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Archive for the ‘Gli speciali di SM’ Category

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Finiamo oggi il nostro viaggio all’interno dell'”ECA Study on Transfers” (diviso su queste blog in più parti: prima, seconda, terza, quarta) con quelle che sono le conclusioni tratte dalla European Club Association.

  1. L’industria del pallone non è diversa dal resto dell’economia.
  2. L’incremento dei ricavi dei club viene assorbito dall’aumento del costo del personale.
  3. La redistribuzione dalle posizioni apicali della piramide calcistica alla base è un dato di fatto.
  4. L’attuale sistema di trasferimenti poggia su di uno sbilanciamento concorrenziale.
  5. I trasferimenti a parametro zero rappresentano la netta maggioranza del totale dei trasferimenti internazionali.
  6. Il sistema dei contributi di solidarietà deve essere migliorato.
  7. C’è una sempre maggior incidenza delle commissioni agli agenti.
  8. La maggioranza dei prestiti internazionali riguarda giocatori under 23.

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Prima di andare a vedere quelle che sono state le conclusioni tratte dall’ECA a proposito di questo interessantissimo studio sui trasferimenti dei club UEFA, chiudiamo il viaggio all’interno di questo studio stesso parlando di due aspetti spesso sottovalutati nel chiacchiericcio calcistico giornaliero, ma che nel “mondo reale” contano eccome: contributo di solidarietà e quota da versare agli agenti.

Partiamo da un presupposto: l’articolo 21 del regolamento FIFA sancisce nell’ammontare del 5% sul totale del costo di un trasferimento il cosiddetto contributo di solidarietà che la società acquirente deve versare alle società responsabili della crescita e dell’educazione del giocatore acquistato.

Beh, come ben spiegato dalle tabelle seguenti ciò non avviene nella realtà. Il contributo effettivo è infatti dell’1,15%, ben distante da quanto deciso dalla Fifa.Solidarietà

La cosa positiva è che, un po’ inaspettatamente, l’Italia è la nazione che più cura questo aspetto. Certo, ben lontana da quel 5% richiesto, ma comunque più attenta di tutte le altre.Contributi solidarietà

Infine, gli agenti. Che intascano sempre più soldi dai trasferimenti dei propri assistiti. Nel biennio considerato gli emolumenti riconosciuti a queste figure hanno infatti toccato quota 254 milioni di dollari, il 14,6% del valore dei trasferimenti nel loro complesso.Agenti

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Nei due post precedenti abbiamo scandagliato un po’ i numeri del calciomercato europeo con relative implicazioni economiche e redistributive.

In quello di oggi continuiamo a scandagliare l”interessantissima ricerca dell’ECA sui trasferimenti entrando più nello specifico di quelli che sono i tipi di trasferimento che vengono effettuati.

Partiamo quindi dalla loro suddivisione: dei 14322 trasferimenti totali quasi tre quarti riguardano i parametri zero (10431, il 73%). Il rimanente quarto è invece diviso in parti quasi uguali tra prestiti (1975, 14%) e trasferimenti cash (1916, 13%).Tipi di trasferimento

Dati che secondo l’ECA sottolineano come la libertà di movimento dei calciatori sia garantita dal sistema di svincolo attualmente in uso.

Ma qual è il costo medio di un trasferimento? 400 mila dollari, se consideriamo tutti i 14322 trasferimenti. 2,7 milioni se invece ci limitiamo a considerare i trasferimenti cash.Costo medio

Concentriamoci ora sui prestiti in uscita. Il 54% dei quali ha riguardato giocatori under 23, per un’età media di 23,7 anni.Età media

Questa, invece, la grafica che esamina i prestiti nazione per nazione. Con tanto di età media, numero totale e rapporto percentuale rispetto ai trasferimenti totali.Prestiti dieci nazioni

Ma con chi vengono effettuati questi prestiti?

Quelli in entrata sono stati 744, il 51% dei quali tra club delle cinque leghe principali. Il 33% ha invece riguardato le divisioni inferiori, il 10% altre leghe europee ed il 6% le leghe extra-UEFA.

Diverso il discorso per i prestiti in uscita (1990), con ben il 69% che ha riguardato le divisioni inferiori. Il 19% ha invece riguardato le cinque leghe principali, il 9% il resto d’Europa ed il 3% il resto del mondo.Origine e destinazione prestiti

Infine, i prestiti onerosi. Che sono stati l’11% (254) del totale.Prestiti onerosi

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Nel post precedente abbiamo parlato di quelli che sono un po’ di numeri generali del calciomercato europeo. In questo ci concentreremo invece su alcuni aspetti più prettamente economici, sempre prendendo a riferimenti l'”ECA Study on Transfers”.

Partiamo quindi dalla suddivisione fatta dell’Europa in tre “bundle”.Bundle

Da qui, interessante andare subito a vedere la suddivisione dei ricavi. Che mostra molto chiaramente come il primo bundle sia quello in cui si investe nettamente di più nel calcio.Ricavi bundle

Si deve poi notare come in termini relativi l’incidenza dei trasferimenti sui ricavi totali sia scesa negli ultimi anni, passando dal 28% del 2007 al 22% del 2011.
Al contrario, a fronte di un 5,6% di aumento dei ricavi, è salito del 6% (dal 59 al 65) il “costo del personale”, la voce che incide nettamente di più i bilanci delle squadre europee. Il tutto sospinto dall’8,5% di crescita netta di questa voce.Margine ricavi-costi-trasferimenti

Diamo ora un occhio alla redistribuzione. In primo luogo, di calciatori.

Sono stati infatti 1054 i giocatori “netti” che sono passati dal bundle 1 ai club del resto del mondo. Suddivisi come segue:Giocatori dal top bundle

Per entrare ancora più nello specifico ecco invece la redistribuzione netta di giocatori passati dai cluster 1 e 2 (le prime dieci leghe d’Europa) ai cluster 3 e 4 (dall’undicesima alla ventesima), alle rispettive divisioni inferiori, agli altri campionati europei ed a quelli non europei.Giocatori da cluster 1-2

Come si traduce in termini economici questa redistribuzione? In 1 miliardo e 28 milioni passati dal top bundle al resto del mondo. Con una suddivisione molto interessante, come potete vedere dalla grafica che segue, che in questo caso ci dà valori molto vicini tra il medium bundle e le nazioni non UEFA.Soldi da top bundle

Questa, invece, la redistribuzione effettuata dai primi due cluster:Cash da cluster 1-2

Quale il sunto della ricerca ECA a tutto questo discorso?

Senza il mercato trasferimenti per come è pensato oggi non ci sarebbe questa importante redistribuzione delle risorse dai cluster 1 e 2 nei confronti del resto del sistema calcio mondiale. Il che produrrebbe un ancora più marcato gap tra i grandi ed i piccoli club, oltre che un forte effetto inflattivo sugli stipendi dei top player (con, anche qui, un gap ancora più importante rispetto ai propri colleghi).Trasferimenti = redistribuzione

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Lo scorso maggio partecipai ad una interessantissima tavola rotonda calcistica organizzata dall’Università Liuc, con molti esponenti del nostro calcio presenti (trovate il recap delle discussioni affrontate qui).

Tra tutti, uno dei temi più interessanti fu sicuramente la ricerca presentata da Emanuele Grasso, partner PWC, ed il professor Ernesto Paolillo riguardo il sistema di trasferimenti europeo.

Uno studio ben dettagliato ed interessante che ha riguardato due stagioni (11/12 e 12/13) e le cui risultanze statistiche vorrei riportare qui.

Partiamo dai trasferimenti totali. Che nel periodo preso in esame sono stati ben 14322 (9511 tra club UEFA, 2366 acquistati da fuori, 2445 ceduti fuori).Trasferimenti totali

Che su scala intercontinentale si traduce, di fatto, in un bilancio neutro (-79) tra i giocatori che hanno lasciato l’Europa e quelli che ci sono arrivati.
Il maggior numero di giocatori netti è arrivato dall’Africa (307). Il bilancio è invece all’opposto se parliamo di Asia, con un saldo netto di -342 giocatori.Giocatori trasferiti non-UEFA

Parlando di cash, il valore totale dei trasferimenti avvenuti nel biennio preso in esame è stato di 5 miliardi e 147 milioni di dollari.Cash totale

E qui la bilancia si squilibra invece di molto: l’Asia diventa l’unico continente che esporta capitali in Europa (135 milioni), il Sud America è invece quello che beneficia di più dei nostri capitali (saldo di 527 milioni). Per un totale netto di 462 milioni di dollari che hanno lasciato l’Europa per il resto del Mondo.Soldi trasferiti non-Uefa

Interessante in questo senso andare a vedere le statistiche un po’ più dettagliate di questo discorso. Ed allora si nota come sia il Portogallo la nazione che va ad acquistare di più al di fuori dell’Europa (304 calciatori, 31% del totale), con l’Italia terza (128, 13% del totale).
Italia capace però di prendersi la prima posizione per quanto riguarda il trasferimento di denaro (217,8 milioni di dollari) davanti a Francia (109,2 mln) ed Inghilterra (94,7 mln). Un dato probabilmente per molti inaspettato, che racconta una realtà diversa da quella che sentiamo ogni giorno: non è vero che le italiane non spendono. Al massimo, ma qui bisognerebbe fare tutt’altro tipo di analisi, non spendono bene.Classifiche acquisti non-Uefa

Non molto dissimile nemmeno la situazione del mercato in uscita. Il Portogallo domina anche la classifica del numero di calciatori (323 ceduti al di fuori dell’Europa, un quarto del totale), ma non quella dei soldi incassati (Germania prima a 43,8 mln di incassi extra-europei).Classifica cessioni non-Uefa

Focalizziamoci ora sulle cinque leghe principali. Che, da sole, hanno mosso 5491 calciatori.Trasferimenti 5 leghe

Interessante in questo senso anche analizzare l’origine e la destinazione della maggior parte di questi trasferimenti. Perché se 1110 sono stati tra squadre di questo esclusivo “club”, la parte più importante ha riguardato le trattative con le rispettive serie inferiori (2265 cessioni e 890 acquisizioni, con un saldo effettivo di -1375). Solo una parte relativa ha invece riguardato le altre leghe europee (470 cessioni, 381 acquisti, -89 il saldo netto) e le nazioni non-UEFA (200 cessioni, 175 acquisizioni, saldo di -25).Giocatori 5 leghe

Il tutto si è tradotto in un movimento di ben 4 miliardi e 853 milioni di dollari.Cash 5 leghe

Con un saldo negativo rispetto alle “altre leghe” di 909 milioni.

Net money 5 leghe

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Quasi tre anni fai scrissi un pezzo sulla nazionale under 19 italiana che nel 2003 fu capace d’imporsi a livello Europeo, laureandosi appunto campione continentale in Liechtenstein battendo il Portogallo in finale.

Oggi invece, mentre ero in redazione a riflette un po’ sulla brutta storia che sta attraversando oggi la Pro Patria mi sono imbattuto nella pagina Wikipedia di Sebastián Bueno, ormai trentenne punta che milita attualmente nel Perugia.

E da lì, notando come lo stesso giusto dieci anni fa partecipò alla spedizione mondiale (under 20) che vide l’Argentina laurearsi campionessa iridata di categoria per la quarta volta nella storia ho fatto passare un attimo i nomi di quella rosa, per riflettere sulla loro fine.

E beh, ciò che ne esce è piuttosto emblematico di quanto debbano essere prese con le pinze le vittorie ottenute a livello giovanile, quand’anche così importanti come una imposizione mondiale.

Seguiamo quindi la numerazione ufficiale di quella squadra e ripercorriamo brevissimamente, per diletto, le carriere di quei giocatori. E, soprattutto, andiamo a scoprire dove militano ora quei giocatori che, ormai nel pieno della loro maturità, dovrebbero essere giunti ai vertici del calcio mondiale.

1 – Germán Darío Lux

Ventinove anni compiuti a giugno, debuttò in Primera nel River a soli diciannove anni, diventando titolare dopo la dipartita di Costanzo. Sbarcato in Europa – a Maiorca – nel 2007 giocherà a spizzichi e bocconi, non avendo comunque mai a lungo il posto da titolare sicuro.

Svincolatosi alla fine dell’ultima stagione si è accasato al Deportivo La Coruna (Segunda División spagnola, la nostra Serie B), dove fa il secondo dell’ex Athletic Daniel Aranzubía.

2 – Nicolás Andrés Burdisso

E’ probabilmente il giocatore che ha avuto la carriera migliore.

Trent’anni compiuti ad aprile, ha vinto davvero molto in carriera, sia in campo nazionale che internazionale.

Di certo, però, non verrà ricordato nei secoli come uno dei difensori più forti del suo periodo.

Anzi: a cose sicuramente buone ha sempre alternate passaggi a vuoto piuttosto marcati. Nel complesso difensore discreto ma nulla più.

3 – Julio Andrés Arca

Lui lo ricordo molto bene a Scudetto, gioco manageriale dietro cui ci ho speso ore interminabili.
Lì – ma solo lì – era un esterno mancino praticamente indomabile. Che crescendo, poi, diventava in assoluto uno dei migliori giocatori dell’interno – sconfinato – database.
Non a caso quando mi trovavo ad allenare la nazionale italiana sfruttavo subito il suo doppio passaporto per naturalizzarlo…

In realtà, però, Julio ha disputato la sua onesta carriera in Inghilterra, dove ha collezionato circa 300 presenze in Premier tra Sunderland e Middlesbrough.

Nulla rispetto a ciò che prometteva in quell’assolato luglio del 2001, comunque. Quando con la fascia di capitano al braccio guidò i suoi compagni a laurearsi Campioni del Mondo della categoria under 20.

4 – Mauro Darío Jesús Cetto

Lui stiamo imparando a conoscerlo in questi primi mesi di Palermo.

Altro giocatore che comunque risentì – nel videogame di cui sopra – degli influssi positivi di quel Mondiale (beh, come un po’ tutti i giocatori in rosa). Tanto che, esattamente come Arca, feci anni a sfruttarne il passaporto italiano per convocarlo nella mia nazionale virtuale!

In realtà dopo aver speso praticamente tutta la sua carriera – esordi a parte – in Francia (tra Nantes e Tolosa) Cetto ha appunto raccolto la sfida italiana ed è approdato in estate in Sicilia.

Dove attualmente fa la riserva di Pisano (se lo si vuol considerare terzino destro, ruolo che può effettivamente ricoprire) e della coppia Migliaccio/Silvestre.

5 – Nicolás Rubén Medina

Altro giocatore che a Scudetto ai tempi del Sunderland era un vero fenomeno.

Anche lui come Arca ha militato negli Argentinos Juniors e poi, appunto, nei Black Cats.
Solo che lui, a differenza dell’amico Julio, non vi ha trovato la sua dimensione, ed ha iniziato un lento peregrinare che l’ha portato a vestire diverse maglie.

Tra cui quella dei cileni dell’O’Higgins, che indossa tutt’ora.

6 – Fabricio Coloccini

Questo venne preso per mezzo fenomeno da tanti. E non solo dai programmatori di Scudetto.

Tanto che quando arrivò al Milan in molti erano pronti a scommettere ad occhi chiusi su di lui. Che ancora non aveva nemmeno vinto quel famoso Mondiale.

A Milano non ebbe però mai grande fortuna, così che iniziò una serie di prestiti con cui venne rimbalzato un po’ tra Argentina e Spagna.
Da cui poi prese il volo per l’Inghilterra, dove milita tutt’ora (Newcastle).

Lui, a differenza di tanti suoi compagni di avventura in quel Mondiale, ha comunque raccolto diverse presenze in nazionale: Wikipedia ne conta 35, condite per altro da una rete.

7 – Javier Pedro Saviola Fernández

Partiamo da un presupposto: facendo parte della “FIFA 100”, la lista dei 125 migliori calciatori di sempre, la sua presenza a quel Mondiale (di cui fu per altro il capocannoniere) dovrebbe far saltare questo giochetto.

Un fenomeno vero ci fu, in quell’Argentina.

Beh, in realtà io non la vedo proprio così.

Un fenomeno vero, IN POTENZIALE, ci fu sì. E se è per questo forse non solo uno.

Però, appunto, il tutto restò solo in potenziale.

Perché Saviola tra River e nazionali giovanili fece benissimo e io ricordo ancora quando, ragazzino, compravo riviste in cui si raccontavano le sue prodezze e ne sognavo l’arrivo in Italia, convinto di essere di fronte ad un giocatore che avrebbe potuto – così era spacciato – spaccare i match a proprio piacimento.

E invece sbarcato in Europa, più precisamente al Barcellona, non fece malaccio ma non mantenne nemmeno le promesse, tanto dal finire con l’essere prestato al Monaco prima e al Siviglia poi.

Una volta terminato il suo contratto col Barça, quindi, il passaggio al Real, che cercò lo sgarbo ai rivali storici provando a rivitalizzare un campioncino che si era però irrimediabilmente bruciato anni prima.

Oggi Javier gioca in Portogallo, al Benfica. Ed è solo lontanissimo parente di quello che sarebbe diventato se, giunto a Barcellona, fosse riuscito a non bruciarsi.

Insomma… è proprio vero che i giovani campioni crescono… quando non si bruciano!

8 – Oscar Adrian Ahumada

Più di cento partite con in dosso la maglia dei Millionarios, Ahumada ha avuto esperienze di vita e calcio anche in Germania (Wolfsburg), Messico (Veracruz) e Russia (Rostov).

Un po’ pochino, forse, rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare pensando ad un Campione del Mondo under 20.

9 – Esteban José Herrera

C’è comunque anche chi ha saputo fare pure “peggio”.

E’ il caso di Esteban Herrera, che dopo gli esordi tra Boca e Talleres è passato dall’Italia (Messina e Lucchese) prima di fare un po’ il viandante del pallone, passando per Grecia (dove ha vestito le maglie di tre diverse squadre) e Perù prima di tornare in patria.

Dove gioca oggi, indossando la maglia dello Sportivo Italiano, che milita nel corrispettivo della nostra Serie C.

10 – Leandro Atilio Romagnoli

Numero pesante sulle spalle.

Perché se sei argentino e indossi la maglia numero 10 della Seleccion il paragone scatta subito facile: Diego Armando Maradona!

Beh, Romagnoli è stato paragonato meno rispetto ad altri (Saviola in primis) al Pibe. Però anche su di lui c’erano tantissime aspettative, viste la tecnica notevole.

Per lui l’esperienza europea s’è limitata a gravitare attorno al Portogallo. E la sua carriera è stata comunque dedicata quasi esclusivamente al suo San Lorenzo…

11 – Maximiliano Rubén Rodríguez

Nel complesso è probabilmente lui il giocatore che ha mantenuto di più le promesse. E non stiamo comunque parlando di un fenomeno.

Soprattutto parliamo di un giocatore che all’epoca era forse internazionalmente meno considerato di alcuni suoi compagni di spedizione. Ma che pure con tanto impegno, carattere ed abnegazione ha saputo costruirsi una carriera di tutto rispetto in cui ha messo assieme un totale di circa duecento presenze tra Atletico Madrid e Liverpool.

E non solo: quarantuno volte nazionale argentino, ha partecipato ai mondiale del 2006 e del 2010.

12 – Ariel Gerardo Seltzer

Difensore che compirà trentuno anni il prossimo 3 gennaio Seltzer ha dedicato buona parte della sua carriera all’Argentinos Juniors, per poi passare all’Atletico Rivadavia (dove gioca tutt’ora, in quella che è considerabile la Serie B argentina).

Storia piuttosto particolare per lui, come racconta Wikipedia, che avendo antenati ebrei fu vicino all’approdo al Beitar Gerusalemme, poi saltato per la presunta inapplicabilità della “Legge del ritorno” nel suo caso.

13 – Diego Daniel Colotto

Tante partite giocate nell’Estudiantes prima di tentare l’avventura messicana e, poi, spagnola.

Dove gioca tutt’ora in Segunda División: più precisamente è compagno di Lux al Deportivo.

14 – Leonardo Daniel Ponzio

Attuale capitano del Real Saragozza, ha comunque avuto una carriera al di sotto di quanto non ci si potesse aspettare.

Mediano gran combattente e dotato di carisma e combattività notevole ha una bella castagna da fuori e uno spirito di adattamento che lo porta a sapersi disimpegnare più che bene anche come terzino destro.

Eppure non ha vestito la maglia di nessun grande club (europeo, dato che un paio d’anni al River li ha passati).

15 – Andrés Nicolás D’Alessandro

L’altro grande potenziale o presunto fenomeno della nazionale di Pekerman del 2001.

Lui e la sua boba fecero innamorare mezzo mondo.

Sembrava destinato alla Juventus, ma alla fine lasciò il River per trasferirsi al Wolfsburg.
E forse proprio quello fu l’errore.

In Germania non si adattò forse mai al cento per cento e anche lui un po’ come Saviola probabilmente si bruciò ben prima di esplodere.

Dopo la Germania ha provato la fortuna in Inghilterra (Portsmouth) e Spagna (Saragozza), prima di tornare in patria (San Lorenzo).

La sua dimensione pare comunque averla trovata in Brasile, dove vestendo la maglia dell’Internacional è stato capace di vincere una Libertadores e, soprattutto, un Pallone d’Oro sudamericano.

16 – Mauro Damián Rosales

Lui l’approdo in Europa l’ha tentato passando dall’Olanda, più precisamente dall’Ajax.

Dove mise in mostra potenzialità interessanti, ma senza mai convincere in pieno.

Così nel 2007 decise di tornare in patria, prima di tentare – nel 2011 – l’avventura americana in quel di Seattle.

Se questo è mantenere le promesse…

17 – Alejandro Damián Domínguez

In Russia probabilmente lo ricorderanno a lungo, ma nell’Europa Occidentale molto più difficilmente già oggi qualcuno salterà sulla sedia al solo sentirlo nominare.

Tra Kazan e San Pietroburgo ha fatto vedere sicuramente buone cose, ma certo si sarebbe dovuto confrontare con palcoscenici più importanti per consacrarsi.

18 – Wilfredo Daniel Caballero

Secondo di Lux a quei Mondiali si trova oggi invece ad essere il portiere titolare del Malaga multimilionario sesto in classifica.

I casi della vita!

Certo comunque che anche qui non ci stiamo trovando di fronte ad uno dei migliori interpreti al mondo del ruolo.

Del resto così non fosse non avrebbe passato praticamente tutta la carriera all’Elche!

19 – Sebastián Bueno

Ed eccoci arrivati al buon Sebastián Bueno, il giocatore che mi ha fatto partire la scintilla che mi ha portato a scrivere questo pezzo.

Beh, oggi (trent’anni compiuti da un paio di settimane) gioca in Serie C2.

Credo dovrebbe bastarvi questo.

Insomma… caricare di troppe aspettative un giovane è facile. Ma pure bruciare chi le qualità per fare bene davvero le ha è altrettanto facile.

Sperando che in futuro i casi come questi siano sempre meno…

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Dopo la fallimentare (economicamente parlando, almeno) esperienza della NASL il calcio professionistico americano ricominciò ad esistere a partire dal 1993 con la creazione della Major League Soccer, a tutti meglio conosciuta come MLS.

Senza voler entrare troppo nel dettaglio della storia di questo campionato (chi fosse interessato può informarsi meglio seguendo quanto prodotto dalla redazione MLS del sito PlayItUSA) limitiamoci a parlare dell’aspetto che ci interessa relativamente a questo articolo: i contratti e gli stipendi elargiti ai giocatori.

Perché è bene dire che per evitare di fare la fine del proprio illustre predecessore la MLS decise di dotarsi di un sistema di contenimento dei costi molto valido: il salary cap, o tetto salariale.
Per chi non lo sapesse, infatti, è bene rendere noto che buona parte delle uscite affrontate annualmente dalle principali squadre del mondo sono affrontate proprio in relazione al pagamento degli stipendi. In Italia, ad esempio, a fronte di una spesa complessiva netta di 100 milioni, va ricordato, una società si trova a sborsarne 200 per poter coprire anche le spese relative a tasse e contributi.

Il tetto salariale, quindi, serviva proprio a questo: contenimento dei costi.

Obiettivo sicuramente centrato in pieno dato che in questi ultimi diciassette anni il movimento calcistico americano è andato via via crescendo sempre più, sino a raggiungere i discreti livelli cui si trova ora (con una previsione realistica, comunque, che dovrebbe portarlo a crescere ulteriormente a livello globale).

Certo, però, il salary cap oltre a garantire una certa stabilità economica di un movimento che, in special modo all’inizio, non navigava certo nell’oro ha comportato anche qualche problemino a livello concorrenziale. Perché se da una parte era garantita la solidità di una squadra dall’altra questa stessa squadra non poteva realmente permettersi di poter concorrere sul mercato rispetto all’acquisto di grandi giocatori.

Proprio per poter aggirare quest’ostacolo venne inserita la regola dei Designated Players, ovvero sia venne data la possibilità ad ogni franchigia di firmare un giocatore (attualmente è possibile firmarne due) il cui contratto non sarebbe pesato (se non per 400mila dollari) sul salary cap della squadra, facendo quindi diventare le varie squadre MLS competitive sul mercato delle stelle internazionali.

Del resto è presto detto: attualmente il salary cap di ogni squadra è posto a poco più di due milioni e mezzo di dollari. Con quella cifra non si pagherebbe nemmeno un panchinaro di squadre come Real, Barcellona, Manchester, Inter o Milan. Senza contare, poi, che con due milioni e mezzo di dollari l’anno si deve costruire una squadra intera.

Gli ingaggi annuali quindi, come è facilmente intuibile, sono piuttosto bassini, mediamente. Non potrebbe essere altrimenti.

Nel contempo, però, proprio la regola dei Designated Players ha fatto sì che venissero a crearsi delle posizioni privilegiate nei confronti di alcuni giocatori.

In totale, infatti, sono otto, attualmente, i Paperoni del calcio americano. Otto giocatori che, sfruttando questa regola, riescono a portarsi a casa ingaggi superiori al milione di dollari.

Il re di questa sorta di classifica non poteva che essere lui, David Beckham: con i suoi sei milioni e mezzo di dollari l’anno, infatti, è il giocatore più pagato dell’intero campionato professionistico statunitense.

Al secondo e terzo posto si piazzano invece due new entries della MLS, due vecchie conoscenze dell’elite del calcio europeo: Thierry Henry e Rafa Marquez, entrambi recentemente trasferitisi da Barcellona a New York, dove ora indossano la maglia dei Red Bulls. Stipendi molto simili e di tutto rispetto per loro: 5,6 milioni il francese, 5,544 milioni il messicano, con quest’ultimo cui in estate vennero anche spalancate le porte della Juventus ma che al blasone di uno dei club più vincenti della storia d’Italia, che però non avrebbe potuto garantirgli un ingaggio così principesco, ha preferito i dollari sonanti che gli pioveranno in tasca giocando nella Grande Mela.

Molto più normali, calcisticamente parlando, gli stipendi degli altri cinque calciatori inseriti nell’elite degli stipendi del calcio statunitense. Appena sotto al terzo gradino del podio, infatti, si piazza la stella del calcio americano: Landon Donovan. Il suo stipendio, però, non è proprio paragonabile a quello di Beckham, Henry e Marquez. Al cospetto di questi stipendi, infatti, i suoi 2 milioni e 128 mila euro risultano quasi essere un salario povero.

Nel trovare in quinta posizione un altro giocatore con addosso la maglia dei Red Bulls il lettore più attento non potrà che chiedersi “ma non c’era la possibilità di ingaggiare due soli DP per squadra?”. Beh, è presto detto: ogni franchigia può pagare una luxury tax ammontante a 250mila dollari (che saranno poi ripartiti tra le squadre che non useranno un terzo DP spot) per avere la possibilità di firmare un terzo Designated Players.
Ecco quindi come oltre alle due ex stelle Blaugrana New York può permettersi di dare anche 1 milione e 918 mila euro a Juan Pablo Angel, punta colombiana nativa di Medellin in passato già goleador di River Plate ed Aston Villa.

Certo che con tutti questi investimenti il minimo è che ora New York porti a casa quantomeno il titolo nazionale…

Notevole anche l’investimento fatto in quel di Chicago, unica squadra, oltre ai Galaxy ed ai Red Bulls, ad aver contrattualizzato due giocatori il cui contratto ammonta a più di un milione di dollari. Ai Fire, infatti, molto pesanti sono i contratti del messicano Nery Castillo (1 milione e 788 mila euro) e Freddie Ljungberg (1 milione 314 mila euro), quest’ultimo acquistato proprio recentemente dai Seattle Sounders.

Completa il lotto, quindi, Julian De Guzman che a Toronto guadagna ben 1 milione e 717 mila dollari l’anno.

Sono questi, in definitiva, i Paperoni del calcio statunitense. Ma in un campionato parsimonioso come è stato sino ad oggi quello americano va detto che ci sono altri giocatori che se la passano piuttosto bene.
Dallo spagnolo Mista, anch’egli in forza ai Toronto FC, che guadagna 987 mila dollari l’anno a Kyle Beckermann (Real Salt Lake) e Danny Califf (Philadelphia Union) sono ben ventidue i giocatori che si portano a casa un minimo di 250 mila dollari.

E se un giorno la FIFA decidesse di espandere su scala globale questo sistema del salary cap americano?

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L’anno scorso riportai, commentandola, una classifica del Sun riguardante i dieci peggiori acquisti effettuati da Sir Alex Ferguson nella sua infinita esperienza di Manchester.

Quest’anno propongo invece un’altra classifica della testata inglese, quella sui dieci migliori Treble della storia del calcio.

Sven Goran Eriksson e Torbjrn Nilsson con la Coppa Uefa dell'82

Iniziamo subito con la decima posizione, quindi: vi troviamo Sven Goran Eriksson ed il suo Goteborg d’inizio anni ottanta che nella stagione 81/82 centrò una tripletta notevole per una squadra sicuramente non al top di Europa. Quell’anno, infatti, gli svedesi vinsero l’Allsvenskan (il campionato svedese), la Svenska Cupen (la coppa nazionale) e, soprattutto, la Coppa Uefa.

Ma andiamo con ordine: dopo aver effettuato una campagna di rafforzamento importante in sede di mercato la compagine guidata dal tecnico che passò poi anche dal nostro campionato non partì bene. Facendosi forza sul 4-4-2 sapientemente impostato dall’allenatore, infatti, la squadra riuscì a trarsi d’impaccio, chiudendo una stagione storica.

Il Campionato venne vinto dopo che la stagione regolare venne chiusa al primo posto con 29 punti in 22 partite (11 vittorie, 7 pareggi e 4 sconfitte), con un solo punto di vantaggio sull’Hammarby. E proprio i Bajen sarebbero stati gli avversari della finale playoff: dopo essersi liberati dell’Halmstads ai quarti (3 a 1 totale) e del Malmo in semifinale (8 a 1 totale) arrivò infatti il 3 a 1 della finale di ritorno a ribaltare la sconfitta per 2 a 1 dell’andata. Trascinati dai 12 goal di Dan Corneliusson (che disputò poi più di 100 gare nel Como), capocannoniere del torneo, i Blåvitt riuscirono quindi ad imporsi in campionato. Ma non solo: come detto, infatti, quell’anno nessuno riuscì ad opporsi all’armata biancoblù, nemmeno nella Svenska Cupen che venne vinta proprio dalla squadra di Eriksson capace di imporsi in finale per 3 a 2 sull’Osters.

La Coppa Uefa, primo alloro europeo nella storia della società, arrivò invece al termine di una cavalcata a tratti trionfale: ai trentaduesimi di finale venne spazzato via l’Haka con un 7 a 2 totale assolutamente senza appello, ai sedicesimi gli svedesi fecero un po’ di fatica e dopo il 2 a 2 di Graz contro lo Sturm si qualificarono di misura grazie al 3 a 2 del ritorno, agli ottavi andarono in scioltezza con un 4 a 1 totale sulla Dinamo Bucarest, ai quarti fu decisiva ancora una volta la gara di ritorno (dopo il 2 a 2 di Valencia arrivò il 2 a 0 di Goteborg) mentre in semifinale ci fu addirittura bisogno dei supplementari (dopo l’1 a 1 di Kaiserlautern anche la gara di Goteborg si chiuse col medesimo risultato, con i Blåvitt capaci di spuntarla proprio nell’extratime).
In finale, infine, nessun problema per la truppa Eriksson, che si sbarazzò con una doppia vittoria (1 a 0 e 3 a 0) dell’Amburgo che giusto l’anno dopo si rifarà in Coppa dei Campioni vincendo il massimo alloro europeo in una famosissima finale contro la Juventus.

Torbjorn Nilson e Felix Magath nel corso della finale Uefa dell'82

La nona posizione è invece appannaggio del Liverpool versione 2001: guidati dal francese Gerard Houllier i Reds, reduci da ben sei anni di digiuno, si portarono a casa FA Cup, Coppa di Lega e Coppa Uefa in una sola stagione.
Al terzo anno sulle sponde del Mersey, infatti, l’ex tecnico federale si tolse delle belle soddisfazioni.

La vittoria in FA Cup partì da lontano: nel corso del terzo round la squadra del tecnico di Thérouanne si sbarazzò con un secco 3 a 0 del Rotherham United per poi sbarazzarsi di Leeds (2 a 0) e Manchester City (4 a 2) nei due turni successivi. Ai quarti, quindi, un altro 4 a 2, questa volta con il Tranmere Rovers, che fece da preambolo al 2 a 1 sul Wycombe della semifinale. In finale, quindi, arrivò il 2 a 1 in rimonta sull’Arsenal (Ljungberg per i capitolini, doppietta di Owen per i Reds), che consegnò al Liverpool un trofeo che mancava da dieci anni.

In Coppa di Lega il cammino fu invece più tirato: il terzo round venne passato infatti solo ai tempi supplementari con una vittoria di misura (2 a 1) sul Chelsea. In compenso il quarto round fu una passeggiata di proporzioni notevoli: 8 a 0 allo Stoke con Fowler, tripletta per lui, mattatore della serata. Ai quarti la strada tornò invece a farsi in salita: 3 a 0 al Fulham, sì, ma dopo che i novanta minuti regolamentari si erano chiusi sullo 0 a 0. Di Owen, Smicer e Barmby le reti che qualificarono alle semifinali i Reds. Semifinale che partì malissimo: l’andata venne infatti vinta dal Crystal Palace per 2 a 1. Nel ritorno, però, Murphy (doppietta per lui) e compagni dilagarono chiudendo la pratica con un rotondissimo 5 a 0. In finale, infine, il goal di Fowler, giunto alla mezz’ora, fu pareggiato in extremis da un rigore di Purse, che mandò le squadre ai supplementari prima ed ai rigori poi. Qui il Birmingham dovette quindi chinare il capo di fronte ai propri avversari, che misero le mani su di una coppa che mancava dal 1995.

In Uefa, infine, la vittoria arrivò in una storica finale con l’Alaves terminata 5 a 4 e decisa da un’autorete di Geli arrivata a tre minuti dal termine del secondo tempo supplementare dopo che i Reds si erano sbarazzati di Rapid Bucarest, Slovan Liberec, Olympiakos, Roma, Porto e Barcellona.

Robbie Fowler festeggia la quarta rete nella finale di Uefa del 2001

L’ottava posizione è invece piuttosto esotica: la stessa è infatti assegnata all’Al Ahly che tra il 2005 ed il 2006 vinse campionato e coppa nazionale oltre alla Champions League africana.

La Premier egiziana fu assolutamente dominata dal club allenato da Manuel José de Jesus: trascinati dai 18 goal di Aboutrika i Red Devils uccisero il campionato vincendo 23 partite su 26 senza perderne nessuna, registrando il miglior attacco e la miglior difesa e chiudendo a più quattordici sulla seconda posizione.

Della coppa egiziana non vi sono invece molte informazioni in rete mentre è possibile raccontare qualcosa del trionfo in Champions, il secondo in due anni per altro.
Dopo essersi liberati con un rotondo 5 a 0 tra andata e ritorno dei kenioti del Tusker arrivò il 4 a 0 contro i guineani del Renacimento che qualificò i Red Devils alla fase a gironi. Inseriti nel gruppo A con i tunisini dello CS Sfaxien, i ghanesi dell’Asante Kotoko e gli algerini del JS Kabylie i nostri prodi egiziani chiusero al secondo posto dietro alla Juventus Araba, squadra che poi avrebbero ritrovato in finale.
In semifinale, quindi, il 3 a 2 totale con gli ivoriani dell’ASEC Mimosas per chiudere poi con un 2 a 1 totale la finale contro il CS Sfaxien.
Anche qui, esattamente come in campionato, il capocannoniere fu Aboutrika che chiuse la manifestazione con 8 goal all’attivo, tre più di Ya Konan.

In settima posizione ritroviamo il Liverpool, questa volta nella sua versione risalente al lontano 1984.
L’allenatore, all’epoca, era quel Joe Fagan che, nato sulle rive del Mersey, era legatissimo alla sua città. Una volta smesso col calcio giocato, infatti, ebbe una quinquennale esperienza come allenatore del modesto Rochdale per poi entrare, nel 1958, a fare parte dello staff tecnico Reds. Ben sedici anni più tardi, quando Bob Paisley lasciò il ruolo di allenatore in seconda per prendere quello di allenatore lasciato libero da Bill Shankley fu proprio Fagan a prenderne il posto, diventandone quindi il vice. Nel 1983, quindi, fu su di lui che la società puntò per sostituire lo stesso Paisley e lui dimostrò subito di saper gestire al meglio la situazione vincendo Campionato e Coppa di Lega oltre ad una Coppa dei Campioni. L’anno successivo, poi, arrivò l’Heysel. E proprio quell’infausto accadimento segnò tanto Fagan da spingerlo ad abbandonare il mondo del calcio nonostante la possibilità di continuare a fare bene sulla panca della squadra della propria città.

Joe Fagan guidò il Liverpool a conquistare la Coppa dei Campioni dell'84

La vittoria in Coppa di Lega arrivò al termine di una doppia finale disputata contro l’Everton. Intendiamoci: il trofeo era assegnabile al termine di una finale secca, ma la stessa, disputata in quel di Wembley, terminò sullo 0 a 0 costringendo le due squadre non a passare per supplementari e rigori ma a ripetere il match (pratica, questa, molto in uso in terra d’Albione) qualche giorno più avanti. Al Maine Road, quindi, fu una rete di Graeme Souness a decidere il match, chiudendo la pratica.

Il campionato venne invece vinto al termine di una bella cavalcata: i Reds vinsero 22 partite sulle 42 totali, tanto quanto Southampton e Nottingham Forest. A fare la differenza, quindi, i tre pareggi in più che permisero loro di guadagnare tre punti più del Soton. Liverpool che si piazzò in prima posizione già alla quattordicesima giornata, restandovi sino al termine (con una sola piccola parentesi rappresentata dalla diciottesima giornata, quando fu il Manchester ad affrancarsi in prima posizione). A trascinare la squadra del Mersey alla vittoria del campionato fu Ian Rush, giocatore poi divenuto famoso per il flop in quel della Torino Bianconera, che realizzò ben 32 reti, dieci più di Gary Lineker.

In Coppa dei Campioni, infine, il percorso del Liverpool passò attraverso alle vittorie con Odense (6 a 0 totale), Athletic Bilbao (1 a 0), Benfica (5 a 1) e Dinamo Bucarest (3 a 1). In finale, quindi, i Reds si videro opposti alla Roma di Di Bartolomei. Il match si chiuse sul risultato di 1 a 1, influenzato dalle reti di Neal e Pruzzo e per assegnare la coppa si dovette ricorrere ai rigori. Dal dischetto furono fatali gli errori di Conti e Graziani, arrivati dopo a quello commesso da Nicol. Liverpool campione d’Europa.

La sesta posizione di questa simpatica classifica è appannaggio del PSV di Guus Hiddink che nel 1988 riuscì a vincere Eredivisie, Dutch Cup e Coppa dei Campioni.

La Coppa d’Olanda venne vinta al termine di un percorso che vide la squadra di Eindhoven battere 6 a 0 il De Treffers, l’MVV 3 a 1, il Den Bosch 1 a 0 (dopo i tempi supplementari), l’RBC 2 a 0 e l’RKC 3 a 2 in semifinale. La finalissima, quindi, venne giocata il 12 maggio al Willem II Stadion agli ordini dell’arbitro Cor Verhoef davanti ad 8500 spettatori. Grandi protagonisti di questo match furono i due Smeets ed Eric Gerets, che con i loro goal portarono a chiudere il match sul 2 a 2. A decidere lo stesso fu quindi Soren Lerby, che andò a realizzare la rete della vittoria al secondo minuto del primo tempo supplementare, coronando al meglio il suo primo anno passato in quel di Eindhoven.

Soren Lerby: un suo goal consegnò al PSV la KNVB Cup dell'88

Il campionato venne invece dominato: il PSV fu trascinato dai 29 goal di Wim Kieft ed andò a vincere 27 delle 34 partite disputate con un superattacco (117 goal all’attivo) ed una grandissima difesa (28 goal subiti).

In Europa le cose non andarono invece così bene e l’imposizione finale arrivò non senza fatica.
Le cose iniziarono piuttosto bene: il 3 a 0 sul Galatasaray fatto registrare nell’andata dei sedicesimi di finale fece subito ben sperare i tifosi olandesi anche se il 2 a 0 del ritorno riportò subito sulla terra tutti, in quel di Eindhoven. Meno problemi, invece, agli ottavi: al 2 a 1 di Vienna si aggiunse il 2 a 0 in terra d’Olanda che consegnò al PSV un pass per i quarti. Da qui in poi, quindi, la squadra allenata da Hiddink non vinse più una partita: opposti al Bordeaux chiusero rispettivamente 1 a 1 e 0 a 0 il doppio confronto con i francesi, riuscendo quindi a qualificarsi in semifinale grazie alla regola dei goal realizzati fuori casa. Nel turno successivo la cosa si ripetè esattamente uguale, ma contro il Real Madrid. La finale del Neckerstadion con il Benfica, poi, terminò 0 a 0 e ci fu bisogno dei calci di rigore per assegnare il trofeo. Decisivo fu l’errore di Veloso, che si fece parare il penalty da Van Breukelen: PSV Campione d’Europa!

La quinta posizione è terra di conquista dei Celtic Glasgow di Jock Stein che nel 1967 non firmarono una tripletta, ma bensì un poker! Quell’anno, infatti, gli scozzesi vinsero Scottish Cup, Coppa di Lega, Premier e Coppa dei Campioni.

Ma andiamo con ordine: le due coppe nazionali vennero vinte rispettivamente contro Aberdeen e Rangers. La Scottish Cup venne infatti riportata al termine di un 2 a 0 fatto registrare all’Hampden Park contro i The Dons mentre la Coppa di Lega venne vinta grazie all’1 a 0 nel derby con i Blue Noses.

E proprio i Rangers furono i principali contendenti al titolo anche in Campionato, là dove i Biancoverdi si imposero con un vantaggio di tre soli punti sui cugini al termine di un campionato che vide nella squadra dei protestanti quella con la miglior difesa (31 reti subite contro le 33 dei Celtic) ma in quella dei cattolici il team con il miglior attacco (trascinato da Steve Chalmers, capocannoniere con 21 reti per 111 goal realizzati contro i 92 dei Rangers).

Billy McNeill alza la Coppa dei Campioni

In Coppa dei Campioni il percorso fu netto nel corso dei primi due turni: alla doppia vittoria (2 a 0 e 3 a 0) con lo Zurigo si aggiunse la doppia vittoria degli ottavi contro il Nantes (3 a 1 sia all’andata che al ritorno). Ai quarti arrivò la prima ed unica sconfitta del loro torneo continentale, con il Vojvodina capace di imporsi 1 a 0 in Yugoslavia per poi essere superato ed eliminato dal 2 a 0 di Glasgow. La semifinale venne invece chiusa già nel corso dell’andata, quando il 3 a 1 fatto registrare in terra scozzese regolò i conti tanto che in quel di Praga i Celts si accontentarono di preservare lo 0 a 0. In finale, quindi, i goal di Gemmell e Chalmers ribaltarono l’iniziale vantaggio di Mazzola, consegnando agli scozzesi il più importante alloro europeo per club.

In quarta posizione troviamo l’Ajax del 1972, capace di vincere Eredivisie, KNVB Cup e Coppa dei Campioni.

Agli ordini di Stefan Kovacs, subentrato proprio quell’anno al grandissimo Rinus Michels, i Lanceri vinsero la loro ottava Coppa d’Olanda della storia al termine di un percorso netto che portò Cruijff e compagni a battere PEC Zwolle (8 a 3), Go Ahead Eagles (3 a 0), NEC (1 a 0), FC Volendam (2 a 0) ed FC Den Haag (3 a 2 in finale).

In campionato arrivò invece una sconfitta, ma che non pregiudicò minimamente il cammino della squadra di Amsterdam, capace di raccogliere anche 30 vittorie e 3 pareggi chiudendo a più otto sul Feyenoord forti di un attacco prolificissimo (104 reti segnate, 25 delle quali da Cruijff, capocannoniere del torneo) e dalla seconda miglior difesa del campionato (20 reti subite, sette più del Twente).

E quella raccolta in campionato fu l’unica sconfitta di una stagione mirabolante: in Europa, infatti, nessuno seppe opporsi all’armata Biancorossa che vinse il torneo a mani basse. L’avventura iniziò ai sedicesimi dove gli olandesi batterono 2 a 0 la Dinamo Dresda per impattare poi 0 a 0 in Germania ed accedere agli ottavi dove venne incontrato l’Olympique Marsiglia, superato con un 6 a 2 totale frutto del 2 a 1 francese e del 4 a 1 in terra olandese. Ai quarti fu quindi regolato l’Arsenal (2 a 1 in quel di Amsterdam, vittoria 1 a 0 a Londra) mentre in semifinale l’1 a 0 dell’andata fu sufficiente a staccare un biglietto per la finalissima del Fejienoord Stadion. Qui l’armata olandese, forte di campioni come Krol, Neeskens ed Haan trovò nella sua stella più lucente, Cruijff, il giocatore decisivo: una sua doppietta spense infatti i sogni di gloria dell’Inter, che dopo aver ceduto al cospetto dei Celtic, come abbiamo appena visto, non poterono nulla nemmeno contro questo mirabolante Ajax.

Inter che si è però rifatta proprio quest’anno e guadagna la terza posizione di questa divertente classifica. La storia è fresca e ben conosciuta: la banda guidata da Josè Mourinho ha infatti chiuso l’ultima stagione con le vittorie in Campionato, Coppa Italia e Champions League, coronando un sogno lungamente inseguito dalla società guidata da Massimo Moratti.

Roy Keane e Ryan Giggs, grandi protagonisti della cavalcata del 1999

La seconda piazza è appannaggio del Manchester United guidato da Alex Ferguson che nel 1999 vinse FA Cup, Premier League e Champions League.

La coppa nazionale venne vinta davanti ai quasi 80mila di Wembley al cospetto di un Newcastle che dovette inchinarsi alle reti realizzate, una per tempo, da Sheringham e Scholes.

In campionato l’imposizione arrivò invece di misura: i Reds la spuntarono ai danni dell’Arsenal per un solo punto, frutto di un pareggio in più. A pesare maggiormente, alla fine, fu la maggior prolificità della squadra allenata da Ferguson che a fronte dei venti goal subiti in più riuscì però a farne ventuno più dei Gunners, strappando loro la vittoria al rush finale. Tra i grandi protagonisti di quell’imposizione va ricordato sicuramente Dwight Yorke, capace di laurearsi capocannoniere del torneo al pari di Jimmy Floyd Hasselbaink e Micheal Owen con 18 reti all’attivo.

In Europa, infine, lo United chiuse il torneo senza sconfitte anche se con molti pareggi all’attivo. L’avventura dei Red Devils iniziò al secondo turno preliminare, quando gli inglesi si liberarono 2 a 0 dell’LSK Lodz in casa per poi impattare 0 a 0 in Polonia. Inseriti nel Gruppo D con Bayern, Barcellona e Brondby, poi, raccolsero ben quattro pareggi in sei partite, riuscendo a battere solo i danesi (6 a 2 là, 5 a 0 in casa propria). Questo, comunque, bastò loro per sopravanzare ai quarti di finale, dove fu l’Inter la vittima sacrificale: 2 a 0 a Manchester, 1 a 1 in quel di Milano. In semifinale fu un’altra italiana, la Juventus, a cedere: 1 a 1 Oltremanica, 3 a 2 a Torino. La finalissima, quindi, venne vinta rocambolascamente, tanto da entrare indelebilmente nel grande libro del calcio: all’iniziale vantaggio firmato da Mario Basler risposero, nel giro di due minuti ed a tempo già scaduto, Sheringham e Solskjaer, che chiusero una rimonta incredibile ed indintimenticabile, issando il proprio club sul tetto d’Europa.
Capocannoniere, anche qui, il solito diavolo trinidadense, quel Dwight Yorke che vinse la classifica di top scorer al pari di Andriy Shevchenko con otto reti all’attivo.

La prima posizione va invece, infine, al Barcellona targato 2009: la squadra di Guardiola fu infatti capace di vincere Copa del Rey, Liga e Champions dominando una stagione giocata su livelli stratosferici sia a livello di risultati che, soprattutto, di gioco. Capibile, quindi, perché il Sun ha deciso di assegnare proprio a questa squadra la prima piazza.

La cavalcata in coppa nazionale iniziò in ottobre e si concluse il 13 maggio: dopo il doppio 1 a 0 sul Benidorm arrivarono il 3 a 1 ed il 2 a 1 rifilati all’Atletico. Qualche difficoltà in più nel derby con l’Espanyol, con la seconda squadra di Barcellona capace di fermare i Blaugrana sullo 0 a 0 all’andata per poi cedere però nel ritorno, chiusosi sul 3 a 2 per Messi e compagni. 3 a 1 totale, quindi, in semifinale con il Maiorca e roboante 4 a 1 nella finalissima del Mestalla disputata con l’Athletic e risolta dalle reti di Tourè, Messi, Bojan e Xavi.

La Liga arrivò dopo una cavalcata fatta di 105 goal realizzati e solo 35 subiti, miglior attacco e miglior difesa del campionato. Il divario di nove punti sul Real, quindi laureò Campioni di Spagna i Blaugrana, con Eto’o vice pichichi a quota 30 reti, due meno di Forlan.

Samuel Eto'o, tra i punti di forza del Barça versione 2009

La Champions arrivò da lontano. La rincorsa al massimo alloro continentale per club partì infatti a metà agosto, con la partecipazione al terzo turno preliminare dove l’armata spagnola si sbarazzò facilmente del Wisla Cracovia: 4 a 0 all’andata e sconfitta per 1 a 0 al ritorno, che non mise comunque in discussione la partecipazione dei futuri campioni d’Europa a quella Champions.
Inseriti nel Gruppo C con Sporting, Shaktar e Basilea, poi, i Blaugrana rimediarono un’altra sconfitta, anche questa indolore: dopo aver raccolto tredici punti nelle prime cinque partite, infatti, Messi e compagni erano già sicuri del primo posto e presero sotto gamba l’ultimo match del girone, venendo battuti dallo Shaktar.
Molto agile, poi, anche il percorso che portò alla semifinale: dopo l’1 a 1 di Lione arrivò il 5 a 2 del ritorno, mentre ai quarti fu il Bayern a prenderne 4 al Camp Nou e dover chinare il capo, chiudendo poi con un inutile 1 a 1 il ritorno.
Sul filo di lana, invece, la qualificazione alla finale: alla fine fu un goal contestato ad Iniesta a portare il Barça all’ultimo atto, là dove le reti di Messi ed Eto’o chiusero la pratica United senza troppe apprensioni.

Al di là delle posizioni in classifica, comunque, questa classifica dà modo di ripercorrere un po’ di storia del calcio, fatta anche da imprese come quelle qui descritte. Cose che tutti i tifosi vorrebbero poter vivere, almeno una volta nella vita…

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Il conto alla rovescia che ci porterà all’inizio del Mondiale Sudafricano procede e più il tempo va assottigliandosi più la voglia di Mondiale cresce un po’ in tutti.

Del resto, si sa, il Campionato Mondiale di calcio è un evento unico nel suo genere, capace di catalizzare decine di milioni di spettatori da ogni angolo del mondo come sa fare, forse, solo l’Olimpiade.

Per cercare di rendere meno pesante l’attesa, quindi, facciamo un tuffo nel passato e andiamo a rivivere un po’ la storia del Mondiale. Senza, però, farlo in maniera canonica cioè parlando di tutte le varie edizioni, dei vincitori, dei giocatori principali, ecc.
Rivisitiamo la storia dei Mondiali con un viaggio attraverso i record che sono stati segnati nel corso degli anni: squadre, giocatori, allenatori ed arbitri che hanno fatto la storia di questa magnifica competizione.
Il tutto non solo nella maniera canonica di un blog, ovvero sia con le parole. Laddove è possibile, infatti, vedrò di affiancare ad essere anche immagini e filmati, di modo da rendere più completo ed interessante questo viaggio…

Iniziamo quindi con una citazione doverosa che va in favore della squadra brasiliana: il team Verdeoro è infatti l’unico ad essere stato presente a tutte le edizioni sin qui disputate. Brasile che allungherà il proprio record in Sudafrica, dove, ovviamente, sarà ancora una volta presente.

Brasile che non è solo la squadra più presente: la nazionale che fu di Pelè e Garrincha è infatti quella che è stata capace di centrare più vittoria (5), di giocare più volte una finale (7, record questo ad oggi condiviso con i tedeschi) e di giocare più incontri ad un Mondiale (92, anche questo record condiviso con i tedeschi). Ma non solo: i brasiliani detengono infatti anche il record riguardante il massimo numero di vittorie totali (64) ed il maggior numero di reti segnate (201).

Per quanto riguarda i succitati tedeschi, invece, oltre al record totale di presenze in finale e di partite disputate gli stessi vantano anche il maggior numero di presenze nei primi quattro posti (in 11 occasioni, infatti, la nazionale teutonica è arrivata quantomeno in semifinale) ed il maggior numero di pareggi (19, record questo condiviso con la nazionale Azzurra).

Sempre parlando di overall, quindi, i tedeschi risultano anche essere la squadra che ha concesso più goal ai propri avversari: 112. Questo dato in sè va ovviamente preso con le molle: avendo giocato ben 92 partite è anche logico che abbiano subito più goal di tante altre nazionali, che magari di partite ne han giocate solo un decimo. Nel contempo, però, chi si aspettava che a parità di partite (perché, come detto, han giocato lo stesso numero di match) il Brasile avesse subito, ai Mondiali, meno goal di una nazionale che viene sempre presa ad esempio quando si parla di solidità?

Sarosi e Meazza prima del calcio d'inizio della finale del '38

E se Germania e Brasile sono le squadre con più match all’attivo, chi ne ha giocato il numero minore? L’Indonesia, che si è fermata ad una sola presenza Mondiale: correva l’anno 1938 e l’attuale Indonesia partecipò al Mondiale francese, poi vinto dai ragazzi di Pozzo, con la denominazione di Indie Olandesi Orientali. Essendo strutturato, quel Mondiale, con solo scontri ad eliminazione diretta i malcapitati indonesiani vennero subito spazzati via dall’Ungheria (poi finalista) già nel corso del primo turno con un secco 6 a 0 firmato dalle doppiette di Zsengellér e Sárosi e dai goal di Toldi e Kohut.
Non essendo poi mai più riusciti a centrare una qualificazione Mondiale il gioco è fatto: una sola partita disputata nel corso della fase finale di un Mondiale…

Per quanto riguarda la squadra più sconfitta, invece, dobbiamo spostarci in Centro America: questo triste primato è infatti detenuto dalla Tri, la nazionale messicana, capace di trovare la sconfitta in ben 22 occasioni nel corso della propria storia Mondiale.

Parlando di strisce negative, invece, il record, non certo confortante, di squadra capace di raccogliere più sconfitte consecutive spetta ad El Salvador, che ne trovò ben sei di fila. Salvadoregni che si contendono con i boliviani anche il record di striscia più lunga senza una vittoria.

La miglior media goal è invece appannaggio dell’Ungheria, una nazionale che a suo tempo, pur senza mai vincere un Mondiale, seppe fare del bel calcio che oltre a produrre risultati apprezzabili da un punto di vista estetico fu anche molto funzionale e capace di produrre un gran numero di azioni da goal: i magiari, infatti, hanno segnato una media di 2,72 reti a partita.

Qual’è stato, invece, il match più giocato nella storia del Mondiale? E’ presto detto: Brasile – Svezia. Questa partita si è ripetuta infatti in ben sette occasioni: 1938 (finale terzo-quarto posto vinta dal Brasile per 4 a 2), 1950 (nel girone finale, a vincere fu il Brasile per 7 a 1), 1958 (nella famosa finale vinta 5 a 2 dal Brasile di Pelè sulla Svezia di Liedholm), 1978 (nella fase a gironi, 1 a 1 deciso dalle reti di Sjöberg e Reinaldo), 1990 (ancora una volta nella fase a gironi, vinse il Brasile 2 a 1) e per due volte nel 1994 (la prima volta sempre nel corso della fase a gironi quando le due squadre pareggiarono 1 a 1, la seconda in semifinale, dove i Verdeoro si imposero per 1 a 0).
E per quanto riguarda la finale? Le finali più disputate sono due: Brasile – Italia, giocata sia nel 1970 che nel 1994, e Argentina – Germania, disputatasi sia nel 1986 che nel 1990.

Chiudiamo quindi il discorso riguardante le squadre ed i record fatti su più edizioni parlando delle uniche squadre ad aver sempre passato il primo turno ad ogni loro apparizione e di quella che, di contro, non c’è mai riuscita.
Per quanto riguarda la capacità di passare sempre il primo turno, quindi, ci riferiamo a Danimarca ed Eire, mentre è la Scozia l’unica squadra a non aver mai passato il primo turno.

La nazionale danese prima dell'incontro con la Germania Ovest al Mondiale dell'86

Ma vediamo nello specifico, partendo dai danesi: nel 1986 parteciparono per la prima volta ad un Mondiale, e vinsero subito il loro girone. Inseriti nel gruppo E con Germania, Uruguay e Scozia vinsero tutti e tre i match affermandosi come vera e propria mina vagante di quell’edizione. Accoppiati agli spagnoli negli ottavi di finale, però, i danesi vennero spazzati via da Emilio Butragueño, capace di segnare quattro goal nel 5 a 1 che pose fine alla loro prima esperienza mondiale.
Nel 1998, quindi, battendo l’Arabia e pareggiando con il Sud Africa i danesi riuscirono a piazzarsi in seconda posizione alle spalle della Francia poi campione. Ma non solo: fu proprio quell’anno che segnarono il loro miglior risultato ad un Mondiale riuscendo anche a passare gli ottavi di finale grazie al 4 a 1 sulla Nigeria. A spezzare i loro sogni di gloria, però, ci pensò il Brasile, capace di fermarli ai quarti.
Nel 2002, infine, vinsero il proprio girone battendo Uruguay e Francia e pareggiando col sorprendente Senegal per essere poi però subito sbattuti fuori agli ottavi, dove i maestri inglesi si sbarazzarono di loro con un secco 3 a 0.
Vedremo quindi quest’anno se riusciranno a ripetersi ancora, riuscendo a centrare uno dei primi due posti del proprio raggruppamento.

Allo stesso modo fecero tre su tre anche gli irlandesi: nel corso del loro primo Mondiale, quello del 1990, terminarono in seconda posizione il loro girone dopo aver pareggiato tutti e tre i loro match per poi imporsi ai rigori sulla Romania agli ottavi e cedere solo contro i padroni di casa – gli Azzurri – nel corso dei quarti di finale, dove a condannarli fu una rete di Totò Schillaci. Resta questo il miglior risultato della loro storia.
Quattro anni più tardi, comunque, ci riprovarono, ma si fermarono agli ottavi: inseriti nel famosissimo Gruppo E dei Mondiali americani terminarono il girone a parimerito con tutte le altre tre squadre (tra cui l’Italia) finendo secondi per via della classifica avulsa ed avendo quindi modo di accedere al turno successivo dove andarono però a sbattere contro lo scoglio Olanda, che li fece affondare con un secco 2 a 0.

La nazionale irlandese al Mondiale 2002

Nel 2002, infine, centrarono il secondo posto nel loro girone grazie alla vittoria sull’Arabia Saudita ed ai pareggi con Germania e Camerun, salvo poi essere eliminati ai rigori agli ottavi dalla Spagna.

Di contro, invece, gli scozzesi, come detto, non sono mai riusciti a passare il primo turno. E parliamo di ben otto presenze Mondiali, tutte terminate mestamente… subito!

Venendo invece a parlare di record fatti segnare in una singola edizione troviamo anche il Brasile da “premiare”: la nazionale Verdeoro è infatti quella che ha vinto più partite in una singola edizione, 7. Nel 2002, infatti, la nazionale di Ronaldo vinse tutte le partite che disputò, andando meritatamente a guadagnarsi il quinto Mondiale della propria storia.
Brasile che, per altro, detiene, in coabitazione con l’Italia del 38 e l’Inghilterra del 66, un altro record: quello di essere riusciti ad aggiudicarsi un Mondiale con il minor numero di reti segnate, solo 11.

Italia che, nello stesso tempo, detiene un altro paio di record notevoli: nel 1990 fece segnare la più lunga striscia di minuti senza subire goal (517, record non ancora infranto da nessuno), nel 2006 pareggiò invece il record ottenuto dalla Francia nel 98: diventare campione subendo il minor numero di reti possibile, 2.

Come non parlare anche dell’Ungheria? Già citati in precedenza, infatti, i magiari detengono ben tre recordi in questa “sezione”: maggior numero di goal realizzati (27), miglior differenza reti (+17) e miglior media-goal (5.40), tutti record fatti segnare nel Mondiale del 54, poi perso solo in finale da Puskas e compagni.

C’è poi un record particolare di cui parlare: una squadra, nel corso della storia, è riuscita a terminare un Mondiale senza subire goal. Si tratta della Svizzera, eliminata agli ottavi di finale senza che, in quattro partite, avesse subito una sola rete!

Un gruppo di tifosi elvetici: nel 2006 videro la loro nazionale uscire senza aver mai perso una sola partita

La difesa peggiore della storia, invece, è quella della Corea del Sud del 1954: ben 16 reti subite in una sola edizione. Anzi, in tre sole partite. Beh, direi che le 9 subite contro l’Ungheria hanno pesato non poco in questo senso. Corea del Sud che quell’anno, per altro, fece anche registrare la peggior differenza reti della storia: -16, dato che ad una difesa pessima abbinarono anche un attacco assolutamente asfittico, incapace di trovare la via della rete nel corso di tutta la manifestazione.

1954 che fu un’edizione storica proprio perché, come abbiamo visto, fu quell’anno che vennero fatti segnare molti record ancora oggi imbattuti. A quelli di cui abbiamo già parlato ne vanno quindi aggiunti altri due, entrambi segnati dalla squadra che s’aggiudicò quel torneo: la Germania Ovest di quell’anno, infatti, fu la squadra vincitrice capace di segnare ma anche di subire il maggior numero di reti tra tutte quelle capaci di centrare il bersaglio grosso.

Infine, parlando di record di squadra nel corso di una sola edizione, la palma di peggior prestazione di una detentrice del titolo va alla Francia che nel 2002 raccolse un solo punto frutto di un pareggio e due sconfitte, non riuscendo nemmeno mai a trovare la via della rete.

Continuando quindi a parlare di nazionali parliamo un po di “strisce”: due squadre sole, nel corso della storia, sono riuscite a vincere più volte di fila un Mondiale. Parliamo, ovviamente, di Italia e Brasile, con due successi di fila a testa. Sempre due sono le squadre capaci di giocare tre finali consecutive: Germania (dall’82 al 90) e Brasile (dal 94 al 2002). Sempre due sono le squadre che, ahiloro, hanno perso due finali consecutive: Olanda e Germania (con quest’ultima che, però, si potè un minimo rifare l’edizione successiva, vinta battendo in finale l’Argentina di Maradona).

La squadra ad aver invece il record negativo di maggior numero di tentativi di qualificazione falliti è il Lussemburgo, capace di non riuscire a centrare la qualificazione per ben diciotto volte consecutive.

Cafu solleva la Coppa nel 2002

Il maggior numero di vittorie consecutive spetta invece al Brasile, che ne vinse 11 tra il 2002 e il 2006. Brasile che detiene anche il record di maggior numero di match senza sconfitta, 13.
La squadra ad aver perso più partite di fila, invece, è il Messico, che ne perse ben 9 tra il 1930 ed il 1958.
Ad ottenere la peggior striscia di partite senza vittoria, invece, fu la Bulgaria che non trovò il bottino pieno per ben 17 partite consecutive tra il 1962 ed il 1994, quando poi batterono la Nigeria 3 a 0 e s’involarono verso la semifinale persa contro gli Azzurri.

La squadra col maggior numero di pareggi consecutivi è il Belgio (5), mentre quella con il maggior numero di partite senza pareggio è il Portogallo (16).

Veniamo invece alle strisce di partite con goal segnati…
1 goal per match: Brasile e Germania che disputarono 18 match consecutivi segnando almeno una rete.
2 goal per match: Uruguay, 11 partite.
3 goal per match: Portogallo 66 e Germania e Brasile 70, 3 partite.
4 goal per match: Uruguay ed Ungheria, 4 partite.
6 goal per match: Brasile 50, 2 partite.
8 goal per match: Ungheria 54, 2 partite.

Di contro, invece, l’attacco più lungamente asfittico è quello della Bolivia che ha disputato cinque match consecutivi senza trovare la via del goal. Lo stesso record, ma all’inverso, appartiene all’Italia che nel 1990 disputò 5 partite senza subirne.

Allo stesso modo, quindi, vediamo la striscia di partite con goal subiti:
1 goal per match: Svizzera, 22 partite consecutive subendone almeno uno.
2 goal per match: Messico, 9 partite.
3 goal per match: Messico, 5 partite.
4 goal per match: Bolivia e Messico, 3 partite.
5 goal per match: Austria, 2 partite.
6 goal per match: USA, 2 partite.
7 goal per match: Corea del Sud, 2 partite.

Dopo aver sviscerato i record di squadra, quindi, parliamo dei record individuali, dei singoli giocatori.

Iniziando a parlare del giocatore che ha segnato più reti nella storia del Mondiale: Ronaldo, capace di realizzarne 15 tra il 1998 ed il 2006. A detenere lo stesso record, ma parlando di fasi di qualificazione, è invece l’iraniano Ali Daei, che ne segnò 35 tra il 1994 ed il 2006.
Il capocannoniere di una singola edizione Mondiale è invece Just Fontaine, a segno 13 volte nel corso del Campionato del Mondo del 1958.

Oleg Salenko

Ad aver segnato più goal in una singola partita è il russo Oleg Salenko, che realizzò una scala reale in un match disputato contro il Camerun nel 1994. Il record di goal segnati nel corso di una partita poi persa appartiene invece al polacco Ernest Wilimowski che ne realizzò ben 4 nel corso di un match perso 6 a 5 contro il Brasile nell’ormai lontano 1938. E’ dell’austrliano Archie Thompson, invece, il record di goal realizzati nel corso di un match qualificatorio: il nostro realizzò ben 13 reti contro le Samoa Americane in un match valevole per le qualificazioni al Mondiale del 2002.

Un solo giocatore, nel corso della storia, è riuscito a firmare una tripletta in finale: si tratta di Goeff Hurst, che realizzò tre reti contro la Germania Ovest nel 1966. Hurst che non è però il solo ad averne realizzate tre in finale: lo stesso, anche se nel corso di più finali ovviamente, hanno fatto Vavà, Pelé e Zidane.

Il giocatore ad aver disputato più partite segnando almeno un goal è Ronaldo, 11. Quelli ad aver disputato la miglior striscia di partite segnandone almeno uno sono Fontaine e Jairzinho, 6.
I giocatori ad aver segnato più volte almeno due reti sono Kocsis, Fontaine, e Ronaldo, 4. Il giocatore ad averne segnate di più consecutivamente è proprio Kocsis, che le fece tutte e quattro una dopo l’altra.
I giocatori ad aver segnato più triplette sono Kocsis, Fontaine, Gerd Muller e Batistuta (2), quelli ad averne segnate consecutivamente sono Kocsis e Muller, che le fecero in due partite consecutive.

La tripletta più veloce, poi, venne realizzata da László Kiss nel 1954 contro El Salvador: tre reti segnate in sette soli minuti di gioco.

Solo tre giocatori, nel corso della storia, sono riusciti a segnare in tutte le partite disputate nel corso di un singolo Mondiale. Parliamo di Alcides Ghiggia (4 goal in 4 partite nel 50), Just Fontaine (13 goal in 6 partite nel 58) e Jairzinho (7 goal in 6 match nel 70).

Altra curiosità: nell’intera storia delle fase finali di un Mondiale c’è stato un solo giocatore capace di andare in rete direttamente dalla bandiera. Correva l’anno 1962 ed il colombiano Marcos Coll infilò la rete sovietica proprio battendo un corner.

Sempre parlando di giocatori capaci di andare a segno non possiamo quindi non citare colui che è stato il più giovane marcatore nella storia dei Mondiali: ovviamente si tratta del grande Pelé, in goal contro il Galles all’età di 17 anni e 239 giorni. Sempre nel corso di quel Mondiale (1958) lo stesso Pelè divenne anche il più giovane giocatore autore di una tripletta – nel match contro la Francia – nonché il più giovane giocatore ad andare in rete nel corso di una finale.

Roger Milla

Di contro il giocatore più “maturo” ad aver segnato una rete nel corso di un Mondiale è stato Roger Milla che nel 1994 andando a segno contro la Russia timbrò il cartellino all’età di 42 anni e 39 giorni. Parlando di triplette, invece, il record spetta a Tore Keller, capace di realizzarne una nel 38 contro Cuba all’età di 33 anni e 159 giorni, mentre il giocatore più anziano ad aver trovato la rete nel corso di una finale è stato Nils Liedholm, autore di una rete nella finale contro il Brasile del 58 all’età di 35 anni e 236 giorni. In quella finale, insomma, segnarono il giocatore più giovane e quello più anziano della storia delle finali Mondiali.

Parlando di giocatori capaci di trasformare un penalty dagli undici metri, solo limitatamente al corso di una partita e quindi escludendo le serie finali, troviamo tre giocatori capaci di realizzarne quattro: Eusebio nel 66, Rensenbrink nel 78 e Batistuta tra 94 e 98.

Il goal più veloce della storia del Mondiale va invece ascritto al turco Hakan Sukur: l’ex interista ne segnò infatti uno dopo undici soli secondi di gioco nel corso del match che vide i suoi opposti alla Corea del Sud nel Mondiale 2002.
Il goal segnato più rapidamente da un sostituto, invece, venne realizzato dal danese Ebbe Sand, capace di centrare il bersaglio grosso dopo 16 soli secondi dalla sua entrata in campo: era il 28 giugno 1998 e la sua nazionale stava affrontando le Super Aquile nel corso di uno degli ottavi di finale del Mondiale francese.
Il goal più rapido nel corso di una finale mondiale venne invece realizzato da Johan Neeskens: era il 7 luglio del 1974 e l’Olanda stava tentando l’assalto Mondiale alla Germania Ovest. Il goal di Neeskens, però, non permise agli Oranje di far propria la partita.

Il goal più veloce nel corso di una partita di qualificazione invece, udite udite, lo segnò un sanmarinese: sto parlando di Davide Gualtieri che il 17 novembre 1993 piazzò l’1 a 0 contro l’Inghilterra dopo soli otto secondi di gioco.

Il goal arrivato dopo più minuti dal calcio d’inizio, invece, ci è a noi particolarmente caro: si tratta della rete realizzata da Alessandro Del Piero nella semifinale del Mondiale 2006 contro i padroni di casa tedeschi. 121 furono i minuti che passarono dal fischio d’inizio alla sua rete che sancì definitivamente l’approdo Azzurro al Mondiale.
Limitatamente ad una finale, invece, il record lo detiene Geoff Hurst, capace di trovare la rete 120 minuti dopo il calcio d’inizio nell’ultimo atto del Mondiale del 1966.

Sempre parlando di goal ma riaprendo una finestra sui record di squadra bisogna sottolineare chi è riuscito ad ottenere la vittoria più larga. E parliamo di tre nazionali, capaci di vincere con 9 reti di scarto: l’Ungheria nel 54 contro la Corea del Sud (9 a 0), la Jugoslavia nel 74 contro lo Zaire (9 a 0) e l’Ungheria, ancora una volta, contro El Salvador nell’82 (10 a 1, partita questa che risulta anche quella in cui venne segnato il maggior numero di reti da una sola squadra mentre il match col maggior numero di reti totali è il 7 a 5 tra Austria e Svizzera del 54).

Jugoslavia vs. Zaire 9 a 0

La squadra ad aver vinto col margine maggiore nel corso di un match qualificatorio, invece, è l’Australia, capace di battere addirittura 31 a 0 le Samoa Americane lo scorso 11 aprile 2001.

Per trovare il pareggio con il maggior numero di reti segnate (8) dobbiamo risalire ai due 4 a 4 registrati rispettivamente nel 54 e nel 62 in Inghilterra-Belgio e Unione Sovietica-Colombia.

Le migliori rimonte furono invece segnate da Austria e Portogallo rispettivamente nel 54 e nel 66: entrambe sotto per 3 a 0 contro Svizzera e Corea del Nord, infatti, riuscirono poi a rifarsi sotto e, infine, portare a casa un’insperata vittoria!
Le maggior rimonte concluse in pareggio, invece, sono state fatte segnare nel 62 e nel 2002 da Colombia ed Uruguay: anche in questo caso le due squadre partirono sotto di tre goal per chiudere poi in pareggio.
La miglior rimonta in una finale venne invece compiuta dalla Germania Ovest nel 54: dal 2 a 0 a favore degli ungheresi al 3 a 2 finale.

Il maggior numero di goal segnati in un supplementare venne fatto registrare in quella famossima partita tra Italia e Germania Ovest del 1970, già ribattezzata come “La Partita del Secolo”: furono 5 le reti realizzate oltre il novantesimo in quell’occasione.
Ad aver segnato il maggior numero di goal in una finale è stato invece il Brasile, 5 nel 58. E proprio quella finale fu anche quella che vide più reti in tutto: 7.
La finale con meno goal segnati, invece, fu quella del 94: nessuno, tanto che si dovettero aspettare i ben noti rigori per avere, infine, la squadra vincitrice della coppa.

Sempre parlando di finali, ma venendo a quelle vinte più largamente, troviamo che è a 3 goal di scarto che è posto, sino ad ora, il record: nel 98 fu la Francia (3 a 0), nel 70 e nel 58 il Brasile (4 a 1 e 5 a 2).

Francesi e brasiliani entrano in campo per disputare la finale del 1998

Continuando nella nostra ricerca dei record veniamo quindi a parlare della squadra che ha permesso a più giocatori di segnare in una sola partita: è la Jugoslavia, che nel 9 a 0 di cui parlammo in precedenza sullo Zaire mandò in rete ben sette giocatori (Dušan Bajević, Dragan Džajić, Ivica Šurjak, Josip Katalinski, Vladislav Bogićević, Branko Oblak, Ilija Petković).
Se allarghiamo il discorso ad un’intera fase finale, invece, il primato è condiviso dalla Francia dell’82 (Gérard Soler, Bernard Genghini, Michel Platini, Didier Six, Maxime Bossis, Alain Giresse, Dominique Rocheteau, Marius Trésor, René Girard, Alain Couriol) e dall’Italia del 2006 (Alessandro Del Piero, Alberto Gilardino, Fabio Grosso, Vincenzo Iaquinta, Filippo Inzaghi, Marco Materazzi, Andrea Pirlo, Luca Toni, Francesco Totti, Gianluca Zambrotta): in entrambi i casi quelle squadre mandarono in goal ben dieci giocatori nel corso di un intero Mondiale.

Chiudiamo quindi il discorso riguardante le reti segnate parlando di edizioni: il 1998 fu quella con il maggior numero di reti segnate (171), 30 e 34 quelle con il minor numero (70).
L’edizione con il maggior numero di reti segnate per match fu quella del 54 in cui, udite udite, ne vennero realizzate ben 5.38 a partita. Quella con meno goal, invece, fu l’edizione italiana del 90: solo 2.21 reti a partita.

Per quanto concerne gli autogoal, poi, ne vennero segnati ben 4 in tre diverse edizioni: 54, 98 e 2006.

C’è stato un solo giocatore nella storia, infine, capace di bucare entrambi i portieri nel corso di una stessa partita: si tratta di Ernie Brandts che nel 1978 segnò un’autorete al 18esimo ed un goal al 50esimo del match che vedeva la sua Olanda opposta alla nostra nazionale.

Detto di chi i goal li ha fatti, però, vediamo un po’ i record, positivi e negativi, di chi, per lavoro, cerca di non farne fare: i portieri!

Gli estremi difensori con all’attivo più partite senza subire goal sono Peter Shilton e Fabien Barthez, entrambi capaci di terminarne 10 con la porta intonsa. Ad aver realizzato il record di minuti consecutivi, invece, è stato Zenga, che ha all’attivo quei 517 minuti di cui abbiamo parlato in precedenza.

Mohamed Al-Deayea

I portieri ad aver subito il maggior numero di reti ai Mondiali, invece, sono stati il messicano Antonio Carbajal ed il saudita Mohamed Al-Deayea, per entrambi 25 reti al passivo. Parlando di un torneo solo, invece, il record, negativo, spetta al sudcoreano Hong Duk-Yung, che subì tutte e sedici le reti della fallimentare spedizione coreana. Limitandoci ad un solo match, infine, il record è di Luis Guevara Mora, il portiere salvadoregno che dovette raccogliere per 10 volte il pallone dal fondo della propria porta in quel famoso match dell’82 contro l’Ungheria.

Infine due sono stati i portieri capaci di parare più rigori nel corso di un torneo (ovviamente non contando la serie finale dopo i supplementari): il polacco Jan Tomaszewski nel 74 e lo statunitense Brad Friedel nel 2002.

Sempre parlando di record individuali… chi sono stati i giocatori a disputare il maggior numero di edizioni? Il messicano Antonio Carbajal ed il tedesco Lothar Matthaus, con cinque Mondiali presenziati a testa: il primo dal 50 al 66, il secondo dall’82 al 98. Matthaus che è anche il giocatore ad aver giocato il maggior numero di partite: 25. Quello ad aver disputato il maggior numero di minuti, invece, Paolo Maldini: 2217.
Sempre parlando di presenze, ma relativamente alla fase qualificatoria, il detentore del record è l’ecuadoregno Ivan Hurtado, che ha disputato 68 match tra il 94 ed il 2010.
Tornando ai soli Mondiali è Cafu il giocatore ad aver vinto più partite (16) mentre Maradona quello che ne ha disputate di più come capitano (sempre 16). Denilson è stato invece il giocatore più volte subentrato nel corso di un match (11).
Il giocatore con più Mondiali vinti all’attivo, invece, è stato Pelè: ben tre imposizioni, nel 58, nel 62 e nel 70.

Parliamo quindi di età: il ragazzo più giovane ad aver disputato un match Mondiale è stato il nordirlandese Norman Whiteside che aveva solo 17 anni e 41 giorni quando scese in campo nell’82 contro la Jugoslavia. Il più giovane a disputare una finale (e, come detto, a segnare in essa) fu Pelé – 17 anni e 249 giorni -, mentre il più giovane a giocare un match qualificatorio fu Souleymane Mamam, che scese in campo in un Togo-Zambia del 2001 quando aveva solamente 13 anni e 310 giorni. Il più giovane capitano ad un Mondiale, infine, fu Tony Meola, che indossò la fascia contro la Cecoslovacchia nel Mondiale del 90 alla tenera età di 21 anni e 109 giorni.

Al contrario il nonnetto per eccellenza fu Roger Milla, 42 anni e 39 giorni quando scese in campo contro la Russia nel 94. Il più vecchio a disputare una finale, invece, fu il nostro Dino Zoff, monumento nazionale capace di giocarne una alla veneranda età di 40 anni e 133 giorni. Il più vecchio ad aver registrato una presenza nel corso di un match qualificatorio è MacDonald Taylor delle Isole Vergini, sceso in campo a 46 anni e 180 giorni contro St. Kitts and Nevis.  Il capitano più anziano, infine, fu Peter Shilton, che indossò la fascia all’età di 40 anni e 292 giorni.

Peter Shilton

Sempre parlando di età fu il Camerun ad avere la maggior “differenza” di età nel proprio roster quando nel 1994 venne convocato Roger Milla, 42 anni compiuti da un mese e mezzo, e Rigobert Song, 18 anni ancora da compiere: una differenza di ben 24 anni e 42 giorni mai più eguagliata, né battuta, nel corso dei sedici anni successivi.
La differenza maggiore in un team campione, invece, la fece registrare l’Italia dell’82: correvano infatti 21 anni e 297 tra il veterano Zoff ed il virgulto Bergomi.

Veniamo invece alle sanzioni disciplinari: L’ammonizione più rapida della storia del Mondiale se la contendono l’italiano Marini e ed il russo Gorlukovich, entrambi ammoniti dopo un minuto rispettivamente contro la Polonia nell’82 e la Svezia nel 94. L’espulsione più veloce è invece dell’uruguagio Batista, espulso dopo 56 soli secondi nel match disputato contro la Scozia nell’86.
L’ammonizione arrivata più tardi nel corso di un match, invece, se la sono guadagnata Edinho e Roa, entrambi ammoniti nel corso dei calci di rigori finali. L’espulsione più tardiva, invece, se la guadagnò Cufrè nel 2006, quando si fece cacciare al 121′ contro la Germania.
Un solo giocatore, poi, è stato espulso dalla panchina: Claudio Caniggia nel corso di un’Argentina – Svezia del 2002.

I giocatori ad aver ricevuto più cartellini, poi, sono Zinedine Zidane e Cafu, entrambi a quota 6. Cafu che è anche il giocatore più ammonito: tutti e 6 quei cartellini, infatti, furono gialli. I giocatori più espulsi, invece, sono stati Song e lo stesso Zidane: ad entrambi venne infatti mostrato il cartellino rosso in due occasioni nel corso di un Mondiale.

Il Torneo con più espulsi e con più ammoniti è stato quello del 2006. La squadra ad aver ricevuto più cartellini rossi è l’Argentina: 10 in 64 match. Argentina che è anche la squadra più ammonita di sempre (88).
Il match con più espulsioni fu Portogallo – Olanda dell’ultimo Mondiale, partita questa che fece registrare altri due record: quello riguardante il maggior numero di ammonizioni totali (16) e di ammonizioni a carico di una sola squadra (9 per i lusitani). La finale con più cartellini rossi fu invece quella giocata da Argentina e Germania Ovest nel 1990 (gli espulsi furono Monzon e Dezotti).

Un frame di Argentina vs. Germania Ovest, finale del Mondiale 1990

Altra curiosità particolare, che probabilmente in molti ricorderanno: nella storia del Mondiale c’è infatti un giocatore capace di farsi ammonire tre volte nel corso di un solo match. Si tratta del croato Josip Simunic, ammonito nel corso del 61′, del 90′ e del 93′: l’arbitro Poll non si era infatti accorto della doppia ammonizione, ed il difensore balcanico aveva continuato il suo match sino al cartellino giallo successivo.

Il giocatore capace di prendersi più squalifiche nel corso di una sola edizione fu André Kana-Biyik, che ne collezionò due nel corso del Mondiale del 90.
La squalifica peggiore venne invece affibiata a Maradona: 15 mesi per doping, quando il Pibe venne trovato positivo al termine del match contro la Nigeria nel corso dei Mondiali americani. Limitandoci al campo di gioco, invece, il record spetta all’irakeno Mahmoud, che nella partita che vide i suoi opposti al Belgio nel corso del Mondiale dell’86 sputò all’arbitro guadagnandosi un anno di sospensione.
Limitandoci solo ai falli di gioco, invece, la squalifica peggiore venne comminata ai danni del nostro Tassotti: otto giornate per una gomitata a Luis Enrique.

Se prendiamo in considerazione anche le gare qualificatorie, però, le cose peggiorano ulteriormente: il cileno Roberto Rojas, infatti, venne squalificato a vita per aver tentato di ingannare tutti ferendosi con una lametta che si era portato dietro fingendo quindi di essere stato colpito da un petardo. Un atto di un’antisportività rara.

Parliamo quindi ora di calci rigori, limitandoci però alle serie di rigori finali.

Quattro sono le squadre a detenere il record di partite terminate dagli undici metri ad una fase finale Mondiale: si tratta di Argentina, Francia, Germania ed Italia, che finirono così il proprio match in quattro occasioni.
Nel corso di un solo torneo, invece, il record spetta all’Argentina del 90 e alla Spagna del 2002: in entrambi i casi la cosa accadde per due volte.
Due sono anche le edizioni che si contendono il record per il maggior numero di partite terminate dagli undici metri: quella del 90 e quella del 2006.

La squadra ad aver più volte vinto dal dischetto è la Germania, capace di fare 4 su 4. Il primato nel corso di un solo torneo spetta invece all’Argentina, che nel 90 fece 2 su 2.
Quelle ad aver perso più volte sono state invece Italia ed Inghilterra, entrambe a quota 3.

La Francia è quindi la nazionale ad aver calciato più rigori (21), mentre la Spagna quella ad averne calciati di più in una sola edizione (10 nel 2002). La squadra ad aver segnato, nella storia, più rigori finali è la Germania, 17. Furono invece due i match in cui ne vennero calciati ben 12 per squadra: Germania Ovest – Francia dell’82 e Svezia – Romania del 94.

Infine il giocatore ad averne sbagliati di più è, tristemente, il nostro Roberto Baggio capace di fallirne due sui tre rigori calciati: quello in finale finale del 94 e ai quarti di finale nel 98.

Parliamo quindi ora di allenatori, posto che di squadre, giocatori e partite abbiamo parlato finora.

L’allenatore ad essersi seduto più volte su di una panchina nel corso di un Mondiale è stato il tedesco Helmut Schon, 25 presenze tra il 66 ed il 78. Sempre lui detiene quindi anche il record di vittorie: 16. L’allenatore con la miglior striscia di vittorie consecutive è invece Luis Felipe Scolari, capace di raccoglierne 11 tra il 2002 ed il 2006 con Brasile e Portogallo. Scolari che detiene anche il recordo per la striscia senza sconfitte: 12, nello stesso periodo.

Un solo allenatore, invece, è stato capace di vincere in due differenti occasioni il Mondiale: si tratta di Vittorio Pozzo, capace di vincere il primo nel 34 per poi raddoppiare quattro anni più tardi in Francia. L’augurio, ovviamente, è che Marcello Lippi possa unirsi a lui in questa speciale classifica.

Due sono gli allenatori con più Mondiali all’attivo. Si tratta di Bora Milutinovic (dall’86 al 2002) e Carlos Alberto Parreira (82, 90, 94, 98 e 2006): per entrambi ben cinque edizioni a curriculum.
Milutinovic è, per altro, l’allenatore che detiene anche il record come maggior numero di nazionali allenate ad un Mondiale. Sempre cinque: Messico, Costa Rica, USA, Nigeria e Cina, in rigoroso ordine cronologico.

Bora Milutinovic

L’allenatore più giovane nella storia di un Mondiale fu l’argentino Juan Josè Tramutola, che guidò i suoi alla tenerissima età di 27 anni e 267 giorni. Correva l’anno 1930.
Il più maturo è stato invece il nostro Cesare Maldini nella sua esperienza paraguayana del 2002: aveva 70 anni e mezzo.

Se parliamo di presenze ad un Mondiale prima come giocatore e poi come allenatore i recordman sono Zagallo e Beckenbauer, entrambi con 4 Mondiali all’attivo tra campo e panchina. Zagallo che è anche l’unico ad averne vinti tre sommando i due vinti come giocatore a quello vinto nel 2002 da tecnico.

Detto dei coach veniamo allora agli arbitri: in otto detengono il record di maggior numero di Mondiali arbitrati (3), con il francese Quiniou che è l’unico tra questi ad averne arbitrate 8. Altro record. Limitandoci ad un solo torneo, invece, i recordman sono il messicano Archundia e l’argentino Elizondo, per entrambi 5 gare arbitrate nel 2006.
L’arbitro più giovane nella storia del Mondiale fu lo spagnolo Gardeazábal, 24 anni e 193 giorni. Quello più vecchio l’inglese Reader, 56 anni e 236 giorni.

Terminiamo quindi questo lunghissimo excursus sulla storia dei record Mondiali parlando degli spettatori, aspetto spesso sottovalutato ma che risulta decisivo nella riuscita, in special modo, di un Mondiale.

Beh, la partita con il maggior numero di tifosi accorsi allo stadio fu la finale del Mondiale del 50 disputata tra Brasile ed Uruguay al Maracana: i dati storici riportano infatti l’incredibile affluenza di 199854 spettatori.
Quella con meno presenze un triste Romania – Peru all’Estadio Pocitos di Montevideo nel corso del Mondiale del 1930: pare infatti che gli spettatori fossero solo 300!

Parlando di medie, invece, quello con più presenze fu quello del 94 (68991), quello con la media peggiore quello del 34 (23235).

L'FNB Stadium, teatro della finale del prossimo Mondiale

Sperando che questo lungo viaggio nella storia vi sia gradito… non ci resta, ora, che aspettare l’inizio dei Mondiali: occhi incollati sul televisore, pronti a vedere se qualcuno di questi record verrà ritoccato!

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Nel 1917 Bertie Charles Forbes fondava una rivista di economia e finanza che portava il suo nome.
Oggi questa rivista ha anche una versione online ed è proprio lì che possiamo trovare la classifica dei 20 club più ricchi del mondo.

Questa lista è stata stilata dai giornalisti della rivista americana prendendo in considerazione tutte le voci portatrici di utili: diritti tv, merchandising, sponsor, etc.
Andiamo quindi a vedere cosa è uscito da questa ricerca…

Il club più ricco del mondo, e per il sesto anno consecutivo, è il Manchester United, che guida la classifica con un valore stimato sui 1835 milioni di dollari, ovvero sia quasi due miliardi di dollari.

Un risultato notevolissimo per un club che nonostante abbia una voragine debitoria pazzesca si piazza al vertice della classifica.

Qui c’è comunque da dare una spiegazione: come può il club più ricco del mondo avere un debito pazzesco come quello da quasi 800 milioni di euro che grava appunto sui Red Devils? Semplicissimo: come raccontato benissimo da Gianni Dragoni sul Sole 24 ore Glazer si indebitò per scalare uno United all’epoca quotato in borsa per sfruttare poi una “regoletta molto discutibile” – detta anche spremitura del limone – con cui ha potuto scaricare il suo debito sulla società scalata. Il Manchester United, appunto.

Dal settembre 2005, momento in cui Glazer completò la sua scalata, i debiti gravanti sulla società sono andati via via aumentando a causa dei salatissimi interessi che le banche chiedono ai Red Devils.

Se da una parte questo colosso inglese sembra una vera e propria macchina da soldi dall’altra i debiti si stanno mangiando la società.

Per ora, comunque, resta proprio lo United il club più ricco del mondo: sempre secondo Dragoni, infatti, i ricavi sono aumentati del 10,9% nell’ultimo anno, risultando la squadra con il più alto fatturato d’Europa.

La valutazione del club, invece, è scesa nell’ultimo anno secondo Forbes passando dai 1870 milioni di dollari dello scorso ai 1835 di quest’anno con una perdita del 2%.

Questo calo colpisce comunque anche il Real Madrid, squadra che si piazza al secondo posto nella classifica redatta da Forbes. La Casa Blanca passa infatti dai 1353 milioni di dollari dello scorso anno ai 1323 di quello attuale.

Chiude il podio, forse un po’ a sorpresa, l’Arsenal di Arsene Wenger.
Nemmeno i Gunners, però, si salvano dal calo del 2% che ha colpito le prime due squadre di questa classifica. Anche la società londinese vede infatti il suo valore calare dai 1200 milioni dello scorso anno ai 1181 di quello attuale.

Le cose vanno meglio, invece, per il Barcellona: i Blaugrana si piazzano al quarto posto, giusto ai piedi del podio, con un valore tondo che si attesta sul miliardo di dollari. Niente calo, però, per la società catalana: nell’ultimo anno, infatti, il club di Laporta è cresciuto del 4%, dai 960 milioni dello scorso anno ai 1000 di quello attuale.

Brutto passo indietro, invece, per il Bayern Monaco, che perde una posizione attestandosi al quinto posto. Il valore della società teutonica passa infatti dai 1110 milioni di dollari del 2009 ai 990 del 2010, con una perdita che si attesta su di un significativo 11%.

Ancora peggiore il risultato del Liverpool. I Reds crollano infatti di ben un 19% passando dai 1010 milioni dello scorso anno agli 822 di quest’anno. E’ il secondo anno di fila che la squadra del Mersey vede il proprio valore decrescere: nel 2008, infatti, lo stesso si attestava sui 1050 milioni.

La prima delle italiane si piazza quindi in settima posizione: è il Milan, che con i suoi 800 milioni di dollari si piazza ad un’incollatura dai Reds. Il calo, comunque, è lo stesso: 19%. I Rossoneri lo scorso anno fecero infatti registrare un risultato che si attesto sui 990 milioni di dollari.

Giusto alle spalle della società meneghina si piazza un’altra società italiana, la Juventus. I Bianconeri sono tra i pochi club a crescere, in netta controtendenza rispetto al risultato medio (sceso dai 691 ai 632 milioni di dollari) dei principali club europei, vedendo il proprio valore aumentare del 9%: dai 600 milioni dello scorso anno ai 656 di quest’anno. Un risultato sicuramente importante quello fatto registrare dal club di Corso Galileo Ferraris, un risultato che però non avvicina di molto il club torinese alla testa della classifica: lo United continua infatti ad avere un valore di tre volte superiore rispetto a quello juventino.
Certo è, però, che le cose potrebbero cominciare a migliorare ancor più sensibilmente una volta che lo stadio di proprietà sarà una realtà consolidata e potrà essere sfruttato per aumentare le entrate societarie. Ed in questo la Juventus è indubbiamente una precursice dei tempi, nel Belpaese.

E’ invece in linea con i risultati fatti registrare da Liverpool e Milan il Chelsea di Abrahmovic, che perde anch’esso un pesantissimo 19% passando dagli 800 milioni dello scorso anno ai 64 della stagione attuale.

Chiude quindi la top ten un’altra italiana, l’Inter: i Nerazzurri cresco di ben il 12%, dai 370 milioni della scorsa stagione ai 413 di quest’anno.

Inter e Juventus vanno in controtendenza rispetto alle altre squadre

Completano quindi la classifica lo Schalke 04 undicesimo (-25%, da 510 a 384 milioni), il Tottenham dodicesimo (-16%, da 445 a 372 milioni), l’Olympique Lione tredicesimo (-21%, da 423 a 333 milioni), l’Amburgo quattordicesimo (praticamente invariato, da 330 a 329 milioni), la Roma quindicesima (-19% da 381 a 308 milioni), il Werder Brema sedicesimo (-6%, da 292 a 274 milioni), l’Olympique Marsiglia diciassettesimo (+9%, da 240 a 262 milioni), il Borussia Dortmund diciottesimo (-20%, da 325 a 261 milioni), il Manchester City diciannovesimo (-17%, da 310 a 258 milioni) e il Newcastle United (-30%, da 285 a 198 milioni), oggi in Championship – la Serie B inglese -, ventesimo.

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