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Archive for the ‘Italia’ Category

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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La classe 1998 del Milan merita un pezzo tutto per sé, da un appassionatissimo di calcio giovanile come il sottoscritto.

Anche nel recentissimo (giocato tra venerdì e sabato) torneo di Madrid in memoria di Luis Aragones, infatti, i ragazzi di mister Brocchi hanno messo in mostra le loro grandi capacità, già ampiamente mostrate nel corso di questo campionato.

Week-end tutto sommato positivo, per loro. Che nonostante si trovano a perdere la finale del Memorial in onore dell’ex C.T. della Spagna, tornano in Italia con due vittorie importanti contro Atletico e Barcellona, e soprattutto la consapevolezza di aver vinto il proprio girone di campionato grazie alla sconfitta interista con il Lumezzane.

Ma andiamo con ordine.

Al torneo madrileno il Milan viene inserito nel gruppo con Atletico Madrid ed Alcobendas. I primi vengono battuti agevolmente 3 a 1, i secondi fanno penare un pochino di più i Rossoneri, che però alla fine si impongono.

In semifinale è quindi la volta del Barcellona. Che passa in svantaggio ma poi mette in mostra più qualità dei rivali. Alla fine le due squadre devono giocarsela ai rigori, e qui esce la maggior freddezza milanista.

L’ultimo atto dovrebbe poter essere una formalità, contro i già battutti Colchoneros. Invece la partita è tirata. La stanchezza (quarta partita in due giorni) probabilmente si fa anche sentire. Ne esce un 1 a 0 tirato per i madridisti, che come puntano schierano quel Salomon Obama di cui ho raccontato ne La carica dei 201, quando ancora nessuno oltre me (su questo blog) ne aveva mai parlato prima, in Italia.

Ma scendiamo un po’ più nel concreto di quanto i giovani Rossoneri hanno mostrato in quel di Madrid. Partendo dai portieri.

L’impressione migliore me l’ha data sicuramente Francesco Fabio Cancelli, che invece nel corso dell’Al Kass Cup che ero riuscito a seguire lo scorso gennaio mi aveva fatto una non buona impressione.
Intendiamoci, l’inizio è un po’ stentoreo. Ma poi si riprende alla grande. Mettendo in mostra una grande qualità nelle uscite, in special modo basse, e grandissima sicurezza (e tecnica) sui rigori. Nella semifinale contro il Barça, infatti, ne para ben quattro, anche se uno viene fatto ricalciare finendo in rete. La strada è quella giusta. Ma per un portiere è anche sempre particolarmente tortuosa.

Gianluigi Donnarumma ha invece il pregio di essere aggregato agli Allievi I/II Divisione pur sottoetà, essendo nato il 25 febbraio del 1999. Di lui posso dire poco. Prestazione senza infamia e senza lode. Sicuramente da rivedere.

Chi invece non mi ha destato grandissima impressione è stato Luca Crosta, che avrà comunque sicuramente modo di rifarsi. A sua parziale discolpa, il fatto di venire da un infortunio che ne aveva condizionato la preparazione nelle ultime settimane.
L’impressione è stata quella di trovarsi di fronte ad un giocatore sicuramente poco sicuro, che ha anche commesso un errore tecnico ad esempio in occasione del primo goal dell’Alcobendas. Il tempo, comunque, è dalla sua.

Prestazioni senza infamia né lode, passando alla difesa, per Marco Iudica. Buone indicazioni, ma me l’aspettavo, dal solito Andrea Malberti, che già avevo apprezzato nel già citato Al Kass Tournament oltre che in Nazionale under 16 giusto settimana scorsa, contro la Polonia. Giocatore attento e discretamente dotato tecnicamente, è sicuramente un capitale su cui la società Rossonera farebbe bene ad investire.

Bene, nel reparto arretrato, anche Michele Spinelli, puntuale in diverse chiusure, e Matteo Trentino, autore anche di una rete.

Infine ottima come sempre la prestazione dell’italospagnolo Andres Acuna Llamas, terzino sinistro anch’esso già nel giro della nazionale con un repertorio già molto completo: quasi mai in difficoltà in fase difensiva, spinta costante in transizione positiva. In più un bel goal in contropiede contro l’Atletico, dove ha messo in mostra tutta la sua forza e la sua esplosività.

Il dominatore senza se e senza ma del centrocampo è stato invece Niccolò Zanellato, già protagonista di una buona Al Kass Cup, e che personalmente fossi in Tedino terrei in considerazione anche in ottica Nazionale. Il ragazzo ha infatti un’ottima struttura fisica, cui abbina dinamismo e buona qualità. Tre i suoi goal nel corso del torneo, dove ha dominato nel gioco aereo le aree avversarie, ed un titolo di miglior centrocampista del Torneo che sicuramente lo ripaga delle belle prestazioni messe in mostra.

Buone cose le hanno messe in mostra anche i vari Raul Zucchetti, Federico De Piano, Mattia El Hilali e Cristian Hadziosmanovic. Che, chi più chi meno, hanno coadiuvato Zanellato nel reparto nevralgico del campo.

Non mi ha trasmesso nulla di che, invece, Abdou Diouf Ndiaye.

Per quello che riguarda il reparto offensivo, poi, complimenti da spargere un po’ su tutto il reparto, pur con parsimonia.

Cosimo Marco La Ferrara fa un gran goal contro l’Atletico Madrid. Punta esterna mobile e vivace, deve trovare però più continuità nel pungere efficacemente le difese avversarie.

Zakaria Hamadi e Mihael Modic hanno invece messo in evidenza il loro ottimo bagaglio di doti tecniche: controllo palla, dribbling, piede educato. Anche in questo caso però quello che si deve richiedere a questi due ragazzi è una maggiore incisività.

Marcello Jones l’ho visto poco per poterlo giudicare, mentre Juvenal Junior Agnero ha sì grandissime doti fisico-atletiche, ma da un punto di vista tecnico è una pepita assolutamente grezzissima e su cui bisognerà lavorare moltissimo onde riuscire a farne un giocatore di livello.

In tutto questo va comunque ricordato che non c’erano quelli che sono probabilmente indicabili come i tre migliori classe ’98 milanisti in assoluto: Patrick Cutrone, Manuel Locatelli ed il già celebratissimo nonché famosissimo Hachem Mastour.

Il primo è un attaccante di rango. Intelligente, essenziale, fiuto di primo livello. Non è andato a Madrid, ma in compenso ha giocato mezz’ora con la Primavera di mister Inzaghi.

Il secondo è invece un centrocampista molto completo, che però ho potuto vedere solo una volta con la maglia della Nazionale. Ma, ancora quattordicenne, mi impressionò moltissimo.

Il terzo lo conoscono tutti, e ne parlo anche nel mio libro. Gran funambolo. Però attenzione, non sempre i funamboli diventano giocatori di calcio! Anche qui ci sarà molto da lavorare, soprattutto da un punto di vista mentale. Perché tecnicamente il ragazzo c’è.

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Nome: Stephan El Shaarawy
Data di nascita: 27 ottobre 1992
Luogo di nascita: Savona (Italia)
Nazionalità: italiana, egiziana
Altezza: 180 cm
Peso: 73 kg
Ruolo: trequartista
Club: Padova (prestito dal Genoa)
Scadenza contratto: 30 giugno 2013
Valutazione: 6.000.000 €

CARRIERA

Tra un mese e poco più compirà diciotto anni. Eppure ha già esordito in Serie A, è ed è stato punto fermo di alcune selezioni giovanili nazionali ed ha anche già firmato la sua prima rete nella Serie Cadetta.

Questo è Stephan El Shaarawy, figlio di madre italiana e padre egiziano che rappresenta uno degli esempi più puri di talento calcistico che sono cresciuti negli ultimi anni lungo lo stivale.

Ma partiamo dal principio: nato a Savona il 27 ottobre del 1992 Stephan entrò a far parte delle giovanili del Grifone prestissimo, ad undici anni di età. Qui bruciò tutte le tappe: cinque soli anni più tardi, infatti, arrivò già l’esordio assoluto in Serie A. Era il 21 dicembre 2008 quando pose il suo primo piede su di un campo in cui si stava disputando un match del nostro massimo campionato. Sette soli minuti di gioco, giusto il tempo di iniziare a saggiare un palcoscenico su cui tornerà presto da protagonista.

Quella stagione, quindi, si toglierà un’altra soddisfazione importante andando a vincere la Coppa Italia Primavera. Quella successiva, invece, arriverà l’imposizione in campionato, da trascinatore. Il tutto dopo aver già vinto qualche mese prima anche la Supercoppa italiana.

A livello Primavera, insomma, ha vinto tutto in Italia. Convincendo quindi anche i vari tecnici federali a farne un punto di forza delle nostre rappresentative giovanili, dall’under 16 all’under 18, passando da quell’under 17 con cui ha disputato nel corso dell’anno solare 2009 Europei e Mondiali di categoria.
E’ comunque facile prevedere che presto entrerà nel gruppo dell’under 21, magari già dal prossimo ciclo.

Dopo aver collezionato tre presenze in due anni in prima squadra e, soprattutto, aver raccolto i successi già citati con la maglia della Primavera il buon El Shaarawy ha deciso che per continuare il proprio processo di crescita avrebbe dovuto lasciare Genova: passare una o due stagioni ancora confinato nelle giovanili, infatti, sarebbe stato poco utile a chi sa già essere un fattore a quei livelli. Ed ecco, quindi, concretizzarsi il suo passaggio al Padova.

Idee ben chiare in testa, comunque, per il Faraone savonese che subito dopo la vittoria del Campionato Primavera così si espresse rispetto al suo futuro: “Tramite il mio procuratore so che sono soprattutto quattro le squadre interessate a me: Lecce, Siena, Novara e Cesena. Tutte destinazioni molto importanti ma, quel che conta, è che mi venga data la possibilità di giocare”. Alla fine a spuntarla è stata la quinta contendente, il Padova. E la scelta di Stephan di trasferirsi in Veneto snobbando piazze importanti come Lecce, Cesena (entrambe in Serie A) e Siena o con progetti solidi e vincenti come Novara ha pagato: El Shaarawy è diventato infatti subito una delle colonne Biancoscudate, andando giusto nel corso di quest’ultimo week-end a firmare la sua prima rete assoluta tra i professionisti, infilandosi nelle larghe maglie della difesa reggina per andare a trafiggere il malcapitato Puggioni.

Prestazione monstre quella del piccolo Faraone, che ora ha tutta Padova ai suoi piedi. “E’ stata una partita emozionante, correre sotto la curva mi è venuto spontaneo, e vedere che i tifosi mi hanno applaudito in quel modo è stato da brividi”, ha commentato Stephan al termine del match.
El Shaarawy che, secondo il suo attuale allenatore (Alessandro Calori, ndr) “Ha talento, ha fatto un’ottima partita, non può che essere elogiato”. Occhio, però, a non montarsi e montargli troppo la testa: “Non dobbiamo dimenticare che il ragazzo ha solo 17 anni e non va caricato di troppe responsabilità. So che a voi viene naturale esaltarlo per le sue doti e non posso chiedervi di fare altrimenti, però da parte mia cerco di tenerlo il più umile possibile perchè possa diventare davvero un campione”.

E se le parole di chi lo allena potrebbero apparire scontate è giusto riportare anche quelle del tecnico che ha visto la sua squadra rimanere annichilita davanti al Faraone savonese, Gianluca Atzori:  “L’avevo visto in qualche video e mi era piaciuto, ma dal vivo è ancora più impressionante, ha delle qualità davvero eccellenti”.
Evidentemente il talento c’è.

Padova sogna, Genova (almeno sulla sponda Rossoblù) si frega le mani. E pensare che un annetto e mezzo fa, qualche tempo dopo il suo esordio in Serie A, sembrava essere sul punto di lasciare l’Italia, ripercorrendo le orme che i vari Rossi, Lupoli, Dalla Bona, Macheda, Petrucci, Borini, Sala, ecc avevano tracciato prima di lui. Sul ragazzo, infatti, piombò il Real Madrid che, pare, offrì ben 6 milioni di euro, attuale base d’asta per intavolare un’eventuale trattativa per il suo acquisto, per assicurarsene i servigi.
Ben sapendo che di lì a qualche anno la sua valutazione sarebbe potuta crescere ancora e che per qualche stagione, comunque, Stephan sarebbe anche potuto tornare utile al Grifone.

Assalto respinto, quindi. Almeno sino ad oggi.

Perché dopo la gara di venerdì contro la Reggina il suo nome è tornato in auge e su di lui pare essere piombata l’Inter che proverà a fare forza sugli ottimi rapporti che intercorrono tra i patron delle due società, Moratti e Preziosi, per chiudere una trattativa che assicurerebbe ai Nerazzurri l’acquisizione di uno dei migliori giovani talenti del nostro paese.
Rispetto a questa trattativa, comunque, è intervenuto Roberto La Florio, procuratore del ragazzo, che ha subito provveduto a gettare acqua sul fuoco per evitare che queste voci potessero distrarre il suo assistito: “Premetto che le voci vanno e vengono, quando fai bene sei esaltato, ma poi ci metti poco a finire per terra. Il ragazzo deve rimanere con i piedi per terra, anche perchè sono solo chiacchiere, meglio pensare a fare bene con il Padova. Per lui è un anno impegnativo perchè deve andare a scuola e prendere la maturità, quindi sarà importante fare bene sia in campo che fuori”.

In attesa di sapere quale sarà il suo futuro, quindi, continueremo a seguirlo nel suo campionato di B, con la speranza che quella di venerdì sia una prestazione che il ragazzo potrà ripetere più e più volte.

CARATTERISTICHE

Ben fisicato, rapido, estroso, potente (in relazione all’età) e deciso. Ecco qual’è il mix vincente che la fusione dei geni italiani ed egiziani ha dato vita, plasmando il talento di Stephan El Shaarawy, tra i migliori prospetti sfornati dai nostri settori giovanili negli ultimi anni.

Trequartista, esterno, al limite seconda punta. E’ comunque prettamente offensiva l’attitudine di questo ragazzo, che dà il meglio di sè nella metacampo avversaria, palla al piede. Quando quindi può mettere in mostra la sua capacità di difesa del pallone, il suo dribbling secco ed efficace, la sua propensione alla rifinitura e le sue qualità realizzative.

Gradisce partire decentrato sul centro sinistra per poter quindi puntare la porta, accentrarsi e scaricare il suo destro micidiale. Destro con cui disegna spesso traiettorie imprendibili grazie tanto ad una grande precisione di calcio quanto ad un’ottima potenza. In questo senso si può ripensare alla rete realizzata nel corso della finale di Coppa Italia Primavera che disputò al termine della stagione 2008/2009 contro la Roma: dopo aver ricevuto palla sulla linea di metacampo l’accelerazione ed il filtrante in direzione di un compagno, incapace però di raggiungere il pallone. Respinta corta della difesa Giallorossa che facilita l’intervento di un altro giocatore del Grifone, subito capace di restituire palla allo stesso El Shaarawy. Controllo e tiro da fuori del talento italoegiziano, palla che si infila imparabile a fil di palo.

Non solo tiri da fuori e di potenza, però. Basta infatti ripensare proprio al suo primo goal ufficiale tra i professionisti, quello realizzato venerdì contro la Reggina, per rendersi conto di come questo ragazzo sappia anche essere freddo sottoporta, una volta venutosi a trovare a tu per tu col portiere: Vicente controlla sulla trequarti, attirando su di sè il centrale reggino che salendo crea un varco alle sue spalle in cui, lesto, s’infila di gran carriera proprio il fantasista scuola Genoa. Liberato in velocità, quindi, Stephan entrerà in area, bucando l’uscita di Puggioni con un piatto preciso.

Padova ai piedi del Piccolo Faraone, dicevamo. Perché oltre al goal appena raccontato per dire della freddezza del ragazzo El Shaarawy ha già dimostrato di saper essere letale anche in altre situazioni di gioco. Come in fase di rifinitura: sul 3 a 0 del suo Padova contro la Reggina, infatti, Stephan effettua un bel lancio morbido in area, bucando la difesa avversaria e pescando Succi, poi bravo a firmare da sè la rete del definitivo 4 a 0.

Ma non solo: nel corso di un match di Coppa Italia contro il Ravenna seppe propiziare con una sua azione tambureggiante il goal decisivo. Dopo aver ricevuto palla poco oltre il limite, infatti, il dribbling secco a saltare il diretto avversario, l’accelerazione per portarsi in area e, una volta chiuso da due uomini, il destro al fulmicotone su cui il portiere avversario non potè far altro che respingere il pallone sui piedi di Succi, ancora una volta lesto ad infilarlo poi in porta.

C’è bisogno di dire altro?

IMPRESSIONI E PROSPETTIVE

Se a 18 anni sei in grado di decidere una partita in Serie B e dai l’impressione di poterlo fare e rifare mille altre volte non è per caso, quanto più perché hai un talento spropositato.

Una sola cosa sembra poter frenare questo ragazzo: l’incostanza di rendimento.

Una volta trovata quella, infatti, non potrà che arrivare il definitivo salto di qualità. Perché i mezzi li ha tutti ed il futuro è dalla sua. Nel vederlo giocare a certi livelli non ancora maggiorenne non si può che considerarlo un predestinato.

E, ripeto, a Genova si fregano le mani…

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Nome: Nicolao Manuel Dumitru Cardoso
Data di nascita: 12 ottobre 1991
Luogo di nascita: Nacka (Svezia)
Nazionalità: italiana, svedese, rumena
Altezza: 184 cm
Peso: 76 kg
Ruolo: attaccante
Club: Napoli
Scadenza contratto: 30 giugno 2013
Valutazione: 3.000.000 €

CARRIERA

Nato il 12 ottobre del 1991 in quel di Nacka, città svedese della provincia di Stoccolma, il giovane Nicolao Dumitru rappresenta un caso più unico che raro: è, infatti, un vero e proprio meltin’ pot di etnie vivente.

Nato in Svezia, dicevamo. Ma da padre rumeno e da madre afro-brasiliana. Non male davvero.
E non solo: all’età di sette anni si trasferì al seguito della famiglia in Toscana, dove crebbe. Sino a prendere il passaporto italiano. Italia che è un po’ la sua patria di adozione, potremmo dire. Anche se a sentirlo parlare si direbbe che qui c’è nato.

Dev’essere comunque legatissimo al nostro paese, Nicolao. Questo lo si capisce anche dalla scelta fatta rispetto alla nazionale: il ragazzo si è infatti vestito d’Azzurro, rappresentando anche l’Italia ai recenti Europei under 19. Certo, la scelta sarebbe ancora modificabile, non avendo esordito in prima squadra. Ma a vederlo, nonostante qualcuno potrebbe storcere il naso per il colore della pelle (come fatto con Balotelli, del resto), si capisce che la sua è stata una scelta di cuore, che difficilmente verrà messa in discussione in futuro (a tal proposito Nicolao ha rivelato di aver già rifiutato una chiamata dalla nazionale maggiore rumena).

Ma torniamo a noi: le cronache di questi giorni riportano del suo passaggio al Napoli. Prima, però, è bene dire dove Nicolao ha iniziato a respirare aria di grande calcio: Empoli.
Dopo aver tirato i primi calci ad un pallone in una squadretta di un quartiere di Stoccolma si trasferisce in Italia, entrando a far parte della “Massetana”, una scuola calcio della provincia di Grosseto. A dodici anni, poi, il ragazzo entra nel settore giovanile degli Azzurri. Col passare degli anni, quindi, la sua crescita di calciatore, sino a diventare quella che è stata forse la stella più luminosa della Primavera empolese che lo scorso anno arrivò ad un passo dalle vittorie in Campionato e nel Torneo di Viareggio.

Stella a livello giovanile, dicevamo. E quando qualcosa brilla attira sempre l’attenzione. Così il Napoli incarica uno dei propri osservatori, Mantovani, di andare a visionare le final eight del Campionato Primavera. Proprio lì lo stesso rimarrà abbagliato da Nicolao.
Conseguentemente alle sue relazioni ecco quindi che De Laurentiis decide di regalare, bruciando la concorrenza di Juventus, Inter e Fiorentina (ma si parla anche di interessamenti di Liverpool e Barcellona per lui), proprio lui ai tifosi napoletani in chiusura di mercato. Certo, non è un nome altisonante. Ma il futuro è dalla sua parte.

Un milione e mezzo per il prestito annuale è stata la cifra pagata per portarlo sotto il Vesuvio. Cifra che andrà raddoppiata qualora in quel di Napoli decidessero di riscattarlo a fine anno.
Cosa che, possiamo esserne quasi certi, avverrà. Perché Dumitru è ragazzo di talento e sicuramente ne stregherà molti anche in Campania…

CARATTERISTICHE

E’ piuttosto completo, Nicolao Dumitru.
Buon fisico, discreta potenza, grande atletismo. Ma anche classe, talento ed eleganza.

La maturazione ha portato con sè tanti frutti: crescendo, infatti, questo ragazzo ha sia scolpito il proprio fisico che affinato alcune caratteristiche che, infine, modificato il proprio modo di stare in campo. Perché se una volta era prettamente un’ala offensiva, cui piaceva partire largo per devastare le difese avversarie, oggi ha trasformato il proprio gioco: svaria lungo tutto il fronte d’attacco, sa giocare sia largo che, all’occorrenza, in posizione centrale e, ancora, in appoggio ad una prima punta.

Elemento importante per qualsiasi allenatore, insomma. Non è stato un caso, quindi, se mister Piscedda ha fatto grande affidamento su di lui, portandolo in Francia nella pur fallimentare spedizione Azzurra.

Esemplificativa delle grandi qualità e della duttilità di questo ragazzo è l’amichevole disputata dallo stesso lo scorso 11 agosto, quando ancora era a tutti gli effetti un componente della squadra empolese. Gli Azzurri di Toscana quel giorno scesero in campo contro la Sangiovannese per una delle ultime amichevoli in attesa dell’inizio del campionato. E proprio Nicolao fu il grande protagonista di quella serata, il mattatore del match.

Ma andiamo con ordine: al primo minuto di gioco la retroguardia della Sangiovannese si fa subito trovare impreparata e lui mostra di essere dotato anche di fiuto del goal e sagacia tattica: Nardini crossa da destra, Dumitru si infila sul secondo palo tra centrale e terzino ed appoggia comodamente in rete un pallone di piatto destro, suo piede preferito. Uno a zero.

Il bis lo concede al ventinovesimo della ripresa: un bocconcino prelibato per gli amanti del calcio d’autore. Saponara, altro talento interessante proveniente dalla Primavera empolese, lo lancia in area, lui s’infila con grande rapidità tra i due centrali avversari e batte Fantin con un pallonetto morbido che non lascia vie di scampo all’estremo difensore della Sangiovannese. Due a zero.

Tre minuti più tardi, poi, la ciliegina sulla torta che dimostra come il suo bagaglio tecnico sia completo ed oltre ad una buona capacità di andare a rete sia dotato anche di efficacia in fase di rifinitura: Cesaretti gli consegna palla sulla trequarti, lui la controlla con facilità aspettando il taglio dello stesso compagno di squadra che andrà quindi a servire con un filtrante in grado di spaccare a metà la retroguardia ospite. Tre a zero.

Serve aggiungere altro?

IMPRESSIONI E PROSPETTIVE

Su di lui se ne stanno dicendo tante. Come al solito, infatti, i paragoni si sprecano.

Personalmente, però, trovo non sia utile il paragone sensazionalistico fatto tanto per, quanto più bisognerebbe andare a cercare quello che vada a spiegare, a grandi linee, le attitudini di un giocatore.

Ecco perché quando sento o leggo di un Dumitru accostato a Balotelli mi viene da pensare che il ruolo simile abbinato al colore della pelle abbiano fatto prendere un abbaglio a qualcuno. Personalmente, infatti, ritengo che i nostri due colored Azzurri non abbiano tantissimo in comune.
Già più azzeccato, pur se da prendere con le pinze (come tutti i paragoni di questo tipo), è invece l’accostamento che lo vuole simile ad Henry: perché anche lui, esattamente come l’ex Campione d’Europa e del Mondo transalpino, è un giocatore tanto elegante quanto completo, capace sia di risultare letale sotto porta quanto di rifinire le azioni a vantaggio dei propri compagni e di giocare sia centralmente che sull’esterno.

Al di là di questi paragoni, che risultano comunque piuttosto inutili all’atto pratico, c’è da dire che stiamo parlando di un ottimo giocatore dalle buone prospettive.

Che a livello giovanile sia già oggi uno dei migliori attaccanti d’Italia è scontato: così non fosse Piscedda non l’avrebbe certo chiamato con quella costanza nella sua under 19. La cosa è comunque sottolineata anche dal suo score: 25 goal tra i Giovanissimi, 21 negli Allievi, 8 nel corso della prima stagione in Primavera e 18 lo scorso anno. Notevole.

Definire dove un giocatore possa arrivare in carriera è sempre cosa fatta più per cartomanti che per amanti del genere. Inutile sbilanciarsi, quindi.

Di certo c’è che Nicolao potrebbe venire utile già da subito: all’occorrenza, infatti, potrebbe già tranquillamente essere schierato in prima squadra. Certo, vista la giovanissima età (parliamo pur sempre di un ragazzo maggiorenne da nemmeno un anno) non si può assolutamente dire si tratti di giocatore già maturo e che sia ancora parzialmente acerbo è fuori discussione. Nel contempo, però, credo abbia già buoni numeri sia a livello tecnico che fisico-atletico che, soprattutto, mentale per iniziare a saggiare i campi di A, dando anche il proprio contributo.

Chiaro, con gli acquisti di Lucarelli, Sosa e Cavani il Napoli si è sicuramente rinforzato là davanti e per lui lo spazio sarà risicato. Qualche presenza in prima squadra, comunque, sarebbe sicuramente bene iniziare a fargliela fare…

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Nome: Vincenzo Camilleri
Data di nascita: 6 marzo 1992
Luogo di nascita: Gela (Italia)
Nazionalità: italiana
Altezza: 191 cm
Peso: 77 kg
Ruolo: difensore centrale
Club: Juventus
Scadenza contratto: 30 giugno 2012
Valutazione: 100.000 €

CARRIERA

Nato il 6 marzo del 1992 in quel di Gela, comune siculo sito in provincia di Caltanissetta, Vincenzo Camilleri cresce nelle giovanili della Reggina, squadra che lo farà esordire il 19 dicembre del 2007 quando, ancora quindicenne, debutta tra i professionisti subentrando al primo minuto del secondo tempo ad Alvarez nel corso di un match di Coppa Italia perso dagli Amaranto contro l’Inter.

Proprio quel giorno Enzo comincia a far parlare di sè: con Novakovic a terra e la porta sguarnita, infatti, interverrà in tackle con tempismo e prontezza di riflessi, negando il momentaneo 3 a 0 alla punta avversaria e dimostrando di avere numeri che avrebbero sicuramente fatto parlare di lui.

Detto-fatto: due soli mesi più tardi, subito dopo il suo sedicesimo compleanno, il Chelsea lo avvicina e formula a lui ed alla sua famiglia un’offerta irrinunciabile che spinge il ragazzo a lasciare Reggio Calabria per trasferirsi in quel di Londra.
E proprio questa mossa fa scatenare l’inferno: Foti accusa i dirigenti londinesi di avergli scippato uno dei migliori prodotti del proprio settore giovanile e la famiglia del ragazzo di aver trattato senza ricevere il via libera dalla sua società. Il tutto, per altro, violando le regole: la trattativa, infatti, ebbe luogo quando il giocatore non aveva ancora compiuto sedici anni, contravvenendo ai regolamenti riguardanti i trasferimenti internazionali.

Secca e decisa fu quindi la risposta del Presidente reggino: “Il Chelsea ha saccheggiato il vivaio della Reggina, prelevando un 16enne senza rispettare le regole. Un altro talento del calcio italiano è stato sottratto. Ciò è avvenuto perché è stata avviata da una società, il Chelsea, una trattativa in epoca non consentita, in quanto il calciatore non aveva compiuto i sedici anni. La Reggina si rivolgerà alle autorità competenti per le azioni di denuncia e di risarcimento”.
Foti che decise quindi di denunciare i fatti accaduti pubblicamente, invitando il Presidente dell’Uefa Michel Platini, il Presidente della Federazione Abete, le Procure dell’Uefa, della Federazione e della Repubblica ad intervenire e chiedendo pubblicamente un risarcimento per lo scippo subito.

Non si fece comunque attendere nemmeno la risposta dei genitori del ragazzo, che smentirono gli attacchi subiti affermando che  “Il presidente ha incontrato gli inglesi, ma non gli bastavano i soldi offerti e ci ha messo una pressione insostenibile per il contratto. Nostro figlio non è una proprietà esclusiva di Foti“. Aggiungendo, poi, che Vincenzo non fosse “proprietà esclusiva (di Foti, ndr)” e che non ci fosse quindi “da lamentarne il furto”.

Riguardo al caso Camilleri volle quindi dire la sua anche Platini, che così si espresse all’epoca dei fatti: “Io sono contro chi va a comprare ragazzi minorenni, totalmente contrario. Dobbiamo andare davanti a tutti i politici per dire che i bambini vanno educati nei centri di formazione e non venduti al miglior offerente. Bisogna difendere i giovani talenti delle squadre. Poi serve che il primo contratto sia firmato nel club in cui un giocatore è cresciuto. Io sono partito per l’Italia quando avevo 27 anni, non ho lasciato il Nancy, che mi aveva cresciuto, a 14”.

La vicenda non si chiuse comunque con lo sbarco a Londra del ragazzo. Perché le parole di Foti lasciarono il segno e spinsero la Commissione Disciplinare Nazionale ad infliggergli due mesi di squalifica, escludendolo quindi tanto dalle competizioni giovanili giocate sul suolo italiano (cui non avrebbe comunque partecipato, essendo ormai a tutti gli effetti aggregato all’Academy Blues) quanto da ogni possibile convocazione da parte di una qualsivoglia rappresentativa Azzurra (all’epoca dei fatti Camilleri era punto fermo dell’under 16).

La vita ha però spesso risvolti inaspettati.
Così dopo tutto il can-can scatenatosi all’epoca del suo trasferimento Vincenzo si accorge, forse, di non aver fatto la scelta giusta per sè. E, colto da quella che in Brasile chiamerebbero saudade, decide di tornare in Italia dove a riaccoglierlo con sè vi è proprio la Reggina di Lillo Foti.
Appianati tutti i contrasti dell’epoca, quindi, Enzo torna ad essere a tutti gli effetti un giocatore Amaranto da gennaio 2009.

Quell’anno, poi, si riconferma anche a livello di nazionale: inserito da mister Salerno nella formazione under 17, infatti, il ragazzo gelese parteciperà tanto all’Europeo di categoria disputato in Germania (disputando da titolare le prime due partite per poi accomodarsi in panchina nel terzo turno e nel match di semifinale che sancì l’eliminazione degli Azzurrini) quanto al Mondiale seguente giocatosi in Nigeria (disputando da titolare, ancora una volta, i primi due match per poi finire col perdere il posto appannaggio di un compagno di squadra).

Rincociliatosi con il calcio italiano, insomma, Camilleri tornerà a far parlare di sè anche a livello professionistico: il 19 aprile del 2009 arriverà infatti il suo debutto in Serie A allorquando sostituirà Luca Vigiani nel corso di un match, poi vinto, contro l’Atalanta. Il 31 maggio successivo, poi, arriverà la sua prima presenza da titolare nel corso dell’1 a 1 casalingo contro il Siena.

Le strade di Vincenzo e della Reggina si sono però separate nuovamente. Anche se, stavolta, in maniera non burrascosa. Sul ragazzo, che in passato ha interessato da vicino anche Fiorentina ed Inter, sono infatti piombati Milan e Juventus, così come confermato dal suo procuratore, Patrick Bastianelli: “In questo momento c’è sia il Milan che la Juve, con i bianconeri in vantaggio sui rossoneri. Non resterà a Reggio per tutto l’anno”.
Dopo qualche giorno di trattative serrate, quindi, il Presidente Foti ha chiuso il trasferimento, in prestito con diritto di riscatto della metà, del ragazzo che è quindi a tutti gli effetti, e fino almeno al termine della prossima stagione, un giocatore Bianconero.

CARATTERISTICHE

Basta leggere l’età attuale, diciott’anni, e rapportarla alle sue caratteristiche fisiche per capire che parliamo di un ragazzo molto dotato sotto questo punto di vista. Superando già il metro e novanta, infatti, Camilleri risulta essere un centrale difensivo in grado di esprimersi al meglio in determinati contesti, ovverosia laddove è proprio il fisico a fare la differenza.
L’altezza importante, poi, l’aiuta non poco nel gioco aereo, fondamentale rispetto cui il ragazzo ha ben poco da imparare.

Marcatore centrale che predilige essere schierato in una linea di difesa a quattro sa giocare tanto a zona quanto a uomo e rispetto cui si sono già avvicendati gli interessamenti di squadre come Chelsea, Inter, Fiorentina, Milan e Juventus. Questo perché parliamo di un ragazzo le cui potenzialità sono di livello assoluto. Oltre ad un fisico da corazziere, infatti, Vincenzo è dotatissimo anche sotto altri punti di vista: buon atletismo, discreta tecnica, eleganza nei movimenti, tempismo negli interventi. Un po’ tutto quello che si chiede ad un difensore, insomma.

Con ciò va comunque ricordato che non è tutto oro ciò che luccica. Perché se è indubbio che il ragazzo abbia numeri interessanti e che lo stesso abbia tutte le carte in regola per assicurarsi un futuro ad alto livello va comunque anche sottolineato come non manchino in lui anche zone d’ombra e fondamentali su cui lavorare.
Posto che anche quei suoi stessi punti di forza restano comunque da affinare tramite il lavoro giornaliero ed una maturità ancora da perseguire va anche sottolineato come il limite più grande di Camilleri sembri essere la concentrazione.

Andiamo quindi a prendere un esempio pratico: torniamo alla fine di ottobre, più precisamente al giorno in cui i nostri ragazzi dell’under 17 si aggiudicarono, con una giornata d’anticipo, l’accesso agli ottavi del Mondiale nigeriano.
Quel giorno gli Azzurrini si scontravano contro la Corea del Sud trascinata dall’ottimo Lee Jong Ho e a fare da perno centrale della nostra difesa era proprio il difensore Amaranto. Camilleri che nella sola prima frazione di gioco mette in mostra tutto ciò che di buono e ciò che di cattivo fa parte del suo bagaglio: dapprima salva una rete già fatta a porta vuota, dimostrando di avere senso della posizione e ottimi riflessi, poi interviene malamente in area su di un pallone praticamente innocuo, andando a controllare lo stesso con un braccio e causando un calcio di rigore evitabilissimo. Denotando proprio quell’incapacità di restare concentrati sempre nell’arco dei novanta minuti che potrebbe portare a fare la differenza tra un giocatore mediocre ed un campione.

E Camilleri questo lo sa bene, perché proprio questi cali di tensione gli costarono il posto da titolare. L’errore grossolano appena descritto, infatti, arrivò a stretto giro di posta con un altro quasi più marchiano: nel corso dell’esordio iridato con l’Algeria Enzo lisciò clamorosamente un pallone sulla propria trequarti, dando la possibilità a Khelifi di presentarsi a tu per tu con Perin, bravo nell’occasione a chiudere lo specchio di porta al centravanti algerino.Queste due disattenzioni così importanti, e che tanto avrebbero potuto costare all’ottima under 17 targata Pasquale Salerno, portarono proprio il Tecnico Federale ad escludere il ragazzo dai successivi match con Camilleri che, quindi, dovette accontentarsi di guardare i compagni solo dalla panchina sino al termine del torneo.

Limiti come questo sono comunque perfettibili, perché quando si tratta di capacità di rimanere concentrati è implicito che si parli di una caratteristica che già fisiologicamente dovrebbe migliorare con l’andare del tempo e con la crescita e la maturazione di ogni giocatore.
Posta la sempre maggiore difficoltà nel trovare difensori di alto livello e le grandi doti che madre natura ha regalato a questo ragazzo, poi, potremmo dire che Vincenzo Camilleri ha quasi il dovere morale di non tradire le attese: in tanti credono in lui ed è indubbio che si tratti di un pezzo importante del patrimonio calcistico italiano. Ora non gli resta che ripagare le attese.

IMPRESSIONI E PROSPETTIVE

Se osservatori e dirigenti di squadre come Chelsea (che in Italia ultimamente ha pescato, con successo, anche i talenti dell’under 19 di Piscedda Sala e Borini), Fiorentina, Inter, Milan e Juventus gli hanno messo gli occhi addosso è perché i mezzi a sua disposizione sono notevoli, così come le prospettive.
Perché se a quindici anni ti puoi fregiare di aver esordito in Coppa Italia contro l’Inter salvando anche in tackle un goal praticamente già fatto e a diciassette arriva il tuo esordio dal primo minuto in Serie A non è un caso.

Detto ciò è comunque importante rendersi conto che non si deve caricare di troppa pressione questo ragazzo, che deve avere tempo e modo di crescere al meglio. A maggior ragione quando, a parere di chi scrive, la sua lacuna più grossa non è riscontrabile a livello tecnico o tattico quanto più di approccio psicologico al match.

A Torino, comunque, la società è serissima e l’attenzione riservata al settore giovanile resta tanta, come confermato dai buonissimi risultati fatti registrare a livello sportivo negli ultimi anni.

Se gli verrà dato il tempo di crescere senza fretta e se lui stesso saprà applicarsi ogni giorno con sempre più intensità, grinta e voglia, quindi, ciò che potrebbe uscirne sarà un prodotto di prima fascia.

Nonostante la ricerca di un quarto centrale per la prima squadra, quindi, ad Enzo farebbe forse meglio poter quantomeno fare la spola tra la formazione Primavera e la squadra di mister Delneri.
Il tutto, ovviamente, in attesa della definitiva consacrazione. Che speriamo possa arrivare a breve.

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Continua il viaggio attraverso la scoperta dei giovanissimi talenti destinati a fare la storia del calcio di domani e, ancora una volta, questo viaggio passa attraverso una chiacchierata con un ragazzo italiano.

Nato sedici anni fa in quel di Broni, cittadina di diecimila abitanti scarsi, Matteo Colombi a Castana, paesino dell’Oltrepò pavese.
Cresciuto tra il suo paese, Broni e Stradella, si è iscritto un paio d’anni fa ad un istituto per ragionieri, il Faravelli di Stradella, per poi trasferirsi, per ragioni logistico-calcistiche, in un collegio di Piacenza, dove sta portando avanti tutt’ora i suoi studi.

Calciatore di talento, Matteo iniziò però a giocare a pallacanestro all’età di otto anni. L’anno successivo, resosi conto che non era la palla a spicchi a riscuotere il suo interesse, la decisione di iniziare ad usare i piedi piuttosto che le mani, con il passaggio alla Bronese, dove rimase tre anni. All’età di undici anni, quindi, il trasferimento all’Apos Stradella dove, sotto la supervisione di mister Carlo Truffi, completò una stagione fantastica facendosi quindi notare dagli osservatori del Piacenza, che lo portarono tra i Lupi l’anno seguente.
Qui, inserito subito nella squadra degli Esordienti Regionali, l’impatto non fu dei più semplici ma con l’andare del tempo le cose migliorarono, contestualmente alla propria media realizzativa. Il tutto sino a guadagnarsi, quindi, un posto nella nazionale Azzurra under 16, di cui Matteo è attualmente parte integrante e con cui ha recentemente disputato il Torneo Bannikov, in Ucraina.

“La prima competizione che ricordo di aver vinto è il Torneo di Asti, raggiunto l’anno scorso. Qui vincemmo la finale con il Torino per 2 a 1 grazie ad una mia doppietta, cosa questa che mi portò ad aggiudicarmi tanto il premio di miglior attaccante quanto quello di capocannoniere!”, ci racconta la piccola stellina del vivaio piacentino, che continua: “Recentemente abbiamo poi vinto il Torneo di Fiorenzuola battendo in finale il Chievo per 2 a 0. Anche in quella partita segnai un goal, laureandomi ancora una volta capocannoniere”.

Tanti goal, insomma, per un ragazzo che si merita tutti gli elogi e gli attestati di stima ricevuto sino ad ora. Elogi che si sono anche trasformati in voci di mercato: secondo quanto è possibile leggere in rete, infatti, la società Nerazzurra sarebbe sul punto di acquistare proprio la punta della nostra rappresentativa nazionale under 16 oltre ad un altro talento piacentino, Andrea Lussardi. Al riguardo Matteo risponde con tutta tranquillità: “Per quanto riguarda l’interessamento dell’Inter non posso dire nulla. La mia squadra in questo momento è il Piacenza e penso solo ad essa”. Sedici anni, ma una professionalità che lo rende molto più maturo dei suoi coetanei.

Nonostante la giovanissima età la stellina del vivaio dei Papaveri sta già incamerando una buona esperienza internazionale. Oltre al Torneo Bannikov, infatti, ha recentemente disputato anche il Torneo delle Nazioni, perso dai nostri ragazzi in finale contro il Messico, che Matteo ci racconta essere il momento più bello della sua pur breve carriera calcistica: “Il momento più bello che ho vissuto sino ad ora è stato con la nazionale. Certo, è stato triste chiudere solo in seconda posizione, ma il Messico si è dimostrata una squadra realmente forte. Avendo segnato tre reti e messo a referto due assist, comunque, è stata una grandissima esperienza a livello personale”.

Parlando di caratteristiche tecniche, quindi, penso sia sempre interessante chiedere al diretto interessato di provare a descriversi: “Sono un giocatore cui piace molto giocare di sponda e per la squadra, anche se ovviamente vivo per il goal. Mi ispiro a Milito, per quanto come modo di giocare credo di essere più simile a Borriello: essendo alto sono forte nel gioco aereo, mentre pecco sotto l’aspetto “cattiveria”, anche se con il tempo sto migliorando anche in questo senso”. Una prima punta, insomma, che oltre ad avere un innato quanto spiccato fiuto per il goal sa aprire varchi per i compagni e vestire i panni dell’assistman.

Caratteristiche importanti, che potrebbero certamente portarlo ad avverare il suo sogno che è “arrivare in Serie A e giocare in squadre importanti”. Anche se, ancor più di questo, Matteo vorrebbe “vincere un Mondiale, anche se giovanile”.
Ed alla nazionale, quella maggiore, un pensierino lo rivolge già: “Per quanto mi riguarda credo che vedendo tutti gli attaccanti che hanno giocato contro di me un posticino per il sottoscritto, in futuro, potrebbe esserci. Sono fiducioso”. Anche se poi preferisce vivere la propria vita giorno per giorno, senza troppi voli pindarici o castelli in aria: “Al mio futuro comunque non ci penso troppo, vivo la vita giorno per giorno pensando solo a migliorare, continuando a dare il meglio di me in ogni momento”.

Parlando di compagni di squadra, tanto nel club quanto nella nazionale, invece, il talentino pavese non si sbilancia: “Non c’è un compagno in particolare con cui ho legato, vado d’accordo con tutti e ci vogliamo tutti bene. Al tempo stesso non mi va di fare nomi per quello che riguarda i migliori talenti tra i miei compagni di nazionale, non avrebbe senso. Di certo ci sono tanti ragazzi molto forti”. Per quanto riguarda gli avversari, invece, il buon Colombi non ha dubbi: “Con il club la squadra più ostica contro cui ho giocato è stato sicuramente il Partizan, mentre per quanto riguarda la nazionale gli avversari più forti sono stati i messicani di cui ho parlato prima: sono sicuro che molti di loro finiranno in squadre importanti, se lo meritano davvero!”

Prima ancora che un giocatore interessantissimo e di grande prospettiva, comunque, Matteo è un ragazzo qualunque, che vive la propria vita da sedicenne: “Sono un ragazzo che sta molto poco in casa: mi piace uscire spesso con i miei amici di sempre, cui devo molto dato che mi stanno sempre vicini. Adoro la musica rap, tanto italiano quanto americano, e le bistecche impanate di mia cugina Ornella, così come, se potessi, mi mangerei pizza ai wurstel ogni giorno! Studiare, invece, non mi piace per niente: io e lo studio siamo nemici! Oltre ai miei amici, con cui mi piace molto passare il tempo giocandoci a calcetto o anche solo in semplice compagnia, amo passare il tempo con la mia ragazza: stiamo assieme da qualche mese ed anche se non ci vediamo tantissimo a causa dei miei molti impegni ci vogliamo un mondo di bene. Lei capisce quanto le sono attaccato e comprende anche il perché non possiamo condividere sempre tutto il nostro tempo ed in più essendo molto più brava di me a scuola spesso mi dà ripetizioni. Devo veramente ringraziarla! Per divertirmi, oltre a giocare a calcio, mi piace andare a ballare. Il tutto, però, senza bere né fumare: due cose che non sopporto proprio. Ci si può divertire tranquillamente anche senza!”

Insomma, pensieri normali di un sedicenne normale, cui la vita ha dato in dono un grandissimo talento ma che non per questo si è montato la testa. Aspetto assolutamente positivo per la crescita e maturazione di un ragazzo che voglia affermarsi nella propria professione.

Dopo averci raccontato del suo passato, del suo presente e delle sue aspirazioni, quindi, Matteo chiude raccontandoci del suo futuro: “Il giorno in cui smetterò di giocare a calcio mi piacerebbe comunque rimanere in questo mondo, perché questo sport è la mia vita: il calcio farà sempre parte di me”.

Talento, voglia di crescere e migliorare, testa sulle spalle, piedi ben piantati a terra.
Il tracollo italiano in Sudafrica ha gettato nello sconforto molti tifosi Azzurri ma il buco generazionale che ha vissuto il nostro movimento calcistico potrà essere presto colmato dai tanti nuovi giovani di prospettiva che stanno crescendo oggi lungo tutto lo stivale. E tra questi c’è sicuramente Matteo Colombi, che come abbiamo visto ha tutte le carte in regola per poter davvero fare bene ed affermarsi ad alto livello.
E questo è ciò che speriamo tutti, tanto per lui e la sua carriera quanto per noi e la nostra rappresentativa nazionale.

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Un paio di settimane fa avevo postato l’intervista ad uno dei maggiori protagonisti dell’ultimo Torneo di Viareggio, quel Paride Addario che aveva trascinato il suo Empoli all’ultimo atto della competizione con una serie di buone prestazioni e di rigori parati da fare invidia anche a tanti suoi colleghi più famosi.
Oggi è quindi la volta di presentarvi un altro portiere messosi in mostra nel corso dell’ultima Coppa Carnevale: Danilo Tunno, portiere classe 1990 nato il 14 novembre a Rivoli, terzo comune per popolazione della provincia di Torino.

Cresciuto tra Torino e la Sardegna, dove passava le vacanze in compagnia della famiglia, presto terminerà il liceo scientifico.
E proprio la famiglia è uno dei centri di gravità della vita di Danilo, che al riguardo mi dice: “Ho la fortuna di avere una famiglia ottima e con cui ho un grande rapporto: tra noi non ci sono omissioni, ed il continuo dialogo è il frutto dell’ottimo legame che c’è tra noi. Ho una sorella cui sono molto legato e che è sportiva quanto me, giocando nella rappresentativa regionale di basket, ed un padre con cui mi posso rapportare per quanto riguarda l’ambito calcistico essendo lui mister dei portieri proprio nel settore giovanile Granata”.

Ma andiamo con ordine, iniziando a parlare del suo rapporto con lo sport, ed in particolare con il calcio, fin dai suoi primi anni di vita: “Non ho mai praticato altri sport oltre il calcio, pur avendo sempre giocato un po’ a tutto. Proprio per quanto concerne il calcio, invece, iniziai a praticarlo all’età di cinque anni nel Venaria, il paese dove risiedo. Quattro anni più tardi, quindi, il passaggio al Torino dopo un ballottaggio con la Juventus: fu la fede calcistica a farmi vestire di Granata. Qui ho fatto tutta la trafila del settore giovanile, dai pulcini sino alla Primavera”.

Amore vero, quello per il Toro. Società che ha comunque lasciato per un breve lasso di tempo lo scorso anno, quando decise di andare a farsi le ossa in Serie D al Renate: “30 presenze e secondo posto in classifica con tanto di playoff disputati a fine stagione, più la semifinale di coppa. A livello personale, comunque, la soddisfazione più grande è stata l’esser votato come miglior portiere di categoria”.

Cuore Granata, comunque, Danilo torna a fine stagione alla casa madre, dove viene reintegrato in Primavera per vestire i panni del primo portiere e tentare l’assalto a Campionato, Coppa Italia e Torneo di Viareggio. Tutti trofei importanti che andrebbero – o sarebbero potuti andare a – arricchire una bacheca personale di un portiere che ha già riportato alcune vittorie nel corso della sua carriera: “Da più giovane vinsi svariati tornei, mentre nella stagione 2007/2008 arrivò lo Scudetto Beretti, anche se quell’anno sfortunatamente persi metà stagione a causa di un infortunio al braccio”.

Proprio su di uno dei tornei che lo hanno visto protagonista quest’anno, la Coppa Carnevale, vertevano un paio di domande. Era lì, del resto, che avevo scoperto le sue interessanti qualità, vedendolo volare da un palo all’altro nel corso di quella competizione in cui mi aveva più volte ben impressionato: “Il Viareggio è stata un’esperienza importante e costruttiva, peccato solo non aver avuto una rosa abbastanza ampia. Giocando ogni due giorni sempre con lo stesso undici, infatti, siamo stati penalizzati fisicamente”.
Essendo lui un portiere, poi, non potevo che chiedergli un parere rispetto al premio come miglior interprete del suo ruolo, assegnato allo juventino Pinsoglio ma che poi personalmente avrei dato, anche se non certo per demeriti del portiere Bianconero, ad Addario: “Sono molto contento per Carlo, che è un mio vecchio amico. Addario ha disputato un ottimo Viareggio, purtroppo per lui steccando la finale”. E per quanto concerne le sue prestazioni? “Per quanto mi riguarda mi è dispiaciuto uscire di scena presto perché continuando a giocare su quei livelli magari avrei potuto giocarmi le mie chance ed essere io a vincere quel premio”.
Tunno, Pinsoglio, Addario… e gli altri portieri del Viareggio? “Nessun altro mi ha impressionato”.

Proprio nel periodo del Torneo, per altro, scambiai due parole con Gianni, padre di Danilo, che proprio commentando alcuni articoli apparsi su questo blog sosteneva il figlio dicendo che, per altro, si stesse costruendo da solo, senza appoggi né spinte ma solo con impegno e dedizione. Chiederne a lui in primis un’opinione al riguardo era il minimo: “Mi ci ritrovo in queste definizioni. Tutto ciò che ho fatto finora e quello che farò in futuro sono e saranno sempre frutto esclusivamente del duro lavoro e di nessun altro espediente”.

Al di là di quello che ne possano pensare gli altri (io per primo) di lui resto sempre convinto che un ottimo modo per approcciarsi ad un giocatore e per poterne capire qualcosa in più sia chiedere a lui stesso di descriversi. Ecco quindi, in merito, la risposta di Danilo: “Sono un portiere dotato di un fisico normale, non sono certo un bestione essendo alto 182 centimetri e pesando 72 chili. Uno dei miei principali punti di forza è la lettura della traiettoria, sia in profondità che rispetto alle palle alte. Proprio le uscite alte, per altro, sono la mia specialità, così come sono caratterizzato da una grande reattività nei tiri ravvicinati. Non solo punti di forza, comunque: il mio punto debole principale penso siano i rinvii, aspetto su cui devo sicuramente lavorare per ridurre il margine d’errore”.
Detto delle sue caratteristiche fisiche e tecniche, quindi, ci parla anche dei suoi idoli, degli esempi che prova a seguire: “Il mio ideale è Julio Cesar, ma il miglior portiere con cui abbia mai avuto la fortuna di giocare è Matteo Sereni. Stratosferico”.

Danilo che proprio come questi due portieri vorrebbe vivere il proprio sogno: “Riuscire ad esordire tra i professionisti per poi affermarmi ad alti livelli”.

Ma se potesse rubare una caratteristica a qualcuno, cosa sceglierebbe? “Vorrei assomigliare a Marchegiani nella sua capacità di intervento sulle palle alte, specialità della quale è sicuramente stato uno dei maggiori interpreti”.
E, sempre a proposito di caratteristiche proprie di un portiere, è proprio vero, chiedo io, che i portieri hanno tutti in sè un pizzico di follia? “Sicuramente sì. Molte volte sarebbe impossibile fare certi interventi senza quel briciolo di follia”.

Per intanto, comunque, resta un giocatore della Primavera. E, come tale, ha senz’altro un’ottima conoscenza della realtà giovanile italiana attuale. Impossibile per me, quindi, non chiedergli un suo parere al riguardo: “In alcune realtà il livello è molto alto, basti pensare alla situazione di squadre come Juventus, Inter, Palermo e Fiorentina, ma non solo. Mediamente comunque direi che il livello non è eccelso: purtroppo la realtà è che ultimamente si fa molta fatica a puntare sui giovanissimi nonostante all’estero ci siano esempi lampanti di progetti “verdi” ben riusciti (vedasi Barcellona ed Arsenal)”.
E qui apro una parentesi personale di commento a questa risposta. Perché l’analisi di Danilo è lucidissima. Senza volermi dilungare in spiegazioni al riguardo per non spostare il punto del discorso resta il fatto che mi sento di condividere praticamente in toto questa sua affermazione. In Italia non mancano certo talenti interessanti tra i ragazzi con meno di vent’anni, il problema vero, a mio avviso, riguarda la cultura sportiva che abbiamo qui. E questo porta appunto a tralasciare un po’ la cura e la crescita dei nostri giovani, quando invece proprio gli esempi citati da Danilo dovrebbero far capire come coltivare i talenti fin dalla tenerissima età paghi, quando lo si fa bene.

Sempre inerentemente allo stato del nostro calcio giovanile, comunque, era d’obbligo anche chiedergli di farmi qualche nome, magari partendo dai propri compagni di squadra. In particolar modo da quello con cui ha più affiatamento: “Sicuramente Balzo, ragazzo con cui gioco da dieci anni. Lo reputo anche un ottimo giocatore, peraltro, e lo ha dimostrato proprio al Viareggio. Ma non è il solo giocatore dotato tecnicamente tra i miei compagni: Benedetti credo abbia un grande futuro davanti a sè, ad esempio, così come Miello. In assoluto, però, credo sia Suciu il più forte: mostruoso palla al piede ed in progressione, in più ha anche un senso tattico molto raro”.
Mentre tra gli avversari? “Ho giocato contro gente come Marilungo, Poli ed altri che si sono già imposti in prima squadra. Altri nomi di sicuro avvenire sono quelli di Marrone, Giannetti, Schenetti, Strasser ed Esposito, solo per citarne alcuni”.

Detto del calcio giovanile si passa quindi al calcio italiano nel suo insieme, con un pensiero alla nazionale: “Sicuramente lo stato del nostro calcio non è ottimale, anche se resta tra i top mondo. Altrettanto sicuramente il pensiero di poter vestire un giorno la maglia della nazionale è per me un sogno…”

Vittorie, sogni, obiettivi… passato e futuro si mescolano nelle parole di un diciannovenne che proverà ad imporsi ai massimi livelli del nostro calcio grazie a talento, passione e lavoro.

Ma il calcio non è l’unica passione di Danilo, che al di fuori del campo da gioco resta un ragazzo come tutti: “Amo stare in compagni degli amici, quelli veri… quelli con cui esco da una vita: Alessio, Riccardo, Giacomo, Mirco. Mi piace poi ascoltare musica, prevalentemente italiana, amo qualsiasi tipo di primo piatto e vado matto per la milanese, soprattutto se a farla è mia nonna: in quel caso me ne divoro anche cinque o sei per volta. Sono legatissimo a mio cugino – di un anno più grande di me – tanto che passiamo moltissimo tempo assieme, ultimamente anche in coppia essendo ora entrambi fidanzati. Da otto mesi infatti stò con Cristina, una ragazza di due anni meno di me che è la sola che sia mai riuscita a farmi innamorare e l’unica con cui abbia progettato qualcosa per il futuro. Sono anche un amante del cinema e mi diletto nello sfidare i miei amici alla Play Station. Per quanto riguarda le serate amo passarle in maniera tranquilla, a bere qualcosa con amici o sul divano davanti ad un film con la mia ragazza o mia sorella”.

E per il futuro? “Mi piacerebbe rimanere in questo campo oppure, più in là, andare a vivere in qualche località di mare con la mia famiglia, aprendomi un bar sulla spiaggia”.

Per intanto Danilo resta coi piedi ben saldi a terra. La prima squadra è là che lo aspetta, e se saprà guadagnarsela sicuramente la raggiungerà.

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Negli ultimi tempi ho un po’ accantonato una delle rubriche portanti di questo blog, quella denominata Stars of the future riguardante i giovani più interessanti in circolazione nel panorama mondiale. Così come è dallo scorso dicembre che non propongo una nuova intervista.

Oggi, quindi, vedrò di porre rimedio ad entrambe le cose in un sol colpo: vado infatti a presentarvi Paride Addario, interessantimo prospetto della Primavera empolese con cui ho potuto scambiare due chiacchiere.

Prima di introdurlo nel pezzo, però, debbo fare una doverosa premessa: questo ragazzo mi era infatti sconosciuto fin solo allo scorso febbraio, quando lo conobbi, calcisticamente parlando, nel corso dell’ultimo Torneo di Viareggio.
Prima di allora, infatti, non avevo assolutamente mai sentito parlare di lui. Mi ci è voluto pochissimo, però, per intravvedere le potenzialità di questo portiere tutto reattività ed esplosività che con le sue parate è riuscito a trascinare la squadra toscana sino in finale.

A mia parziale discolpa, comunque, va detta una cosa: è ormai noto che dopo Buffon vi è stato un buco generazionale notevole in Italia, patria di grandi portieri da sempre. Se una volta c’era l’imbarazzo della scelta su chi convocare, infatti, oggi l’imbarazzo sembra essere più che altro relativo a chi si possa meritare il posto di secondo dietro all’unica sicurezza rappresentata dal nostro Gigione nazionale.

Gli esperti di calcio giovanile, però, è già qualche anno che predicono un ritorno al passato in questo senso: secondo molti di loro, infatti, c’è un notevole numero di portieri nati nei primi anni novanta che ha potenzialità per non far rimpiangere i vari Pagliuca, Peruzzi, Galli, ecc.
Già da qualche tempo, quindi, si sente insistemente parlare di alcuni di questi ragazzi. Su tutti è sempre svettato il nome di Vincenzo Fiorillo, portiere classe 90 cresciuto nelle giovanili della Sampdoria e da sempre ritenuto il candidato principale per ricoprire il ruolo di erede di Buffon a difesa dei pali della nostra nazionale. Allo stesso modo, comunque, si è parlato molto anche di altri giovani portieri: Andrea Seculin della Fiorentina, Carlo Pinsoglio della Juventus, Vito Mannone dell’Arsenal, Luigi Sepe del Napoli, Simone Colombi dell’Atalanta (oggi in prestito al Pergocrema), Mattia Perin del Genoa…

Tutti portieri, questi, con all’attivo almeno qualche convocazione nelle rappresentative giovanili Azzurre.

Di lui, però, nessuna traccia.

E proprio in relazione a questa cosa mi verrebbe anche da chiedermi come sia possibile che nessuno mi avesse mai parlato prima di questo ragazzo nato ad Andria diciannove anni fa ed arrivato ad Empoli all’età di 15 anni. Perché le potenzialità per fare una carriera di livello le ha tutte, come dimostrato proprio nel corso dello stupefacente Torneo di Viareggio disputato solo un paio di mesi or sono.

Ma andiamo a conoscerlo meglio, Paride.

Nato ad Andria, come detto, il 15 febbraio del 1991 iniziò “a giocare per la strada con i miei amici quando avevo solo sei anni”, racconta. Un sogno partito da lontano, quindi. Lontano nel tempo ma anche nello spazio, dato che si trova oggi a coltivare l’ambizione di diventare un calciatore professionista a centinaia di chilometri da casa.

“Dopo qualche anno andai alla scuola calcio della Fidelis Andria, dove iniziai come attaccante”. Vi ricorda nulla? “Ero anche abbastanza bravino. Un giorno, però, andai per caso in porta nel corso di una partitella. Mi piacque un mondo, tanto che decisi di non uscirne più”.
Non leggete quanto sto per dire come un paragone diretto, ma se il fatto che abbia iniziato in un ruolo di movimento non vi ricorda nulla provo a rinfrescarvi la memoria io: anche Gianluigi Buffon iniziò a giocare fuori, per poi avere nel corso degli anni una conversione totale che lo portò a diventare portiere. E che portiere.

Non solo il calcio nella vita di Paride, comunque. Nei suoi anni pugliesi, infatti, il ragazzo frequenta regolarmente la scuola dell’obbligo ed il primo anno della scuola superiore, mentre seconda e terza le compirà in Toscana, salvo poi decidere di fermarsi lì.

In Toscana, sì, perché “A quindici anni mi trasferii ad Empoli dove venni aggregato alla formazione Allievi”. Dopo due anni, quindi, il passaggio alla formazione Primavera, dove sta per chiudere il suo secondo anno di militanza. Annata abbastanza fortunata, questa. Sicuramente più della prima, quando si infortunò piuttosto gravemente: “L’anno scorso stetti fermo cinque mesi a causa di una lesione al crociato posteriore. Fortunatamente però non dovetti operarmi, limitandomi a fare un lavoro di riabilitazione e potenziamento”.

Al di là di questo problema, comunque, Addario si è già potuto togliere notevoli soddisfazioni dal suo arrivo in Toscana: “Da quando sono ad Empoli abbiamo vinto molti tornei, tra cui il Trofeo Gaetano Scirea, anche se ancora nessuna competizione importante. Ci siamo andati comunque già più volte vicini: due anni fa perdemmo contro l’Inter la finale che attribuiva il titolo nazionale della categoria Allievi, quest’anno, come ben sai, abbiamo perso la finale del Torneo di Viareggio”.
Il tutto a sottolineare come ad Empoli curino molto le proprie giovanili. Paride Addario, infatti, non è certo l’unico talento che in questi anni sta militando nella cantera Azzurra, e chi segue il calcio giovanile lo sa bene.

Il discorso, quindi, non poteva che andare a parare proprio sull’ultima edizione della Coppa Carnevale, anche solo perché è in quella competizione che questo ragazzo si è rivelato ai miei occhi.
Autore di un Viareggio da incorniciare, almeno sino alla semifinale, il portierino pugliese trapiantato in Toscana ha infatti messo in mostra grandi potenzialità, affermandosi anche come straordinario pararigori. Peccato solo per la prestazione un po’ sottotono della finale, partita che comunque difficilmente sarebbe stata vincibile anche con una sua prestazione all’altezza di quelle precedenti.

“Dall’ultimo Viareggio ho imparato molte cose. La più importante è sicuramente che non si devono mai staccare i piedi da terra. Io personalmente ho disputato un buon torneo, senza però mai staccare i piedi da terra. Ero consapevole che avevo creato attorno a me delle pressioni dovute alle attenzioni che si erano focalizzate su di me per via delle mie prestazioni e ad ogni partita davo il massimo, senza accontentarmi mai di quanto fatto in precedenza. Volevo infatti fare sempre meglio, migliorare di volta in volta. La finale purtroppo è andata male, ma a tutti può capitare di sbagliare ed è successo anche a me. Quello, comunque, è stato uno stimolo per lavorare ancora più duramente”.

Non pare lasciare nulla al caso, insomma. Nel parlarmi, infatti, dà dimostrazione di avere ben chiaro in testa che le qualità innate non possono essere tutto nel calcio, a maggior ragione quando non hai il talento di Maradona (giocatore con cui, per altro, sognerebbe di giocare avesse una macchina stile la DeLorean di Ritorno al Futuro con cui tornare a ritroso nel tempo). E che per poter arrivare si debbano avere ben chiari in testa i concetti di umiltà e sacrificio.

Sempre parlando di Viareggio – proprio il Torneo di quest’anno, tra l’altro, viene definito dal ragazzo come il momento più bello della sua vita calcistica – era d’obbligo gli chiedessi anche cosa ne pensasse del premio di miglior portiere della competizione, asseggnato a Pinsoglio anziché a lui; che pure con i suoi cinque rigori parati a Roma e Rappresentativa di Serie D era stato forse più decisivo per l’approdo della propria squadra in finale rispetto al portiere juventino: “Pinsoglio è un bravissimo portiere ed è stato anche lui decisivo per la sua squadra nel corso del torneo, ad esempio nel corso della semifinale con l’Atalanta. Ovviamente sarei stato felicissimo qualora la giuria avesse deciso di votare me, però credo che il premio a Pinsoglio sia meritato quindi non ho nulla da eccepire a questa decisione”.

Personalmente, però, non sono proprio d’accordissimo con la decisione della giuria. Certo, la prestazione in finale probabilmente avrà contato moltissimo, ma nel redigere la mia Top 11 del Torneo, pubblicata anche da goal.com, ho comunque deciso di scegliere lui come difensore dello specchio di porta a dispetto di un Pinsoglio che, appunto, ho visto meno decisivo rispetto al portiere empolese.

E qui mi permetto di aprire una parentesi che centra poco con il resto del discorso: l’anno scorso fu Fiorillo, che ne prese quattro in finale, ad essere votato come miglior portiere proprio ai danni di un Pinsoglio che, a mio avviso, giocò meglio del Falco di Oregina. Allo stesso modo, quindi, quest’anno si sarebbe tranquillamente potuto votare il ragazzo nativo di Andria. Ma, forse, anche l’hype mediatico che crea il nome conta nell’attribuzione di questo premio (del resto come lo scorso anno Fiorillo era il portiere più atteso, per quest’anno si può dire lo stesso di Pinsoglio).

Proprio in relazione al fatto di averlo inserito nella Top 11, comunque, verteva la domanda successiva. Perché Addario aveva sì impressionato me ma anche, e soprattutto, Andrea Pazzagli, telecronista Rai per l’occasione nonché collaboratore di mister Massimo Piscedda, attuale C.T. della nostra under 19. Un commento in merito a questo non poteva non essere fatto, perché se Pazzagli ci mettesse una buona parola…
“Ti ringrazio moltissimo per avermi inserito nella Top 11 del Torneo. Certo, sarebbe un sogno se ricevessi una convocazione in nazionale… io continuerò comunque a lavorare come ho sempre fatto e se un giorno dovesse arrivare la chiamata… si realizzerà un mio sogno”.

Purtroppo, però, sembra che Piscedda preferisca ancora affidarsi ad altri ragazzi per difendere la porta della propria rappresentativa under 19. Per l’amichevole del prossimo mercoledì, infatti, il C.T. dell’under 19 ha convocato Colombi e Perin, decidendo quindi ancora una volta di soprassedere rispetto all’eventualità di chiamare Paride.

Sempre parlando di calcio giovanile italiano mi sono quindi permesso di chiedergli il suo punto di vista sul livello medio dello stesso oltre che qualche nome di compagni e avversari che secondo lui possono arrivare lontano: “Credo che il livello medio del calcio giovanile italiano sia molto alto. Il campionato Primavera è diventato molto competitivo e troviamo grandissimi talenti che hanno anche già esordito in prima squadra. Noi abbiamo un grandissimo gruppo: siamo una squadra molto ben affiatata. Personalmente, poi, ho legato molto bene con tutti”, racconta, anche a proposito del suo Empoli. “Credo che Tonelli, Guitto e Dumitru – tutti suoi attuali compagni di squadra, ndr – potranno fare grandi cose se continueranno così”. Per quanto riguarda l’avversario più ostico il discorso torna invece al fil rouge di questa intervista, il Viareggio: “Sicuramente Immobile, che nella finale della Coppa Carnevale ha realizzato una tripletta. Credo che anche lui possa arrivare in alto se continuerà così. Come ho detto in precedenza, comunque, questo campionato Primavera ha molti talenti. Penso ad esempio che anche Carraro e Babacar – entrambi in forza alla Fiorentina, ndr – arriveranno molto in alto”.

Ma che tipo di giocatore è, Addario? Facciamocelo raccontare da lui: “Mi ispiro a Peruzzi: anche lui, infatti, non era particolarmente alto per il ruolo ma compensava la mancanza di centimetri con una notevole forza esplosiva. Allo stesso modo anche io lavoro molto su questo aspetto: reattività, esplosività, rapidità… un portiere con le mie caratteristiche fisiche deve puntare tutto su queste qualità”.

Detto di che giocatore sia, quindi, è bene sapere anche dove voglia arrivare: “Il mio sogno è quello di arrivare in Serie A e, soprattutto, in nazionale maggiore”.

Insomma, un ragazzo di quasi vent’anni con la testa sulle spalle, la cultura del lavoro e la voglia di arrivare. Tutte qualità importantissime in ogni campo, in special mondo nel calcio di oggi.

Per chiudere questo viaggio alla scoperta di Paride, quindi, era doverosa qualche domandina riguardante la sua vita privata, i suoi gusti, i suoi pensieri… “Il prossimo febbraio festeggerò i vent’anni. Ho la ragazza ad Andria, il mio paese, quindi ogni qualvolta ho qualche giorno libero torno giù per passare del tempo con lei. Per il resto sono un ragazzo come tanti: amo le canzoni di Ligabue, adoro stare con gli amici e mi piace molto andare al cinema”.

Un portiere, però, non può essere fino in fondo una persona normale. O, almeno, così dicono: pare infatti che ci sia una caretteristica comune ad ogni numero 1, una certa “pazzia” di fondo, innata, propria di tutti gli estremi difensori. Così come, del resto, di grandissimi portieri è piena la storia del calcio. Due questioni riguardo alle quali ho voluto interrogare anche lui: (ride) Eh sì, la pazzia è una caratteristica riscontrata comunemente nei portieri… ed in effetti credo di averne anche io la mia parte. Per quanto riguarda il miglior portiere di sempre, invece, dico che sicuramente ce ne sono stati diversi molto forti ma credo che il migliore in assoluto sia Buffon”.
Buffon. Proprio quel portiere che iniziò da bimbo come giocatore di movimento, salvo poi scalare tra i pali crescendo.
Proprio quel portiere che qualcuno della generazione di Paride dovrà finire col sostituire tra i pali della nostra nazionale.

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De Vitis contrasta Gilardino

 Nato a Piacenza il 15 febbraio del 1992, figlio d’arte (suo padre Antonio collezionò 63 presenze ed 11 reti in A, 315 presenze e 125 reti in B) passa l’infanzia tra Verona, Firenze e Piacenza (dove è tutt’ora iscritto al locale Liceo Scientifico “S. Vicenzo”), Alessandro De Vitis è uno degli under 17 più interessanti dell’interno panorama italiano. 

  Bella scoperta, direte voi.
Della cosa, infatti, se ne sono accorti tutti da tempo.  

 A Firenze, città dove giocava il ragazzo fino alla passata stagione, in primis. Ma anche i nostri tecnici federali non ci hanno messo molto ad accorgersi di lui tanto che l’ottimo Pasquale Salerno ne fece uno dei punti di forza della sua under 17 che ha recentemente ben figurati ad Europei (dove venimmo battuti in semifinale dai tedeschi, futuri campioni continentali) e Mondiali (dove uscimmo ai quarti contro i futuri campioni mondiali svizzeri).   

Di lui, quindi, gli addetti ai lavori conoscono un po’ tutto.
Tanto che a Parma il Direttore Leonardi ha puntato forte su di lui, acquistandolo e mettendolo al centro di un nuovo progetto giovani.   

Per chi lo conosce meno, però, arriva questa intervista esclusiva con la quale Alessandro potrà farsi conoscere di più al grande pubblico, il tutto in attesa che inizi finalmente a calcare quei grandi palcoscenici cui sembra inevitabilmente destinato.   

La prima domanda, quindi, non poteva che essere inerente a dove avesse iniziato a giocare da bambino e se all’epoca praticò altri sport o se si dedicò da subito solo al calcio.
Questa la sua risposta: “Ho praticato esclusivamente il calcio fin da bambino e la mia prima società è stata il Bussolengo, squadra della provincia di Verona, dove sono rimasto fino agli otto anni. Da lì, poi, mi trasferii a Piacenza ed entrai subito nel settore giovanile dei Biancorossi”.   

Una vita dedita fin dalla tenerissima età al calcio, insomma. Passione ereditata da un padre calciatore di buon livello, presenza che temevo potesse essere molto ingombrante per un ragazzino che volesse provare anch’egli la stessa strada. Questa, in tal senso, la sua risposta: “Essere figlio di un calciatore ha sia privilegi che svantaggi. Da una parte hai un punto di riferimento importante, una persona che conosce molto bene il mondo del calcio e cui chiedere e fare affidamento in casa di necessità, dall’altra però è anche vero che alla lunga essere accostati al proprio padre, soprattutto quando questo è stato capace di raggiungere traguardi importanti, può diventare pesante, anche se si finisce col farci l’abitudine”.   

E questa questione delle “eredità” importanti trovo sia davvero spinosa.
La storia del calcio è piena di figli di giocatori molto celebri che pur magari promettendo bene non sono stati in grado di reggere la pressione del sentirsi costantemente accostati al proprio padre.
Nel chiacchierarci, però, Alessandro fa trasparire di sè una tranquillità d’animo che fa ben sperare in tal senso. Che possa non solo imparare a reggere i confronti ma finire anche col superare il proprio maestro?   

Bussolengo e Piacenza, dicevamo.
Ma la carriera da calciatore di Alessandro, come detto, è fortemente legata ad un’altra squadra, la Viola. Inevitabile, quindi, che il discorso finisse lì: “Sono arrivato nelle giovanili della Fiorentina venendo aggregato ai Giovanissimi Nazionali, dopodiché ho svolto con la stessa maglia due campionati con gli Allievi Nazionali, l’ultimo dei quali coronato con lo Scudetto che”, manco a farlo apposta sarebbe stata la domanda successiva, “resta a tutt’ora la gioia più grande ricevuta dal calcio”.   

Uno Scudetto con una squadra composta da tanti altri giovani di belle speranze (alcuni dei quali li abbiamo potuti gustare anche proprio nel corso dell’ultimo Mondiale under 17), poi il passaggio al Parma. Sembrerebbe una cosa quantomeno strana, ma Alessandro ha fortemente voluto questo trasferimento per potersi avvicinare a casa. E pare averlo preso anche molto bene: “Il passaggio al Parma l’ho voluto fortemente e l’ho vissuto quindi molto bene, perché è una società molto attrezzata ed ambiziosa. Inoltre qui viene curato molto il settore giovanile, cosa importante per un giovane come me”.
E l’ambientamento? I Compagni?
“Mi sono ambientato subito benissimo. Conoscevo già molti giocatori e con alcuni di loro sono molto amico anche fuori dal campo”.   

Tutto bello, insomma. Nonostante che, immagino, lasciare una società della levatura della Fiorentina ed una squadra con la quale si aveva appena vinto uno Scudetto non deve certo essere stato facile.   

Parma l’ha comunque subito accolto bene, così come, l’abbiamo visto, lui si è subito saputo calare nella nuova realtà. Una domanda, però, era d’obbligo: come vivi il fatto di essere una delle pedine fondamentali del nuovo corso di Leonardi, che punterà molto sul vivaio?
“Sicuramente fa molto piacere essere nominato esplicitamente nel nuovo progetto giovani. Spero di poter ripagare la fiducia riposta in me il più presto possibile. Sogno di esordire con la maglia del Parma al Tardini”.   

Ma che tipo di giocatore è Alessandro? Facciamocelo raccontare da lui… “Sono un centrocampista centrale che può svolgere compiti sia difensivi che offensivi, tanto che mi piace molto inserirmi per cercare il goal. Mi ispiro un po’ a Frank Lampard, il mio idolo: la facilità con cui riesce ad andare in goal è disarmante”.   

Lampard è il giocatore cui s’ispira, quindi. Ma il suo idolo calcistico assoluto? “E’ George Best, un giocatore che mi ha sempre molto affascinato”.   

Impossibile non chiedergli un’opinione anche sull’attuale stato del calcio giovanile italiano e non.
A tal proposito ci dice: “L’under 17 era un gruppo fortissimo ed affiatato, avevamo voglia di compiere un’impresa storica ma ci è andata male”.
E a livello di singoli?
“Di compagni forti con cui gioco o ho giocato ce ne sono tantissimi, sarebbe ingiusto fare un nome. Penso comunque che parecchi ragazzi che facevano parte del gruppo degli Allievi alla Fiorentina possano arrivare a buoni livelli. Tra gli avversari, invece, quello che mi ha impressionato di più è il tedesco Goetze, davvero un gran giocatore secondo me”.   

E, insomma, non si può che concordare su tutto.   

L’under 17 era una squadra davvero formidabile, fermata più dalla sfortuna che dai propri demeriti (posto che meritavano sicuramente la vittoria contro gli svizzeri poi campioni). Molti dei suoi compagni in Viola (Carraro, Camporese e Iemmello tra gli altri) hanno grandi potenzialità, Goetze è uno dei migliori talenti in circolazione a livello europeo.   

Non solo talento, insomma. Anche una grande lucidità ed un’ottima capacità analitica.   

E il sogno qual’è? Beh, scontato direi: “Spero, come tutti, di poter arrivare un giorno in nazionale maggiore”.
E qualora ce la facesse, riuscirebbe davvero a superare il maestro… c’è da augurarglielo di cuore!   

Ma Alessandro non è solo un calciatore ormai alle soglie del professionismo e dal futuro luminoso. E’ prima di tutto un ragazzo e come tale ha le sue passioni, i suoi dubbi, le sue speranze… “A febbraio farò 18 anni… sono un ragazzo semplice, che ama stare coi propri amici. La mia più grande passione, oltre al calcio ovviamente, è l’NBA. Non ho ancora ben pensato a cosa potrei fare “da grande”, una volta appese le scarpe al chiodo… ma penso che il mio futuro, a quel punto, sarà lontano da questo mondo”.   

Alessandro De Vitis

Il talento c’è, come detto. E se n’erano già accorti in molti.
La testa sulle spalle anche. E ce ne siamo potuti accorgere ora. 

C’è solo da sperare che a questo mix di cose si unisca anche la fortuna, così da trasformare un ragazzo come tanti in un – speriamo – campione affermato. E chissà che lui e il suo capitano in under 17, Sini, non finiscano col riscattare la delusione mondiale portandoci in futuro a conquistare un alloro con la nazionale maggiore… 

 

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Continuando con la rassegna di chiacchierate con i potenziali campioni del domani è la volta di parlare di e con Marco Duravia, giovane terzino di scuola Juventus oggi al Figline di Moreno Torricelli. Fino allo scorso anno è stato il terzino destro della Primavera Bianconera, squadra con la quale ha disputato e vinto, distribuendo anche qualche assist per i propri compagni (come quello ai quarti per Daud e quello in semifinale per Immobile), l’ultima edizione del Torneo di Viareggio.

Ma chi è Marco Duravia?

Nato il 14 ottobre del 1989 a Castelfranco Veneto, cittadina sita tra Treviso, Padova e Vicenza, abitò sino all’età di 13 anni con la propria famiglia (cui è molto legato, e la cosa appare chiara dalle sue risposte: “Ho sempre vissuto nel mio paese insieme a mai madre, mio padre e mia sorella, che ha 5 anni in più di me e a cui sono legato moltissimo. Ho avuto un’infanzia normalissima, senza particolari problemi, con una famiglia alle spalle che mi ha sempre sostenuto in tutte le attività – prevalentemente legate al calcio – in cui mi immergevo”) a Montebelluna prima di iniziare la sua avventura di calciatore e lasciare casa per Torino.

I primi calci ad un pallone iniziò a tirarli all’età di 7 anni nella Fulgor Trevignano, una piccola società che attualmente milita in Seconda Categoria, “più per gioco e passione che per reale interesse ad avere un futuro calcistico, visto anche il passato da rugbista di mio padre e la poca passione sportiva di mia madre”.

Dopo un paio d’anni, però, parse subito chiaro che Marco non era un ragazzo come gli altri: la sua qualità calcistica era superiore alla media e non andava sprecata.
A 9 anni, quindi, la chiamata del Montebelluna (“Era la squadra del mio paese ben più blasonata rispetto a quella in cui avevo iniziato: in provincia si contendeva lo scettro di miglior settore giovanile con il Treviso”, ci racconta Marco) e l’approdo in una squadra che poteva offrirgli un certo tipo di prospettive. Proprio avendo un settore giovanile rinomato (da cui sono passati giocatori come Floccari, Toldo, Buso e Serena) era infatti ovvio che giocare in una squadra del genere significava mettersi in mostra agli occhi degli osservatori dei club maggiori.

Tanto che quattro anni dopo già molto lunga era la lista delle squadre che lo volevano: Milan, Atalanta, Treviso, Venezia e Verona, ad esempio. Ma anche quella Juventus in cui decise di trasferirsi dopo aver passato uno dei classici provini con cui le grandi squadre testano i giovani virgulti che pescano in giro per tutt’Italia.
La scelta, sicuramente combattuta visto le tante società che lo seguivano, non fu comunque certo casuale: “Ho scelto di andare lì perché nonostante fosse la più distante da casa mia la reputavo la più organizzata”.

Appena arrivato a Torino – siamo nell’estate del 2003 – viene inserito nella rosa dei Giovanissimi Nazionali, per poi fare tutta la trafila nel settore giovanile Bianconero: “Passai poi agli Allievi Regionali (anche se venivo spesso convocato con i ragazzi dell’88 che partecipavano al campionato Allievi Nazionali), Allievi Nazionali, Beretti (anche se ero in rosa con la Primavera delle annate 88-87) e biennio di Primavera”.
In sei anni di militanza nella Juventus, quindi, ha potuto arricchire molto il suo palmares, che ci dice essere fatto da: “1 campionato nazionale Allievi Nazionali, 2 Supercoppe Italiane Primavera, 1 Coppa Italia Primavera , 1 Torneo di Viareggio. Ho anche perso in finale una finale scudetto Allievi Nazionali, una finale scudetto Beretti, e una finale Champios Youth Cup contro il Manchester (Champions League dei giovani)”.

Già tanta roba, insomma, per un ragazzo neo ventenne che nonostante la giovanissima età ha già potuto concorrere per traguardi molto importanti e che quindi ha già avuto modo di forgiare il proprio carattere subendo un certo tipo di pressioni.

Proprio su di una delle tante vittorie ottenute, quella al Torneo di Viareggio, va a concentrarsi la discussione. Una vittoria del genere, infatti, può segnare in positivo la carriera di un giocatore, dato che la Coppa Carnevale resta una delle principali competizioni giovanili mondiali.
Riguardo alla vittoria ed all’affiatamento con i proprio compagni, quindi, Marco si esprime così: “Nella vittoria di quel torneo l’affiatamento era generale e di squadra; potrà sembrare una frase fatta, ma non lo è. In particolare ho sempre avuto un buon feeling con Daud, Castiglia, Marrone e Iago (nonostante in quel torneo non avesse giocato moltissimo). Al di fuori del campo non eravamo un gruppo particolarmente unito. Non tanto perchè non andassimo d’accordo, ma più che altro per la diversità di personalità. Era un gruppo con tanti ragazzi di personalità che non avevano problemi a dire la loro: questo può essere un vantaggio, ma a volte anche uno svantaggio. In linea di massima io ero molto amico di Luca Castiglia, il capitano, Daud e Serino, ragazzi con cui uscivo spesso.”

Una vittoria costruita sull’affiatamento in campo più che su di uno stretto legame d’amicizia fra tutti i componenti della squadra, a dimostrazione del fatto che quando si parla tutti la stessa lingua – calcistica, s’intende – non si debba per forza essere amiconi: in campo sono tecnica, tattica ed atletismo a farla da padroni. E quella squadra era sicuramente molto ben fornita di  tutte queste caratteristiche, tanto, appunto, da imporsi al Torneo di Viareggio.

E proprio in relazione alle sue vittorie trovavo fosse giusto chiedergli quale fosse stato il momento più emozionante della sua carriera. E la risposta è, ancora una volta, molto interessante: “Il momento più bello senza dubbio è stato l’esordio, seppur in amichevole, al Trofeo Birra Moretti. Ho giocato poco, cinque minuti, ma è bastato per farmi provare un’emozione unica. Sicuramente anche la vittoria del Viareggio è stata emozionante, ma non ancora paragonabile con la partita al San Paolo”.
Questa risposta, infatti, ci fa capire come ci sia un grande sbalzo tra una Primavera e la prima squadra.
Proprio in relazione a questa cosa, quindi, sarebbe bello che tutto il mondo del calcio italiano si interrogasse, chiedendosi se non sia il caso di iniziare a far assaporare ai ragazzi più meritevoli il calcio che conta già in tenera età (e come modello citerei i casi di Balotelli e Santon all’Inter). Perché finché giochi una competizione giovanile, per quanto importante sia, avrai tutto uno staff che si prodigherà in ogni modo per sgravarti di parte della pressione che puoi sentire. Giocare in prima squadra, però, è poi tutta un’altra cosa, ed ogni minimo errore viene vivisezionato in tutti i modi possibili… e le pressioni aumentano esponenzialmente.

Detto della vittoria alla Coppa Carnevale e del momento più emozionante della sua carriera, quindi, non potevo esimermi dal chiedergli cosa volesse dire abitare a Torino, distanti dalla propria famiglia, e, soprattutto, cosa significasse crescere con la consapevolezza di far parte del settore giovanile di una delle squadre più blasonate al mondo. E la risposta di Marco è semplice e lineare, tanto da far capire come sia un ragazzo con pochi fronzoli per la testa e, soprattutto, intelligente. Cosa, quest’ultima, che per un calciatore risulta spesso decisiva quasi quanto la propria capacità tecnica.
“A Torino sono stato 6 anni: è stata un’esperienza importantissima per la mia crescita calcistica ma soprattutto umana. Di Torino, ma soprattutto della Juventus, posso citare l’organizzazione perfetta in ogni minimo dettaglio e l’umanità delle persone che compongono la società. A 13 anni, appena arrivato, ero giustamente impaurito dalla situazione, ma ho trovato nelle persone che facevano parte della società gente con cui potermi confrontare ed aprirmi senza molti problemi. Io, da buon veneto, sono un pochino chiuso, non molto estroverso; ma quando ti ritrovi a vivere insieme ad una cinquantina di ragazzi di tutte le età e, soprattutto, di tutte le regioni d’italia, la paura sparisce e ti lasci un po’ andare. Vivevo in un hotel a 3 stelle chiamato da noi il “pensionato”… ne ho cambiati tre nella mia militanza bianconera, e come qualità del servizio siamo migliorati di anno in anno. Avevamo un tutor che ci seguiva in ogni cosa e ci aiutava in caso di eventuali problemi.
Riguardo la vita invece non c’è molto da dire. Era molto programmata: scuola il mattino, allenamenti il pomeriggio e la sera la passavamo distesi sul letto a giocare alla Playstation o studiando. Le uscite ai minorenni erano permesse prima della morte di due miei compagni nel laghetto del centro di Vinovo, poi sono subentrate beghe riguardanti le responsabilità e tutto si è ridimensionato limitando uscite serali ai soli giorni di giovedi e domenica. Per i maggiorenni invece nessun problema, se non l’obbligo di firma all’uscita e al ritorno, con relativo orario”
.
Un’esperienza di vita molto differente da quella che fa un ragazzo normale, abituato a vivere in casa coi propri genitori. Staccarsi dalla propria realtà familiare quando si è ancora poco più che un bambino non dev’essere certo facile, per quanto sicuramente un’organizzazione come quella raccontata da Marco in queste poche righe deve sicuramente aiutare moltissimo i ragazzi che decidono di fare quel grande passo.

Sempre molto interessante, poi, è chiedere ad un giocatore di descrivere le proprie caratteristiche tecnico-tattiche, perché quasi sempre si va in difficoltà nel doversi descrivere, magari azzardando paragoni arditi.
Ma anche qui, ancora una volta, Marco dà dimostrazione di essere ragazzo molto intelligente e non scomponendosi minimamente ci dice: “Come giocatore sono abbastanza lineare, un terzino di fascia con una buona spinta e una buona corsa. Pecco un po’ in fase difensiva, forse perchè in alcune annate ho ricoperto il ruolo di esterno di centrocampo. Sto cercando di migliorare anche grazie agli insegnamenti di Torricelli, il mio allenatore, che in fatto di terzini ne sa qualcosa. A livello tecnico non sono male, me la cavo bene con il destro e faccio del cross uno dei miei punti forti”.
Allo stesso modo anche riguardo al giocatore cui si ispira la risposta risulta essere tutt’altro che banale:
“Non ho mai inseguito miti calcistici: non mi sono mai ispirato a qualcuno in particolare perchè credo che sia giusto conservare la propria unicità. Anzi, a pensarci bene ho sempre avuto idoli calcistici che non c’entravano nulla con il mio attuale ruolo e tutt’ora conservo le figurine di calciatori come Baggio e Chevanton che con me non hanno nulla da spartire! Se proprio dovessi scegliere un terzino che mi piace, comunque, direi Massimo Oddo, nonostante siano passati i tempi migliori anche per lui”.

Come se non bastasse, poi, rincaro la dose sugli idoli calcistici proponendogli una delle domande che classicamente amo fare a chi gioca a calcio, ovvero sia con quale giocatore dei tempi andati vorrebbe giocare se potesse viaggiare indetro nel tempo per raggiungere i campioni del passato. Ed ancora una volta la risposta desta interesse perché, tra l’altro, ci permette anche di scoprire l’origine del suo nome: “Nonostante riconosca che ci siano stati giocatori superiori a lui, non avrei esitazioni a dire Marco Van Basten. Se mi chiamo Marco in parte è anche perchè mio padre era un amante del calcio del Milan di Sacchi, e quindi di Van Basten. Tanto che al momento della scelta del nome mio padre disse: “Senza dubbio Marco!”.

Niente da dire sulla scelta, direi.

Da amante del calcio giovanile, quindi, mi interessava molto sapere l’opinione di un giocatore che fino a “ieri” ha militato in una Primavera tanto importante come quella juventina. Nessuno meglio di chi è sceso in campo in competizioni giovanili importanti come il Viareggio o il Campionato Primavera, infatti, può parlare dell’attuale livello medio del nostro calcio giovanile: “Il calcio giovanile italiano è sicuramente una grandissima risorsa per tutto il movimento, cosa però non ancora ben capita da chi comanda il calcio. A mio parere ogni anno escono giovani interessantissimi ma non ancora pronti per il grande salto, non tanto perché non abbiano le capacità tecniche o morali ma bensì perché è difficile catapultarsi nella dimensione del calcio professionistico italiano se non c’è possibilità di mettersi in mostra. Giocatori come Poli, Ranocchia, Paloschi, Marilungo o altri che ora non mi vengono in mente sono giocatori che probabilmente in altri paesi avrebbero trovato più spazio nei loro club. E qui ho citato giocatori che hanno già avuto esperienze con le loro squadre, ma ce ne sono altri che questa possibilità proprio non l’hanno. In inghilterra ed in Spagna vengono date più possibilità e non si mortifica il giovane al primo errore. Il livello secondo me potrebbe essere ancora più alto e forse la crisi economica aiuterà la valorizzazione dei giovani italiani, e non sempre stranieri”.
Ed è un discorso, quello fatto da Marco, che mi trova in pieno concorde (per quanto io sia solo un osservatore esterno, non essendo calciatore). Si torna infatti al discorso che facevo prima: va dato modo ai nostri ragazzi più meritevoli di entrare in contatto con la prima squadra il prima possibile, per poterli così inserire a poco a poco cercando di evitare in tutti i modi il rischio di bruciarli.
Pensare che in Italia spesso si considerino ancora giovani di belle speranze ragazzi di 23 o 24 anni (che teoricamente dovrebbero già essersi affermati e che in Spagna o Inghilterra solitamente hanno già trovato spazio da anni) fa rabbrividire.

Sempre riguardo alla situazione giovani in Italia, comunque, diventava d’obbligo chiedergli chi, tra ex compagni ed avversari, potesse fare strada ad alti livelli: “La Juventus negli ultimi anni ha sfornato tantissimi giocatori che ora militano tra Serie A e B. Tra quelli con cui ho giocato io direi senza dubbio Daud, che ha qualità fuori dal normale, Immobile, che ha qualità tecniche e un temperamento davvero eccezionale, e De Paola, centrale poco nominato ma dotato di qualità difensive e fisiche davveri importanti. Ovviamente io giudico i miei compagni per come li conoscevo, poi oltre all’aspetto tecnico ci deve essere una crescita mentale adeguata. Tra i giocatori che ho incontrato in Primavera, invece, menzionerei Crescenzi della Roma, terzino completo e disciplinato, Marilungo, che è già abbastanza conosciuto, e Mancini della Lazio, esterno ficcante e molto tecnico. Credo che tutti loro potrebbero far bene in serie A”.

Detto del suo passato juventino e di giovane della Primavera, prima di passare a parlare del suo presente mi sono voluto togliere un paio di sfizi riguardanti il futuro, chiedendogli dei suoi sogni da calciatore e di parlare anche della nostra nazionale, che tradizionalmente è l’obiettivo ambito da ogni calciatore sin da quando si iniziano a tirari i primi calci ad un pallone: “Il mio sogno sarebbe senza alcun dubbio poter disputare una finale di Champions League con la maglia del Milan. Questo per sognare in grande, ma mi potrei “accontentare” anche di giocare in A con la maglia del Treviso, la mia seconda squadra! Per quello che riguarda la nazionale, invece, penso più a far bene e ad arrivare a certi livelli che alla nazionale, obiettivo sicuramente di tutti i calciatori ma in questo momento per me inarrivabile”.

La nostra lunga e interessante chiacchierata, quindi, non poteva risparmiarsi dal parlare della sua esperienza attuale, quella che lo vuole vedersi disimpegnare in Prima Divisione tra le fila del Figline. Doveroso, quindi, chiedergli come fosse andato il suo ambientamento e quali sono le prospettive del suo club per l’annata da poco cominciata: “Siamo una società umile e tranquilla che cerca di far bene alla prima esperienza in Prima Divisione. Nella sua storia il Figline ha sempre disputato campionati dilettantistici, è quindi nuovo a questa esperienza. Io mi trovo bene e nonostante non stia giocando titolare non mi posso lamentare. Ho collezionato 5 presenze in campionato e avverto la fiducia del mister. Nelle prime 4 partite abbiamo raccolto 0 punti e questo inizio difficile ha certamente penalizzato l’utilizzo di noi giovani. Come squadra siamo un mix tra gioventù ed esperienza ed il nostro obiettivo principale è raggiungere una salvezza tranquilla, possibilmente senza passare dai Playout”.

Duravia, tra l’altro, a Figline ha trovato un campione come Enrico Chiesa, in passato anche più volte convocato in nazionale, e ritrovato Salvatore D’Elia, giocatore che lo scorso anno si disimpegnava sulla fascia opposta alla sua: era infatti lui il terzino sinistro della Primavera Bianconera. Scontato, quindi, gli chiedessi anche di loro: “Enrico è una bravissima persona con cui tra l’altro condividiamo lo spogliatoio. Molto spesso ci ritroviamo a scherzare insieme e lui è sempre molto piacevole. Come giocatore non lo scopro di certo io, un campione che ha quasi 500 presenze tra i professionisti e più di 100 gol in Serie A. Ovviamente non posso rubargli i segreti del mestiere visti i ruoli differenti, ma l’aiuto c’è comunque. Con Salvatore, invece, ho sempre avuto un buon rapporto. Non siamo mai stati grandissimi amici, ma spesso uscivamo in compagnia e ci siamo sempre divertiti. Ritrovarci qui è stato senza dubbio piacevole visto che assieme a lui ho condiviso tante gioie e delusioni nei 6 anni in Bianconero. Qui, oltretutto, ci sono anche l’attaccante D’Antoni e il centrocampista Cosentini che giocavano con noi alla Juve due anni fa e che l’anno scorso erano in prestito rispettivamente al Giulianova e alla Pro Patria”.
Una situazione piacevole, quindi, che sicuramente deve aver aiutato Marco ad inserirsi e calarsi al meglio nella nuova realtà.

Davvero una chiacchierata molto piacevole, insomma, che mi ha dato modo di scoprire la gran persona che c’è dietro a questo terzino di spinta.

Ma una volta che, tra quindici o vent’anni, finirà l’esperienza l’esperienza da calciatore cosa farà Duracell (soprannome affibiatogli dagli ex compagni in relazione alla sua portentosa resistenza)? “Sin da piccolo mi piaceva comprare l’album delle figurine anche solo per leggere le carriere dei giocatori. Ho sempre coltivato questa passione, conosco tantissimi giocatori, di tutte le categorie. Se dovessi scegliere se rimanere nel mondo del calcio sceglierei sicuramente il ruolo dell’allenatore, ma non disdegnerei nemmeno il ruolo di Direttore Sportivo”.

Prima di far tornare Marco ai suoi impegni non potevo non andare a parare su quello che è il suo aspetto umano, cioè sul ragazzo che è lontano dal campo: “Mi piace la musica, ascolto un po’ di tutto prediligendo Ligabue, ColdPlay, James Blunt e Jason Mraz. Il mio piatto preferito sono senza dubbio le lasagne della mamma. Dopo aver preso il diploma per geometri mi sono iscritto a Scienze Politiche all’Università di Torino e oggi provo a portare avanti i miei studi pur con le difficoltà dovute al mio impegno sportivo. Solitamente per divertirmi giro per locali con gli amici, non sono un giocatore che esagera ma non disdegno alcune serate in discoteca. Un’altra mia passione sono i computer, amo questo mondo e mi ci destreggio discretamente”.

Ecco, quindi, chi è Marco Duravia, terzino scuola Juventus oggi al Figline. Un ragazzo che, come tanti, ama la musica e le uscite con gli amici, ma che, a differenza di tanti, dimostra una maturità non comune per un vent’enne.

Chiacchierata davvero piacevole, quindi. Con la speranza e l’augurio da parte mia che possa davvero coronare tutti quei sogni di cui mi ha parlato, entrando nell’elite del nostro calcio.

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Dopo quella con Sini arriva la possibilità di fare una chiacchierata con un altro giovane italiano dal potenziale notevole: Luca Santonocito. Ed è una possibilità che non mi faccio scappare. Eccone quindi una sorta di scheda integrata da quanto uscito dalla nostra chiacchierata…

Nato l’11 febbraio 1991 a Mariano Comense, cittadina brianzola che diede i natali anche all’ex milanista Luigi Sala, Luca Santonocito è un 18enne italiano che dopo essere passato dal settore giovanile di Como ed Inter decise, alla tenera età di soli 16 anni, di tentare un’avventura piuttosto inusuale per un calciatore italiano, specialmente quando così giovane.
Ma andiamo con ordine.

Luca iniziò a tirare i primi calci ad un pallone all’età di 6 anni nel Mariano, squadretta della sua città natale. Proprio il calcio, infatti, è da sempre la sua grandissima passione, tanto che “Non ho praticato nessun altro sport, il calcio è sempre stata la mia unica passione”, ci tiene a sottolineare.
Dopo un paio d’anni, quindi, l’approdo al settore giovanile del Como, squadra che lascia all’età di 14 anni, successivamente al fallimento della società lariana.
In Nerazzurro ci resta un paio d’anni, giusto il tempo di vincere uno Scudetto con i Giovanissimi Nazionali per poi lasciare casa e tentare, come si diceva, un’esperienza nuova, trasferendosi in Scozia.

All’età di 16 anni, infatti, degli emissari del Celtic si fecero avanti e bussarono alla sua porta, convincendolo a lasciare l’Italia per tentare la nuova avventura.

E sembra essere stata una scelta positiva la sua. Nonostante le differenze – “Il calcio scozzese è piu fisico, con più ritmo e più cuore ma meno tecnica rispetto a quello italiano” – tra i due mondi, infatti, l’ambientamento è stato ottimo e ad oggi non paiono esserci ripensamenti né rimpianti. Per quanto, comunque, l’inizio non fu proprio semplice: “All’inizio è stato un po’ difficile ambientarsi, ora però dopo due anni mi trovo molto bene, anche con la lingua. L’inglese ormai l’ho imparato e non è più uno scoglio, in più i rapporti con i mister sono ottimi, non ho mai avuti screzi di qualche tipo con loro”.
Nonostante questo, comunque, non è tutto oro quello che luccica. Se ripensamenti non ne stanno sorgendo, infatti, Luca non dimentica certo la sua terra, e non solo: “Dell’Italia mi mancano la famiglia, gli amici, la ragazza… un po’ tutto”. Com’è normale che sia, aggiungerei.

Perché alle volte ci facciamo prendere la mano e non ci pensiamo, ma questi restano pur sempre ragazzi come tutti. Solo baciati da un talento che in pochi hanno.
Ed essendo ragazzi come tutti, quindi, oltre all’aspetto da professionista hanno anche un aspetto umano cui un tifoso non pensa mai ma che batte forte, come in tutti gli adolescenti.
E come tutti gli adolescenti ha le sue passioni, come la musica, nonostante non abbia “Un genere preferito”, e la lettura “Mi piace molto leggere”.

(celticfc.net)

(celticfc.net)

A sentir lui, comunque, non è solo la lontananza dagli affetti più cari a pesargli un po’. C’è anche la cucina italiana che gli manca: “Il piatto che chiedo sempre a mia mamma quando torno a casa sono le linguine allo scoglio… e poi la pizza!”

Ma che tipo di giocatore è Luca Santonocito?

Se dovessi descriverlo io parlerei di un interno di centrocampo dotato di tecnica invidiabile, grande visione di gioco e sinistro sopraffino, piede con cui può inventare giocate risolutive in ogni momento.
Avendo però la possibilità di chiedere al diretto interessato non potevo esimermi dal domandargli come si descriverebbe e a che giocatori si ispira. Ed ecco qui la risposta: “E’ difficile raccontare come si gioca, ma provo a farlo: ho un’ottima visione di gioco ed buon piede sinistro, anche se non disdegno di usare anche il destro. Mi ispiro a De Rossi, mi piace molto come giocatore, lo trovo completo. Apprezzo però molto anche Pirlo e Xavi, di cui ammiro la tranquillità con cui giocano”. E se ripercorresse le orme dei campioni che cita…

E se ha le idee ben chiare su quelli che sono i suoi riferimenti attuali altrettanto chiare paiono le idee nei riguardi dei campioni del passato con cui avrebbe voluto giocare e su altri giovani come lui con cui ha giocato che altrettanto bene potrebbero fare in carriera.
Alla domanda sui campioni del passato, infatti, risponde senza tentennamenti: “Maradona e Maldini. Anche se quest’ultimo è da poco che non gioca più per me è una vera leggenda”.
Riguardo ai suoi compagni all’epoca dell’Inter o con cui gioca attualmente, invece, dice: “Santon giocava con me ed ora gioca nell’Inter in prima squadra. Ma anche Caldirola, Obi e Destro sono ottimi giocatori, ne faranno di strada. Qui al Celtic invece mi trovo bene con James Forrest, ci capiamo alla svelta. Appena lui si muove io so dove mettergli la palla, c’e una buona intesa”.

Luca comunque, vista l’età, è un giocatore ancora all’inizio della carriera. Ma delle emozioni, anche forti, le ha già potute provare. Doveroso, quindi, era chiedergli quali fossero quelle che più l’avessero segnato: “Non c’è un momento in particolare che possa essere definito migliore degli altri, per quanto concerne la mia carriera calcistica. Per citarne un paio direi la vittoria dello Scudetto con l’Inter o l’esordio con il Celtic contro il Benfica in Canada davanti a 18000 persone”.

Ci sono già stati momenti emozionalmente intensi, tanti altri lo aspettano nei prossimi anni.
Proprio per questo era interessante parlare di quali fossero i suoi sogni in relazione alla sua carriera, tanto a livello di club quanto di Nazionale. Questa, quindi, la sua risposta: “Giocare nel Milan è il grande sogno che avevo da bambino e spero di ritagliarmi un futuro in Nazionale”.

Idee piuttosto chiare, quindi. Che lo porterebbero ai vertici del calcio mondiale. E per il bene del nostro calcio c’è sicuramente da augurarsi riesca a realizzare i propri sogni. Parliamo di un potenziale campione che molto bene potrebbe fare al calcio italiano.

Che dire? Speriamo.

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