, sembra davvero essere quella giusta. Prandelli è sicuramente criticabile, ma nel complesso non si può non ammettere come stia facendo davvero un buon lavoro da quando si è seduto sulla panchina della Nazionale.

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Come avevo raccontato dieci giorni fa ho avuto l’opportunità di essere ospite di Unicredit in quel di Torino, Juventus Stadium per la precisione, in occasione del ritorno degli ottavi di finale che hanno visto la squadra di casa imporsi con relativa facilità su di un modesto Celtic.

Unicredit che proprio in queste settimane ha lanciato una app carinissima su Facebook, che io stesso ho provato (e mi sono fatto due risate).

In cosa consiste?

Semplicissimo.

L’app si divide in tre parti autonome.

La prima permette di realizzare un video personalizzato che riprende un po’ il mood della Champions e ti cala al centro dei giochi. Vedrai la tua foto profilo apparire in prima pagina sulla Gazzetta, foto e post utilizzate per costruire un video molto simpatico e, ciliegina sulla torta, una formazione calcistica composta dai tuoi amici (e lì le risate si sprecano, a pensare i disastri che potrebbe fare un 11 così!).Champions League

La seconda parte, anche questa molto carina, permette invece di concorrere alla creazione di un coriandolo della Champions personalizzato.
In cosa consiste?
Avete presente quando la squadra che vince la coppa viene premiata e si vede investire da una pioggia di coriandoli?
Ecco. Su uno di quelli potrebbe essere scritto il vostro nome.

Certo, non sarà mai come partecipare alla vittoria. Ma in qualche modo diventerebbe davvero come esserci…

L’ultima parte, che è un po’ il clou di tutto per gli appassionati, permette invece di concorrere all’estrazione di due biglietti per la finalissima di Wembley, che un po’ tutti noi aspettiamo da inizio stagione.

A quest’ultima possibilità si può accedere compilando un form grazie al quale è possibile attivare la Genius Card personalizzata Champions League. Ma dato che di queste cose non me ne intendo non vado oltre. Qualora provaste l’app vedrete un po’ voi cosa fare!

Infine, sempre relativamente al binomio Unicredit – Champions League, mi permetto di segnalarvi un’altra iniziativa che potrebbe interessarvi: il tour di “A Wembley coi Re D’Europa”!

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 E’ una Inter quasi irriconoscibile quella che scende in campo stasera a San Siro.

Una squadra, finalmente, innanzitutto.

Che lotta su ogni pallone, getta il cuore oltre l’ostacolo, cerca l’impresa.

L’assenza di Bale aiuta l’Inter, già solo a livello psicologico. Tra i pochi fenomeni del calcio moderno, il gallese avrebbe potuto risolverla in qualsiasi momento da solo.

Questo, però, non può essere un alibi per i londinesi. Perché così come il Milan è da crocifiggere per aver dilapidato il vantaggio dell’andata, così – anzi, a maggior ragione – dobbiamo crocifiggere il Tottenham per essersi fatto rimontare i ben tre goal di vantaggio accumulati nella gara d’andata.

Come raccontavo a chi con me seguiva la partita su Facebook, però, era anche ovvio che la squadra avrebbe dovuto, dopo il 3 a 0, cercare di chiuderla prima del novantesimo. Perché ai supplementari, dopo tutto quel dispendio di energie, sarebbe stato difficilissimo prevalere.

Due, quindi, le chiavi di volta, in negativo, per un’Inter comunque – per una volta – da elogiare senza remore.

In primis, un po’ come con Niang martedì, la traversa colpita da Palacio sull’1 a 0. Se l’attaccante argentino avesse segnato lì, si era intorno alla mezz’ora, l’Inter con ogni probabilità sarebbe riuscita a chiudere i conti prima del novantesimo, trovando una qualificazione assolutamente impronosticabile alla vigilia.

Poi, forse ancor di più vista la dinamica del match, l’occasione fallita dal pur ottimo Cambiassio al novantaduesimo. Quando, con sessanta secondi da giocare, un goal avrebbe davvero voluto dire quarti di finale.

Ora… dopo una serata del genere ci si aspetterebbero lodi a tutti, dai giocatori a Stramaccioni.

Io, però, la vedo diversamente. E mentre i giocatori – alcuni in particolari, poi vi dirò – sono assolutamente da incensare il mister sarebbe da mettere alla sbarra e processare.Andrea Stramaccioni

Il motivo è semplice: prima dell’andata dimostrò chiaramente di non tenere un granché al torneo, assolutamente sacrificabile in nome della corsa al terzo posto in campionato (che con ogni probabilità sfumerà).

Poi, dopo la figuraccia di Londra e la sconfitta col Bologna, praticamente esonerato, ecco che anche la gara di ritorno con il Tottenham assume una sua importanza. Anzi, quasi una centralità.

Peccato che ormai sia troppo tardi, perché, nonostante la squadra giochi alla grande e per il cuore messo in campo oggi meriterebbe il passaggio del turno, rimontare un 3 a 0 fino a staccare l’accesso al turno successivo è impresa epica, che non per nulla sfuma sul più bello.

Il tutto nonostante anche ai supplementari, pur alla canna del gas, i ragazzi vestiti di nero ed azzurro mettano in campo tutto quanto possibile, lottando come gladiatori e riaprendo – dopo la rete di Adebayor, con l’azione di Dembelè che mette palesemente in evidenza la difficoltà atletica della squadra di casa – una gara praticamente chiusa.

Un allenatore, insomma, non può trattare così un impegno europeo, nemmeno se ritenuto secondario rispetto all’obiettivo da raggiungere in campionato.

Venendo ai singoli applausi a scena aperta vanno riservati a Palacio, Handanovic e Cambiasso su tutti. Con il primo che nonostante la traversa dimostra di essere l’anima delle avanzate nerazzurre, il secondo che compie un paio di grandi interventi (ed è, per qualità, nettamente tra i migliori giocatori a roster) ed il terzo che gioca quasi ai livelli dei tempi che furono.

Ottimi, inoltre, anche un Cassano ispiratissimo (peccato abbia la mobilità e la velocità di un bradipo) ed un Kovacic che nonostante la giovanissima età dimostra di saper reggere certi palcoscenici.

Ma, più in generale, davvero bravi tutti.

Peccato, insomma. Remuntada storica fallita di un soffio!

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Partiamo da un presupposto: stasera ero piuttosto diviso.

In realtà da italiano con tanto di tricolore immancabile appeso in camera spero sempre che le nostre compagini, dalla Nazionale in giù, si rendano onore fuori dai patri confini.

Dall’altra parte, però, una vocina dentro di me mi ripeteva in continuazione che, se proprio remuntada doveva essere, non tutto il male sarebbe venuto per nuocere.Lionel Messi

Davvero troppi, nelle ultime settimane, avevano sventagliato ai quattro venti la fine del Barcellona.

Che ok, qualche problema sta avendolo. Ma certo prima di dare per finita la squadra più incredibile dell’ultimo decennio (e forse non solo) bisogna aspettare un po’.

Così detto-fatto in una serata sola si smentiscono almeno due cliché o presunti tali: la fine del Barcellona e l’incapacità di Messi di segnare su azione ad un’italiana (giusto per non sbagliare decide di farne due).

Chissà quindi che quanto successo stasera non aiuti, più avanti, a giudicare con maggior calma le situazioni. Soprattutto quando coinvolgono le grandi squadre.

Venendo a quanto visto in campo… beh, potrei liquidare il tutto con un “poco da dire”. Checché se ne dica, infatti, troppo netta la superiorità di un Barcellona che comunque non dà la stessa impressione di “dominio” di qualche tempo fa.

O forse troppo inferiore il Milan odierno rispetto ad una squadra che pur non essendo all’apice della sua parabola è qualitativamente su pianeti distanti miliardi di anni luce.

Ecco quindi che stasera è stato possibile verificare in campo come la vittoria Rossonera dell’andata, certo non per togliere meriti alla squadra di Allegri, fu dovuta più ad un Barcellona assolutamente lontano parente di sé stesso che non ad una prestazione super della pur buona squadra di casa.

Perché quando il Barça decide di giocare, come stasera, non ce n’è quasi per nessuno. Certo non per questo Milan.

Ripercorrere le segnature che trasformano la remuntada in realtà avrebbe senso relativo. Consiglio piuttosto di andare a guardarsi uno dei tanti video-highlights che già da ora popoleranno la rete.

Piuttosto darei qualche statistica e mi soffermerei su qualche singolo.

Innanzitutto, secondo i “santoni” della rete, il Barcellona sarebbe la prima squadra nella storia della Champions a qualificarsi dopo aver perso 2 a 0 la gara di andata. Quindi, se la cosa fosse confermata, sarebbe l’ennesima impresa di una squadra che, evidentemente, non aveva finito di stupire nonostante in molti già suonassero le campane a lutto.

Poi qualche statistica di campo.

A partire da quella netta differenza che è percepibile nei passaggi realizzati. 88% fronte Barça, 74% da parte Rossonera.

Una statistica che nel primo tempo era ancora peggiore per gli ospiti, capaci di realizzare solo il 68% dei passaggi totali in maniera corretta.

Ok, il Barcellona è tradizionalmente imbattibile in questo fondamentale. Sia perché hanno giocatori oggettivamente super da un punto di vista tecnico che, soprattutto, perché il loro approccio tattico li porta a effettuare moltissimi passaggi “stretti” a partita. Incredibile, in tal senso, la statistica che ho pubblicato oggi su Facebook e Twitter che diceva come il Barcellona avesse fin qui realizzato più di 2000 passaggi in più (scusate la ripetizione) del Manchester United, seconda classificata in quanto a numero di passaggi totali realizzati.

Ma il punto non è tanto la differenza, netta, col Barcellona. Quanto il dato milanista in sé e per sé, che racconta benissimo l’incapacità della squadra italiana di costruire anche solo una parvenza di manovra. Un po’ per colpa di qualità tecniche non eccelse nella maggior parte degli uomini in campo, un po’ per l’efficacia della proverbiale pressione Blaugrana.

Andiamo avanti.

Possesso palla 67 a 33.

Un dato poco indicativo di per sé. Basti pensare al fatto che anche la gara di andata si era chiusa con un dato simile.

Un dato però che deve far riflettere proprio sull’approccio del Barça. Assolutamente negativo all’andata, con possesso palla sterile, svogliato e fine a sé stesso, altrettanto assolutamente deciso stasera, con la porta come vero “target” per i giocatori.

Duelli aerei (nel primo tempo) 70 a 30. Ovvero sia non vincere un colpo di testa contro una squadra di giocatori mediamente non giganteschi.
Dato che, per fortuna del Milan, nel secondo tempo si è un po’ raddrizzato. Certo, la solfa non è cambiata, ma anche questo fa capire come, soprattutto ad inizio match, il Milan fosse assolutamente in balia dell’avversario.

Milan in cui credo si possano salvare solo un paio di giocatori: Montolivo ed El Sharaawy.

Il primo può poco ma si arrangia con quello che ha. A fine partita risulterà il giocatore con più tackle all’attivo (8, tre in più di Iniesta e Mascherano secondi in questa speciale classifica), più palle intercettate (6, come Abate) e con il maggior numero di palle giocate tra i suoi compagni di squadra (ben 71, più del doppio di Flamini ed Ambrosini, suoi compagni di reparto).
Offensivamente nullo (ma non gliene possiamo nemmeno fare una colpa), realizzerà un totale di 53 passaggi (anche in questo caso il massimo tra le fila Rossonere) con una percentuale di riuscita però non eccezionale (68%).
Insomma, davvero il meglio (o il meno peggio).

A salvarsi, come detto, è pure il Faraone, che gioca sputando l’anima predicando però un po’ nel deserto (come in quell’occasione in cui è lanciato in contropiede da Ambrosini ma giunto sul fianco sinistro dell’area non trova nessun compagno in mezzo alla stessa, e deve accontentarsi di dribblare il diretto marcatore per poi sparare senza troppa convinzione tra le braccia di Valdes).

Discorso inverso, come è ovvio, per il Barcellona.

Dove a parte Mascherano (clamoroso il suo buco su Niang) e Pedro – almeno tra i titolari – giocano davvero tutti alla grande.

Sopra a tutti, guarda caso, Messi, Xavi e Iniesta. Ovvero sia il trio di Fenomeni che è la vera trave “portante” di questa squadra.

Alla grande, però, anche Jordi Alba, che è oggi uno dei migliori terzini in circolazione (questo anche grazie alla pochezza nel ruolo, s’intende). E’ lui a chiudere la remuntada col goal del 4 a 0. Un goal che, non so a voi, mi ha subito fatto correre la mente a quello che segnò il 1° luglio scorso contro l’Italia… sarà per l’identico risultato finale…).

Ma in generale è stata davvero buona la partita di un po’ tutti gli interpreti catalani.

Prima di chiudere un altro paio di considerazioni. In primis il palo di Niang. Che avrebbe potuto girare il corso del match.

Certo, ridurre questa partita ad UN episodio sarebbe sbagliato, ma è indubbio che se la palla fosse entrata – sarebbe stato l’1 a 1 – il Barcellona avrebbe avuto molta più difficoltà a passare. In primis perché con ogni probabilità la seconda realizzazione di Messi – arrivata solo un minuto più tardi, o già di lì – non ci sarebbe stata. In secondo luogo perché subire il pari, con la conseguente consapevolezza di dover per forza segnare almeno altri tre goal, sarebbe stata mazzata non da poco per i catalani.

Però non si può nemmeno crocifiggere un giocatore così giovane per una situazione di gioco che comunque era stato bravo a crearsi/sfruttare ed in cui anche solo un pizzico di fortuna in più avrebbe potuto realizzare nel goal della carriera. Speriamo, quindi, che stampa e tifosi non infieriscano troppo.M'Baye Niang

Ultimissima considerazione va invece al futuro di questa coppa. Per qualcuno – magari gli stessi che due settimane fa diedero per morto il Barcellona – i Blaugrana tornano subito ad essere la favorita numero uno per la vittoria finale.

Per me no. Perché, come detto, non mi hanno dato la solita impressione di strapotere, nonostante abbiano più o meno dominato il Milan. E perché da una parte sembra poter essere ancora l’anno di Mourinho, dall’altra tengo in grandissima considerazione il Bayern.

Al tempo stesso, però, è certo che ora chiunque vorrà vincere la Coppa dovrà fare i conti con questa squadra. Data per morta davvero troppo presto…

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E’ cronaca di questi giorni.

Maurizio Zamparini, proprietario del Palermo, ha compiuto l’ennesimo ribaltone alla guida tecnica della sua squadra, esonerando Gasperini per richiamare Giuseppe Sannino. Che aveva guidato la squadra fino al 16 settembre scorso.

Ormai, inutile nascondersi dietro a un dito, non stupiscono più queste cose.

Zamparini è un personaggio arcinoto all’interno del nostro mondo del calcio e gli esoneri compiuti nei suoi tanti anni da proprietario di un club non si contano nemmeno più.

Da varesino, però, non posso non seguire con una certa simpatia le vicissitudini di un allenatore che proprio in Biancorosso compì un miracolo non da poco: prese la squadra sul fondo della C2 per portarla, nell’arco di tre stagioni, ad un passo dalla Serie A.

Di Sannino, quindi, conosco un po’ tutto. Vizi e virtù.

Personalmente ritengo fosse giusto dargli una chance in Serie A. Che, per altro, si giocò molto bene in quel di Siena. Dove seppe guidare i suoi al quattordicesimo posto (con un margine rassicurante di ben 8 punti sulla terz’ultima) e, soprattutto, fino in semifinale di Coppa Italia.

Logico quindi che dopo la scalata storica compiuta ai piedi del Sacro Monte e l’ottima annata vissuta nella città del famoso Palio arrivasse la chiamata di una società più blasonata. Il Palermo, appunto.Giuseppe Sannino

Personalmente mi chiedo se valga la pena ancora oggi, dopo anni in cui la solfa si ripete senza soluzione di continuità, di andare a lavorare in un ambiente come quello di Palermo. Dove, oggettivamente, risulta ben difficile lavorare.

Poi certo, leggendo dei 900mila euro annui (ed il contratto è biennale) che l’allenatore nativo di Ottaviano percepisce in Sicilia capisco anche che certe offerte risultino quasi irrinunciabili.

Fattostà che nemmeno Sannino è riuscito a cambiare Zamparini – e forse non era nemmeno questo ciò cui mirava – che così lo ha prima cacciato e poi richiamato.

Parlare del futuro di questa squadra – e forse dell’intera società – oggi non è certo semplice. Quello di Sannino, però, potrebbe essere roseo.

Avendo ancora un anno di contratto, infatti, l’ex allenatore di Cosenza, Lecco e Pergocrema tra le altre potrebbe trovarsi a guidare il club anche in Serie B.

Un club che, con ogni probabilità, partirebbe per ammazzare il campionato, con relativi investimenti a supporto del progetto.

Dopo un’annata fallimentare anche da un punto di vista personale, quindi, il buon Beppe potrebbe rilanciarsi subito andando a vincere uno dei campionati che ancora gli mancano (in passato vinse la Serie D con il Sudtirol e la C2 per due volte).

Certo, sempre che riesca a non farsi esonerare da qui a fine stagione…

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Tra i libri calcistici che preferisco ci sono senza dubbio le autobiografie.

L’ultima in ordine temporale che mi è capitato di leggere è stata quella di Zlatan Ibrahimovic, pubblicata in Italia nel novembre del 2011. Ovvero quando ancora lo svedese giocava in Italia, giusto pochi mesi dopo aver firmato l’ennesimo trionfo della sua carriera trascinando il Milan allo Scudetto.

Partiamo subito da un presupposto: non mi aspettavo moltissimo da questo libro. Tanto che lo comprai solo in forte saldo (pagato circa sei euro) nelle svendite di fine attività del Blockbuster di Varese.

Non mi aspettavo molto più che altro perché temevo che, in linea col personaggio, in questo libro Ibrahimovic facesse la corsa a sparare a zero su tutto e tutti giusto per fomentare discussioni e ritorno d’immagine più che raccontare davvero quella che è stata la sua vita, sportiva innanzitutto.

Oltre a questo debbo dire che non apprezzo affatto, in linea di massima, le biografie che escono quando il giocatore – un po’ come successo con Cassano, altro libro che lessi con non poca prevenzione – è ancora in piena attività.

Gli spunti interessanti, però, si trovano eccome.

A partire dal rapporto problematico con Pep Guardiola.

Certo, ascoltare una campana sola è sempre sbagliato e, al riguardo, sarebbe interessante sapere ciò che ha da dire l’allenatore catalano. Però è altresì vero che la ricostruzione delle cose che emerge dalle pagine di “Io, Ibra” sembra tutto sommato poter essere attendibile, almeno a grandi linee.

Oltre a questo è comunque interessante ripercorrere la carriera di uno dei giocatori più discussi – e determinanti, almeno in campionato – dell’ultima decade.Io, Ibra

A partire dalla fatica di emergere al Malmo in un contesto che lo ghettizzava per il suo essere “diverso”, passando per tutti i trasferimenti che hanno caratterizzato la sua carriera, fino ad arrivare, appunto, allo Scudetto Rossonero.

Retroscena, sensazioni e focus che possono aiutare a capire meglio il personaggio Ibrahimovic, oltre che, perché no, il mondo del calcio attuale.

Scorrendo le pagine di questo libro, per altro, emerge chiaro il suo amore per il nostro calcio. Cosa che sembrerà strana in un’epoca in cui lo stesso ha perso centralità e credibilità. Eppure Zlatan parla del nostro come di un riferimento assoluto in primis per la passione e la centralità con cui viene vissuto questo sport qui in Italia.

Proprio in questo senso, ed anche in riferimento alle sue parole sull’addio alla Juve (che, in breve, giustifica come necessario per non perdere gli anni più importanti della sua carriera), può risultare un minimo più credibile quella voce di mercato, di cui parlai venerdì, che lo vorrebbe sempre più lontano da Parigi (il rapporto con la piazza è sempre stato freddino, e proprio leggendo il suo libro si evince come centrale per lui sia l’amore del pubblico e la sua necessità di sentirsi centro del progetto). Magari proprio con un “ritorno al futuro” in quel di Torino.
Possibilità che trovo molto remota, anche in relazione al futuro – e già ufficializzato – acquisto di Llorente. Ma se Ibrahimovic volesse arricchire di un ulteriore ed interessantissimo capitolo la sua già ricca biografia…

Certo, non tutto è oro ciò che luccica.

In questo senso sembra un po’ forzato il suo tentativo di continuare ad accostare la sua figura a quella del classico “bad boy” di periferia. Il tutto sia raccontando l’infanzia di ragazzo sfortunato che lotta per emergere (cliché piuttosto classico), sia, poi, quando parla di questa etichetta scomoda che i media gli terranno incollata per tutta la carriera. E che lui commenta con un certo fastidio. Per quanto, in realtà, sembra che in fondo ne sia orgoglioso…

Nel complesso, comunque, un libro che personalmente ho trovato interessante. Se vi capita sottomano leggetelo. Potreste finire col darmi ragione!

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I numeri parlano chiarissimo.

Dopo un ottimo inizio di campionato l’Inter, ad inizio novembre, s’inceppò.

A partire dall’11 novembre (sconfitta 3 a 2 contro l’Atalanta) i nerazzurri hanno realizzato 9 vittorie, 5 pareggi e 10 sconfitte, con 35 goal realizzati a fronte di 39 subiti.Andrea Stramaccioni

Numeri impietosi, dicevo, che compongono un ruolino assolutamente negativo. Oserei dire inaccettabile, per una squadra del blasone dell’Inter.

Nonostante le parole di rito della società prima della partita, in stile “l’allenatore è intoccabile”, non possiamo non credere che la situazione di Stramaccioni sia in bilico.

E qui di considerazioni da fare ne nascono diverse. Giusto buttarne giù qualcuna.

Partiamo dal pensiero che feci quando l’ex mister della Primavera nerazzurra si sedette sulla panchina della prima squadra. Suonava tipo: “Il rischio di bruciarsi è altissimo”.

Perché certo, col senno del poi è sempre facile giudicare le situazioni. Anticipare le cose un po’ meno.

La cosa era semplice: l’Inter del dopo Mou aveva avuto grossissimi problemi a ritrovare la “retta via”. E quando si allena un club con quel blasone, quei tifosi e quella “necessità” di vincere, con, da contraltare, una rosa non certo all’altezza… beh, bisogna avere molta molta fortuna, soprattutto quando si è alle prime armi, per uscirne indenni.

Primo incarico da “pro” in carriera, subito in una grande. Risultati scarsucci ed esonero. Carriera bruciata?
Il rischio è alto.

Ma andiamo a soppesare un attimo quelli che sono i problemi di questa Inter per individuare un po’ i responsabili.

Perché ok, nel calcio – soprattutto italiano – le colpe vengono sempre riversate sul mister.

E’ anche logico, a ben pensarci. Non puoi cambiare, men che meno in corsa, tutta la rosa. Né l’intero apparato dirigenziale.
Quando le cose vanno male, quindi, il modo più semplice ed immediato per provare a dare una scossa all’ambiente è sostituire l’allenatore.

Questo, però, non significa che la maggior parte delle colpe siano dello stesso.

Ora, pensare di mettersi qui a difendere a spada tratta un allenatore che comunque dei limiti evidenti – e non poteva essere altrimenti vista la scarsa esperienza ed abitudine a reggere certe pressioni – li ha sarebbe sbagliato.

Ma proviamo a scorrere un attimo la rosa.

Proprio sicuri che sia all’altezza della situazione?

E qui mi ricollego al rischio bruciatura: allenare l’Inter come primo incarico è sempre un rischio. Farlo con una rosa non all’altezza è praticamente un suicidio (ma certo, chi rifiuterebbe un incarico del genere come primo contratto tra i “pro”?). Le colpe principali, quindi, sono da accollare alla dirigenza. Anche perché, ancor prima di parlare della costruzione del roster, chi ha messo alla guida della squadra un tecnico così giovane ed inesperto?

Appunto.

Certo, la questione porta è stata chiusa bene. Perché Handanovic è un ottimo portiere che certo non farà rimpiangere il pur ottimo Julio Cesar.

Per il resto, però, pochino. Con una difficoltà palese a ricostruire la squadra dopo il Triplete che ancora oggi, ad ormai tre anni da quell’evento, non sembra essere in via di risoluzione.

Tante le mosse di mercato sbagliate, anche in quest’ultimo anno.

Basti pensare ad una situazione di cui parlai solo qualche tempo fa: la questione attacco.

Peggiorata ulteriormente a gennaio, quando Sneijder e Livaja sono stati fatti partire. E con l’infortunio di Milito sono usciti tutti i limiti di una rosa assolutamente non all’altezza. Tanto che l’Inter ha provato la mossa disperata con la ricerca di ex giocatori svincolati, come Van Nistelrooy e Carew. Entrambi tentativi naufragati, col primo che non vuol più rimettersi gli scarpini ed il secondo che avrebbe avuto bisogno di almeno sei mesi di allenamenti per tornare un minimo in forma.

Stramaccioni, che comunque non ha mai dato un gioco alla squadra e che ha vissuto soprattutto sulla buona vena e sulle giocate dei suoi giocatori più talentuosi, dovrà quindi pagare salatissimo gli errori commessi in primis da altri.

Perché che sia stasera o che si tiri fino alla fine del campionato poco cambierà: la prossima stagione l’Inter cercherà l’ennesimo rilancio, di sicuro con un allenatore diverso. E lui… rischierà di cadere nel dimenticatoio.

Per chiudere, comunque, un pensierino al solito – squallido – teatrino fatto in occasione dell’Europa League permettetemelo.

Prima Mazzarri palesa la sua totale mancanza d’interesse a fronte di una possibile lotta Scudetto che, come palesato oggi, probabilmente non ci sarà mai fino in fondo.

Poi proprio Stramaccioni dice che il terzo posto sarebbe più importante della seconda coppa europea. Anche lui prende sonori schiaffoni fuori dai confini… per poi, subito dopo, rischiare di abdicare pure in campionato.

Andrea Stramaccioni

Perché parliamoci chiaro: l’Inter punta al terzo posto, ma realisticamente (ho visto Lazio – Fiorentina oggi, con i Viola che sono davvero ottimi quando riescono a giocare come sanno) il rischio per i nerazzurri (che è quasi impossibile arrivino tra le prime tre, per conto mio) è di non qualificarsi nemmeno alla prossima Europa League.
Che in realtà non sarebbe nemmeno un male. Sono STUFO di vedere le nostre compagini snobbare le gare europee.

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Quella che paventa Carlo Laudisa sulla versione odierna della Gazzetta sarebbe una vera e propria rivoluzione.

L’esperto di mercato della rosea delinea infatti un mercato estivo in cui molte delle principali punte del mondo potrebbero cambiare maglia. Una sorta di effetto domino che farebbe circolare diverse decine – anzi, centinaia – di milioni di euro in tutta Europa, per uno scenario forse unico.Cristiano Ronaldo

Tanti i nomi in ballo: da Cristiano Ronaldo a Edin Dzeko, passando per i vari Ibrahimovic, Cavani e Falcao.

Ma andiamo con ordine, partendo proprio dal fenomeno portoghese.

Il cui rapporto con il Real Madrid, dicono i soliti beninformati, sarebbe ormai piuttosto incrinato, forse irrimediabilmente.

Il suo costo, però, è praticamente proibitivo per tutti.

La base d’asta non può essere infatti inferiore ai 100 milioni. Cifra che comunque non credo spaventi un granché i qatarioti stabilitisi in quel di Parigi, che credo sarebbero disposti a dare anche madri e mogli pur di arrivare ad un giocatore di quella levatura, che metterebbe definitivamente il PSG al centro del planisfero calcistico mondiale.

Da non sottovalutare, in seconda battuta, anche l’eventualità di un suo ritorno a Manchester. Dove Sir Ferguson lo accoglierebbe a braccia aperte…

United che potrebbe lasciar partire Wayne Rooney. Forse a maggior ragione se si concretizzasse il ritorno – onestamente improbabile – di CR7.

Nonostante le dichiarazioni di facciata rilasciate dal manager dei Red Devils negli ultimi giorni, infatti, lo spazio dell’ex talento Toffees sembra essersi ridotto ultimamente, riprova ne è stata la panchina vissuta martedì nel big match contro il Real.

Proprio la Casa Blanca potrebbe muoversi su di lui. O per ricomporre la coppia d’oro dei tempi di Manchester con lo stesso Ronaldo o, ancora, per affiancarlo al colombiano Falcao, che quasi sicuramente lascerà l’altra sponda di Madrid in estate.

Continuando con ordine, però, la punta inglese potrebbe anche sbarcare in quel di Parigi, con i qatarioti sempre alla ricerca di superstar da inserire nel loro roster. O, ancora, cambiare maglia ma non città, con il City che dopo l’affaire Tevez farebbe volentieri un altro sgarbo ai cugini in rosso. Eventualità questa, che appare però piuttosto remota.

Tornando a Falcao, sembra essere il Real l’unico vero possibile acquirente del puntero colombiano. Io, però, non disdegnerei nemmeno il Chelsea, con Abrahmovich sempre alla finestra.

Tornando a parlare di Inghilterra ci sono altri due grandi attaccanti che potrebbero muoversi nel corso della prossima estate.

Innanzitutto Luis Suarez, sempre più emarginato – nonostante l’importanza fondamentale che riveste da un punto di vista tecnico – in quel di Liverpool.

Lasciasse il Merseyside potrebbe sbarcare a Londra, con il Chelsea favorito su tutte le altre concorrenti.

Io personalmente, ma è solo una considerazione e non una voce di mercato, lo vedrei benissimo a Torino, sponda Bianconera. Sarebbe la seconda punta di tecnica e dribbling, ma anche implacabile in zona goal, che manca alla Juventus (e ben potrebbe integrarsi con Llorente).

Anche Edin Dzeko, però, sarebbe sul mercato.

Pare infatti che il bosniaco tornerebbe volentieri in Germania. Ma chi potrebbe permetterselo?

Il Bayern, certo. Ma come si inserirebbe nel futuro contesto tattico di Guardiola?

Forse anche il Borussia, che con ogni probabilità perderà Lewandowski (ignorato dalla Gazzetta, per altro), a sua volta in procinto di sbarcare in Baviera. Anche in quel di Dortmund, però, si è costruito un contesto tattico che non sembra affatto adatto alle sue caratteristiche.

Restando in Germania si discute parecchio anche di Mario Gomez. Altro giocatore dalle caratteristiche di prima punta pura che potrebbe non inserirsi al meglio nel contesto che con ogni probabilità andrà a disegnare Guardiola in Baviera.

Il suo futuro dovrebbe quindi essere al di fuori della Germania, con ogni probabilità in Inghilterra.

Chissà però che non cerchi squadra in Spagna, la sua “seconda patria”…

Venendo all’Italia, due i nomi in ballo. In primis Edinson Cavani, il cui addio a Napoli ormai non è nemmeno più quotato.

Il bomber uruguagio merita infatti una piazza che possa lanciarlo definitivamente nel mondo dell’elite calcistica mondiale. Chelsea e City si muovono su di lui da ormai più di un anno. La clausola rescissoria consta in 63 milioni di euro. Vedremo quale sarà il suo futuro.

In entrata, invece, qualcuno sussurra possa esserci il ritorno di Zlatan Ibrahimovic. Che già stufo di stare a Parigi – ok i soldi, ma il contesto tecnico-tattico del campionato probabilmente un po’ lo deprime – si dice vorrebbe tornare a Torino, sponda Juventus.

Personalmente credo poco a quest’eventualità, anche perché il contratto principesco che ha firmato con i qatarioti parigini lo rende praticamente inaccessibile a tutte le compagini nostrane.

Però… c’è sempre un però. Facendomi due rapidi calcoli sono arrivato ad intravvedere una possibilità: se il ragazzo fosse davvero deciso a tornare in Italia (dove pare che sia lui che la famiglia si trovarono molto bene) potrebbe accettare di ridursi il contratto di un terzo (tanto, ma certo non al punto da ridurlo sul lastrico) per poi spalmare i rimanenti 18 milioni su tre anni anziché su due. Così ne uscirebbe un contratto comunque principesco – soprattutto per gli attuali standard nostrani – da 6 milioni netti l’anno, che sarebbe però, con uno sforzo, sicuramente copribile. Soprattutto da una società che sta cercando di rilanciarsi tra le prime della classe e che, bene ricordarlo, è l’unica in Italia ad avere lo stadio di proprietà.Zlatan Ibrahimovic

Chiudo con un secondo nome ignorato dal buon Laudisa nel pezzo sulla Gazza di oggi: Neymar. Che proprio oggi, secondo Sport Mediaset, avrebbe ribadito la volontà di sbarcare in Europa.

Nel suo futuro sarebbe ben impressa una parola chiara: Spagna.

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Mercoledì ho avuto il piacere e la possibilità di fare un viaggetto a Torino.

Sono infatti stato ospite di UniCredit in occasione del match di ritorno che ha visto la Juventus opposta al Celtic alla ricerca di un ormai già più che scontato passaggio del turno.Juventus Stadium

Certo, arrivare due giorni dopo a raccontare una partita può sembrare insensato. Ma essendo questo blog un punto di incontro e di racconto, e non un vero e proprio strumento informativo, dirò comunque la mia sul match. Anzi, sulla serata.

Perché era la mia prima volta allo Juventus Stadium, e debbo dire di essere rimasto molto favorevolmente impressionato tanto dalla struttura in sé quanto dall’ambiente.

Davvero, in un paese imbolsito come l’Italia, una sorta di avanguardia che mi auguro in molti possano seguire presto.

Non che di stadi carini in Italia non ce ne siano. Se penso a Genova o Milano, ad esempio, mi vengono in mente due impianti storici e tutt’altro che disprezzabili.

Fuori dai tempi, però.

Splendido, oltre alla struttura in sé, anche l’ambiente che si è creato, almeno mercoledì sera.

Dalla coreografia, con migliaia di bandierine che hanno dipinto a strisce bianconere gli spalti – con una sezione dedicata al tricolore -, fino al pubblico. Caldo, vicino alla squadra.
Per non parlare dei tifosi scozzesi, che hanno fatto tutto il match a cantare e saltare, in molti casi a petto nudo nonostante la temperatura piuttosto rigida ed il tempo certo non accattivante.

Venendo alla partita, non c’è stata molta storia. Ma questo era più che preventivabile, a maggior ragione posto che il discorso qualificazione si era già chiuso con il 3 a 0 maturato a Glasgow.

Conte così dà discreto spazio al turn over schierando Marrone davanti al solito Buffon sostenuto da Bonucci e Barzagli ai suoi lati.

A centrocampo dentro Padoin, Pogba e Peluso ad affiancare Vidal e Pirlo. In avanti il duo Matri-Quagliarella.

Da parte sua invece Lennon, che probabilmente aveva già il cuore in pace ancor prima di prendere l’aereo per Torino, mette in campo un 4-3-3 piuttosto pretenzioso, con il quale però più che cercare l’impresa vuole assicurare almeno una gioia ai tanti tifosi che hanno seguito la squadra fino in Italia.

Come sia andata la partita l’avrete visto o letto tutti, ormai. Un 2 a 0 senza appello che chiude definitivamente ogni conto, con Matri e Quagliarella a timbrare il cartellino ed una squadra tutta che si impone contro un avversario indubbiamente inferiore con il classico approccio “massimo risultato col minimo sforzo”.

Qualche considerazione sparsa sulla partita, allora.

Partiamo da Buffon. che deve fare poco, ma quando è chiamato in causa con una parata tutt’altro che facile (tiro da fuori deviato, lui preso in controtempo che si sdraia alla sua sinistra ed alza la palla sopra la traversa) risponde alla grande, mantenendo un’imbattibilità europea sempre più importante. E soprattutto segnando ancora una volta, ce ne fosse il bisogno, la differenza tra un portiere ed un grande portiere: quella di sapersi far trovare pronto anche in quell’unica occasione nel corso di novanta minuti in cui vieni chiamato in causa.

Capitolo difesa.
Marrone si piazza lì in mezzo e gioca discretamente. Guidato mano nella mano da un Bonucci cresciuto moltissimo soprattutto da un punto di vista caratteriale dal suo arrivo a Torino.
Bonucci stesso che, a sua volta, gioca più che discretamente. Per quanto il migliore in campo, almeno là dietro, sia ancora una volta Barzagli.

Giocatore per il quale io non ho mai straveduto nemmeno quando, nel 2006, si laureò campione del mondo in Germania.
Ma che oggi, e ormai da un paio d’anni, è una vera e propria sicurezza. Non avrà le qualità ed il talento dei tanti fenomeni difensivi che gli appassionati hanno potuto ammirare fino a qualche anno fa (oggi c’è in giro pochino, in questo senso), ma ha raggiunto una solidità globale davvero notevole.

A centrocampo c’è il solito Pirlo ad orchestrare gioco. Meno smagliante di altre volte, ha comunque sempr quel destro chirurgico capace di spaccare le difese con un tocco. Come in occasione del 2 a 0, quando è proprio una sua invenzione a pescare Vidal in posizione favorevolissima, per il successivo assist a Quagliarella.

Vidal che dal canto suo è ormai un idolo dello Stadium ed una sicurezza. Ma che in certi casi pecca un po’, forse per la troppa voglia di fare, finendo con l’eccedere ed il bucare qualche intervento di troppo. Interventi che, va detto, un giocatore “normale” nemmeno proverebbe. E che, in realtà, gli escono quasi sempre. Non è un caso se proprio lui, già prima di quest’ultimo turno, era il giocatore con il maggior numero di tackle riusciti in questa Champions League…

I due esterni fanno il loro, senza infamia né lode. Pogba, invece, ha già stregato tutti. Ed ogni volta che ha palla diciamo entri gli ultimi venticinque metri di campo è spinto da tutto lo stadio a calciare, anche qualora non abbia nemmeno lo spazio per farlo.
Fortuna sua, in questo senso, che è già abbastanza maturo da non farsi trascinare troppo. Altrimenti il suo numero di palle perse aumenterebbe in maniera esponenziale.

In ultimo i due là davanti. Giocatori certo non di primissimo piano, ma che quest’anno stanno trovando una buona continuità, almeno in Europa.
Però certo, la gara di mercoledì non è molto indicativa in questo senso. Giocavano contro una squadra i cui valori tecnici sono veramente bassi…

E allora due parole anche riguardo a questo Celtic. Che ha poco da dire.
Perché la squadra è davvero piuttosto scarsa. E come se non bastasse non c’è nemmeno una chiarissima idea di gioco.

Ambrose, che regalò due delle tre reti all’andata, è tenuto in panchina, almeno ad inizio match. Non che questo serva ad alzare una muraglia invalicabile là dietro, però.

Tra tutti, a discapito di quanto ho letto ieri abbia detto la Gazzetta, sono rimasto piacevolmente impressionato da un giocatore sopra gli altri: Charlie Mulgrew.

Il ragazzo, costruito in casa, è tornato in biancoverde nel 2010, diventando uno dei punti fissi della squadra.

Mercoledì è stato schierato da perno centrale del centrocampo (schierato a 3, come detto in precedenza), nonostante sia nato centrale difensivo.
Certo, il paragone diretto, posto che si è messo in qualche modo in cabina di regia, sarebbe impietoso, perché di Pirlo non ha nulla.

La sapienza tattica, la tranquillità e la ricerca di porsi a “metronomo” della squadra, però, lo hanno fatto emergere rispetto alla “massa informe” rappresentata dai suoi compagni di squadra, laddove solo in un altro paio – a parer mio – si sono in qualche modo salvati.Charlie Mulgrew

Certo non si può sperare che un giocatore dalla visione e dai piedi comunque limitati potesse creare chissà quale occasione. Ma un po’ di ordine tattico, quello sì, ha provato a darlo.

Davvero una gran bella serata, insomma. Perché la Champions è sempre la Champions, e visitare lo Stadium è stato un vero piacere. Il tutto nonostante il grande freddo che mi sono dovuto sorbire (e davvero, non so come abbiano fatto gli scozzesi a resistere tutto quel tempo a petto nudo… l’alcol da solo non è una spiegazione valida…)!

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Da sportivo non posso che essere piuttosto triste, dopo questa serata di Champions che speravo di vivere diversamente.

Per due motivi.Cristiano Ronaldo

Il primo è facilmente intuibile a chiunque abbia guardato la partita: un’espulsione ingiusta ha cambiato il corso di un match fino a quel momento condotto – sia nel punteggio che in campo – dallo United, che non è poi stato capace di tenere botta in dieci contro undici ed ha dovuto abbandonare anzitempo la competizione.

Il secondo è invece un po’ più strettamente inerente al gioco e si rifà al fatto che anche in situazione di parità numerica la partita era tutt’altro che bella, con due squadre scese in campo certo non alla ricerca dello spettacolo che, globalmente, restava ben al di sotto delle attese che un “United – Real” dovrebbe dare.

A tenere di più il possesso del pallone sono gli ospiti, che però risultano inefficaci negli ultimi venti metri.

Molto meglio le ripartenze dei Red Devils, che trovano in Welbeck l’uomo dalle accelerazioni brucianti ed il solo palo a negare a capitan Vidic la via del goal.

Da quel volpone di Ferguson e dallo stratega Mourinho, però, non ci si poteva onestamente aspettare più di una partita piuttosto bloccata, con ritmi sì discreti ma non certo spettacolare.

A sbloccare il risultato ci pensa quindi Sergio Ramos, che però sbaglia porta e manda lo United in vantaggio.

Vantaggio meritato ai punti perché nonostante possesso e gioco non certo spettacolare sono proprio i padroni di casa, come detto, a combinare qualcosa in più.

Poi l’espulsione di cui parlavo in apertura a girare le sorti di un match che magari il Real avrebbe vinto lo stesso. Ma non è coi se e coi ma che si fa la storia.

Arrivato il rosso a Nani Mourinho si scuote un po’ dal torpore in cui sembra essere piombato e tira fuori immediatamente dal cilindro una carta importante per tentare di ribaltare il match: Luka Modric.

Che non a caso segnerà il pareggio con un bolide da fuori area, splendido goal che vedrà la sfera colpire il palo interno prima di spegnersi in rete.

I grandi giocatori in campo sono tanti e qualche numero spettacolare è quindi scontato. Se molto bello risulta il goal realizzato dal centrocampista croato, almeno altrettanto apprezzabile è l’azione che porta al raddoppio che consegna il passaggio del turno in mani madridiste: Higuain triangola in area con Ozil, che gli rende palla di tacco. Il fendente basso della punta argentina taglia tutta l’area di rigore fin sul secondo palo, dove il solito Ronaldo gira la sfera in porta, rifiutandosi poi di esultare davanti ai suoi ex tifosi.

Le premesse, insomma, sono state bene o male rispettate. Gara piuttosto bloccata, poco spettacolare, emozionante solo a strappi ma dagli altissimi contenuti tecnici.

Unica nota stonata una decisione arbitrale che va a macchiare il passaggio del turno del Real Madrid, sancendo di fatto la disfatta di uno United che cede dal punto di vista nervoso, prima che fisico, alla vista di quel rosso.

Permettetemi, a margine di questo match, di incensare il grandissimo Ryan Giggs, autore oggi della sua millesima gara in carriera.Ryan Giggs

Un giocatore che fin da piccolo amai moltissimo (uno dei miei preferiti in assoluto, all’epoca in cui iniziò ad imporsi nel calcio mondiale) e che ha interpretato come pochissimi altri al mondo, almeno negli ultimi vent’anni, il ruolo di ala.

Quanto avrei voluto vederlo in Italia…

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