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Archive for dicembre 2013

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Rientrato dal cenone della Vigilia mi sono messo a letto deciso a guardare un film che potesse conciliarmi il sonno, senza però resistere alla tentazione di interagire con chi ha il piacere di seguirmi sui vari social. Con un quiz.

Avendo ancora aperta la pagina di Wikipedia che si riferisce al Mondiale del 1998, mi è caduto l’occhio su un nome – a suo modo – da leggenda: quello di Theodore Whitmore.

Da lì è partito il quiz, che come feedback mi ha restituito anche un pezzo molto bello scritto dagli amici di Lacrime di Borghetti proprio sulla nazionale giamaicana che quell’anno partecipò per la prima – e ad ora unica – volta nella propria storia ai Mondiali di calcio.

Così l’intenzione di condirmi via con un film ha presto lasciato il posto al bisogno di tornare a scrivere. Ma farlo dei Reggae Boyz e della loro impresa mondiale non avrebbe avuto senso, essendo già stata magistralmente raccontata da Nesat.

No, la mia intenzione è quella di parlare proprio di Theodore Whitmore, giocatore baciato da Madre Natura alla nascita, dotato di ottime basi su cui costruire una carriera da calciatore.
A fare da contraltare, forse, solo una piccola sfortuna: quella di essere nato a latitudini in cui il calcio è sì uno splendido passatempo, ma non molto di più.

Tappa aveva un po’ tutto.

In primis un fisico da corazziere, buono per ogni battaglia: 188 centimetri d’ebano per 81 chilogrammi di pura forza.

Non bastassero le qualità fisiche, il ragazzo di Montego Bay aveva ricevuto in dono anche qualità tecniche invidiabili e non comuni, almeno dalle sue parti.

Destro naturale potente ed esplosivo, era in grado di scaricare a rete dalla media distanza quanto di dialogare coi compagni, cercando la rifinitura.

Buon controllo di palla e visione di gioco tutt’altro che disprezzabile, era un colosso capace di disimpegnarsi tanto a centrocampo quanto sulla linea di trequarti.  Con quel quid in più che lo portava spesso a vedere cose cui gli altri non potevano nemmeno lontanamente pensare.

Attenzione, a leggere così la sua descrizione sembrerebbe quasi di trovarsi di fronte ad uno dei più grandi campioni mai esisti nella storia di questo sport, quando evidentemente non è stato così.

Ma il valore del ragazzo che seppe realizzare il sogno di un intero popolo con un semplice goal è altresì certamente superiore a quello che dice il suo curriculum.

La sua storia parla infatti di un ventenne di Jamaica che dovette dividersi tra calcio e lavoro per potersi mantenere, quando alle nostre latitudini i giocatori migliori del paese non solo possono concentrarsi esclusivamente sullo sport, ma sono anche pagati più che profumatamente per farlo.

Un ragazzo che era considerato una stella, nella terra di Bob. E che grazie alle sue prestazioni aveva aiutato Renè Simoes, il tecnico brasiliano dei Reggae Boyz, a portare la sua nazionale a concorrere davvero per un posto ai Mondiali.

Perché se il pass venne strappato solo grazie all’apporto decisivo dato dai giamaicani d’Inghilterra – come sapientemente raccontato da Nesat – fu proprio Tappa a trascinare la squadra al quarto, decisivo, round qualificatorio.

5 dei suoi 24 goal realizzati in nazionale (di cui è terzo miglior marcatore all time dietro a Luton Shelton ed Onandi Lowe) Theo li realizzò infatti proprio nei primi turni qualificatori.

Il primo arrivò il 31 marzo del 1996 al Flora Stadion di Paramaribo, Suriname. Dove i padroni di casa furono piegati da un goal della stellina di Cape Town Spurs e Violet Kickers prima, Seba United poi.

Nel secondo round Whitmore si ripeté, questa volta davanti al proprio pubblico. Fu infatti lui che aprì le marcature nel 2 a 0 con cui la Jamaica superò Barbados quel lontano 30 giugno 96, preludio ad un terzo turno che a detta di molti doveva sancire l’eliminazione di Simoes e dei suoi ragazzi.

Ma ancora una volta a tenere vivo il sogno di un intero popolo fu lui, Tappa. Altri tre goal e tante giocate di livello nei doppi confronti con Messico, Honduras e St. Vincent & Grenadines a sancire l’approdo a quell’ultimo round dove, appunto, l’aggiunta di giocatori come Robbie Earle, Frank Sinclair e Deon Burton risultò decisiva per la qualificazione ai Mondiali.

A lasciare una firma indelebile nella storia della nazionale giamaicana, però, non furono i ragazzi di Newcastle-under-Lyme, Lambeth o Reading. Quanto la perla di Jamaica, Theodore Whitmore.

Che il 26 giugno del 1998 griffò con una splendida, decisiva, doppietta la prima e sinora unica vittoria iridata dei Reggae Boys.

Messosi in mostra tra Lens, Parigi e Lione, Tappa non restò ancora molto in Giamaica. L’Hull City decise infatti di puntare sulle sue qualità. Così dopo una settimana di prova arrivò il suo trasferimento ufficiale in Inghilterra, giusto riconoscimento per un giocatore più che discreto.

A questo si aggiunse, in campo videoludico,  l’omaggio che Konami, famosa casa produttrice di videogames che sviluppa la saga dei Pro Evolution Soccer, volle tributargli.
Dimostrando di aver ben metabolizzato la doppietta con cui Theo sancì la terza sconfitta in tre partite per i Samurai Blue, i programmatori giapponesi vollero riconoscere anche nel mondo virtuale le sue capacità calcistiche. Rendendolo, proprio nei PES usciti in quegli anni, un giocatore tutt’altro che disprezzabile, come molti sicuramente ricorderanno.

Tornando al calcio giocato, nei tre anni – non facilissimi, per i Tigers – che Whitmore passò nello Yorkshire il beniamino di tutta la Jamaica seppe ritagliarsi uno spazio importante anche nel cuore dei suoi nuovi tifosi, da cui decise però di separarsi nel 2002 per tornare brevemente a casa, nella natia Montego Bay, prima di tentare l’avventura scozzese col Livingston.

Da lì altro rimbalzo in Giamaica a far da preludio ad un paio di stagioni nei Tranmere Rovers, prima di accettare l’incarico da giocatore-allenatore nel suo Seba United.

Appesi gli scarpini al chiodo Theodore Whitmore ha quindi deciso di dedicarsi a questa nuova avventura. E dopo aver guidato per un paio d’anni la squadra della sua città è entrato, nel 2007, nel giro del coaching staff della nazionale. Head coach dal 2009 in poi, ha rassegnato le dimissioni lo scorso giugno, a causa degli scarsi risultati ottenuti alle qualificazione al prossimo Mondiale (cui la Giamaica, ancora una volta, non parteciperà).

Giusto il mese scorso, poi, un nuovo trauma personale ha colpito Tappa.

Se nel 2001 era stato coinvolto nell’incidente in cui perse la vita il compagno di nazionale Stephen Malcolm, lo scorso novembre Theo si è visto strappare un figlio da un incidente motociclistico.

Una prova sicuramente difficile da superare anche per chi con le sue giocate ed i suoi goal seppe mettere la bandiera della Giamaica, anche se solo per un’estate, sul planisfero calcistico mondiale.

Theodore Whitmore: un raggae boy da leggenda che avrebbe probabilmente meritato una carriera di livello un tantino più elevato.

Ma che forse, fosse nato a latitudini in cui il calcio è una religione, si sarebbe perso nel mare magnum dei ragazzi che, più o meno talentuosi, inseguono il sogno di fare della propria passione il proprio lavoro, e di realizzarsi potendo inseguire e prendere a pedate quel pallone che corre sul prato.

Insomma, in definitiva è andata bene così. Tappa è cresciuto nella terra che un po’ per tutti è del raggae e della marijuana. Ed ha saputo regalare un sogno ad un popolo che calcisticamente parlando ha sempre contato poco-nulla, a livello planetario. Ma che per un giorno, quel 26 giugno del 1998, dimostrò a tutti di esserci e di sapersi togliere anche qualche bella soddisfazione…

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Negli ultimi giorni si è aperto un dibattito tanto su Facebook quanto su Twitterblog rispetto a quelli che sono i migliori giocatori del mondo in questo momento.

Così mi è venuta un’idea: effettuare un sondaggio con cui raccogliere, fondamentalmente, le vostre “top 11” per creare, alla fine, una “nostra” top 11. Cercare di definire quindi, a maggioranza, quale sarebbe in questo momento la squadra più forte del mondo schierabile in campo.

Ci sono ovviamente alcuni punti fermi in questo sondaggio, da cui non si può prescindere. Ad esempio, la difesa a 4.
Inizialmente volevo poi schierare un 4-2-3-1 fisso. Ma vedendo il ben di Dio che c’è in attacco, direi una cosa: votate i vostri 11 preferiti decidendo se inserire un trequartista centrale O due punte.

A fine sondaggio vedremo un po’ come sarà andata.

Scegliete allora quelli che sono secondo voi in questo momento storico gli interpreti migliori al mondo, ruolo per ruolo, e vediamo un po’ quale “squadra dei sogni” ne uscirà!

Una volta votato lasciate pure un commento, se vi va, con la formazione scelta e le vostre valutazioni.

…e buon Natale!

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La storia è nota: Conte sbarcò a Torino con l’etichetta di vate del 4-2-4. Dopo alcuni tentativi falliti, decise di schierare la propria squadra con l’attuale 3-5-2, modulo che è valso due Scudetti (e che ha portato la Juventus in vetta alla classifica anche quest’anno).

Le cronache di mercato, però, sottolineano con insistenza con Marotta & Co. sarebbero interessati all’acquisto di Menez dal PSG.
Contratto in scadenza a giugno, potrebbe liberarsi facilmente già a gennaio, per andare a rinforzare la rosa – già comunque molto competitiva in ambito nazionale – della Vecchia Signora.

L’eventuale acquisto dell’ex romanista, però, non può non aprire alcune riflessioni di carattere tattico.

Come detto, del resto, la Juventus di Conte si schiera ormai abitualmente con un modulo molto preciso. Che vede la presenza di tre centrali di ruolo, uno dei quali con licenza di offendere quando se ne presenta l’opportunità (Chiellini), uno che fa da regista arretrato aggiunto (Bonucci) ed un terzo più prettamente marcatore (Barzagli).

Sulle fasce, poi, agiscono Lichtsteiner ed Asamoah come fluidificanti, con Pirlo regista basso e la coppia d’oro Vidal-Pogba mezz’ali.

Infine, davanti, stanno trovando una sempre miglior intesa Tevez e Llorente, ormai praticamente inamovibili.

Dove potrebbe andare a schierarsi, in questo contesto tattico, Menez?

Forse giusto come seconda punta, giocando un po’ alla Vucinic. Ma sarebbe comunque una forzatura e significherebbe acquistare un giocatore per andare a snaturarne le caratteristiche.

Menez, valore – discutibile – a parte, non ha bisogno di presentazioni. I suoi trascorsi romani li ricordiamo un po’ tutti. E’ un ragazzo che predilige giocare tra le linee, in particolar modo partendo in posizione defilata. Il tutto per sfruttare rapidità, inventiva e dribbling.

Stante queste considerazioni viene naturale pensare che Antonio Conte potrebbe avere in mente un possibile cambio di modulo.

Del resto la critica che viene mossa più spesso alla sua squadra è semplice: in Europa praticamente nessuno (se escludiamo alcune squadre italiane ed il Liverpool) gioca con la difesa a tre. Che proprio al di là delle Alpi diventerebbe il limite principale dei Bianconeri.

Sarà mica che ragionando su queste critiche Conte stia iniziando a lavorare per passare al 4-3-3?

Così fosse, però, come verrebbe modificato l’11 di base?

Innanzitutto il passaggio alla difesa a 4 imporrebbe la sostituzione – o l’adattamento – di uno dei due centrali. In questo senso la Juve dispone di Giorgio Chiellini, che potrebbe facilmente tornare a fare il terzino sinistro, suo ruolo “d’origine”.

I due centrali resterebbero quindi Barzagli e Bonucci, mentre sulla destra dovrebbe scalare Lichtsteiner, perfettamente a suo agio nel ruolo di terzino destro.

Il centrocampo resterebbe praticamente invariato, mentre davanti Tevez dovrebbe defilarsi, per lasciare il centro dell’attacco a Llorente permettendo così di inserire Menez come alterego di Carlitos.

Sulla carta, insomma, dei cambiamenti minimi, che potrebbero essere ben metabolizzati dalla squadra.

Sorge però un dubbio (più che legittimo, penso): vale la pena modificare in maniera così profonda il modulo di gioco andando ad adattare o riadattare alcuni giocatori in ruoli più o meno differenti rispetto a quello attuale per far posto in squadra ad un giocatore come Menez?

Dovessi dare una risposta di getto risponderei sicuramente di no.

Perché il 26enne cresciuto nelle giovanili dei Lionceaux è sempre stato un giocatore terribilmente altalenante (ed in questo l’ho sempre visto molto simile a Vucinic). Capace sì di alternare giocate da fuoriclasse assoluto a prestazioni però molto povere di incisività.

Del resto se la materia di base è di primissima fattura, gli ingredienti non devono evidentemente essere stati amalgamati bene – volendo fare un paragone culinario – e ciò che ne risulta è un giocatore incostante, a tratti scostante, con le capacità di tirare fuori dal cilindro la giocata decisiva ma anche di regalare un uomo agli avversari.

Non solo.

Ammesso e non concesso che il suo valore assoluto possa essere superiore a quello di Asamoah (per logica dovrebbe essere lui, qualora si operasse questo eventuale cambiamento tattico, il giocatore sacrificato) e che Chiellini e Lichtsteiner possano rendere al massimo come terzini (sul secondo pochi dubbi, sul primo molti di più… forse a quel punto bisognerebbe operare sul mercato anche in questo senso) siamo proprio sicuri sarebbe cosa buona e giusta allontanare Tevez (attualmente il miglior realizzatore della squadra al pari con Vidal) dalla porta avversaria, andando quindi a limitarne l’incisività sottoporta?

Discorso che vale anche qualora si decida di togliere Llorente per tenere Tevez punta centrale – atipica – e schierare Menez-Vucinic larghi.
Due giocatori così poco costanti valgono il sacrificio di una punta utile e discretamente incisiva come Llorente?

Dubbi che solo il tempo potrà dissipare.

Di certo se un cambiamento tattico deve essere fatto va ragionato a fondo, anche e soprattutto in quelle che sarebbero le sue conseguenze tecniche.

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Palacio è uno dei giocatori più sottovalutati ch’io ricordi.

https://twitter.com/sciabolatablog/status/414871654154915840

El Trenza in Sudamerica si è imposto come uno dei più grandi attaccanti dell’ultima decade, facendo incetta di trofei con la maglia del Boca Juniors (che lo prelevò dal Banfield nel gennaio del 2005) addosso: tre campionati argentini, tre Recopa Sudamericana, una Coppa Sudamericana ed una Coppa Libertadores, a suggellare il dominio Xeneizes su tutto il continente ed il valore di questo ragazzo, all’epoca spalla di Martin Palermo là davanti.

Fin dai suoi esordi al Boca si iniziò a parlare di lui come di un papabile acquisto per molti club importanti del Vecchio Continente. Il talento era fuori discussione, la capacità realizzativa si affinò proprio in quel periodo.

Fu quindi abbastanza strano, con rispetto parlando, che ad investire su di lui fosse il Genoa, e non una squadra saldamente e costantemente impegnata sui palcoscenici europei.

In Italia Palacio ha dimostrato da subito di poterci stare, abbinando qualità tecnica ed intelligenza tattica come pochi altri giocatori del nostro campionato.

Avvicinato alla porta nel corso della sua ultima stagione passata in Liguria, poi, le sue medie realizzative sono esplose, passando dai 17 goal segnati nei primi due anni di Genova ai 21 messi a referto nel 2011-2012.

Numeri che convinsero – tardivamente, la chiamata doveva arrivare prima – una grande (anche se un po’ decaduta) del nostro calcio a puntare su di lui: l’Inter.

Certo, mi si potrà dire che scrivere di lui oggi è troppo facile, dopo lo splendido goal di tacco con cui ha griffato la vittoria interista nel derby di ieri.

Ma chi mi conosce o segue (qui come su Facebook e su Twitterblog) sa che ritengo Palacio un giocatore estremamente e colpevolmente sottovalutato da anni.
E la partita di ieri l’ha ampiamente dimostrato.

Il goal.

Facile, appunto, parlare di una meraviglia del genere. Però non possiamo nemmeno esimerci dal farlo.

Quando la palla lascia i piedi di Jonathan il Trenza è in mezzo all’area di rigore, marcato a uomo da Zapata, e valuta il da farsi.Palacio tacco vs. Milan 1

La sfera giunge quindi, defilata sulla destra del fronte offensivo Nerazzurro, a Guarin. Palacio legge perfettamente la situazione e taglia sul primo palo, frapponendosi tra la palla e Zapata, in modo da non poter essere anticipato dall’avversario.Palacio tacco vs. Milan 2

Nel frattanto Guarin, su cui si stavano portando due giocatori in maglia Rossonera, decide di girare di prima intenzione il pallone verso il centro dell’area di rigore. Dove, appunto, l’attaccante argentino ha preso posizione davanti al difensore colombiano.
E da qui in poi è talento puro: un colpo di tacco che ne ricorda altri molto famosi (ad esempio uno di Bettega segnato proprio al Milan e proprio in quella porta). Intelligenza e genio in una sola azione.Palacio tacco vs. Milan 3

Palacio però non dimostra queste doti solo nell’occasione del goal che affonda il Milan di Allegri. Ma a più riprese.
In particolar modo vorrei sottolinearne un altro paio, tra quelle che l’hanno visto protagonista ieri.

In primis, l’occasione che lo vede impegnare severamente Abbiati, quando credo si fosse circa alla metà della ripresa.
In questo caso la palla arriva dalla sinistra del fronte offensivo Nerazzurro, ed a marcare il Trenza non c’è Zapata, bensì Bonera. Quando la palla parte in direzione di Palacio lo stesso legge benissimo l’azione. Sente il proprio marcatore un passo dietro di lui e sa, avendo appena tagliato dalla destra, che alle sue spalle è riuscito a formare una sorta di “buco” nella difesa milanista, con Emanuelson attardato di qualche passo. Inizia quindi a prendere posizione sul diretto marcatore.

A questo punto il gioco è semplice (attenzione: per uno come lui): usa il proprio corpo – non ha certo un fisico da corazziere, ma evidentemente spesso il QI calcistico sopperisce a molte mancanze – come perno, ruota sul suo asse difendendo la sfera e tenendo abilmente lontano il proprio marcatore, che buca così l’intervento.

Il movimento è magistrale. Bonera prova a recuperare la posizione, andando a contrare il tiro del numero 8 interista, ma è tutto inutile. Palacio si è mosso abilmente in un fazzoletto di terra, leggero come una farfalla e pronto a pungere come un’ape.

A quel punto l’attaccante argentino può solo aprire il piatto per cercare l’angolino alla sinistra di Abbiati, che però si distende e respinge (in maniera non efficacissima, ma il fato – oltre che il recupero di Zapata – aiuterà i Rossoneri a mantenere inviolato il fortino).

Una giocata magistrale fatta da un giocatore le cui caratteristiche dovrebbero essere principalmente quelle di supporto e rifinizione. Ma che invece si trova benissimo anche nel momento in cui deve fare certi movimenti più prettamente da bomber all’interno dell’area di rigore.

Situazione simile quella che ha portato alla – mancata – assegnazione di un rigore in favore dell’Inter, nel primo tempo.
Quando la sfera si muove sulla destra del fronte offensivo Nerazzurro

con Palacio che legge la situazione e cerca di districarsi dalla marcatura di Zapata, tagliando dal secondo al primo palo.

Anche in questo caso la punta argentina è brava a mettere il corpo davanti all’avversario, per proteggere la sfera. Solo che a differenza dell’occasione appena raccontata il difensore colombiano fa un doppio fallo al Trenza, toccandolo prima dietro al ginocchio e poi dietro al piede.

Calcio di rigore netto ed indiscutibile, che non viene però assegnato. Al netto delle polemiche una ennesima ottima gestione dello spazio e del corpo per Palacio. Che anche in questa occasione aveva operato al meglio per costruirsi il varco per un tiro ravvicinato che sarebbe certamente stato molto pericoloso.

Rapidità d’esecuzione, intelligenza calcistica, tecnica sopraffina, killer instinct.

Rodrigo Palacio è un mix di qualità eccelse cui manca probabilmente solo – o quasi – un’esplosività assoluta, che lo renderebbe senza alcun dubbio uno tra i migliori attaccanti del pianeta.
Per intanto si “accontenta” di segnare goal in Serie A, con un occhio al Brasile. Dove non si sa se partirà titolare. Ma solo perché ha la “sfortuna” di essere nato nella nazione la cui rappresentativa ha oggi quello che sulla carta è il miglior reparto offensivo del mondo.

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Come riportato dagli amici di SoccerItalia.info la US Soccer Federation ha diramato l’esito del proprio sondaggio che ha definito la top 11 all time della nazionale statunitense.

Ne è risultata una squadra molto interessante con ben 7 eroi di Germania 2006, Mondiale in cui gli States furono capaci di ottenere il miglior risultato iridato del dopoguerra: i quarti di finale (nel 1930 riuscirono invece a centrare il terzo posto).Top 11 USA

Ma chi sono questi 11 giocatori che si sono guadagnati un post nella miglior formazione – ipotetica – di sempre?

In porta troviamo Brad Friedel, che con 25 preferenze precede Kasey Keller, Tim Howard e soprattutto l’idolo d’infanzia Tony Meola tra gli altri.
82 presenze in nazionale ed una carriera spesa – a buon livello – per lo più in Inghilterra, Friedel è ancora oggi (all’età di 42 anni) in attività, essendo tesserato per il Tottenham. Un primo posto meritato per quello che è stato molto probabilmente il miglior portiere nella storia del calcio americano (per quanto il buon Meola resta idolo incontrastato!).

Terzino destro è invece Steve Cherundolo (25 voti), 65 presenze all’attivo in nazionale (con cui ha giocato tre Mondiali e vinto una Gold Cup).
Cresciuto all’università di Portland, viene prelevato dall’Hannover nel lontano 1999. E nei Roten gioca da allora, con un totale di 421 partite ufficiali disputate.Steve Cherundolo

Centrali di difesa Marcelo Balboa (con 35 preferenze il difensore più votato in assoluto) ed Eddie Pope (secondo a quota 33).
Il primo iniziò a giocare quando negli States non c’era nemmeno una lega professionistica. Tre Mondiali (1990, 1994 e 1998) all’attivo, ha vinto una Gold Cup (1991) ed è stato una delle colonne dei Colorado Rapids dal 1996 al 2001. Inserito nell’Hall of Fame del calcio americano, fu eletto per due volte (92 e 94) miglior calciatore statunitense dell’anno.
Il secondo fu invece una delle star dei D.C. United tra il 96 ed il 2002, periodo in cui vinse 2 campionati ed 1 Coppa Interamericana. Ha vestito anche le maglie dei New York Metrostars e del Real Salt Lake, oltre che per 82 volte quella della nazionale, con cui ha partecipato a tre Mondiali (98, 2002 e 2006), una Olimpiade (1996) e vinto una Gold Cup (2005).

La difesa viene quindi completata da Carlos Bocanegra (25 voti), stella dei Chicago Fire capaci di vincere due campionati ad inizio secolo e colonna del Fulham tra il 2004 ed il 2008, ha giocato anche in Francia, Scozia e Spagna prima di tornare negli States (Chivas USA).Carlos Bocanegra
Attualmente nel giro della nazionale, ha raccolto 110 caps disputando due Mondiali (2006 e 2010) e vincendo due medaglie d’oro alla Gold Cup ed una d’argento alla Confederations del 2009.

Esclusi principali in questa linea Thomas Dooley (20), Paul Caligiuri (18), Jeff Agoos (16) ed Alexi Lalas (14).

Il centrocampo è invece molto offensivo. Sulle fasce fanno infatti bella mostra di sé Clint Dempsey (25 preferenze) e Landon Donovan (52 voti, miglior risultato in assoluto).
Il primo ha ben impressionato nei New England Revolution, prima di imporsi ad alto livello con le maglie di Fulham e Tottenham. Quest’anno è quindi rientrato “a casa”, firmando con i Seattle Sounders. E’ una delle colonne della propria nazionale, in cui gioca dal 2004 e con cui ha già raccolto 101 presenze (condite da 36 goal), partecipando agli ultimi due Campionati del Mondo e vincendo 2 medaglie d’oro nonché una di argento alla Gold Cup, oltre che centrando il secondo posto di cui sopra alla ConfCup di quattro anni fa.Clint Dempsey
Sulla fascia opposta giocherebbe invece il miglior giocatore nella storia del calcio americano.
Giocatore di grandissimo talento, non ha mai voluto tentare davvero l’avventura europea, accontentandosi del suo “esilio” dorato in California. 154 presenze e 57 goal in nazionale (ma il bottino è destinato a crescere ancora) ha disputato tre Mondiali e vinto un po’ di tutto in carriera: 3 Gold Cup, 4 campionati americani, 1 Open Cup e tanti premi personali, tra cui il “Pallone d’Oro” al Mondiale under 17 del 1999.

Centrali, invece, due playmaker che hanno fatto la storia del calcio a stelle e strisce: Tab Ramos (42) e Claudio Reyna (45).
Tabaré è nato in Uruguay ma cresciuto negli States, dove ha giocato ancor prima che nascesse la MLS, dovendo così cercare fortuna all’estero. Rientrato in patria nel 1996, ha da lì in poi sempre vestito la maglia dei Metrostars. 81 presenze in nazionali, vinse – particolarità non da poco – un bronzo iridato al Mondiale di futsal del 1989, quando gli States si inchinarono solo all’Olanda di Victor Hermans (miglior giocatore del torneo) in semifinale.Tab Ramos
Reyna ha invece passato la quasi totalità della sua carriera in Europa, diviso tra Germania, Scozia ed Inghilterra. Il tutto prima di tornare a casa, ai New York Red Bull. 112 caps internazionali, ha disputato una Olimpiade (Barcellona 1992) e ben quattro Mondiali (dal 94 al 2006).

I due esclusi principali a centrocampo sono quindi Micheal Bradley, quinto a quota 20 voti, e il grande Cobi Jones, folletto della fascia indimenticabile e indimenticato.

In attacco, infine, il maggior numero di voti (45) li ha presi Brian McBride, ex stella dei Columbus Crew e del Fulham. 95 presenze per 30 reti all’attivo, ha disputato 3 Mondiali (1998, 2002 e 2006), una Olimpiade (Pechino 2008) e vinse la Gold Cup del 2002, risultando anche il miglior realizzatore della competizione.

Al suo fianco – nonché a due voti di distanza – ecco invece Eric Wynalda, punta capace di vincere la Gold Cup nel 1991 (risultandone capocannoniere cinque anni più tardi). 3 Mondiali all’attivo (90, 94 e 98), ha numeri simili a quelli del proprio compagno di reparto, con 34 realizzazioni in 107 match totali.Eric Wynalda

Primo degli esclusi Earnie Stewart, capace di raccogliere solo 16 preferenze.

Una top 11 molto interessante che mostra però come il lavoro da fare dall’altra parte dell’Oceano sia ancora lungo: quello americano è un movimento con grande potenziale, ma ancora tutto da sviluppare.

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Negli ultimi giorni abbiamo parlato molto di Sudamerica.

In principio fu l’Ecuador, con l’intervista a Marco Maioli. Poi fu la volta del Brasile, con Stefano Silvestri. Quindi è toccato all’altro gigante sudamericano, l’Argentina, con i ragazzi di Aguante Futbol. Il tutto prima di passare all’Uruguay, con l’amico Andrea Bracco. E chiudere il conto – almeno per ora – con l’intervista ad Andrea Leoni, che ci ha parlato di Colombia.

Oggi voglio invece riportarvi in Europa, a latitudini a noi più consone.PRVA HNL

Più precisamente in Croazia, dove c’è un movimento calcistico sempre molto interessante da osservare, che nel corso degli anni tanti talenti ha dato al calcio mondiale, in special modo italiano.

Per farlo ho interpretato quello che è forse il massimo esperto di calcio croato che la nostra blogosfera sa esprimere: Alessandro Ignoto di Calcio dell’Est.

Alessandro, iniziamo con una panoramica su quello che è il campionato croato: com’è organizzato? 

Il campionato è composto da 10 squadre che si affrontano tra loro 4 volte, per un totale di 36 turni. I campioni guadagnano l’accesso ai preliminari di Champions League, mentre i secondi, i terzi e i vincitori della coppa nazionali si qualificano ai preliminari di Europa League. Per l’ultima classificata c’è la retrocessione diretta, la nona si gioca invece la permanenza in PRVA HNL con la seconda classificata della “serie b”. La stagione inizia molto presto, verso la metà di luglio e si conclude a maggio, più o meno nello stesso periodo dei maggiori campionati europei. L’unica differenza è la lunga sosta da metà dicembre fino agli inizi di febbraio, scelta fatta per evitare di giocare su campi ghiacciati con un minore seguito di pubblico. La Supercoppa si disputa ad inizio luglio, solo però se a vincere campionato e coppa nazionale sono due squadre diverse.

Lo scorso anno le squadre partecipanti alla Prva HNL erano 12. Questa stagione 10. Come mai? La crisi si fa sentire anche in Croazia?

Nei suoi 20 anni di storia la Prva HNL ha cambiato spesso formato: per molti anni le squadre partecipanti sono state 16, un po’ troppe per un paese di appena 4,5 milioni di abitanti. Uno dei motivi principali della riduzione è sicuramente la difficile condizione economica in cui versano molti club. 
Nel formato a 16, alcune squadre non riuscivano a sostenere le spese di gestione fino a fine stagione, ci sono stati casi di sciopero, con squadre che si sono rifiutate di scendere in campo causa mancato versamento degli stipendi per più di 6 mesi. Non parliamo in questo caso di ingaggi milionari, ma si tratta per lo più di ragazzi molto giovani che anche se non ricevono stipendio sono obbligati a versare tasse allo stato.PRVA HNL
Il passaggio da 12 a 10 è stato fatto seguendo i modelli di successo che arrivano da Danimarca, Svizzera e Austria, in cui la concentrazione della qualità in un numero minore di squadre ha permesso l’innalzamento del livello generale del campionato. Considerando che in Croazia i club puntano soprattutto sui giocatori cresciuti nel proprio settore giovanile diventa estremamente difficile mettere insieme 16 settori giovanili da massima serie. Sugli stranieri si punta poco, soprattutto per i costi. In Prva HNL gli stranieri sono il 13%, e gran parte di questi sono bosniaci, quindi non sono da considerare veri e propri stranieri dato che con i croati condividono lingua e lo stesso passato nell’ex Jugoslavia, arrivando per altro spesso in Croazia molto giovani o a costo zero.

Veniamo ad un po’ di attualità: a guidare la classifica, al momento, è la Dinamo Zagabria. Quante chance ha di bissare il titolo dello scorso anno?

Per la qualità superiore rispetto agli avversari la Dinamo Zagabria la spunterà anche quest’anno, ma lo farà faticando molto di più rispetto agli anni passati. Il Rijeka della famiglia Volpi sta diventando sempre più competitivo, come testimoniato dai buoni risultati a livello europeo. L’Hajduk invece continua a navigare in una situazione economica molto difficile, ma grazie ai talenti che ogni anno arrivano dalle giovanili, ad un allenatore preparato come Igor Tudor e al supporto della Torcida riuscirà a dare battaglia fino all’ultimo. La “Liga 10” (così viene chiamato il formato a 10 squadre in Croazia) sembra dare già ottimi risultati, ci sono molte meno partite scontate e maggior equilibrio.

Il miglior marcatore del campionato è Leon Benko, un ragazzo che però non ha praticamente mai fatto montagne di goal. Esploso tardi o momento fortunato?Leon Benko

E’ il classico caso di giocatore che sboccia tardi. In passato ha giocato sempre come attaccante esterno e da quando (nel 2011) è stato spostato in mezzo all’area di rigore ha iniziato a segnare con una certa regolarità. L’anno scorso si è aggiudicato il titolo di capocannoniere con 18 gol in campionato, in questa stagione si sta superando alla grande con 15 gol in 17 partite di Prva HNL, 2 gol in coppa croata e 6 in Europa League, preliminari compresi. Segna spesso in acrobazia o con tiri al volo, se la cava benissimo di testa. Lo scorso novembre è arrivata anche la convocazione in nazionale. Se prosegue su questo ritmo potremmo vederlo in Brasile la prossima estate. Io lo consiglierei ad una media-piccola di serie A che ha bisogno di un attaccante dal gol facile. 

Tra i migliori marcatori del campionato c’è anche l’algerino El Arbi Hillel Soudani. Cosa possiamo aspettarci da lui? Credi abbia dei margini per cercare fortuna in campionati più ricchi?

El Soudani arriva da un campionato di livello superiore a quello croato, le sua qualità si sono intraviste nelle due stagioni al Vitoria Guimaraes con cui ha anche conquistato la coppa nazionale segnando nella finale. Grazie a quella prova sono arrivate offerte da club di livello superiore alla Dinamo, ma ha voluto dare la precedenza alla squadra croata che lo aveva contattato per prima. Pagato dai campioni croati 900mila euro, difficilmente si può trovare un attaccante migliore per quella cifra. E’ titolare nella nazionale algerina, quindi lo vedremo ai prossimi mondiali. Difficile comunque che la Dinamo lo lasci partire almeno per un altro anno, dato che sarà uno dei punti di forza della squadra nella rincorsa ad un posto Champions nella prossima estate. 

Negli ultimi anni si è registrato un pesante calo di spettatori non solo in Italia, ma anche in Croazia. I dati che ho trovato in rete parlano di 3884 presenze medie nel 1999 che si sono ridotte a 1911 nel 2011. Come ti spieghi questo calo così drastico?Stadio Maksimir

Ci sono più fattori da prendere in considerazione. Come prima cosa in quei 12 anni le condizioni degli stadi sono peggiorate, si è intervenuto poco sul mantenimento delle strutture già esistenti e questo ha allontanato le persone dagli spalti. Altro fattore importante è l’abbassamento del livello qualitativo del torneo, con i migliori giocatori strappati dai club stranieri da giovanissimi. E’ poi calato l’entusiasmo dei primi anni in cui le piccole piazze ospitavano per la prima volta squadre come Dinamo e Hajduk. Anche i tifosi delle due grandi croate hanno cominciato a rimpiangere le sentite sfide contro le formazioni di Belgrado, e ad abbandonare pian piano gli stadi. Nel campionato Jugoslavo i calciatori non potevano abbandonare il paese fino al raggiungimento dei 27 anni, di conseguenza il campionato era molto competitivo e tifosi croati sono stati abituati sempre bene. 
Devo però aggiungere che negli ultimi due anni c’è stata un’inversione di tendenza, con alcuni investimenti che stanno riportando più persone allo stadio. L’Istra 1961 ha realizzato un nuovo impianto che sta attirando più spettatori, il Rijeka comincerà i lavori per lo stadio di proprietà a fine stagione e lo Split ha in cantiere il progetto di nuovo stadio. La scelta di restringere il campionato a 10 squadre sembra anche aver aumentato l’interesse dei tifosi, nella stagione attuale la media è infatti salita a 3500 spettatori per partita.

Chi sono i migliori giovani talenti croati?

Oltre a Pasalic e Halilovic, di cui si parla molto nei portali di calciomercato, tra i migliori talenti ci sono sicuramente Mocinic (’93), regista di centrocampo del Rijeka che ricorda Modric per la grande qualità nella costruzione del gioco, Brozovic, centrocampista offensivo classe ’92 della Dinamo, Petar Misic (’94) e Marko Pjaca (’95) della Lokomotiva Zagabria. Tra i giovanissimi che devono ancora conquistarsi un posto da titolare in prima squadra ci sono due gioielli dell’Hajduk che seguo con grande interesse, parlo in questo caso di Maloku (’96) e Basic (’96). Il primo ricorda lontanamente il primo Cristiano Ronaldo per il dribbling secco, mentre il secondo è un esterno di centrocampo che si ispira al connazionale Srna. 

Cosa ti aspetti dalla nazionale croata in Brasile?

In un girone con Messico e Camerun la Croazia può ambire ad un posto negli ottavi. A mio avviso però, più che dalla forza di questi avversari la qualificazione dipenderà dalla condizione di forma dei giocatori più rappresentativi, parlo in questo caso di Modric, Mandzukic, Srna e Rakitic. Se questi arriveranno al massimo della condizione la Croazia potrà qualificarsi al turno successivo. Importanti saranno le motivazioni e lo spirito di gruppo, che di solito non mancano ai croati in queste grandi manifestazioni. Indipendentemente da come andrà a finire, la sfida di apertura contro il Brasile sarà un’opportunità unica per la nazionale croata che avrà gli occhi di tutto il mondo addosso.

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Radiomercato ne parla insistentemente: l’Inter sarebbe tornata sulle tracce di Ezequiel Lavezzi.

L’attaccante argentino, già allenato da Mazzarri in quel di Napoli, è infatti ritenuto uno dei rinforzi su cui puntare in vista della prossima, sempre più prossima, sessione invernale di calciomercato.Ezequiel Lavezzi e Walter Mazzarri

Ma può essere Lavezzi l’uomo giusto su cui puntare?

Partiamo dal prezzo: l’ex San Lorenzo è stato acquistato per una cifra che si aggiorna attorno ai 30 milioni di euro, bonus compresi.
Se certo il tempo trascorso in quel di Parigi non ha contribuito ad aumentarne il valore, è anche vero che gli sceicchi non potranno accettare un prezzo particolarmente contenuto.

Fissiamo quindi un prezzo indicativo, che ci aiuterà nello sviluppare l’analisi rispetto al possibile acquisto Nerazzurro del Pocho: 20 milioni circa (la formula gradita dall’Inter sarebbe comunque un prestito con diritto di riscatto, con ogni probabilità pagato in N rate).

Poi c’è la questione stipendio.

L’argentino dovrebbe prendere 4 milioni netti l’anno, in Francia. Secondo alcune fonti in realtà la cifra sarebbe più vicina ai 5.

In ogni caso, anche volendo ammettere una possibile apertura ad una riduzione dell’ingaggio pur di trasferirsi all’Inter e ritrovare il suo mentore, difficilmente lo stipendio di Lavezzi potrebbe allontanarsi molto dai 4.

Il che vorrebbe dire renderlo – se le cifre pubblicate ad inizio stagione dalla Gazzetta sono valide – il terzo giocatore più pagato della squadra. Così d’emblée si troverebbe a percepire più di Palacio, che (diciamo assieme ad Handanovic) è il giocatore più forte inserito nella rosa dell’Inter.

Detto delle cifre, veniamo agli aspetti più prettamente tecnico-tattici.

Ezequiel Lavezzi è un giocatore molto conosciuto in Italia, dove ha passato ben cinque stagioni. Di lui c’è poco da dire. Attaccante rapido e ficcante, ama giocare in velocità, negli spazi, e sa rendersi molto pericoloso soprattutto a supporto di un avversario più che come bocca da fuoco.

Nel suo periodo in Azzurro, infatti, il Pocho è riuscito ad affermarsi come uno dei migliori assistman dell’intera Serie A.

Da qui le analisi tattiche vengono abbastanza naturali: può essere Lavezzi, giocatore che ama giocare a supporto di una punta “vera” il rinforzo ideale per una squadra che ha in una seconda punta – Palacio, appunto – la sua stella?

Far coesistere Palacio e Lavezzi vorrebbe dire giocare senza prima punta. Un po’ ciò che in realtà sta facendo Mazzarri in questo momento, con il suo 3-5-1-1 che prevede solo El Trenza là davanti.

Andando a scorrere un po’ lo storico dell’allenatore livornese, però, emerge chiaramente come la sua carriera sia stata accompagnata dall’uso più o meno continuativo di una prima punta con tutte le caratteristiche del caso: analizzando i suoi ultimi dieci anni vediamo infatti come a Livorno aveva a disposizione un super bomber (ma soprattutto una prima punta con ogni crisma) come Cristiano Lucarelli. Da lì in poi si possono ricordare anche i vari Rolando Bianchi, Giampaolo Pazzini ed Edinson Cavani.

Quindi?

Qualche perplessità resta.

Intendiamoci, non penso ci sia un dottore al mondo che possa prescrivere ad un proprio paziente-allenatore di schierare senza possibilità di appello una prima punta di ruolo. Come il Barcellona più di tutti insegna, infatti, si può anche attuare un tipo di gioco che permetta di sopperire alla mancanza di quel tipo di giocatore. Che pure Mazzarri avrebbe oggi a disposizione, va detto.

Stante questi presupposti, siamo sicuri che spendere una ventina di milioni per rendere un giocatore sicuramente ottimo – rispetto al livello medio attuale della rosa intendo – ma comunque non eccelso il terzo più pagato della rosa?Mauro Icardi e Rodrigo Palacio

Io credo che l’Inter possa e debba muoversi diversamente. Davanti si dovrebbe provare a dare spazio e fiducia al duo Palacio-Icardi. In mezzo DEVE essere valorizzato Kovacic. E piuttosto che spendere il tesoretto per Lavezzi, una seconda punta monodimensionale con limiti ben definiti e senza molto potenziale da sviluppare ancora, potrebbe cercare qualche investimento più proficuo ed efficace, anche sul medio-lungo termine.

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Atletico Nacional campione di Colombia.

Questo il responso dell’ultimo Finalización, che ha visto i Verdolagas imporsi in una terra in cui il movimento calcistico ha visto un miglioramento costante negli ultimi anni (tanto che la nazionale colombiana è accreditata come una delle possibili outsider del prossimo Mondiale).Atletico Nacional

Continuando il giro che ci sta portando a sondare un po’ lo stato di cose dei vari campionati sudamericani (ma prossimamente spero di poter sondare anche qualche altro continente), quindi, eccoci proprio nella terra che fu di Valderrama ed Higuita, con questa chiacchierata fatta con Andrea Leoni, redattore di Calciosudamericano e grande esperto di quelle particolari latitudini.

Iniziamo col parlare di regole: com’è organizzato il campionato colombiano?

Come ogni torneo sudamericano che si rispetti anche la formula della Primera A colombiana è piuttosto complicata. Nell’arco di ogni anno solare vengono attribuiti due trofei distinti, quello di Apertura e quello di Finalización, senza alcuna finalissima di fine anno come accadeva in passato. Il torneo di Apertura comincia tra Gennaio e Febbraio e si conclude tra Giugno e Luglio, mentre quello di Finalización parte tra Luglio e Agosto e si chiude a Dicembre. La stagione calcistica colombiana è lunghissima, infatti basti dire che l’Atletico Nacional, campione 2013 di Apertura e Finalización ha dovuto disputare nell’anno solare la bellezza di 52 partite solo di campionato al quale si devono aggiungere le 18 gare disputate nella trionfale cavalcata della Copa Postobon, il trofeo nazionale colombiano, per un totale pazzesco di 70 partite per la conquista del triplete di titoli per i verdolagas. Ogni torneo si compone di una prima fase, definita todos contra todos, un classico girone all’italiana dove le diciotto squadre del massimo campionato si affrontano in 18 giornate, con la ripetizione delle gare del nono turno, caratterizzato dai svariati clásicos regionali. Al termine delle diciotto giornate le prime otto classificate accedono alla seconda fase, quella dei quadrangolari di semifinale, ai quali le prime due classificate al termine della prima fase accedono in qualità di teste di serie dei due raggruppamenti da quattro, mentre le altre sei vengono coinvolte in un sorteggio. Al termine dei quadrangolari, da giocarsi in sei gare tra andata e ritorno, le prime due classificate si sfidano nella Finale, anch’essa al meglio delle due partite. Per quanto riguarda la zona salvezza, come avviene ovunque in Sudamerica si considera la tabla de promedio, o tabla de descenso, dove i punti raccolti negli ultimi sei tornei vengono divisi per il numero delle partite disputate. La formazione che al termine di ogni Finalización si trova all’ultimo posto retrocede direttamente in Primera B, mentre la penultima si ritrova a disputare lo spareggio con il vicecampione della Primera B. Per quanto riguarda la qualificazione ai tornei continentali la Colombia manda tre formazioni in Copa Libertadores, due direttamente alla fase a gironi e una ai preliminari: le vincitrici dei due tornei, o in caso di medesimo vincitore le due finaliste o la formazione meglio classificata nella tabla de reclasificación, che riassume l’andamento di tutto l’anno solare. Per la Copa Sudamericana invece la Colombia presenta quattro squadre: la vincitrice della Coppa nazionale e della Superliga (La Supercoppa), e la seconda e terza classifica nella tabla de reclasificación.Jefferson Duque e Stefan Medina

L’Atletico Nacional ha vinto entrambi i titoli assegnati nel corso di quest’anno. Merito o fortuna?

L’Atletico Nacional è emerso in questo 2013 come autentico dominatore del panorama calcistico colombiano, e non è una sorpresa. Negli anni passati vi sono stati diversi vincitori; da quando seguo la Liga Postobon ho visto il Santa Fe dominare in modo assoluto l’Apertura 2012 e letteralmente cedere di schianto nel semestre successivo che vide il trionfo dei Millonarios, che si imposero in finale sull’Independiente Medellìn. Nel semestre successivo però, l’Apertura 2013, entrambe le formazioni condussero una campagna non all’altezza delle aspettative. Ciò che contraddistingue l’Atletico Nacional dal momento in cui Juan Carlos Osorio ha preso in mano le redini della squadra, cioè dal termine dell’Apertura 2012 è il gioco pragmatico, la concentrazione sulla difesa, e soprattutto la continuità. Il rendimento dei verdolagas è andato in costante crescendo, dal trionfo nella Copa Postobon del 2012 e nella prima edizione della Superliga sempre nel 2012, fino alla dodicesima e tredicesima estrella, al bis in Copa Postobon e allo sfortuna quarto di finale di Sudamericana contro il San Paolo. Acquisti intelligenti come l’esperto Juan Pablo Angel, un vero giramondo del calcio colombiano, e scommesse come Jefferson Duque, arrivato dal Rionegro, formazione del torneo cadetto, hanno permesso alla formazione di Osorio di sopperire a partenze eccellenti come quella di Macnelly Torres, pedina importante della nazionale di Pekerman e partito alla volta dell’Arabia Saudita. Giovani veterani come Stefan Medina, che a ventun anni è pilastro insostituibile della difesa e che è già entrato nel giro della nazionale, e Cristian Bonilla, eletto miglior portiere del Torneo di Tolone per le selezioni nazionali under 20, rappresentano il futuro di questa squadra, che ancora una volta partirà davanti a tutti ai nastri di partenza del Torneo di Apertura 2014.

Millionarios 14, Atletico Nacional e America de Cali 13. Il prossimo anno potrebbe esserci un nuovo primatista a livello di numero di campionati vinti in Colombia. Impossibile fare valutazioni oggettive oggi, ma se dovessi azzardare una previsione…

Con il sipario che cala sul Finalización del 2013 cominciano le manovre di mercato in vista del prossimo torneo di Apertura. A partire dalla fine di Gennaio si vedranno parecchie facce nuove in giro per la Colombia. Ad esempio il Santa Fe, ha già messo a segno otto nuovi colpi di mercato, tra cui Robinson Zapata, l’esperto portiere ex estremo difensore dei Millonarios. Gli albirojos, che hanno ceduto Gerardo Bedoya, l’uomo da 43 espulsioni in carriera, punteranno ancora sulla classe cristallina di Omar Perez, l’esperto trequartista argentino naturalizzato colombiano. Probabilmente la formazione attrezzata maggiormente a combattere lo strapotere dei verdolagas sono i Millonarios di Bogotà, con il loro connubio di giocatori di grande esperienza e giovani interessanti. Il Deportivo Cali, vicecampione dell’ultimo torneo è formazione da tenere sempre in attenta considerazione se non altro perchè non bisogna mai sottovalutare le formazioni allenate da Leonel Alvarez, monumento del calcio colombiano e attualmente uno tra i migliori tecnici in circolazione. Ad ogni modo, il mio pronostico è che la fase todos contra todos verrà presumibilmente dominata ancora una volta dall’Atletico Nacional, e i verdolagas rimangono in ogni caso favoriti per la vittoria finale; ma i quadrangolari degli ultimi anni ci hanno insegnato che a volte dominare la prima fase non porta alla conquista dei trofei, e il caso del Deportes Tolima nell’Apertura 2012 che dopo una prima fase travolgente si sciolse nel momento clou del semestre, ne è un esempio perfetto.Dayro Moreno

Capocannonieri sono stati, a parimerito, Dayro Moreno e Luis Carlos Junior, con 16 realizzazioni. Che tipo di giocatori sono?

Era da un po’ di tempo che un attaccante non chiudeva un torneo con così tanti gol, ma Dayro Moreno dei Millonarios e Luis Carlos Ruiz dell’Atletico Junior hanno dimostrato di essere due veri delanteros di razza. Sono due attaccanti abbastanza diversi, Ruiz è decisamente più alto, mentre Moreno è più brevilineo, ma entrambi sono fisicamente ben piazzati, bravi ad attaccare la profondità e a difendere il pallone. L’abilità nell’uso di entrambi i piedi e l’abilità nel gioco aereo li rendono due attaccanti completi, due punte moderne. Luis Carlos Ruiz ha iniziato come centrocampista esterno per ritrovarsi, una volta partiti giocatori come Dayro Moreno (che prima di vestire la maglia albiazul dei Millonarios ha vestito quella dei tiburones di Barranquilla) o Teofilo Gutierrez, a ricoprire il ruolo di principale terminale offensivo, un percorso comune a molti calciatori dei nostri tempi. A livello realizzativo Dayro Moreno non era mai stato tanto prolifico quanto in questi ultimi mesi, a dimostrazione che questo ragazzo classe 1985 è entrato nel pieno della maturazione psicofisica. A Moreno piace molto svariare per il fronte d’attacco e tornare a metacampo alla ricerca di palloni giocabili, mentre Ruiz gioca più a contatto con la linea difensiva avversaria, da vero numero 9. Per il momento nessuno dei due è tra i giocatori più accreditati a partire per la spedizione mondiale in Brasile, nonostante che Dayro Moreno abbia accumulato tre gettoni di presenza durante le eliminatorie.

Chi sono stati, più in generale, i migliori giocatori messisi meglio in mostra in questo campionato?

Oltre ai due giocatori di cui abbiamo parlato poc’anzi mi sentirei di aggiungere Stefan Medina e Oscar Murillo, perni insostituibili della miglior difesa del torneo, quella dell’Atletico Nacional, e Daniel Bocanegra, esterno destro di centrocampo, che nonostante il passato in maglia roja dell’Independiente in un solo semestre ha conquistato i cuori dell’hinchada verdolaga. Carlos Lizarazo, giovane numero 10 del Deportivo Cali, e trascinatore degli azucareros fino alla sfortunata finale del torneo di Finalización. Menzione speciale per Faryd Mondragon, che a 42 anni e dopo una carriera da autentico giramondo, difende i pali rimanendo ancora su ottimi livelli, e per Cristian Palomeque, giovane punta di diamante della piccola formazione dell’Alianza Petrolera, che ha appena disputato il suo secondo torneo nella massima serie.Cristian Palomeque

Vista la mia particolare passione per il mondo giovanile non posso non chiederti: quali i migliori giovani che attualmente giocano in Colombia? E tra i giovani colombiani già espatriati chi è bene tener d’occhio?

La Colombia continua ad essere un’ottima fucina di talenti per il calcio internazionale. La selezione Sub-20 si è imposta nel torneo sudamericano di categoria, facendo lo sgarbo di vincere in casa dell’Argentina. Tra gli elementi più interessanti c’è sicuramente Cristian Bonilla, portiere dell’Atletico Nacional di cui abbiamo già parlato, il centrale di difesa Jherson Vergara Amu, da noi conosciuto come l’ultimo oggetto misterioso approdato a Milanello, ma che prima di perdersi nelle tribune del nostro campionato, aveva mostrato grandissime potenzialità fisiche e tecniche, e Harrison Mojica, che a vent’anni è titolare fisso nel Deportivo Cali di Leonel Alvarez. Tra i giocatori che giocano all’estero c’è il possente attaccante Jhon Cordoba, che dopo aver fatto molto bene in patria, sembrava essersi un po’ perso in Messico con la maglia del Jaguares del Chiapas, ma che è riuscito lo stesso a sbarcare in Europa, a Barcellona, sponda Espanyol. Brayan Perea, lo scorso anno punta titolare del Deportivo Cali è recentemente approdato alla Lazio, dove ha mostrato buone cose, anche se pare ancora un po’ acerbo per il calcio di oltreoceano. Chiudo con quello che a mio parere sarà uno dei più grandi rimpianti del calcio italiano degli ultimi anni, Juan Fernando Quintero, l’ex Pescara che le nostre grandi si sono lasciate colpevolmente scappare, e che considerato il trend degli ultimi anni, fra qualche stagione lascerà la carissima bottega del Porto solamente per una cifra astronomica. Questo ragazzo classe 1993, nominato miglior giocatore dell’ultimo Sudamericano Sub-20 ha anche ricevuto l’investitura di Deco, che ha ricordato che un giocatore del suo talento necessita tempo per adattarsi alle nuove situazioni e consiglia a staff e dirigenti della squadra portoghese di attendere con pazienza.

Infine, buttiamoci sul Mondiale. Quello colombiano è un movimento in espansione che molti accreditano come possibile outsider in Brasile. Tu come vedi i Cafeteros al prossimo Mondiale?Colombia

La Colombia raramente aveva ricevuto tanta attenzione mediatica, specialmente qui in Europa. L’agevole cavalcata del girone di qualificazione e la presenza di stelle del calibro di Falcao, Muriel, James Rodriguez e Jackson Martinez hanno permesso alla selezione cafetera di aggiudicarsi il posto da testa di serie del torneo, e lo scomodo ruolo di potenziale mina vagante della rassegna iridata, insieme al Belgio di Eden Hazard. Secondo me la nazionale di Pekerman ha tutte le carte in regola per fare bene, e un eventuale mancato passaggio del girone sarebbe da classificare come un clamoroso fallimento. Dal centrocampo in su la nazionale colombiana gioca praticamente alla pari con le grandi del calcio mondiale; Falcao è forse tra i primi tre numeri 9 in circolazione in questo momento e Cuadrado con ogni probabilità alla fine del torneo varrà quanto un Dalì. D’altra parte, se Ospina pare una certezza tra i pali, la difesa non è esattamente all’altezza degli altri due reparti, Luis Perea e Mario Yepes non stanno certo ringiovanendo, e Cristian Zapata, messo alla prova del grande club, ha evidenziato pesanti lacune a livello di concentrazione ma anche a livello tecnico, e lo stesso discorso vale per Pablo Armero, che sta attraversando un periodo molto difficile con la maglia del Napoli. Il possibile accoppiamento agli ottavi con una tra Italia, Uruguay e Inghilterra complica un po’ le cose, ma l’obiettivo dei quarti di finale rimane alla portata della squadra di Pekerman.

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Non ho mai nascosto di reputare Andrea Bracco, redattore di Calcio Sudamericano e autore del blog Pallonate, uno dei più interessanti esperti di calcio internazionale che la nostra blogosfera offre.

E’ quindi ancora una volta un piacere ospitarlo sul mio blog. Parlando, questa volta, di Uruguay. Danubio Campione

Con un campionato appena finito che ha visto laurearsi campione il Danubio ed una prospettiva internazionale che vedrà la Celeste, tra qualche mese, contendersi con Inghilterra, Costa Rica e soprattutto – per chi scrive, almeno – Italia un posto agli ottavi di finale del prossimo Mondiale.

Domanda di rito: com’è organizzato il campionato di calcio uruguaiano?

Il campionato uruguagio, come la maggior parte dei campionati sudamericani (eccetto il Brasileirão), si divide in due semestri: l’Apertura ed il Clausura, che seguono l’andamento stagionale europeo. Quello che si è appena concluso infatti è l’Apertura 2013, mentre a maggio – con il termine del Clausura – avremo i verdetti stagionali definitivi.

Veniamo all’Apertura appena conclusasi. Ha vinto il Danubio, per la quarta volta nella propria storia. Vittoria meritata?

Più che meritata, direi sorprendente. La Franja Negra non era considerata come possibile vincitrice nemmeno dalle testate vicine alla società, che anzi da qualche stagione puntano il dito contro l’attuale proprietà rea – secondo loro – di non puntare più sui giovani del vivaio come una volta. Ovviamente la compagine allenata da Léo Ramos ha smentito tutti, allestendo una rosa stuzzicante e prelevando a mani basse dalla Reserva (un sorta di squadra Primavera).

In Uruguay ci sono due squadre storicamente dominatrici: Penarol e Nacional, giunte rispettivamente ottavo e terza. Qual è il loro stato di salute?

Le due super potenze hanno deluso, per diversi motivi. Partirei dal Nacional, beffato al fotofinish proprio dal Danubio. Il Bolso (a proposito, è notizia di queste ore l’allontanamento del tecnico Rodolfo Arruabarrena) era partito per ammazzare il campionato dopo aver allestito una rosa importante, ed invece – oltre ad essere rimasto con un pugno di mosche in mano – ha anche perso il Superclasico contro i rivali di sempre. Di contro, il Peñarol ha nel derby vinto l’unico acuto del semestre, perché per il resto l’Aurinegro – dopo l’addio di Jorge Da Silva – è diventato un cantiere aperto in perenne ricostruzione.Jorge da Silva

Venendo ai singoli, la classifica marcatori vede tre giocatori appaiati al primo posto: Hector Acuna, Ivan Alonso, Sergio Blanco. Che giocatori sono?

Tre vecchi volponi dell’area di rigore, nonché discreti giramondo. Ivan Alonso vanta una lunga militanza in Spagna dove ha giocato per Alaves, Murcia ed Espanyol, prima di passare ai messicani del Toluca per poi tornare nel club che lo ha lanciato da giovane, mentre Sergio Blanco ha segnato (parecchio) in Messico e tentato un’avventura poco fortunata in Argentina, al Patronato. Per finire, Hector “El Mago” Acuña, famoso per gol impossibili ed errori colossali, in perfetto stile sudamericano. Anche per lui, come per gli altri, diverse esperienze all’estero, tra cui una in Honduras.

Tutti e tre hanno ampiamente superato i 30 anni. Come valuti questo fatto?

E’ molto semplice. In Uruguay, ma tendenzialmente in tutto il Sudamerica, i giocatori non di primissima fascia tendono a giocare l’ultima parte di carriera a casa loro per divertirsi e sfruttare i ritmi più blandi. Come ha fatto anche Walter Pandiani, messo sotto contratto dal piccolo Miramar Misiones dell’amico Gonzalo de los Santos, a patto che assieme a lui venisse tesserato anche il figlio maggiore.

Chi sono stati i giocatori migliori di questa Apertura?

Mi preme segnalare il reparto offensivo del Danubio, imperniato sul bomber Liber Quinoñes (che ha salutato tutti dopo il titolo conquistato: andrà in Messico, al Veracruz) assistito da due giocatori da tenere d’occhio. Il primo è Jonathan Alvez, seconda punta esplosiva prelevata dal Torque, squadra con la quale ha fallito la promozione in Primera lo scorso anno. Poi c’è Camilo Mayada, centrocampista offensivo nato mezz’ala che oggi è nel pieno della sua maturità calcistica. Il trio di capocannonieri è poi una menzione d’obbligo, mentre in porta ha fatto grandi cose Martin Campaña, estremo difensore del Defensor Sporting. Ultimo nome, quello di Hernan Novick, eletto miglior giocatore del campionato dalla federazione. Gioca nel Fenix, ma per gennaio è già stato bloccato dal Peñarol.Hernan Novick

Venendo ai giovani, c’è qualche under 20 da tenere d’occhio (e perché no, da inserire in una eventuale nuova “Carica dei 201”)?

Il blocco della Sub-17 merita attenzione estrema. Fabrizio Buschiazzo (Defensor Sporting) è un leader difensivo importante, e nelle movenze mi ricorda molto il primo Diego Lugano. Poi ci sono due mediani con i fiocchi: il primo è Franco Pizzichillo, sempre del Defensor (una garanzia in fatto di giovani talenti), il secondo è Gaston Faber, metronomo del Danubio. Avanzando, impossibile non menzionare Kevin Mendéz, già opzionato dal Barcellona e che – di conseguenza – non ha bisogno di presentazioni, mentre per l’attacco nomino Franco Acosta, centravanti in prestito al Fenix, che gli ha permesso di esordire tra i professionisti.

Il Mondiale è sempre più vicino. La Celeste è stata inserita nello stesso girone dell’Italia, con Inghilterra e Costa Rica. Dove pensi possa arrivare la nazionale uruguaiana? A un nuovo “Maracanazo”?

Il “Maracanazo”, in Uruguay, è sacro, e probabilmente nella storia non ce ne sarà mai un altro. La Celeste è ad un bivio importante, davanti al quale Tabarez dovrà essere bravo nell’imboccare la strada giusta. Rispetto a quattro anni fa, l’intelaiatura di questo Uruguay è molto simile, ma il tempo passa ed il Maestro non ha saputo inserire quei tre-quattro elementi per svecchiare la rosa. Ovviamente ci sono giocatori importanti, capaci di spostare gli equilibri, ma credo (anzi temo, data la mia passione per questa nazionale) che Brasile 2014 rappresenterà il viatico tra il “vecchio” Uruguay e quello che verrà. Una sorta di passaggio di consegne a colui che sarà il nuovo ct. La Celeste arriverà verosimilmente seconda, ed eliminerà l’Inghilterra: questo è quello che credo. O forse, che spero.

Suarez o Cavani?

Per il mio modo di vedere il calcio scelgo Suarez, però se mi date Cavani non mi offendo di certo. Scherzi a parte, sono due fenomeni totali che insieme – se supportati adeguatamente – hanno la capacità di fare male a chiunque. Prendendo spunto da questa domanda, colgo io l’assist per farne una a tutti: come fa l’Uruguay, paese che ad oggi conta circa 3.250.000 abitanti, ad essere storicamente una delle nazionali ai vertici del calcio mondiale, senza poter vantare un campionato di livello eccelso, e a lanciare fenomeni del genere? Non sarà che sanno lavorare bene?Suarez e Cavani

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Giovedì è stato il cosiddetto “day after”.

Dopo il naufragio juventino ad Istanbul, infatti, si sono sprecati (in molti casi letteralmente) fiumi di parole per commentare tanto l’eliminazione dalla Champions quanto il possibile futuro dei Bianconeri.Wesley Sneijder

Arrivo con qualche giorno di ritardo, ma volevo commentare anche io la situazione del club torinese.

Partiamo proprio dalla questione Champions League.
Sul massimo palcoscenico europeo la Juventus ha mostrato due facce. Da una parte è stata capace di dare del filo da torcere al grande Real Madrid dei nuovi galattici Bale e Ronaldo (raccogliendo comunque molto poco in termini di punti), dall’altra è riuscita a rimediare solo cinque punti a cavallo dei doppi confronti – non irresistibili – con Galatasaray e Copenhaghen.

Intendiamoci, con la stessa onestà intellettuale avuta da Mancini bisogna riconoscere che quella gara non andava giocata (che non vuole comunque dire che la Juventus, su un campo praticabile, sarebbe riuscita a non farsi eliminare). Però, con l’onestà intellettuale mostrata da Conte, è altrettanto vero che la qualificazione andava chiusa prima.

Risultato: farsi eliminare in un girone alla portata (per altro più di quello vinto lo scorso anno con Chelsea, Shaktar e Nordsjelland) non può che essere un fallimento.

La stagione europea potrebbe comunque essere, almeno parzialmente, salvata. Se non da un punto di vista economico (la Champions è impareggiabile in questo senso), almeno da quello del blasone.

Terza classificata, la Juventus è stata dirottata in Europa League, competizione che vedrà giocarsi l’atto finale proprio allo Stadium torinese.
Vincere la Cenerentola delle competizioni europee, quindi, sarebbe comunque – soprattutto stante il lungo digiuno europeo da cui è reduce la Vecchia Signora – un buon modo di rifarsi, parzialmente, dalle delusioni di Champions.

In questo senso però attenzione: oltre alle italiane ci sono altri club interessanti in Europa League. A partire dal Tottenham, che se la giocherà ad armi più o meno pari con le nostre, fino alle iberiche, le pretendenti battaglieranno sicuramente sino alla fine.Tottenham

In questo ragionamento si inserisce una variabile piuttosto importante: quanto Conte e la società punteranno su questo traguardo?
Quanto turn over verrà applicato in Europa League?

E’ logico che se i giocatori diciamo “non strettamente titolari” che scenderanno in campo ogni giovedì saranno 5/6 come ritengo probabile, ecco che le chance di imporsi caleranno drasticamente…

Sembra invece più semplice la vita in campionato, dove al di là del valore assoluto, la Juventus vanta anche una maggior compattezza, incisività e continuità rispetto ad ogni altro club della Penisola. Insomma, a meno di eventi inaspettati lo Scudetto dovrebbe restare cucito sulle maglie dei Bianconeri.

E per il futuro?

Si inizia già a parlare di mercato, com’è logico (soprattutto dopo una delusione cocente come l’eliminazione dalla Champions League).

Partiamo da un presupposto: la falla principale della Juventus 2012/2013 era indubbiamente il reparto offensivo. Falla coperta bene dagli acquisti di Fernando Llorente e Carlos Tevez, che per quanto non rappresentano una delle migliori coppie d’Europa in assoluto sono sicuramente giocatori di valore, con pochi rivali in Italia e che possono comunque dire la propria anche fuori dai confini (per quanto a livello realizzativo, come è noto, Tevez sta stentando non poco).

Dove-come intervenire?

Ovviamente tutto passa dalla guida tecnica e dalle valutazioni che questa può fare.

Sarà ancora Antonio Conte l’allenatore della Juventus, la prossima stagione?
Sarà ancora, eventualmente, il 3-5-2 il modulo da lui prescelto per schierare la propria squadra?

E’ ovvio che ogni mossa di mercato pianificabile non può prescindere dalla risposta a queste domande.

Esempio concreto: il giovane Berardi che tanto bene sta facendo a Sassuolo sarebbe oggi difficilmente collocabile nello scacchiere tattico juventino.Domenico Berardi

Portarlo a Torino qualora si prevedesse di rimanere fedeli al 3-5-2 utilizzato sino ad oggi potrebbe quindi portare ad un buco nell’acqua.

In primis, quindi, c’è da risolvere questo dilemma. Da lì, sarà più semplice fare delle valutazioni.

Ad oggi cosa manca alla Juventus?

Tutto e niente.

Mi spiego: la Vecchia Signora ha sicuramente la rosa più forte completa d’Italia e, a meno di rivoluzioni multimilionarie operate in altri lidi, dovrebbe essere destinata a partire da favorita anche l’anno prossimo, pur senza grandi investimenti.

Nel contempo, però, il gap con squadre come Bayern Monaco, Real Madrid e Barcellona non può essere colmato dall’immobilismo. Servono idee buone e soldi sonanti.

Senza questi ultimi, è difficile immaginare la Juventus competitiva su obiettivi di mercato realmente importanti, che potrebbero interessare i top club europei.

Più probabile, quindi, che la società di Corso Scirea decida di continuare sulla strada tracciata in questi ultimi anni: una lenta ma costante modifica dei valori in campo. Al rialzo, ovviamente. Andando così magari non a colmare, ma a costruire comunque una squadra – sulla carta – sempre più competitiva anche in ambito europeo.

Acquisti come quello di Pogba – con uno sguardo al futuro – Vidal, Llorente e Tevez sono infatti i segni tangibili di una società che deve fare i conti con una competitività di mercato ridotta rispetto a molte concorrenti, ma che ha comunque idee e budget tali da poter piazzare colpi più che interessanti, anche fuori dall’Italia.

La strada tracciata è quindi l’unica realmente percorribile oggi dalla Juventus e deve, a mio parere, continuare essere seguita senza indugi.Juventus

Ci sono un alcuni giocatori (Barzagli, ma soprattutto Buffon e Pirlo) che non hanno ancora una carriera particolarmente lunga davanti, e rispetto cui bisogna iniziare a pensare ad un ricambio di livello.

Vedremo nei prossimi mesi come si evolveranno le cose.

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