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Archive for 19 giugno 2014

Tutti i diritti riservati all’autore. Nel caso si effettuino citazioni o si riporti il pezzo altrove si è pregati di riportare anche il link all’articolo originale.
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Ieri si è consumata la rovinosa eliminazione della nazionale spagnola, Campionessa del Mondo in carica, dai Mondiali brasiliani.

Ancora una volta, quindi, non solo i precedenti campioni non sono riusciti a confermarsi, ma hanno anzi rimediato una figura barbina.

Nulla di strano o di nuovo, insomma.

Del resto nel corso della storia solo due nazionali sono riuscite nell’impresa: l’Italia di Pozzo, capace di vincere in serie le rassegne iridate del 1934 e del 1938, ed il Brasile di Pelè, vittorioso sia nel 1958 che nel 1962.

E poi?

E poi per lo più figure barbine, almeno in tempi recenti.

A cominciare proprio dal naufragio spagnolo ai Mondiali in corso, con una squadra la cui dorsale storica è ormai per lo più sul finire di carriera, ed un Del Bosque che non ha avuto il coraggio di rinnovare la rosa, tagliando nomi eccellenti che però poco avevano da dare, almeno in quanto ad intesità, a questa squadra.

Un discorso simile vale anche per il Mondiale del 2010, quando i campioni in carica eravamo noi: ultimo posto in un girone più che morbido, frutto dei due pareggi iniziali con Paraguay e Nuova Zelanda e del collasso finale rimediato contro la Slovacchia.

Le cose andarono meglio, ma comunque sotto alle aspettative, al Brasile quattro anni prima, in Germania. Girone dominato grazie alle vittorie su Croazia, Australia e Giappone, secco 3 a 0 al Ghana agli ottavi e poi la sconfitta rimediata ai quarti ad opera della Francia, griffata da un goal di Titì Henry.
Non arrivare alle semifinali, per una squadra come il Brasile (più che mai se campionessa in carica) è considerabile un fallimento.

Altra eliminazione pesante si era compiuta nel 2002, quando a presentarsi col titolo di campione del mondo (e d’Europa) fu la Francia. Inserita in un gruppo certo non proibitivo, la nazionale transalpina partì venendo sconfitta 1 a 0 dal Senegal, pareggiò 0 a 0 con l’Uruguay e cedette 2 a 0 al cospetto della Danimarca all’ora dell’ultimo match del girone, tornando quindi a casa con le pive nel sacco (ed un bottino di reti segnate che recitava ZERO, nonostante in rosa ci fossero attaccanti come Cissè, Wiltord, Henry, Trezeguet e Dugarry).

Per ritrovare una nazionale capace di fare davvero bene presentandosi ai nastri di partenza da campione in carica dobbiamo quindi risalire addirittura a Francia 98, quando il Brasile seppe arrivare sino in finale per cedere solamente sotto i colpi dei padroni di casa (e di uno Zidane straordinario).
Ma quello era il Brasile di un campione eccezionale come Ronaldo (presente al trionfo di quattro anni prima pur senza giocare, ed a quello di quattro anni dopo quando invece si laureò capocannoniere) e tanti altri giocatori eccellenti.

Poi?

Nel 1994 la Germania vinse il proprio girone – piuttosto comodo, posto che oltre alla Spagna vennero sorteggiati con Corea del Sud e Bolivia -, battè di misura il Belgio agli ottavi e cedette al cospetto della Bulgaria di Stoichkov ai quarti, venendo eliminata anzitempo dalla competizione.

Bene invece l’Argentina nel 1990. In Italia Maradona e i suoi seppero infatti arrivare sino in finale, venendo battuti solo da un calcio di rigore del terzino Andreas Brehme.

Nell’86 Italia fuori agli ottavi (eliminata dalla Francia di Platini, poi terza), nell’82 Argentina – di Maradona – fuori nella seconda fase a gruppi (per mano dell’Italia, che in quel turno fece fuori anche il Brasile di Zico e Socrates), così come la Germania Ovest del 78 (che finì dietro ad Olanda ed Italia). Il Brasile del 74 seppe invece arrivare quantomeno in semifinale, terminando poi quel Mondiale al quarto posto, mentre nell’edizione precedente gli inglesi vennero fermati ai quarti dai tedeschi. Nel 66, ancora, il Brasile di Pelè e Garrincha si fermò addirittura al primo turno, battendo 2 a 0 la Bulgaria all’esordio per poi cedere sotto i colpi dell’Ungheria di Bene e del Portogallo di Eusebio.

Insomma, quello del Campione in carica ad un Mondiale è un ruolo davvero scomodo, che solo raramente riesce ad essere interpretato con efficacia da chi si trova a recitarlo.

I motivi possono essere molteplici: appagamento, imbolsimento, fine di un ciclo… o anche incapacità di aprirne uno nuovo, troppa pressione, ricambi non all’altezza.

Sia come sia, non c’è da stupirsi se la Spagna abbia fallito a questo Mondiale. La storia racconta che sarebbe stato più strano il contrario…

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Quattro anni fa, in occasione di Sudafrica 2010, partecipai al FantaMondiale organizzato dai ragazzi del forum di PlayItUSA, che al tempo frequentavo assiduamente.

Accoppiato nella gestione della squadra al buon Hispa, co-gestii con lui il draft che avrebbe dovuto formare la rosa con cui affrontare, inizialmente, il primo turno della competizione.

Così al fianco dei giocatori più forti e di nome (sinceramente, non saprei dire chi prendemmo) ecco alcune chicche, classiche in ogni mio FantaGioco (puntare solo gente affermata mi annoia e non mi diverte): l’algerino Boudebouz, lo slovacco Stoch, il coreano Ki.

E proprio di quest’ultimo voglio parlarvi oggi.

Nato a Gwangju il 24 gennaio dell’89, ha ormai raggiunto un certo livello di maturità calcistica. E così se all’epoca della rassegna iridata africana il nostro militava da poco al Celtic, oggi il ragazzo cresciuto nel John Paul College è reduce da una stagione in prestito al Sunderland, in cui ha disputato un totale di 34 match realizzando 4 reti ed aiutando il club nella rincorsa verso la tanto agognata salvezza (il tutto dopo che l’anno precedente aveva fatto lo stesso con la maglia dello Swansea, detentrice del cartellino).

La sua carriera è particolare. Svezzato, come detto, al John Paul College di Brisbane, Australia, all’età di sedici anni riceve due offerte da club professionistici: da una parte i Roars, squadra locale, hanno notato le sue qualità, e non vogliono farselo scappare. Dall’altra l’FC Seoul, squadra della capitale coreana, vuole riportare in patria un talento tanto scintillante. E lui, alla fine, opta per questa scelta.
Quattro anni ed ecco il passaggio in Scozia, ai Celtic. Che nel 2012 lo cederanno allo Swansea. Il resto è storia recente.

Il suo esordio a questo Mondiale (presenza numero 59 per lui con la maglia dei Taeguk Warriors) è stata notevole: le Tigri Asiatiche hanno fronteggiato egregiamente la Russia di Fabio Capello, una delle squadre attese al varco in questo Mondiale, rischiando di uscire dal campo con tre punti in saccoccia.

In tutto questo una – ennesima – ottima impressione l’ha destata proprio il regista tempratosi in quel di Glasgow. Partita ordinata e pulita la sua, che ha gestito in maniera sapiente, pur senza eccellere, il reparto nevralgico della propria squadra, che è così girata e gravitata tutta attorno a lui.

Tecnicamente ha poco da imparare: tocco felpato, buona visione di gioco, capacità di fraseggio nello stretto e di lancio lungo all’occorrenza.
Tatticamente è cresciuto nel corso degli anni, diventando un buon playmaker abile nel giocare come regista basso di centrocampo.
Fisicamente è ormai più che formato, con un fisico longilineo che oppone i suoi 187 centimetri di altezza ai 75 chilogrammi di peso.

Oggi, nonostante la sua ancor pur in qualche modo giovane età, è uno dei punti di forza della sua nazionale e pronto ad entrare appieno al centro di un progetto tecnico stimolante.

Al Sunderland lo volle Di Canio, che vedeva nella sua qualità tecnica una possibile chance di salto di qualità per i suoi Black Cats. Ora dovrebbe tornare allo Swansea, e chissà cosa ne sarà di lui.

Di certo, in Italia farebbe comodo a tanti. Forse anche a chi, come la Juventus, un regista già ce l’ha, ma deve iniziare a pensare quantomeno ad un suo backup. Pensare ad un sostituto di Pirlo per il futuro è dura, ma quantomeno un giocatore in grado di far rifiatare già oggi, alla bisogna, il fenomeno bresciano servirebbe.

Se non alla Juve, comunque, ecco che tante altre squadre potrebbero rivolgersi a lui. Magari non quel Napoli che poi lo dovrebbe far giocare in un centrocampo “a 2”, in cui potrebbe faticare un po’. Ma certamente sarebbe un colpo interessante per chi giocherà l’Europa League, che sia la Fiorentina (Montella ha avuto proprio nel regista, Pizarro, uno dei punti di forza del suo progetto) o il Torino (temo però manchino i soldi, nonostante Immobile). Per non dire dell’Inter, dove però potrebbe entrare in conflitto – tecnico – con Kovacic, talento da preservare e valorizzare.

Infine Ki potrebbe essere un acquisto adattissimo al Milan, che di qualità a centrocampo – dopo la scellerata gestione Allegri – ne ha proprio poca.

Inserito in un contesto in cui può trovarsi a giocare al fianco di corridori come Poli e Muntari o giocatori esperti come De Jong penso che il coreano d’Australia potrebbe contribuire ad innalzare il tasso tecnico della squadra.

Transfermarket parla di un valore di mercato tutto sommato accessibile, posto a 6,5 milioni. Un investimento sicuramente non da poco per un calcio, quello italiano, in cui i soldi mancano ormai da tempo.

Ma del resto quando non si battono certi mercati (come quello orientale, appunto) non si può che arrivare tardi.

Ed in caso di mancanza di alternative, l’acquisto di un giocatore con talento ed eleganza come Ki Sung-Yeung potrebbe pagare…

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