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Archive for ottobre 2011

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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La mancanza di cultura sportiva in questo paese è nota e non fa certo più notizia.

Qui, però, la cultura sportiva non c’entra nemmeno più.

Qui si travalicano tutte le barriere e si finisce in qualcosa che non è nemmeno etichettabile a parole.

Perché davvero non c’è modo di descrivere quello che è stato compiuto ieri a San Siro, dove – e per l’ennesima volta – le vittime di una delle più grandi tragedie della storia del calcio sono state vilipese per l’ennesima volta.

E la cosa triste è che qui il calcio c’entra davvero sempre meno.

Perché possono aver senso gli sfottò che colpiscono questioni riguardante quel triangolo di prato. Ma certo non i riferimenti macabri e pesanti ad un avventimento che segnò per sempre decine di famiglie, ed un po’ tutto il mondo del calcio in generale.

Come avrete sicuramente capito mi riferisco a quel terribile striscione issato da alcuni pseudo-tifosi (perché sinceramente per ciò che mi riguarda il tifo vero è tutt’altro) dell’Inter, che per collegarsi al presunto scandalo riguardante il nuovo stadio della Juventus (la cui situazione è però in divenire, vedremo come finirà) hanno tirato fuori per l’ennesima volta la tragica tragedia dell’Heysel.

Quando, appunto, morirono ben trentanove persone, schiacciate in quell’inferno di corpi brulicanti impazziti dalla paura.

Checché se ne possa pensare qui davvero non è questione di prendere le parti di nessuno, posto che poi nessuna pseudo-tifoseria può considerarsi “vergine” da questo punto di vista.

Di certo, però, continuare ad infangare la memoria di quelle persone morte così tristemente ed in maniera così truce è veramente una cosa infame.

Andrebbero semplicemente lasciate riposare in pace. Strappate alla vita in modo così crudele, sarebbero quantomeno degne di un po’ di tranquillità ora.

E invece la gente becera continua ad annidarsi all’interno dei nostri stadi. E probabilmente si moltiplica, come un pericoloso cancro da estirpare quanto prima.

“Acciaio scadente: nostalgia dell’Heysel” è veramente uno degli striscioni più brutti, tristi, beceri ed idioti che io abbia mai visto in uno stadio di calcio.

Che poi sono il primo a dire che gli striscioni, di per sè, fanno parte del gioco. E anzi, spesso in qualche modo aumentano il folklorismo di uno spettacolo così tanto seguito nel nostro paese da diventarne una parte relativa ma quasi imprescindibile.

Per questo personalmente quando sento accennare alla possibilità che anche in Italia venga introdotto il divieto di esporre striscioni mi viene realmente da storcere il naso.

Sarebbe un vero peccato.

Striscioni come questo, però, non hanno davvero ragione di esistere. Non sono minimamente accettabili.

Personalmente trovo che a poco servirebbe squalificare per un turno il campo dell’Inter, come capitato in passato, se non ricordo male, in particolar modo per questioni di razzismo (altro aspetto altrettanto becero e che sarebbe bene estirpare dal nostro calcio).

Perché poco cambierebbe.

Perché quegli idioti si sentirebbero forse anzi ancor più legittimati. Avrebbero colpito nel segno, insomma.

Però, nel contempo, sono anche del parere che lasciare la cosa impunita sarebbe altrettanto sbagliato. Perché per educare un popolo servono anche, in certi casi, misure sanzionatorie. Esattamente come può capitare di punire un bimbo che ha fatto una marachella.

E allora, pur sapendo che non succederà mai, ecco che si dovrebbero analizzare tutti i nastri registrati ieri allo stadio per andare ad individuare l’identità di chi quello striscione l’ha appeso.

E, una volta appurata l’esatta identità di questi “signori”, allontanarli per sempre dai campi di calcio.

Misura estrema?

Pazienza. Penso che l’ignoranza contenuta in quello striscione lo sia ancora di più.

E chissà… magari iniziando ad infliggere punizioni come queste i morti dell’Heysel (e non solo) inizierebbero a trovare un po’ più di pace…

(E, nel contempo, i nostri stadi sarebbero un po’ più puliti…)

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La Juventus vince anche contro l’Inter e legittima la propria prima posizione in un campionato comunque molto livellato verso il basso.

Prima di dire due parole sulla partita, comunque, mi permetto una piccola riflessione sulle possibilità di Scudetto di questa squadra.

Perché a fine partita ho visto l’intervistatore di Sky parlare proprio di questo con Antonio Conte. E sinceramente mi è sembrato un tantino fuoriluogo.

Il fatto è semplice: la Juventus è una squadra nuova. Allenatore nuovo, diversi giocatori inseriti in estate, meccanismi lungi dall’essere consolidati (cosa che invece si potrebbe dire per il Milan o il Napoli, ad esempio).

In più il Milan è a due soli punti.

Prima di parlare di Scudetto ci andrei realmente con i piedi di piombo.

Ha avuto ragionissima, in questo senso, Conte in settimana, quando ha detto che prima di sbilanciarsi sulle possibilità di questa squadra vuole aspettare la fine del girone d’andata.

Ecco, questo ha un senso.

Perché?

Perché alle vittorie convincenti con Milan ed Inter fanno da contraltare i pareggi di Chievo e di Catania, oltre a quello col Bologna.
Risultati assolutamente al di sotto di quanto dovrebbe far registrare una serie candidata allo Scudetto.

Ma in un campionato livellato verso il basso, come si diceva, ecco che pure quei pareggi non tagliano affatto fuori la squadra dalla corsa Scudetto.
Mica per nulla la vetta è ancora lì, posseduta in solitaria.

Venendo alla partita mi permetto un altro paio di riflessioni.
Partendo proprio dalla Juve di cui ho parlato sinora.

La fame c’è e si fa sentire. E spinge i giocatori a dare tutto.

Questo, però, solo nei big match.

Un limite notevole per questa squadra, che se riuscisse a fare lo step di partire motivata anche contro avversari più abbordabili sarebbe davvero una seria pretendente alla vittoria finale.

La cosa bella di questa squadra nelle partite con le big, comunque, è proprio vedere quella fame e quel carattere che Conte è stato capace di far emergere nei suoi giocatori tradursi in una grande aggressività ed una grande voglia in campo.

E’ questo che fa la differenza.

Perché la cosa oltre a permettere di arrivare spesso prima sul pallone permette anche costruire azioni ben orchestrate. Di provare insomma a mettere in campo un gioco interessante.

Che è poi l’esatto contrario di quanto non accada all’Inter.

Che soprattutto in un certo momento della prima frazione, in realtà, sembra potrebbe prendere il sopravvento. Ma è solo un fuoco di paglia, e nel complesso la vittoria bianconera non può che dirsi assolutamente meritata.

Venendo alla riflessione più ampia, comunque, c’è da dire una cosa: il ciclo Inter è realmente chiuso.

Già l’anno scorso se ne avevano avute ampie avvisaglie. Oggi possiamo dire che il tutto si è affermato più vero che mai.

Questa squadra ha davvero mille problemi e non è nemmeno più lontana parente di quella che solo un anno e mezzo fa alzava al cielo una Champions League tanto a lungo agoniata.

E’ quindi necessario che in via Durini si decidano ad attuare una rifondazione assolutamente non più rimandabile.

Del resto l’età media è altina e, soprattutto, le capacità atletiche di diversi giocatori sembrano oggi assolutamente essersi ridotte rispetto al passato. E se ti fai correre in testa è ben difficile tu possa vincere.

L’impoverimento, insomma, si vede sotto un po’ tutti gli aspetti: tecnico (basterebbe solo citare la partenza di Eto’o in questo senso), tattico (la squadra non è assolutamente più compatta come un tempo), psicologico (non ho mai stimato il modo in cui Mourinho gestiva l’aspetto comunicativo del suo lavoro, perlomeno al di fuori dello spogliatoio… perché al di dentro doveva essere un ottimo condottiero) ed atletico (come detto questa squadra corre poco e male).

Moratti e il suo entourage devono intervenire al più presto: un’Inter competetiva è assolutamente necessaria per provare a far risalire il movimento calcistico italiano in ambito europeo.

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Nome: Serge Aurier
Data di nascita: 24 dicembre 1992
Luogo di nascita: Abidjan (Costa d’Avorio)
Nazionalità: ivoriana, francese
Altezza: 174 centimetri
Peso: 75 chilogrammi
Ruolo: terzino
Club: RC Lens
Scadenza contratto: 30 giugno 2015
Valutazione: 5.000.000 euro

CARRIERA

Nato il giorno della vigilia di Natale di diciannove anni fa in quel di Abidjan Serge è cresciuto nel Villepinte, piccolo club di un paesino ad una mezz’ora dal centro di Parigi.

Cresciuto come centrocampista difensivo, passa al Lens – in compagnia del fratello Christopher, di un anno più giovane – nel 2005.
Coi Sang et Or si toglie da subito diverse soddisfazioni, ben prima di esordire tra i professionisti.

Nelle giovanili del suo nuovo club, infatti, diventa vice-campione nazionale under16 prima e si laurea campione di Francia under18 poi.
Il tutto prima di passare nella squadra riserve, dove diventerà subito capitano.

Proprio le prestazioni che farà segnare nella squadra riserve gli permetteranno di guadagnarsi il suo primo contratto da pro, firmato nel giugno del 2009.

Alla fine di quell’anno, quindi, l’esordio ufficiale, arrivato giusto due giorni prima di compiere 17 anni.

In quel match, disputato contro il St. Etienne, si trova catapultato titolare per via della squalifica di Marco Ramos e, opposto a Dmitri Payet, inizia mostrando qualche difficoltà di tenuta del campo.
Col passare dei minuti, però, la tensione si scioglie e lui acquista fiducia, chiudendo discretamente la partita.

La sua seconda presenza tra i professionisti andrà quindi ancora meglio. Nel “Derby du Nord” contro il Lille, infatti, Serge dimostrerà già una grande maturità e terminerà la partita tra gli applausi dei suoi tifosi. Non solo: le statistiche a fine match dimostreranno la sua totale nonchalanche. Con sessantanove palloni toccati, infatti, Aurier si dimostrerà essere il secondo giocatore più attivo del match, dietro Franck Beria.

A fine stagione, quindi, arriverà una doppia soddisfazione per il ragazzo. Che da una parte riceverà la tanto agognata doppia cittadinanza, e che dall’altra sarà votato come miglior giovane del suo club, vincendo così la “Gaillette d’Or”.

La stagione scorsa, quindi, Serge viene promosso a titolare praticamente indiscutibile, disputando così una trentina di match con la prima squadra.

La retrocessione in Ligue 2 della sua squadra non scoraggia comunque il ragazzo, che alla fine accetta di buon grado di restare al Lens (nonostante dichiari che per la sua crescita sarebbe stato meglio continuare a giocare in Ligue 1).

Le sue buone prestazioni attirano comunque subito una grande quantità di squadre che decidono di sondare il terreno, anche attratte dalla scadenza del suo contratto, posta a giugno 2012.

Per evitare di perdere a zero o comunque a due soldi uno dei migliori prodotti delle proprie giovanili, però, i dirigenti del Lens decidono di blindarlo, facendogli firmare un contratto che vede ora la scadenza, come riportato sopra, a giugno 2015.

Lazio, Fulham, Manchester City, Blackburn e Getafe (più tutti gli altri club che sicuramente si interesseranno a lui nei prossimi mesi) sono quindi avvisati. Per strapparlo alla squadra che l’ha cresciuto e fatto sbocciare ci vorrà sicuramente qualche milioncino sonante…
Diciamo che l’eventuale cessione il prossimo giugno partirebbe sicuramente da una base di sette o otto milioni…

Così dopo Varane – sbarcato in estate al Real – un altro giovane lensois è pronto a spiccare il volo verso il grande calcio…

E intanto si fregano le mani anche i tifosi della nazionale francese.
Perché quando Daniel Leclercq (circa 400 partite in maglia Sang et Or) disse, più o meno un anno fa, che Aurier avrebbe potuto finire col giocare il Mondiale 2014 in maglia Bleu lui, Serge, ha lasciato la porta assolutamente aperta a questa possibilità…

CARATTERISTICHE

La sua posizione naturale è quella di terzino destro, ma il suo tecnico, Jean-Louis Garcia, lo schiera anche, alla bisogna, sulla fascia di sinistra.

Non particolarmente alto, Serge è però piuttosto potente e molto esplosivo.

E proprio l’atletismo è il punto di forza di un giocatore che mostra invece qualche lacuna tattica, in particolar modo per ciò che riguarda la gestione della fase difensiva.

Piuttosto veloce e tecnicamente discreto, Aurier non disdegna di spingere sulla propria fascia sia palla al piede che per semplici sovrapposizioni. Così come, quando ne ha la possibilità, va alla conclusione con piacere.

Nel complesso, quindi, un giocatore dalle caratteristiche atletiche importanti, tecnicamente abbastanza dotato, già piuttosto pronto ad affrontare un campionato da professionista.

IMPRESSIONI E PROSPETTIVE

Le potenzialità ci sono tutte. Le fondamenta su cui costruire un giocatore importante, insomma, ci sono tutte.

Bisogna comunque capire come saprà crescere, sotto un po’ tutti i punti di vista.

Innanzitutto quello atletico. Perché se è vero come è vero che proprio quello è il suo punto di forza bisogna anche dire che avendo solo diciotto anni potrebbe migliorare ulteriormente il suo rendimento, crescendo.

A quel punto poco da fare: saremmo di fronte ad un giocatore atleticamente dominante.

Poi quello tattico. Che, come detto, è attualmente un po’ il suo piccolo punto debole.

Intendiamoci, non che non sappia come muoversi in campo. Ma in alcune circostanze ho potuto notare (dalla tv però, per un giudizio più completo bisognerebbe osservarlo dallo stadio) come si perda un pochino via.

In questo senso potrebbe essere fondamentale per lui un eventuale approdo in Italia. Dove avrebbe sicuramente difficoltà di adattamento , visto il tatticismo estremo che permea il nostro calcio. Ma dove, altresì, potrebbe davvero crescere tantissimo in quello che è, appunto, il suo punto debole.

Insomma, giocatore da seguire sicuramente con attenzione. E chissà mai che in futuro non diventi quel mezzo fenomeno che diventava puntualmente in ogni partita di Football Manager 2011…

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E’ notizia di ieri: Giuseppe Rossi si è rotto il legamento crociato anteriore del ginocchio destro. Lo stop previsto va dai quattro (in caso di recupero lampo) ai sei (opzione più probabile) mesi.

E se questa è sicuramente una brutta notizia per il Villareal, che già viveva un momento molto negativo prima del suo infortunio, lo stesso si può dire per la nostra nazionale, che aveva in lui uno degli elementi più validi.

Sei mesi di stop probabili. Che significa un suo ritorno in campo a fine aprile. A stagione praticamente finita.

Senza minuti nelle gambe avrebbe senso portarlo egli Europei?

Prandelli si è già espresso, dicendo che il gruppo aspetta il giocatore. Ma è inutile nasconderci: si tratta di dichiarazioni di rito atte a consolare un po’ il ragazzo e comunque a non chiudere le porte in faccia ad un giocatore che se riuscisse a recuperare in tempi brevi e se dimostrasse di poter valere una chiamata certo non sarebbe lasciato a casa, visto il suo valore assoluto.

Logica però vuole che il suo possibile impiego la prossima estate sarà valutato attentissimamente. E che prima di avere la certezza di un suo possibile impiego ne passerà di tempo. Quindi non possiamo che iniziare a pensare ad un eventuale Europeo senza di lui.

Partiamo da un presupposto: una decina di anni fa il nostro paese poteva contare su alcune delle punte migliori al mondo, che ci invidiavano un po’ tutti. Da Totti a Del Piero passando per Vieri e Inzaghi le alternative non ci mancavano di certo.

Oggi, invece, nessuno dei possibili titolari sarebbe bramato dalle grandi d’Europa e del Mondo.

Nonostante questo il parco attaccanti cui può attingere Prandelli è comunque composto da diversi buoni giocatori. Anche in questo caso, quindi, possiamo parlare di un livellamento verso il basso rispetto al passato.

Analizziamo, dunque, la situazione del nostro reparto offensivo per come si presenta oggi.

Giocatori che partiranno sicuramente per l’Europeo: Antonio Cassano, Mario Balotelli.
Papabili di convocazione: Giampaolo Pazzini, Alessandro Matri, Sebastian Giovinco.
Outsider: Antonio Di Natale, Fabio Quagliarella, Alberto Giardino, Marco Borriello.
Condizioni da verificare: Giuseppe Rossi.

Partiamo quindi da un presupposto: Prandelli porterà cinque-sei attaccanti. Probabilmente cinque più Giovinco, che noi contiamo comunque come punta.

I nomi riportati qui sono però dieci. Quattro, insomma, dovranno stare a casa.

Per ciò che mi riguarda, prima dell’infortunio di Rossi, avrei visto benissimo un attacco composto da Cassano, Balotelli, Rossi (i tre praticamente certi del posto), Pazzini, Matri e Giovinco. Nel complesso avremmo infatti avuto due giocatori molto estrosi, una seconda punta rapida e incisiva, due prime punte che hanno tutto per fare bene e un possibile futuro fenomeno cui un’esperienza come quella dell’Europeo potrebbe risultare utile per una maturazione tanto invocata un po’ ovunque.

Però… c’è sempre un però. Che in questo caso sono due.

Rossi si è rotto, appunto, e potrebbe non farcela a recuperare in tempo. In più Matri oggi sembra non rientrare nelle preferenze del tecnico di Orzinuovi.
Certo, se da qui a fine stagione dovesse trovare continuità di rendimento in quel di Torino le cose potrebbero cambiare.

Fattostà che oggi in quella lista di papabili convocati ce ne sono due che portano con sé un punto di domanda piuttosto cospicuo.

Ecco quindi che, a questo punto, entrano in gioco gli outsider.

Partiamo da Antonio Di Natale: unico italiano inserito nella lista dei cinquanta pretendenti al Pallone d’Oro, Totò sta trovando una continuità di rendimento incredibile in quel di Udine e Prandelli stesso ha detto che se continuasse così per tutta la stagione non si potrebbe non prendere in considerazione. E chissà quindi che nell’attacco di pesi mosca studiato dal nostro Commissario Tecnico Di Natale non si trovi da ignorato di lusso a titolare nel corso di una convocazione.

Anche in questo caso c’è però un ma. Di Natale non è più un giocatore di primo pelo ed ha già avuto un paio di occasioni per dimostrare, in competizioni internazionali importanti, di saper reggere certi palcoscenici. E in entrambi i casi, possiamo dire, ha fallito.

Sarebbe davvero giusto dargli l’ennesima possibilità andando magari a penalizzare chi non rappresenta solo il presente ma anche il futuro della nostra nazionale?

Altro giocatore che a maggio potrebbe arrivarsi a giocare una chiamata è Fabio Quagliarella. Che dopo aver iniziato alla grandissima la sua prima stagione in bianconero subì un infortunio pesantissimo, che lo ha tenuto fermo buona parte dello scorso anno. Ora, poi, non sembra essere nelle grazie del suo allenatore.

Se quantomeno da gennaio in poi trovasse continuità, però, ecco che potrebbe tornare ad essere tra i papabili.

I casi di Borriello e Giardino sono invece differenti ma accomunati da una cosa: si tratta di due prime punte che, in questo momento, io metto un gradino sotto alla coppia Pazzini-Matri. Due giocatori che, insomma, a meno di repentine impennate di rendimento non troverebbero mai spazio nei miei 23 convocati.

Entrambi, però, sono comunque giocatori validi e che qualcosa da dire potrebbero anche averla. La palla sarà quindi tra i piedi di Cesare Prandelli, che tra qualche mese si troverà in una posizione piuttosto scomoda.

Fare le convocazioni per una rassegna così importante non è mai facile. Questo, a maggior ragione, quando si ha appunto un livellamento verso il basso piuttosto palese, come nel nostro caso.

E l’infortunio di Rossi, tra i pochi punti fermi della sua nazionale, certo non lo aiuterà…

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Ricordo ancora, pur senza contorni ben definiti, la prima volta che lo vidi giocare.

Era una partita di under 21 e il buon Ringhio agiva sull’out di destra, dove metteva in campo una grinta ed una voglia di spaccare il mondo davvero più unica che rara.

All’epoca il mediano di Corigliano Calabro metteva in mostra le sue doti di grande combattente in un campionato fatto su misura per lui, quello scozzese. Già l’anno successivo tornò in Italia, a Salerno, per poi passare al Milan, suggellando il matrimonio con una squadra che contribuì a farlo grande (e che lui contribuì a far tornare grande).

La grinta di questo ragazzo è sempre stata qualcosa di particolare. Da sempre penso andrebbe presa ad esempio.
E questo vale oggi più che mai.

Rino si è infatti presentato oggi in sala stampa per parlare del suo problema di salute. Che, a giudicare dalle parole espresse dal dottor Tavana, non dev’essere nulla di piacevole: “Guardando a sinistra tende a vedere doppio. Ci siamo rivolti a degli specialisti. Siamo in contatto con gli Stati Uniti e abbiamo consultato i maggior esperti d’Italia, con il dottor Campus che tutt’ora lo stanno curando. La prognosi non è delimitata: bisogna aspettare dai 2 ai 6 mesi per valutare l’evoluzione di questa situazione che potrebbe anche spontaneamente tornare alla normalità. La terapia gli sta comunque permettendo di ridurre questi sintomi”.

Nonostante la situazione sia tutt’altro che rosea il nostro eroe ha però detto chiaramente che non mollerà: “Vi aspettavate il mio ritiro? Ci vuole altro per abbattermi! In questi 45 giorni ne ho lette di tutti i colori ed è per questo che sono qui. Vedere doppio non è bello, ma c’è di peggio nella vita e la dimostrazione è quello che è successo ieri a Sepang. L’importante è non mollare”.

Un’ennesima dimostrazione di carattere dopo tutte le volte che l’abbiamo visto sputare sangue senza mollare mai ed arringare compagni e tifosi nei momenti di difficoltà.

Ecco, a Ivan Gennaro Gattuso vanno i miei migliori auguri di una pronta guarigione. Con la speranza di poterlo rivedere presto in campo. O, almeno, che questo problema si risolva nel migliore dei modi, e che anche se alla fine dovesse decidere di non tornare più a giocare possa condurre una vita normale, senza problemi di sorta.

Proprio quanto successo a lui, comunque, mi dà modo per una piccola riflessione.

Dei problemi del nostro calcio ne ho già parlato più volte. Tra questi vi è sicuramente il fatto che i nostri giovani, quand’anche dotati, faticano ad esplodere.

E se buona parte della colpa va sicuramente ascritta ad un movimento che non punta su di loro e ad una cultura sportiva assolutamente refrattaria al rischio di schierare un giocatore con poca esperienza va altresì detto che pure loro, spesso, dimostrano una fragilità di carattere fin troppo marcata.

E il punto qui non è solo scendere in campo e ringhiare alla Gattuso, quanto capire che per realizzare i propri sogni calcistici bisogna abbassare la testa e lavorare duro. Essere pronti a sputare sangue e superare ogni difficoltà. Esattamente come lui.

Quindi insomma, alla speranza che Rino superi in fretta il suo problema ci aggiungo anche quella che la sua determinazione sia presa ad esempio dai tanti giovani che sognano di sfondare nel calcio. Perché anche chi ha qualità deve mettersi in testa di dover faticare… non sono i soldi, la fama e le donne a fare un calciatore…!

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Inter, Milan e Udinese vittoriose, Napoli e Lazio che spuntano un pareggio.

E’ stata positiva, rispetto a quanto eravamo abituati a vedere negli ultimi anni, la tre giorni di coppe per le nostre rappresentative.

Del resto delle cinque compagini ancora impegnate in Europa una ha fatto il minimo indispensabile (battere il Bate), un’altra ha vinto in una gara in cui partiva favorita ma che certo non era semplicissima (l’Inter), altre due hanno compiuto una mezza impresa (il Napoli pareggiando contro il Bayern Monaco, l’Udinese battendo l’Atletico Madrid dell’ex capocannoniere della competizione Falcao) e solo la Lazio è rimasta al di sotto delle aspettative, pareggiando contro lo Zurigo (laddove una vittoria per altro avrebbe consentito ai Biancocelesti di mettere mezzo piede nel prossimo turno).

Turno favorevole, insomma. Ma non solo.

Perché le cinque squadre in questione, Lazio a parte, stanno tutte disputando una buona competizione europea e sono tutte, Lazio compresa, in corsa per il passaggio del turno. Cosa che sarebbe fondamentale per il nostro movimento calcistico, a ben vedere.

Se poi ci limitiamo solo alla Champions League ecco che le cose diventano addirittura da capogiro.

Come riportato dalla Gazzetta dello Sport in questi ultimi due giorni, infatti, il paese capace di raccogliere più punti ranking in questo inizio di Champions è proprio l’Italia.

Nello specifico: le italiane in corsa sono tre ed hanno guadagnato un totale di 18 punti, per una media di 6 a squadra. Cosa questa che permette alle nostre compagini di stare attualmente davanti ad Inghilterra (23 punti in quattro squadre, 5,75 di media), Portogallo (5,5), Germania (4,66), Spagna (4,5) e Francia (4).

Uno scenario assolutamente roseo, di per sè.

Il tutto se solo non esistesse l’Europa League, competizione che da anni ormai sta uccidendo il nostro ranking UEFA.

Perché è proprio nella competizione minore che le nostre compagini fanno fatica.
Snobbata da anni, l’EL porta problemi alla nostra media punti totale.

Anche quest’anno è proprio questo torneo a penalizzare i nostri colori. Basti pensare al fatto che Palermo e Roma sono già state eliminate.

E allora se prendiamo in considerazione il ranking complessivo ecco che il nostro paese crolla addirittura al decimo posto, sopravanzato anche da nazioni terribili come Belgio, Cipro ed Austria.

Uno scenario tristissimo che potrebbe portare, secondo l’A.D. del Milan Galliani, Portogallo e Francia (rispettivamente sesti e settimi nel ranking attuale di questa stagione) a sopravanzarci nell’arco di un paio di stagioni.

Le cose, insomma, si fanno sempre più grigie per il nostro movimento calcistico.

E il fatto che in molti sminuiscano questo impoverito globale (tecnico, finanziario e di risultati) contribuisce ulteriormente ad aumentare il divario con gli altri paesi.

Del resto in Italia non ci sono più i soldi per concorrere sul mercato con i club di altri paesi, non c’è una gestione del marketing all’altezza, non si punta sui vivai, si snobba l’Europa League, si utilizzano – salvo rari casi – metodologie di preparazione atletica obsolete, non si riescono nemmeno più a trattenere i campioni che proprio noi riusciamo a lanciare nel grande calcio.

Le cose, insomme, stanno andando a rotoli. Nella quasi totale indifferenza di buona parte del nostro movimento.

Ma del resto per molti il problema nemmeno sussiste, non ci si può quindi stupire che i vertici del calcio italiano non facciano nulla per provare ad invertire un trend che potrebbe portare, tra qualche stagione, ad avere una sola squadra qualificata direttamente alla Champions League…

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Anche ieri, come sabato, mi sono recato a San Siro grazie a WeAreSocial, invitato da Indesit che già mi aveva ospitato quest’estate a Londra per il lancio del portale Genuine Football Fan.

Da lì ho potuto godermi Milan – Bate, che ho poi raccontato proprio su GFF.
Riporterò quindi qui di seguito l’articolo per far capire a grandi linee come ho visto le cose, per poi analizzare giocatore per giocatore le prestazioni – esclusivamente – dei giocatori del Milan.

Massimo risultato col minimo sforzo, e il Milan è già praticamente sicuro degli ottavi di finale.

Non che ci fossero molti dubbi già il giorno del sorteggio. Ma oggi i tifosi rossoneri possono cominciare a festeggiare.
Ora ai ragazzi di Allegri non resta che contendere al Barcellona delle meraviglie la prima posizione nel girone.

Milan - Bate Barisov

Tutto facile, per il Milan.
Ma del resto nel vedere la squadra di casa fronteggiare la compagine bielorussa si nota subito chiaramente come la sfida sia assolutamente impari.
Un po’ come vedere una battaglia in cui un gruppetto di ragazzi disorganizzati, senza un’ora di addestramento militare alle spalle ed armati solo di pistole ad acqua affrontassero le Forze Speciali Americane equipaggiate di tutto punto.

Insomma, non c’è proprio partita. Né sulla carta né in campo.
E così la poltroncina su cui mi siedo a pochi minuti dall’inizio del match, primo anello arancio, diventa lo scranno da cui osservare pregi e difetti di una squadra ancora lontana dai fasti del passato.

Perché il Milan è croce e delizia di un San Siro vivace e ricettivo.

Il divario tecnico tra i Rossoneri e il modestissimo Bate è oceanico.
Eppure il risultato non è largo quanto ci si immaginerebbe.

Sbaglia troppo il Milan, forse non abbastanza motivato nell’affrontare un avversario così inferiore.

Dietro si balla, e in più di un’occasione.
Se Renan Bressan all’anagrafe facesse Lionel Messi (o anche solo Manolo Gabbiadini) il Milan riuscirebbe anche a passare in svantaggio. E certo non per merito dei bielorussi, quanto per un’approssimazione diffusa che porta – nell’occasione – Van Bommel a regalare un goal praticamente già fatto al numero dieci avversario.
Che però, dall’alto – anzi, dal basso – della sua pochezza si fa imbambolare da Abbiati.
Diverse (almeno un altro paio quelle clamorose) sono comunque le occasioni che i padroni di casa lasciano agli ospiti, sbagliando cose elementari che costerebbero carissimo se l’avversario si chiamasse Real Madrid o Manchester United.

Anche davanti sembra si giochi con troppa sufficienza.
La buona stella di Cassano appare momentaneamente offuscata e Ibrahimovic si mostra quasi infastidito dal livello dell’avversario. Tanto da non volersi sprecare per batterlo.
Cosa che in effetti non serve. E non è un caso se è proprio lui, pur senza impegnarsi, a portare avanti il Milan.

A dare nerbo alla squadra rossonera – dove si possono annotare le prestazioni piuttosto impacciate di Bonera e Van Bommel – sono quindi, in particolar modo, Nocerino e Boateng.
Del primo, con una battuta, dicevo allo stadio che “questi (il Bate, ndr) fanno fare bella figura anche a lui”. E se in parte è sicuramente merito della pochezza dei bielorussi Nocerino, già tra i migliori in campo sabato, ci mette in realtà anche molto del suo. La condizione sembra finalmente farsi quantomeno accettabile, e lui ci dà dentro a fondo. Corre, pressa, si propone, tampona, ci prova. Una prestazione sicuramente sopra alla media per un giocatore dai limiti ben marcati, ma con una generosità indubbiamente preziosa.

Boateng, invece, fa quello che sa fare meglio: dare consistenza tra le linee. Trequartista atipico, non ha certo bisogno di presentazioni. È ormai amatissimo dal suo pubblico e temuto dai tifosi avversari.
E per lasciare un segno chiaro nella partita si inventa un goal da incorniciare.

Nocerino e Boateng che rappresentano le eccellenze ma non sono certo gli unici due ad aver disputato una partita più che degna.

Tra tutti vorrei segnalare Taye Taiwo.
Il terzino sinistro nigeriano parte timidissimo e cresce alla distanza, incoraggiato anche da un pubblico che sembra averlo preso in simpatia. La condizione migliore è ancora lontana e le qualità tecniche non sono certo da novello Roberto Carlos, ma posto il livello medio dei terzini del nostro campionato ecco che un ruolo quantomeno da comprimario potrà ritagliarselo anche lui.
Che però, prima, deve trovare più fiducia nei propri mezzi. E l’ultimo spezzone della gara di ieri è sicuramente, in questo senso, la base da cui partire.

Il Milan vince facilmente, insomma. Senza nemmeno impegnarsi più di tanto. Di fronte ad un avversario che non sa approfittare delle diverse sbavature che i rossoneri si trovano a compiere.

Che dire? Alle Forze Speciali non serve nemmeno imbracciare i fucili. La differenza è così ampia che gli bastano le fionde.

Milan

Abbiati: 7
Pochi interventi, ma decisivi.
Si aspettava di passare una serata totalmente inoperosa invece i compagni (Van Bommel, Abate, Bonera) decidono di testarlo a fondo. Evita ai suoi una bella figuraccia.

Abate: 6,5
Spinge bene nel primo tempo, nella ripresa tira un pochino di più i remi in barca. O almeno, è spesso nella metà campo avversaria, ma cerca meno di quello che dovrebbe il fondo.
Si meriterebbe sicuramente il sette pieno non fosse che compie qualche sbavatura di troppo. Che, in un paio di casi (una, il passaggio al centro per un avversario, clamorosa posto che si tratta di cose che si insegna a non fare già nei pulcini), potrebbe costare carissimo.

Nesta: 6,5
Vale un po’ lo stesso discorso fatto per Abbiati. Nonostante l’età e gli infortuni resta un punto di riferimento nel ruolo.
(Dal 84′ Mexes: s.v.)

Bonera: 5,5
Un po’ troppe sbavature. Piuttosto inadatto a certi livelli, oggi è considerabile, ad andar bene, il quinto centrale del Milan.

Taiwo: 6,5
Sembra un po’ bloccato, timido. Non è un caso se il calore di San Siro piano piano lo scioglie. Ne esce una prestazione discreta, punto di partenza su cui costruire il suo futuro Rossonero.

Aquilani: 6,5
Buona partita per l’ex Juventus, che dà un quid in più di qualità alla sua squadra pur senza strafare. Meriterebbe il goal nel primo tempo, quando è fermato solo dal palo.

Van Bommel: 5
Se Abbiati non facesse il miracolo forse parleremmo di un’altra partita. Mark appare appesantito, molle, sempre in ritardo nell’andare a chiudere.

Nocerino: 7
Indubbiamente tra i migliori in campo. Corre tantissimo, tampona, si propone, ci prova. Certo non un Campione, ma ieri ha fatto la sua più che onesta partita.

Boateng: 7
Gioca benissimo tra le linee e dà sostanza lì in mezzo. Tanta fisicità unita a buona tecnica. E ad un goal da incorniciare.
(Dal 78′ Emanuelson: s.v.)

Ibrahimovic: 7
Segna. Gioca. Però dà l’impressione di essere troppo altezzoso. Giocasse con la determinazione di Gattuso ne farebbe cinque. Bendato.

Cassano: 5,5
Offuscato rispetto all’ultimo periodo. Pare risentirne un po’ a livello atletico. Forse sarebbe stato meglio farlo rifiatare.
(Dal 62′ Robinho: 6,5
La sua vivacità è imprescindibile. Gioca lungo tutto il fronte offensivo mettendo in continua apprensione ogni singolo difensore avversario. Da fare giocare sempre.)

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Se qualcuno mi sa spiegare perché il Palermo è giunto a Milano per poi non scendere in campo a San Siro si faccia sentire.

Perché ieri ho avuto l’opportunità (grazie a WeAreSocial, invitato da Indesit che già mi aveva ospitato quest’estate a Londra per il lancio del portale Genuine Football Fan) di guardarmi la partita dal primo anello arancio dello stadio milanese… e guardando verso il campo ho visto solo, costantemente e per novanta minuti, undici ragazzi in maglia Rossonera. E basta.

Scherzi a parte… non ricordo un Palermo così remissivo. E in questo senso sono davvero stupitissimo, perché conoscendo piuttosto bene mister Mangia non mi sarei mai aspettato di vedere in campo una squadra così spenta, a maggior ragione trattandosi di un big match.

Caricare i propri ragazzi, del resto, è una delle prerogative migliori dell’ex tecnico della Primavera varesina. Eppure ieri tutto questo non si è proprio visto.

E così il Milan ha avuto la vita realmente facile e spianata dall’arrendevolezza palermitana.

Insomma, ne è uscita una serata da spettatore non pagante – un po’ come il sottoscritto, insomma – per Abbiati, che ha sonnecchiato per un’ora e mezza senza mai essere realmente impegnato.

Dall’altra parte, invece, non è servito nemmeno impegnarsi troppo per bucare per tre volte di fila Tzorvas. E la difesa palermitana, che ultimamente sembrava aver trovato una certa robustezza, è tornata magicamente ad essere una sorta di groviera stagionato.

Nocerino (col goal dell’ex), il rientrante Robinho (la cui mobilità è la vera arma in più di questa squadra) e l’ormai solito Cassano (che sta sfruttando bene il buon stato di forma) pongono le tre firme in calce alla pesantissima sconfitta di un Palermo in cui non mi sento di salvare davvero nessuno.

Da Mangia in giù tutti bocciati. Anche perché le potenzialità ci sono. Ma un approccio di quel tipo è quanto di più orribile si possa vedere su di un campo di calcio.

Una nota stonata anche sulla sponda Rossonera del naviglio, comunque, c’è.

Sarò fissato io, ma certe cose non le sopporto un granché.

E allora premetto: avevo accettato volentieri l’invito di Indesit per godermi la partita con la recondita speranza di potermi gustare almeno una mezz’oretta di El Sharaawy. Giocatore dall’avvenire interessantissimo.

Bene. Cosa ne è uscito?

Il Milan conduce 3 a 0 una partita già vinta da tempo, praticamente senza avversari in campo. E al sessantaseiesimo Allegri mi fa entrare Emanuelson al posto del rientrante Robinho. Sistemando l’olandese trequartista.

A partita finita, ripeto. Per porre il già modesto ex Ajax pure fuori ruolo. Anziché regalare venticinque minuti di gioco a quello che può e deve rappresentare il futuro del calcio italiano (e magari milanista).

Per me non esiste proprio.

Stephan che entrerà a dodici dal termine. Toccando pochi palloni, ma provando comunque, con una bella conclusione diagonale chiusa in angolo da Tzorvas, a ritagliarsi un po’ di gloria personale.

Ma la gestione di un giovane di questo tipo non può essere quella che stanno attuando a Milano.

Va fatto giocare molto di più. Ed il fatto che abbia solo 19 anni poco significa. Perché le qualità – anche caratteriali – ci sono tutte. E se pensiamo che un suo coetaneo è stato capace, lo scorso anno (quindi a 18 anni) di trascinare il Borussia Dortmund alla vittoria del campionato ecco che risulta chiaro come certi problemi si pongano solo in Italia.

Beh, questa mentalità mi ha davvero stufato. Posso capire che magari non lanci un giovane quando sei sul filo di lana con il Barcellona, dove c’è da lottare e il rischio che possa sentire troppo il match c’è.

Ma su un 3 a 0 così no. Non esiste proprio.

Ecco, l’ho detto. Sperando che le cose in Italia – perché poi questo è solo un esempio, se ne potrebbero fare mille altri – cambino presto. In meglio.

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Due punti persi, e piovono le contestazioni.

L’aria che si respira nei pressi dello Stadio Speroni di Busto Arsizio a fine partita è piuttosto pesantuccia. Perché lo 0 a 0 strappato da una modestissima Valenzana non soddisfa minimamente un pubblico esigente come quello di casa, che già chiede la testa di mister Cusatis e non risparmia insulti a un po’ tutti i giocatori.

Scene come quelle viste a fine partita, dove la rabbia dei tifosi non è comunque sfociata in atti violenti per fortuna, non li vorrei vedere mai.

E anziché andare a dire a un ragazzino di 19 anni “sei scarso” forse farebbero bene a valutarne l’impegno. Perché se quello che passa in convento è quello e lo stesso ce la mette tutta per ben figurare… certi atteggiamenti sono davvero censurabili ed evitabili.

Ma questo è solo la fine di una partita a due facce. Perché nel primo tempo, dopo un quarto d’ora di studio, la Pro Patria sale in cattedra e domina la partita sino all’intervallo. Pungendo poco in attacco, dove un asfittico capitan Serafini risulta forse il peggiore in campo e dove Luca Giannone -migliore in campo nei primi quarantacinque minuti di gioco – dà del filo da torcere agli avversari, senza però trovare la rete.

Crea diverse azioni la Pro, che gioca di gran lunga meglio di una squadra, la Valenzana, che attua un catenaccio strenuo, mettendo assieme giusto un paio di azioni discrete nell’arco degli interi novanta minuti.

L’intervallo, comunque, spezza il ritmo dei padroni di casa, che rientrati in campo nella ripresa non saranno più capaci di ripetersi.

E così ne esce una seconda frazione di gioco assolutamente non all’altezza di una Serie C2.

Da una parte la Valenzana non prova praticamente mai a costruire nulla, dimostrando ampiamente di cercare semplicemente un misero 0 a 0 (festeggiato, del resto, a fine partita). Dall’altra i padroni di casa non riescono praticamente più a mettere assieme due passaggi di fila, e naufragano nel nulla.

L’unico a provarci fino all’ultimo è Devis Nossa. L’ex centrale della Primavera interista è però, appunto, solo un difensore. E così oltre a sgolarsi per cercare di far crescere intensità ed attenzione prova a staccarsi dal proprio reparto per dare man forte a centrocampo e attacco. Per provare, insomma, a mettere pressione agli avversari. Senza però riuscire a spezzare gli equilibri sin lì costituiti.

Un vero peccato. Perché Nossa, indubbiamente il migliore in campo al termine dei novanta minuti, meriterebbe, da solo, i tre punti.

E’ però l’unico a mettere in campo quel carattere di cui il resto della squadra sembra assolutamente sprovvista, facendosi schiacciare dai mormorii dei tifosi.

Sbaglierò, ma fossi in Cusatis toglierei seduta stante la fascia da capitano a Serafini per consegnarla proprio a lui.

Arrivato alla terza partita vista allo Speroni questa stagione posso azzardarmi a dare un giudizio sulla globalità di questa squadra. Che a parte i problemi di finalizzazione non vale certo una retrocessione in Serie D.

Chissà se Cusatis riuscirà ad infondere sicurezza a questi ragazzi, tirandoli fuori dagli impicci.

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Terza vittoria di fila per il Varese di Maran che vince e – a tratti – convince contro il Padova di Dal Canto.

Che, in realtà, parte meglio.

Dati come sicuri vincitori alla vigilia, gli ospiti si presentano con il duo Marcolini-Milanetto (potenzialmente devastante) in panchina ed il trio Cutolo-Cacia-Lazarevic davanti.

E nei primi quarantacinque minuti le decisioni prese dal mister patavino sembrano essere anche azzeccate perché i suoi, pur senza strafare, impegnano in più di un’occasione un sempre attento Bressan, che disputa una partita magistrale.

Il Varese invece dal canto suo è piuttosto sottotono: la difesa è un po’ in affanno, schermata non a dovere da un centrocampo in cui Kurtic continua a palesare una certa staticità e Corti non è quello dei tempi migliori.

Davanti, poi, Cellini corre tanto, ma per lo più a vuoto, e Martinetti le spizza tutte di testa, ma manca incisività.

La partita sembra quindi instradarsi sui binari che vogliono gli ospiti, come da programma, andare in cerca della vittoria fino all’ultimo.

Eppure l’intervallo stravolge le cose. E chissà che la mano di Maran non si sia fatta sentire proprio lì, a livello caratteriale prima ancora che tecnico-tattico.

Perché il Varese che scende in campo nella ripresa è assolutamente un’altra squadra. Molto più concentrata e aggressiva, cerca di schiacciare il Padova nella propria metà campo. Con gli ospiti che, dal canto loro, si lasciano soggiogare dal nuovo approccio alla partita messo in campo dagli avversari, e lasciano il campo alla squadra di casa.

Ecco quindi come arrivano i tre goal dei Biancorossi. Che sarebbero pure potuti essere di più se il sempre ottimo Perin non avesse messo in mostra tutto il suo repertorio.

Dopo il goal di Cacciatore, che sblocca la partita, arriva il rigore di Cellini a chiudere il match e la botta da fuori di Kurtic a metterci la giusta ciliegina.

Non tutto è oro ciò che luccica, comunque. I limiti di questa squadra, che ha sicuramente cambiato volto rispetto ad un mesetto fa, sono comunque ancora evidenti.

In particolar modo è il reparto offensivo a preoccupare, laddove l’incisività è chiaramente latente e la creatività, senza Neto, è limitata agli esterni di centroacampo.

A margine della partita qualche considerazione sparsa.

Innanzitutto bisogna dire che Maran sta sicuramente dimostrando ottime cose, e chissà che Varese non faccia da trampolino di lancio per lui come fu per Sannino. Ma, altresì, che i giocatori una parte – consistente – della responsabilità per la partenza un po’ stentata non possono che averla.

Certo, l’addio di Sannino, le tante partenze estive e i rumors di mercato non concretizzati (che quindi forse hanno lasciato l’amaro in bocca a qualche giocatore, voglioso di seguire i Pesoli e i Pisano in Serie A) hanno sicuramente contribuito a creare un ambiente elettrico, ma carico di energia negativa. E lì, probabilmente, mister Carbone non ha saputo agire adeguatamente sulla psiche dei propri giocatori.

Che però, appunto, avrebbero dovuto approcciarsi alle partite diversamente. Perché tre vittorie di fila oggi non possono certo essere frutto del lavoro tattico fatto da Maran. Ma di una svolta dal punto di vista psicologico.

Per ciò che concerne il Padova, invece, appare chiaro come una squadra che voglia puntare dritta alla A non possa presentarsi con una difesa che, nel complesso, lascia un po’ a desiderare.

In particolar modo non convince affatto una coppia come Legati-Schiavi. Forse qualcosa, in futuro, bisognerebbe fare, là dietro.

Infine Perin. Già due anni fa dissi che questo aveva i mezzi per poter puntare dritto alla nazionale maggiore. E lo ribadisco.

Se solo nel calcio italiano ci fosse più coraggio e si desse più fiducia ai giovani Perin oggi sarebbe titolare fisso di una buona squadra di Serie A.

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