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Tempo fa pensai di provare a contattare un po’ di ragazzi italiani con esperienze calcistiche all’estero per discutere con loro di un po’ di cose: delle differenze culturali tra l’Italia ed il paese in cui si trovavano a giocare in senso più ampio, certo, ma in particolar modo dei diversi approcci al calcio e a tutto ciò che concerne quel pallone che tutti ci ha fatto innamorare.
Provai quindi, parliamo della scorsa primavera, a contattare un po’ di calciatori attualmente militanti in alcune squadre estere quanto altri tornati in Italia dopo aver giocato fuori dai confini del Belpaese.
Molti non mi risposero nemmeno, altri lo fecero dicendomi che erano interessati alla cosa salvo poi sparire nel nulla.
Uno, invece, quattro chiacchiere con me le ha fatte realmente. Ed ecco quindi, con colpevole ritardo mio, la sua storia.
Parliamo di Raffaele De Vita, ventitreenne ragazzo nativo di Roma che vanta esperienze tanto in quel di Blackburn (Inghilterra) quanto in quel di Livingston (Scozia), dove vive e gioca tutt’ora.
Ma andiamo con ordine, facendoci raccontare da lui la sua vita, la sua carriera e, soprattutto, le differenze tra Italia e Regno Unito.
Partendo dal principio, ovviamente: “Sono nato nella periferia di Roma il 23 settembre 1987. Inizialmente i miei genitori preferirono iscrivermi a nuoto, credendo che avrebbe giovato al mio fisico molto di più del calcio. Poi all’età di dieci anni iniziai a giocare con la squadra del mio quartiere e negli anni seguenti cambiai molte società, sempre locali, fino all’età di quindici anni, quando giocai il mio ultimo anno in Italia.
Nei miei anni nella capitale, come detto, ho giocato con molte squadre locali: Villaverde, Borussia, Tor Vergata, Villaggio Breda e infine Atletico 2000, una società molto conosciuta a quel tempo a Roma per via del fatto che era gestita da tre leggende come Odoacre Chierico, Roberto Pruzzo e Giuseppe Giannini.”
E proprio nell’Atletico 2000 Raffaele saprà tanto crescere molto a livello calcistico quanto mettersi in mostra agli occhi dei molti osservatori incaricati di visionare i match della sua squadra: “Proprio all’Atletico 2000 ho avuto la possibilità di farmi notare da molti osservatori. Firmai lì all’età di quattordici anni e ci rimasi solo una sola stagione. Quell’anno, comunque, fu fondamentale per me, in particolare grazie ad Odoacre Chierico: mi portò praticamente sotto braccio per tutto l’anno, mi fece allenare tutti i giorni e mi fece giocare per un anno con la squadra degli ’87 il sabato, e con gli ’86 la domenica”.
Fu allora che venne adocchiato dagli scout dei Blackburn Rovers: “La prima parte di quella stagione fu molto buona per me tanto che intorno a gennaio mi venne a vedere un’osservatore inglese – che lavorava sia col Manchester City che con il Blackburn Rovers – che dopo avermi visto un paio di volte mi propose di andare su a Blackburn per una settimana, cosa che puntualmente feci: cosi io e Chierico partimmo per l’Inghilterra”.
Il provino andò bene, manco a dirlo: “Mi offrirono un contratto di 4 anni. Al che tornai a Roma e dopo un mese passato a rimuginarci sopra decisi, con la mia famiglia, di accettare. Conclusi quindi la stagione a Roma con l’atletico 2000 e a luglio mi trasferii definitivamente a Blackburn”.
Non tutto è oro ciò che luccica, come si dice. E anche se la possibilità era allettante non si può dire sia venuta da sè: “La decisione di andare su è stata difficile soprattutto per i miei genitori, però il Blackburn ci dimostrò subito di essere un club straordinario sotto tutti gli aspetti e per questo non potei rifiutare”.
Ogni tanto ci penso.
A cosa farei io se mi trovassi ragazzino a dover lasciare la famiglia per inseguire il mio sogno lontano da casa e dal mio paese… o anche a cosa farei se in quella situazione si trovasse mio figlio. E, sinceramente, fatico a trovare una risposta sicura. Di certo penerei molto e sarebbe una scelta tutt’altro che facile.
Blackburn, quindi. E come andò la sua esperienza nel Lancashire?
“Durante il primo anno a Blackburn ho giocato con gli under 16 e l’anno successivo sono salito con gli under 18. Inizialmente è stato molto difficile entrare in squadra: la preparazione fisica dei ragazzi inglesi è incredibile e se non ci si abitua subito è veramente impossibile poter inserirsi. Dopo il primo anno passato più a imparare che a giocare sono poi riuscito a ritagliarmi molto più spazio inizialmente con gli under 18 e successivamente con le Reserves”.
E chi conosce un po’ il calcio inglese sa perfettamente quale importanza rivestano le “squadre riserve” in Terra d’Albione. Gli altri, invece, possono farselo spiegare direttamente da Raffaele: “Proprio con le reserves ho cominciato a crescere davvero. In Inghilterra le Reserves sono sempre a stretto contatto con la prima squadra e questo ti permette di capire veramente quello che serve per giocare a certi livelli”.
D’obbligo, poi, chiedergli qualcosa del suo passato nel Lancashire. Ad esempio chi fossero i ragazzi con cui si trovò meglio: “Il compagno di squadra con cui ho legato di piu è Kevin Pezzoni, un ragazzo tedesco che ora sta facendo benissimo al Colonia. Con lui ho trascorso due anni nella stessa camera e due anni fa sono andato a vederlo giocare in Germania proprio nel giorno in cui hanno raggiunto la promozione in Bundesliga. Per quanto riguarda i ragazzi della prima squadra ho sicuramente legato di piu con Lorenzo Amoruso, Corrado Grabbi e Shabani Nondà (principalmente perchè parlavano italiano), e, nell’ultimo anno, mi sono legato molto anche a Roque Santa Cruz”.
E, guarda un po’, proprio quest’estate sembrava che il puntero paraguaiano potesse sbarcare a Roma, sponda Lazio. Chissà, magari una chiamata al nostro Raffaele per avere informazioni sulla città l’avrà anche fatta, il buon Santa Cruz…
Ma dove si ritrovò a vivere, Raffaele? “In Inghilterra ho sempre vissuto da solo: i primi tre anni in un pensionato a 20 metri dal centro sportivo, poi sono potuto andare a vivere per conto mio in un villaggio vicino Blackburn”.
Grande esperienza tanto a livello calcistico quanto a livello umano, quindi, quella vissuta da Raffaele nel Lancashire. Esperienza cui mancò solo la cosidetta ciliegina sulla torta, ovvero sia l’esordio in prima squadra: “Sì, è vero: non giocai mai in prima squadra. Dall’arrivo di Mark Hughes come manager, del resto, fu molto difficile per i ragazzi delle giovanili esordire tra i grandi. Questo principalente perchè il Blackburn stava andando benissimo ed era riuscita a raaggiungere il piazzamento in Uefa per due anni consecutivi. Per me, poi, la strada era chiusa da campioni come Mc Carthy, Santa Cruz, Roberts e Bellamy”.
Niente prima squadra, quindi. Ma di soddisfazioni Raffaele se ne potè togliere comunque: “Nei miei cinque anni a Blackburn siamo diventati campioni di Inghilterra under18 una volta e abbiamo conquistato la “Lancashire Cup”, coppa giovanile molto ambita nel nord dell’Inghilterra”.
Ma quale, tra tutti, fu il momento che ricorda ancora oggi con maggior affetto tra quelli vissuti con la maglia del Blackburn? “Il momento che ricordo con più gioia è quando ho segnato due goal contro il Manchester in una partita del campionato Reserves. Quell’anno lo United era composto da grandi talenti come Giuseppe Rossi, Gerard Pique, Johnny Evans e Fraizer Campbell e proprio per questo batterli segnando due gol è stata una gioia immensa”.
Dopo cinque anni nel Lancashire, comunque, la sua esperienza a Blackburn arrivò all’epilogo. “Quando nel 2008 ho deciso di andare via ero praticamente sicuro che avrei lasciato il Regno Unito e sarei tornato in Italia”. Ma non tutto va sempre come ci si aspetta: “Poi da un giorno all’altro venni contattato da Angelo Massone, un imprenditore romano che aveva appena aquistato il Livingston e che mi offri la possibilità di firmare tre anni di contratto”.
Spostatosi da Blackburn, quindi, non tornò in Italia. Anzi, si spostò ancora più a nord. In Scozia.
“I primi mesi a Livingston furono surreali perché era come giocare in un club italiano. Oltre alla dirigenza anche lo staff era composto esclusivamente da italiani”. L’inizio però, anche qui, non fu dei migliori: “Purtroppo durante la prima amichevole subii un grave infortunio al legamento crociato del ginocchio e dovetti cosi saltare tutta la prima parte della stagione”.
E poi? “La mia esperienza in Scozia è stata un po strana fino ad ora. Il primo anno l’ho vissuto da spettatore, almeno per la maggior parte della stagione. Con molto entusiasmo, però, poiché vedevo un progetto che stava coinvolgendo molte persone. Purtroppo le cose poi sono precipitate: a dicembre il mister Landi e tutto il suo staff venne esonerato e intanto iniziò un periodo molto complicato a livello finanziario per la società. Dopo un’estate molto incerta, la scorsa stagione è iniziata con l’entrata in “amministrazione controllata” della società e cosi la dirigenza italiana è stata costretta a lasciare tutto. Poche settimane dopo sono arrivati nuovi compratori e la situazione sembrava tornata alla normalità. Manco a dirlo ecco che la Federazione ha deciso di penalizzare la società retrocedendola di due divisioni per gli enormi debiti lasciati dall’ex Presidente. A quel punto ho deciso di rimanere qui perché era troppo tardi per cercare un’altra squadra e anche perché dopo l’infortunio dell’anno precedente dovevo assolutamente avere la certezza di giocare regolarmente”.
Dalla First Division – la nostra Serie B – alla Third Division, quarta divisione scozzese. Una scelta che però ha pagato dato che Raffaele ha potuto giocare con regolarità, proprio come voleva, trovando anche più volte il goal e, soprattutto, centrando, con la sua squadra, la vittoria in campionato.
Detto ciò, comunque, non potevo non tornare sul fatto che nel West Lothian abbia potuto lavorare con un tecnico del Belpaese: “Mister Landi nei pochi mesi in cui è stato qua mi ha lasciato tantissimo. È una persona che ha un’idea precisa di calcio e ogni suo allenamento è sempre studiato nei minimi dettagli. Purtroppo però ha trovato molte difficoltà a Livingston perché la Scozia ha una mentalità molto chiusa e i ragazzi hanno fatto fatica ad accettare i suoi metodi. Ad esempio le due ore di tattica al giorno, gli orari dell’allenamento o i ritiri, tutte cose che in Scozia non puoi cambiare dal giorno alla notte. Però per me che sono italiano è stato più facile capire i suoi metodi e penso che se avesse avuto più tempo gli altri ragazzi avrebbero cominciato ad apprezzare il suo lavoro”.
E proprio rispetto alla differenza rispetto all’approccio calcistico era giusto focalizzare l’attenzione: “Gli allenamenti qui nel Regno Unito sono completamente diversi dall’Italia; la principale differenza secondo me è l’intensità di ogni seduta. La tattica viene spesso messa da parte e viene dato molto più spazio ad allenamenti basati sul possesso palla o partitelle. La cosa più importante per ogni mister che allena qui è il pressing costante per esempio, e su questo si lavora in continuazione in ogni allenamento”.
Tornando all’esperienza scozzese, comunque, era giusto parlare anche dei compagni con cui si trova meglio oggi, dopo aver detto di quelli con cui si affiatò in Inghilterra: “Il compagno con cui mi trovo meglio è Jason Talbot, semplicemente perché è cresciuto nelle giovanili del Bolton Wanderers, che si trova a 20 minuti da Blackburn. Io e Jason abbiamo spesso giocato contro da ragazzi e in campo ci troviamo molto bene”.
Ma in tutto questo… il pensiero corre mai a casa?
“Nel Regno Unito mi sono sempre trovato bene e questo lo devo soprattutto alle persone che ho incontrato a Blackburn e successivamente a Livingston. Ovviamente la lontananza da casa si sente. Spesso sono le piccole cose che mancano, come una cena con i parenti, i pomeriggi con gli amici o il poter guardare la televisione italiana. Comunque penso che se un calciatore non riesce a far meno di queste cose non può ambire a raggiungere grandi traguardi nel calcio. La cosa che però mi manca di più, a parte la mia famiglia, è la mia città. Penso che le città del Regno Unito non raggiungano un millesimo della bellezza delle nostre città; per questo ogni volta che ho la possibilità di tornare a Roma provo una grande emozione”.
E… la cucina?
“Per quanto riguarda la cucina ovviamente preferisco quella italiana. Nonostante sono qui da molto tempo non ho mai cambiato nulla della mia alimentazione; non riesco a non mangiare “all’italiana” e in questo mi aiutano i miei parenti che ogni mesi mi inviano pacchi pieni di cibo italiano! L’unico piatto inglese a cui mi sono affezionato è “l’english breakfast” e ogni tanto me la cucino anche quando sono in Italia”.
In tutto questo, parlando di “migranti”, non potevo non toccare un tasto scomodo, ma di assoluta importanza: quello del razzismo, male strisciante che si annida in un po’ tutti i paesi, Italia in primis. “Non penso di essere mai stato discriminato. Però certo, qui a Livingston, dopo quello che ha “combinato” la dirigenza italiana, veniamo visti con un occhio diverso. Purtroppo i luoghi comuni sull’Italia e sugli italiani sono sempre gli stessi, anche se devo dire che non ho mai ricevuto offese. Al massimo solo sotto forma di scherzo”.
E per il futuro?
“Ovviamente penso spesso a quando tornerò in Italia. Però la Gran Bretagna è il posto dove sono cresciuto come calciatore e ormai dopo sette anni mi sono abituato a questo tipo di calcio e per questo la decisione di tornare in Italia non sarà facile”.
Non sarà facile, ma una porta aperta, ovviamente, Raffaele la lascia. Mentre per quanto concerne un’eventuale altra esperienza all’estero ma in un paese che non faccia parte del Regno Unito?
“Non penso che giocherò in altre nazioni oltre alla Gran Bretagna. Se dovessi stare lontano da casa lo farei solo per giocare qui. Prima di firmare al Livingston sono stato un paio di settimane in Germania e mi sono allenato con Colonia e Francoforte. Dopo quell’esperienza mi sono accorto che non sono pronto per cambiare un’altra volta calcio e stile di vita. Quindi per adesso mi vedo giocare o in Gran Bretagna o in Italia”.
Solo ventitrè anni ma già una certa carriera alle spalle. Nella quale, per altro, ha potuto incontrare fior di giocatori: “Giocando con le Riserve a Blackburn ho avuto la fortuna di giocare contro grandi giocatori che occasionalmente scendevano in campo con la squadra “Riserve”. I difensori piu ostici che ho incontrato sono Piquè, Evans, Richards, Webster e Arbeloa ma, nel complesso, mi è capitato di scontrarmi anche con Giuseppe Rossi, Mascherano, Zenden, Fowler, Walcott e Sturridge”.
A livello personale, invece, detto del ricordo migliore… quale la sua partita migliore?
“La partita migliore che ho mai giocato penso sia una partita di 3 anni fa del campionato Riserve contro il Wigan in cui ho segnato la mia unica tripletta della mia carriera”.
Questo il De Vita calciatore.
Ma prima di tutto Raffaele, come tutti gli altri calciatori del resto, è un ragazzo come tanti con sogni, passioni, speranze, idoli, eccetera.
Partiamo dai sogni “Il mio sogno di calciatore è quello di giocare nella Lazio, ma per adesso questo sogno è un po’ lontano. Un sogno più realistico sarebbe di tornare in SPL con il Livingston” per parlare poi di idoli “se potessi giocare con un campione del passato sarebbe senza dubbio Paolo Di Canio. È l’unico calciatore a cui mi ispiro e che ho ammirato da quando ero bambino” e di passioni “quando non mi alleno passo la maggior parte del tempo a casa a riposare guardando dvd o televisione. L’unico sport che mi appassiona oltre al calcio è il golf, che cerco di praticare tre o quattro volte alla settimana. Due volte a settimana seguo inoltre lezioni di spagnolo, che è una lingua che mi incuriosisce tantissimo e che vorrei continuare a studiare in futuro. Sono fidanzato ma purtroppo lei vive a Roma e quindi riusciamo a vederci solo quando gli impegni all’università le permettono di salire. Oltre alla mia ragazza almeno una volta al mese ricevo visite dall’Italia, da parte di parenti e amici. Purtroppo da quando sono a Livingston difficilmente riesco a scendere a Roma e quindi capita molto spesso che i miei familiari vengano qui a Edimburgo”.
Poi certo, oggi è ancora presto per pensarci. Ma un giorno anche Raffaele dovrà appendere gli scarpini al chiodo e allora… “Per adesso non sono sicuro se, una volta smesso di giocare, avrò voglia di rimanere nel calcio o no. Due anni fa ho iniziato il corso da allenatore e spero di poterlo finire il prima possibile perché quella di fare l’allenatore potrebbe sempre essere un’opzione per il mio futuro”.
Ecco quindi uno scorcio di un ragazzo che, giovanissimo, ha tentato l’esperienza all’estero.
Come dicevo prima personalmente non saprei proprio dire cosa avrei fatto al suo posto. Perché certo è facile, di primo acchito, pensare “Se il Blackburn chiama corro”. Solo che poi quando ti ci trovi in una determinata situazione ecco che iniziano ad avere un peso anche tutti i “contro” come la famiglia, la ragazza, gli amici, le abitudini, ecc.
E allora scegliere non diventa più così facile.
Lui, però, ha avuto il coraggio di mettersi in gioco fino in fondo, e quel coraggio è stato ripagato. Ha saputo vincere la paura e si è cimentato in una sfida tutt’altro che alla portata di tutti.
Traendone indubbiamente tanto, come si può capire da questa chiacchierata…