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Correva l’anno 1989.

Anno in cui nacque ufficialmente il World Wide Web, in cui a Sheffield 96 tifosi perdono la vita nella tragedia di Hillsborough, in cui il Milan conquista la sua terza Coppa dei Campioni battendo 4 a 0 in finale lo Steaua Bucarest, ed in cui, soprattutto, cade il muro di Berlino.

Proprio per quest’ultimo avvenimento noi, ancora oggi, ricordiamo quell’anno.

Eppure… eppure calcisticamente parlando proprio nel 1989 si giocò un Mondiale in cui vennero sovvertiti i valori che un qualunque appassionato di calcio conosce.
Proprio in quel 1989 si giocò un Mondiale che vide Portogallo, Brasile, Argentina e Germania venir spazzate via da avversari dal valore teoricamente molto più modesto.
Proprio in quel 1989, soprattutto, l’Arabia Saudita salì inopinatamente sul tetto del mondo.

Ma partiamo dal principio.

Ovviamente, non stiamo parlando di un Campionato Mondiale riservato alle nazionali maggiori, bensì di uno riservato alla categoria under 16 (oggi under 17).

In quell’ormai lontano 1989, infatti, proprio nei giorni in cui la Birmania viene rinominata in Myanmar ed in cui fallisce un attentato ai danni del giudice Giovanni Falcone alcune delle rappresentative giovanili di diversi paesi del mondo – qualificatesi tramite i propri tornei continentali – si ritrovano in Scozia per darsi battaglia nella terza edizione di questo torneo.

Le favorite d’obbligo non possono che essere Brasile, Argentina e Portogallo sopra a tutte. Con, eventualmente, Germania (dell’est) e Nigeria (vincitrice della prima edizione, quattro anni prima) a fare da clienti scomodi.

La realtà dei fatti, però, è che il tasso tecnico non è elevatissimo. Scorrendo le liste dei calciatori convocati, infatti, si scopre che anche le nazionali dalla tradizione solida non presentano un gran numero di talenti eccezionali.

Il Gruppo A è quello dei padroni di casa scozzesi. Con loro Bahrein, Cuba e Ghana.
Sulla carta non dovrebbe esserci molto da discutere: via asiatici e centramericani, al turno successivo la compagine europea e quella africana.

Impresa riuscita solo a metà: se dopo lo 0 a 0 iniziale tra le due compagini gli scozzesi cambiano marcia contro Cuba (3 a 0) per poi assicurarsi il secondo posto pareggiando col Bahrein, i ghanesi rimediano solo una sconfitta ed un altro pareggio. Il raggruppamento è quindi vinto dal Bahrein, che passa alla fase ad eliminazione diretta a braccetto con la nazionale ospitante.

Ghana di Nii Lamptey che sfrutterà quindi l’occasione più che altro per accumulare esperienza internazionale. Una scoppola che aiuterà questi ragazzi, in vero mediamente più giovani rispetto agli avversari, a presentarsi pronti due anni più tardi in Italia, quando vinceranno il primo Mondiale under 17 della storia (con l’allora giocatore degli Young Corners votato miglior giocatore del torneo).

Nel Girone B le cose vanno invece come ci si aspetterebbe: la Germania dell’Est, in cui spicca giusto il nome di Frank Rost, regola prima l’Australia (1 a 0) e poi gli Stati Uniti (5 a 2), prima di perdere 2 a 1 col Brasile, passando comunque come prima del girone.
Verdeoro che dal canto loro presentano una squadra assolutamente non all’altezza della situazione (il giocatore che ha compiuto la carriera migliore è Anderson Lima Veiga, un’ottantina di presenze nel Gremio). Sconfitti 1 a 0 dagli USA all’esordio si rifanno col 3 a 1 all’Australia, prima di centrare il secondo posto grazie alla vittoria succitata contro i tedeschi.

A casa ci vanno così, ma come era lecito attendersi a bocce ferme, l’Australia di Schwarzer, Kalac, Popovic e Corica e gli Stati Uniti di Claudio Reyna.

Anche il Gruppo C non regala grandi sorprese: la Nigeria spazza 4 a 0 il Canada all’esordio, impatta 0 a 0 con l’Argentina e poi vince 3 a 0 contro la Cina. La Seleccion invece non va oltre lo 0 a 0 anche contro gli asiatici, ma si rifà all’ultima giornata, col 4 a 1 sul Canada.
Cina che viene così quindi eliminata nonostante sia stata capace di raccogliere 3 punti.

Il Gruppo D, infine, vede una seconda sorpresa: Colombia a casa.

A passare è quindi, come preventivabile, il Portogallo di Figo, che si prende la testa del girone grazie al 2 a 2 con l’Arabia Saudita, al 3 a 2 proprio sui colombiani ed all’1 a 1 finale contro la Guinea. Assieme ai lusitani accedono ai quarti anche gli arabi, che chiudono il proprio cammino in questa fase pareggiando anche con gli africani (2 a 2) per vincere poi l’ultima gara contro la Colombia.

Ma è a partire dai quarti che si capisce come questo Mondiale sia deputato a cambiare, almeno per un’estate, la geografia pallonara globale.

Nella prima gara il Bahrein riesce ad imporsi, in maniera più che sorprendente, sul Brasile. Solo ai calci di rigore, ok, ma chi mai potrebbe scommettere che una rappresentativa giovanile del piccolo arcipelago del Golfo Persico possa battere non dico una nazionale verdeoro, ma anche solo undici parietà brasiliani qualsiasi?

Il secondo quarto non è da meno: la Nigeria di Ikpeba deve inchinarsi, anche in questo caso ai rigori, all’Arabia Saudita.
E probabilmente fu proprio qui, il 17 giugno del 1989, che nacque la leggenda di Mohamed Al-Deayea, estremo difensore capace di raccogliere poi ben 172 caps con la nazionale maggiore.
Quattro rigori vennero battuti dagli africani (Edon, Umoru, Mancha, Anazonwu), nessuna rete. Quanti possano essere stati parati dal portierone ex Al Ta’ee ed Al-Hilal non mi è dato saperlo. Ma di certo ci avrà messo del suo.

Anche il terzo quarto riserva una piccola sorpresa: la Scozia di Paul Dickov si impone sulla Germania Est per 1 a 0, rete di John Lindsay all’ottantesimo.

L’ultimo quarto di finale, infine, è il più equilibrato: l’Argentina di Roberto Abbondanzieri passa in vantaggio all’ottavo minuto, ma prima Figo e poi Tulipa ribaltano il risultato, regalando il passaggio del turno ai lusitani.

Che, a questo punto, restano l’unica squadra tra quelle accreditate ancora in corsa. In pratica, una vittoria scontata.

E invece il Dio del Pallone ha proprio deciso che questo non possa essere un Mondiale come gli altri.

Così in semifinale i portoghesi devono inchinarsi ad un goal di Brian O’Neil, ed accontentarsi della finalina.

Nell’altro match, invece, le due squadre arabe si fronteggiano nella riedizione dell’AFC under 16 Championship dell’anno precedente. Il risultato è simile: si passa dal 2 a 0 all’1 a 0, sempre in favore dei sauditi.

Così mentre il Portogallo, a quel punto senza più tensioni, si sbarazza facilmente dello stesso Bahrein e si aggiudica la medaglia di bronzo (doppietta di Tulipa e goal di Gil Gomes, Figo suo malgrado perdente in nazionale anche a livello giovanile).

Dalla finale non si sa invece cosa aspettarsi: la Scozia ha dimostrato solidità e determinazione, e certo è aiutata dal fattore campo. Un aspetto che molti valutano come determinante.
Nel contempo, però, questo è stato il Mondiale delle sorprese assolute: il Portogallo di Figo ed Abel Xavier sul gradino più basso del podio, Brasile, Argentina e Germania (per quanto dell’est) estromesse anzitempo. Che possa essere un segno divino a favore di una carta che non era accreditata di grosse chance, alla vigilia?

Beh, come avrete capito quello del 1989 fu un Mondiale in cui davvero ne successero di cotte e di crude. Ed in cui, alla fine, furono proprio i sauditi ad arrampicarsi sul tetto del mondo, grazie al solito Al-Deayea. La partita si risolse infatti ai rigori, con due parate del portierone arabo.

Certo, va detto che qualche scozzese – almeno tra quelli presenti in campo – probabilmente ripenserà ancora oggi a quella partita, che avrebbe potuto rappresentare forse anche il punto più alto in carriera raggiungibile da molti di loro.

Dopo venticinque minuti, infatti, la Scozia padrona di casa conduceva 2 a 0, grazie alle reti di Downie e Dickov. Poi, nella ripresa, il crack, i goal di Sulaiman ed Al Teriar a ristabilire il pareggio e, dopo due tempi supplementari ininfluenti ecco lo psicodramma dei rigori.

Ed il Mondiale che così, inusitatamente, vola in Arabia Saudita.

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Byrne (a destra) e Foy (a sinistra): sono loro a segnare i goal decisivi della semi e della finale che consegnano all’Irlanda il titolo di Campionessa Europa under 16 nel 1998

Il primo gennaio del 1998 ero un ragazzino come tanti, reduce da un capodanno passato in famiglia e con una passione che mi bruciava dentro: quella per il calcio.

All’epoca seguivo quanto riuscivo, grazie alle risorse di cui disponevo. Internet non era ancora in auge quanto lo è ora (iniziai proprio qualche mese dopo a navigare, ma la rete era ancora piuttosto grezza e rudimentale rispetto ad oggi) e solo un amore smisurato, quasi folle, mi permetteva di spingermi sempre un passo oltre.

Nemmeno io però, come credo nessun altro al mondo, mi sarei aspettato che quell’anno una piccola nazione anglosassone avrebbe dominato l’Europa.

Perché mentre l’attenzione di tutti era concentrata sui Mondiali di Francia, quelli che videro la nazionale di casa guidata da monsieur Zizou salire per la prima volta sul tetto del mondo, il movimento calcistico giovanile irlandese mise in riga un po’ tutto il continente andando a vincere ben due titoli su tre.

Fatto salvo l’Europeo under 21 – vinto dalla Spagna di Salgado, Angulo, Guti e Valeron – i Boys in Green conquistarono infatti le manifestazioni (all’epoca) under 16 e 18 (oggi diventate under 17 e 19).

L’8 maggio del 1998, giusto ad una settimana dal mio tredicesimo compleanno, l’Irlanda di John O’Shea superò per 2 a 1 – grazie alle reti di Keith Foy e David McMahon – i parietà italiani, conquistandosi una vittoria assolutamente insperata.

La magia però non era destinata a finire lì. Perché Brian Kerr, il coach capace di guidare per la prima volta una rappresentativa irlandese sul tetto d’Europa, non era ancora sazio.

L’incontenibile gioia di Brian Kerr

Incaricato di guidare tutte le nazionali giovanili del suo paese al di sotto dell’under 21, Kerr debuttò in una grande manifestazione al Mondiale under 20 del 1997, dove riuscì a stupire tutti.

Dapprima convocando tre ragazzi provenienti dalla League of Ireland (non limitandosi quindi a pescare tra quelli tesserati per squadre professionistiche inglesi). Poi, soprattutto, centrando un terzo posto assoluto totalmente inaspettato (i Boys in Green dovettero piegarsi in semifinale all’Argentina di Samuel, Cambiasso, Riquelme ed Aimar, poi campione).

L’anno successivo, quindi, l’imposizione all’Europeo under 16. E quella nella categoria under 18.

Una vittoria costruita tassello su tassello dal C.T. nativo di Dublino, che seppe capitalizzare al meglio un gruppo molto determinato e, soprattutto, il talento di quello che diverrà poi il recordman assoluto della nazionale maggiore: Robbie Keane.

La vittoria partì da lontano. Da quel girone qualificatorio disputatosi in Moldavia che vide gli irlandesi imporsi 4 a 2 sull’Azebaigian per poi regolare di misura i padroni di casa in quello che, di fatto, fu lo spareggio che consegnò a Kerr ed ai suoi ragazzi l’accesso al secondo turno.

L’urna fu piuttosto benevola ed accoppiò gli irish alla Grecia, regolata con un 1 a 0 in terra ellenica ed un successivo 2 a 0 casalingo. Una doppia vittoria che regalò all’Irlanda un biglietto per Cipro.

Ancora una volta, l’urna sorrise alla compagine in verde. Che venne inserita nel girone dei padroni di casa assieme a Croazia ed Inghilterra. Un girone non certo semplice ma sicuramente più abbordabile dell’altro, in cui si trovarono a scontrarsi Germania, Portogallo, Spagna e Lituania.

L’inizio col botto, probabilmente, illuse qualcuno, in Irlanda. O meglio, fece credere che il miracolo ottenuto solo due mesi prima dall’under 16 fosse replicabile anche da Keane e compagni.

La gioia incontenibile dei i ragazzi irlandesi: il sogno è diventato realtà

Nella prima gara del gruppo B, disputata contro la Croazia il 19 luglio di quell’anno, i Boys in Green dilagarono: ad aprire e chiudere il match fu Liam George, autore di una doppietta marcata al primo ed al novantesimo minuto. Eppure i croati non regalarono nulla: dopo il raddoppio firmato da Keane arrivarono prima la rete di Deranja e poi il pareggio di Bjelanovic (sì, lo stesso che oggi gioca a Varese, dopo un lungo peregrinare lungo tutto lo Stivale). Nel secondo tempo, però, gli irlandesi dilagarono grazie a Stephen McPhail e Richie Partridge, per un 5 a 2 che sospinse subito gli irlandesi al primo posto davanti ai cugini inglesi e che risulterà poi determinante ai fini della classifica avulsa.

A riportare un po’ tutta Irlanda coi piedi per terra, però, ci pensarono proprio Alan Smith e compagni, che due soli giorni più tardi si imposero per 1 a 0 nello scontro diretto, portandosi ad un solo punto dalla finalissima (all’epoca, infatti, il torneo prevedeva due gironi all’italiana da quattro squadre, con le prime di ogni raggruppamento qualificate direttamente alla finale).

Tutto sembrava perduto. Solo una vittoria – certo non impossibile – ottenuta ai danni di Cipro e soprattutto la contestuale sconfitta inglese contro i croati potevano assegnare, se la differenza reti lo avrebbe perso, l’accesso all’ultimo atto ai Boys in Green.

Eppure il miracolo avvenne: il 23 luglio gli inglesi caddero inopinatamente contro la Croazia (un 3 a 0 che sancì l’eliminazione diretta dei primi, con i secondi qualificati alla finale terzo-quarto posto vinta poi ai rigori contro il Portogallo).
Lo stesso risultato maturò in Irlanda-Cipro: ad aprire le marcature fu Barry Quinn, che al 19esimo incornò bene un preciso cross di Dunne per l’1 a 0. Ad inizio ripresa toccò quindi alla star indiscussa della squadra, Robbie Keane, raddoppiare: una magia disegnata apposta per liberarsi al tiro, scaricato con tutta la forza del proprio destro sotto la traversa, a freddare il malcapitato portiere cipriota. Keane che per non farsi mancare niente a dodici minuti dal termine triplicò, andando a raccogliere un assist di Partridge per depositare poi la sfera in rete con un tocco delizioso.

Ottenuto l’accesso alla finale grazie alla classifica avulsa (Irlanda, Croazia ed Inghilterra terminarono tutte a quota sei punti la prima fase), Kerr ed i suoi ragazzi si prepararono per l’ultimo atto, che li avrebbe consegnati – loro assieme a tutto il paese – alla storia del calcio.

La spedizione irlandese festeggia la vittoria finale

A frapporvisi, un solo avversario. Il più tosto: la Germania di Hildebrand, Kehl e Deisler, autentiche star del calcio giovanile mondiale dell’epoca.

La situazione, nel raggruppamento A, non era molto diversa rispetto a quanto accaduto nel B: tre squadre a 6 punti, coi tedeschi primi grazie alle due spaventose vittorie contro Lituania (7 a 1) e Spagna (4 a 1).

Tedeschi che probabilmente quel 26 luglio del 1998, ovvero giusto due settimane dopo che la Francia seppe liberarsi del Brasile nella finalissima Mondiale del Saint-Denis, si sentivano già un po’ Campioni d’Europa. E che forse percepivano un po’ anche la responsabilità di lavare l’onta di quel pesantissimo 3 a 0 con cui la nazionale maggiore croata aveva, ad inizio mese, spezzato i sogni iridati di un intero popolo.

Beh, non so cosa passò nelle teste dei giovani teutonici quel giorno. So solo che se davvero pensavano di aver vita facile sbagliarono di grosso i propri conti.

I giovani irlandesi non volevano infatti essere da meno rispetto ai propri compatrioti dell’under 16. E arrivati lì non potevano lasciarsi scappare un traguardo così ghiotto, mai raggiunto prima da nessuna rappresentativa under 18 del proprio paese.

Così, per un giorno, Keane e compagni si vestirono da eroi. Perché solo degli eroi potevano respingere le avanzate tedesche, con orde di giovani calciatori galvanizzati dalle prospettive di vittoria ad invadere l’area dei Boys in Green, epici però nel mantenere la propria rete immacolata.

La favola iniziò a concretizzarsi a venti minuti dal termine, quando gli irish passarono in vantaggio: Alan Quinn, subentrato nell’intervallo a Crossley, lancia George sulla destra. La punta nativa di Luton si fa trovare pronto, raccoglie, conduce e serve Keane, che restituisce allo stesso Quinn. Da lui era partita l’azione, con lui doveva concludersi: 1 a 0.

Alan Quinn e Robbie Keane con tanto di trofeo

Il tripudio che ne segue non distrae i Boys in Green, che sfruttano il vantaggio adottando una tattica tipicamente italiana: attendismo e ripartenze. Dare quanto più campo possibile ad avversari resi ciechi dalla foga di trovare il goal del pareggio e provare a colpire in contropiede.

Qualcosa però sembra incepparsi. Qualcuno, probabilmente, avrà pensato che la buona stella degli irlandesi era andata a spegnersi sul più bello.
Keane e George falliscono infatti i goal del possibile knock-out. E a dieci secondi dal termine Andreas Gensler sfrutta un passaggio a vuoto della retroguardia irish e insacca il goal del pareggio, che spedisce le due squadre ai supplementari.

A quel punto tutti sono convinti che sia finita. L’inerzia del match passa spaventosamente dalla parte dei tedeschi. Un pareggio subito proprio a impresa ormai compiuta è una botta morale che distruggerebbe psicologicamente un po’ tutti.

Ma quel giorno l’eroismo, la grinta e la compattezza dei ragazzi di Kerr supera ogni altra cosa. I Ragazzi in Verde si sentono pronti a sovvertire ogni regola non scritta del calcio. E la cosa evidentemente intimorisce Deisler e compagni.

I tempi supplementari passano così senza grandi effetti, andando solo a togliere ulteriori energie ai ventidue in campo.

Ai rigori, la gloria è tutta per Alex O’Reilly. Keane macchia infatti il proprio splendido europeo con un errore dagli undici metri che costerebbe carissimo, se solo l’estremo difensore all’epoca in forza al West Ham non decidesse di disinnescare le conclusioni di Tobias Schaper ed Andreas Voss.

Così dopo le realizzazioni firmate da Casey, Donnelly e Barry Quinn è Liam George a presentarsi sul dischetto: la palla buca la rete, l’Irlanda alza il suo secondo trofeo giovanile nell’arco di settantasei giorni e i sogni corrono subito in avanti.

Liam George e Brian Kerr festeggiano la realizzazione dell’ultimo, decisivo, rigore: la Repubblica d’Irlanda è Campionessa Europa under 18 per la prima volta nella propria storia!

Con Campioni d’Europa come O’Shea, O’Reilly, Quinn, George e soprattutto Robbie Keane dove potrà arrivare, in breve tempo, la nazionale maggiore irlandese?

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