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Ma se la Catalogna arrivasse davvero ad ottenere l’indipendenza, cosa ne sarebbe del Barcellona?

Chi mi conosce da tempo sa che raramente mi discosto da questioni strettamente calcistiche, di campo. Questa volta mi perdonerete lo strappo alla “regola”.

Partiamo dal principio: per farla molto breve, i catalani hanno da sempre un fortissimo spirito identitario ed un certo qual moto indipentista in sé.

Se vi è mai capitato di parlare con qualche catalano della cosa, questo vi spiegherà che tutto ciò ha radici profonde ed importanti nella storia del paese e del loro “popolo”, che si rifà ad esempio alla repressione franchista vissuta in uno dei momenti più bui della storia spagnola.

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Beh, come molti di voi avranno sicuramente quantomeno sentito dire, lo scorso 27 settembre si sono consumate le elezioni in Catalogna, vinte – come da previsione – dalla coppia di partiti indipendentisti conosciuti come “Junts pel sì” e “Cup“.

I due, uniti dalla comune matrice indipendentista, hanno quindi ottenuto la maggioranza dei seggi, 72 su 156, anche se non la maggioranza assoluta dei voti, fermandosi ad un comunque ottimo 47,8% totale (diviso con il 39,5% del totale appannaggio dei primi ed il rimanente 8,3% appannaggio dei secondi).

Da subito i leader dei due movimenti hanno lanciato i propri strali: “Nelle prossime settimane metteremo le basi per l’indipendenza dalla Spagna” il messaggio, chiaro, lanciato da Artur Mas. Con un altrettanto significativo “Spagna, adios” pronunciato da Antonio Banos.

Come si lega e si riflette, tutto ciò, al e sul calcio?

Semplice: qualora la Catalogna ottenesse davvero l’indipendenza (nota bene: la Corte Costituzionale spagnola ha revocato la mozione sull’indipendenza catalana approvata lo scorso mese dai neo eletti parlamentari della regione iberica, ma la situazione resta tutta in divenire) si porrebbe la questione Barcellona, non proprio un club di poco conto sullo scenario calcistico mondiale.

Oggi la squadra allenata da Luis Enrique è indubbiamente la più forte del mondo.

Campionessa europea in carica, con ogni probabilità futura campionessa del mondo, ha un mix di talento pazzesco, soprattutto in fase di costruzione e di conclusione del gioco.

Un trio offensivo Messi – Suarez – Neymar (la famosa “MSN” di cui si parla in questi mesi) è qualcosa di più unico che raro. Nella storia del calcio, non solo sullo scacchiere mondiale odierno.

In più, il Barcellona è anche una macchina da soldi (l’ultimo fatturato parla di  un giro d’affari di 566 milioni, solo 12 in meno del Real Madrid), che può spostare gli equilibri di un campionato intero, con la sua presenza o il suo addio.

Logico quindi che un calciofilo come il sottoscritto non può non farsi stuzzicare dalla domanda “dove giocherà il Barcellona in caso di indipendenza catalana?

Le ipotesi sono, di fatto, tre.

Quella che nell’immediato ritengo meno probabile e realizzabile, ma che in compenso potrebbe avere degli sviluppi futuri anche a prescindere dall’eventuale lotta per l’indipendenza della Catalogna, è la nascita di una nuova entità sovranazionale, una sorta di “campionato iberico“.

Di questo pare che le due leghe stiano già parlando, che ci sia quantomeno un’idea – pur ancora primitiva – in discussione.

Senza volermi soffermare troppo sulla bontà o meno di un’idea che di fatto prelude a quella famosa “SuperLega Europea” di cui spesso abbiamo sentito parlare, è indubbio che qualora questo torneo transnazionale dovesse partire prima di una sopraggiunta indipendenza catalana risolverebbe ogni problema in partenza: la Catalogna, geograficamente, resterebbe ovviamente parte della penisola iberica e non credo ci sarebbero problemi, a quel punto, ad inglobare anche il Barcellona in questa competizione.

La seconda chiama invece in causa l’ultimo articolo pubblicato su questo blog, quello riguardante il Club Atlético Tetuán, unico club nella storia della Liga a non essere geolocalizzato entro i confini spagnoli.

Una peculiarità oggi non più replicabile, posto che le regole, nel frattempo cambiate, spiegano bene come ai campionati di Spagna possano partecipare solamente squadre di quel paese.

E Barcellona, in caso d’indipendenza catalana, non sarebbe più una città spagnola.

La terza, infine, è ancor più particolare e chiama in causa il Primo Ministro di un altro stato, la Francia.

Manuel Valls, infatti, è un politico francese nato guarda caso a Barcellona, nonché socio del club blaugrana.

Proprio da lui, ormai più di un mese fa, arrivò un’apertura importante alla possibilità di vedere la sua squadra del cuore partecipare al “Campionato Esagonale”, tanto da guadagnarsi addirittura la prima pagina del quotidiano sportivo “AS”, in luogo di un Messi o un Ronaldo.2anlutc

Non essendo esperto di geopolitica non mi azzarderò a dire se le velleità indipendentiste catalane abbiano o meno possibilità di concretizzarsi e se quindi, tra qualche tempo, dovremo davvero porci il problema “dove andrà a giocare il Barcellona?”

Di certo credo che se prendessimo per buona un’indipendenza catalana a breve-medio giro di posta, ne vedremmo delle belle. Perché il Barcellona è ormai un colosso economico e di marketing prima che sportivo. Il che significa che la stessa Liga, pur con tutte le frizioni che nascerebbero nel caso, non potrebbe far altro che spingere per mantenere in sé i blaugrana, anche arrivando a ri-modificare l’attuale regolamento.

Chissà, magari a sessant’anni dallo scioglimento del Club Atlético Tetuán arriveremo a vedere un altro club non spagnolo partecipare al loro campionato…


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Il nostro perdurante viaggio nell’universo calcistico globale ci porta oggi a fare tappa in Spagna. Ad attenderci nel virtuale aeroporto della capitale c’è Alfonso Alfano, cofondatore del sito TuttoCalcioEstero.it.

Con lui andiamo quindi ad esplorare il mondo calcistico spagnolo, tra un campionato in salsa Colchoneros, la Decima della Casa Blanca, la possibile fine del Tiki Taka ed il fallimento Mondiale spagnolo.

Atletico Madrid campione. Chi se lo sarebbe mai aspettato?

Nessuno, francamente; spezzare il duopolio Real Madrid-Barcellona era impensabile dieci anni fa, quando lo squilibrio economico tra le due potenze e il resto della Liga non era marcato come oggi, e giustamente fu celebrata l’impresa del Valencia. Ho avuto modo di vivere la cavalcata dell’Atletico, mese dopo mese, al fianco di veri tifosi “colchoneros”, quelli che dicono con orgoglio “ero abbonato anche in Segunda”; e nemmeno loro se l’aspettavano. Ti dirò di più, aspettavano quasi con rassegnazione il crollo, la domenica che si trasformava in tragedia. La sconfitta ad Almeria poteva significare la fine del sogno, ma sappiamo poi com’è andata…

Barcellona zeru tituli. E’ la fine definitiva di un ciclo, o il Barcellona potrà tornare a vincere da subito anche cambiando il minimo?

Il ciclo del Barcellona è finito con l’addio di Guardiola. Tito Vilanova, amatissimo oggi ma criticato a suo tempo, riuscì a sfruttare l’onda vincente di quella fantastica squadra vincendo la Liga dei “cento punti”. Ma, né in Europa né in campionato, si rividero gli stessi lampi dell’era Pep. Ovvio, non dovrà rivoltare la squadra come un calzino, ma Luis Enrique percorrerà un’altra strada. Inizia l’era del dopo-Xavi, è già un cambiamento epocale. Col ritiro di Puyol, poi, sarà l’annata decisiva per Bartra, uno che sta già tardando ad esplodere ai massimi livelli. Sarà curioso, e affascinante, assistere alla nuova era blaugrana.

Real campione d’Europa. Cosa vuol dire la “Decima” per i tifosi madridisti?

La Decima era un’ossessione, l’ha ammesso dopo Florentino Perez. Un’ossessione dolce, considerato che si parla della decima Champions, non della prima. Un’ossessione che si poteva “respirare” al Bernabeu, durante il celeberrimo tour all’interno dello stadio. C’era lo spazietto riservato alla Decima; oggi è la coppa mostrata con più orgoglio, il Madrid è stato scelto dalla Fifa come il club più grande del secolo scorso, vuole continuare la sua leggenda anche in questi decenni. E la Champions è l’unico viatico per continuare ad alimentare il mito.

Quattro Champions delle ultime nove sono volate in Spagna. Che ha dominato per anni anche a livello di nazionali. A cosa è dovuta questa incetta di trofei?

C’è cultura sportiva. Sembra scontato dirlo, ma le differenze a livello di strutture con altri paesi in cui ho vissuto, senza nemmeno contare l’Italia, sono lampanti. Nel calcio, poi, la svolta epocale è stato Aragones e il Mondiale del 2006. La Spagna ha nel sangue il “bel calcio” ma ha spesso peccato di scarso spirito competitivo, quello che ha permesso a noi di conquistare quattro stelle. E la loro “invidia” li portava a imitarci, giocavano contronatura. Il “sabio” ha invece cambiato la storia con quel Mondiale, oggi i giovani crescono senza complessi di inferiorità, senza manie di persecuzione (Tasotti, come lo chiamano qui, da queste parti è una celebrità…).

Tornando alla Liga, Ronaldo, Messi, Costa. Alle spalle di questi, Alexis Sanchez. Perché il Barcellona dovrebbe privarsene?

Il Barcellona non se ne priverà, almeno non secondo me. Sarebbe folle, senza contare che ritornare in Italia rappresenterebbe due passi indietro nella sua carriera. Alexis ha saputo guadagnarsi il rispetto di molti, ho l’impressione che con Luis Enrique possa essere ancora più importante al Barça.

Restando in ottica singoli, chi sono stati i migliori di questa stagione?

Per ruoli: tra i portieri Keylor Navas è stato semplicemente mostruoso, merita una big. Di Courtois sappiamo tutto, è stato decisivo per l’Atleti. Per la difesa scelgo in blocco quella dell’Atletico, scelta scontata ma dovuta; la menzione d’onore la merita però Filipe Luis, di gran lunga il miglior terzino sinistro al mondo (ditelo a Scolari). Benissimo anche Musacchio, in orbita Barcellona; sarebbe un gran colpo. Laporte, il francesino dell’Athletic, altro prossimo campionissimo. Centrocampo: Koke si è mantenuto su livelli altissimi durante tutta la stagione, lo stesso si può dire di Gabi. Rakitic, anche se con un leggero calo nel finale, ha incantato in tutti gli stadi dove ha messo piede, bene anche Rafinha nel Celta Vigo (tornerà da protagonista al Barça) e Iturraspe-Muniain a Bilbao. Inserisco qui anche Griezmann, un calciatore di cui sono “innamorato” da un po’ di tempo: è finalmente esploso, ne vedremo delle belle. In attacco, oltre ai soliti noti, prendo Bacca: ha prima stravinto il duello con Gameiro (che ha dovuto cambiar ruolo per avere più minutaggio), poi ha convinto a suon di gol e prestazioni convincenti. Lo seguivo nella Jupiler League, e sono contento sia arrivato già a questi livelli.

Siamo ormai tutti in clima Mondiale, ma il calciomercato non si ferma. Cosa ti aspetti in questo senso dalle varie squadre spagnole?

Escluse le tre big (l’Atletico comprerà in relazione alle cessioni), poco, molto poco. Come d’altronde è accaduto durante le ultime sessioni di calciomercato. I soldi scarseggiano, l’eventuale avvento di Lim a Valencia può ravvivare un pochino la situazione. Sarà così importante “riciclare” qualche ottimo calciatore finito nelle retrovie in qualche grande, o giovani che stentano a trovare spazio: Rafinha, Canales, Deulofeu all’Everton, hanno segnato la strada che devono seguire i club di fascia medio-alta in Spagna.

Proprio parlando di Mondiale, la spedizione spagnola è stata un fallimento. La squadra aveva, sulla carta, la rosa migliore del torneo…

Ne ero convinto anche io, l’ho scritto in giro a più riprese. Due scellerate partite non rappresentano comunque la fine di una leggenda. La Spagna, a differenza di quella pre-2006, giocherà una marea di semifinali e finali nei grandi tornei, puoi scommetterci.

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Incredibile ma vero, la Spagna dopo due sole partite è già fuori dal Mondiale.

Ebbene sì. La super nazionale capace di vincere consecutivamente due Europei, inframezzati da un Mondiale, ha ceduto il passo, di schianto, al cospetto di avversari di buon livello, ma sicuramente non eccezionali.

Partiamo dal principio: io non avrei MAI immaginato che le cose sarebbero potute andare così. Ok che il tempo passa, ma trovo fosse inimmaginabile che una squadra così talentuosa potesse collassare di punto in bianco.

E attenzione, non mi sono fatto fuorviare, in questo, dall’ottima stagione delle spagnole. Semmai ho pensato che la lotta così serrata nella Liga e l’ottima Champions delle due squadre della capitale avrebbe potuto minare, nell’atletismo, molti giocatori. Ma mai mi sarei aspettato di trovare una squadra così scarica, sotto ogni punto di vista, in Brasile.

Però tutti i cicli sono destinati a finire, e quello spagnolo l’ha fatto nel modo peggiore.

Andiamo a prendere la formazione titolare di quattro anni fa, quella che l’11 luglio del 2010 portò il paese per la prima volta nella storia sul tetto del mondo. Nel farlo noteremo subito come moltissimi di quei giocatori in campo all’ora erano presenti anche stasera al Maracana: Casillas, Ramos, Busquets, Alonso, Iniesta, Pedro… oltre a questi Torres, che entrò dalla panchina, più Fabregas, Xavi, Villa e Piquè, panchinati invece quest’oggi.

Questo ci dice quindi subito una cosa: il ricambio generazionale è stato minimo. E se alcuni di questi giocatori sono a tutt’oggi considerabili nel pieno della carriera, altri – come Xavi o Casillas – hanno invece dato già da qualche tempo evidente dimostrazione di non essere più i Campioni che furono.

Insomma, Casillas un po’ appassito (forse anche dalle tante panchine delle ultime stagioni), Puyol in pensione, Xavi ormai ex calciatore, Iniesta compassato, Villa ai margini della squadra… la dorsale che tanta fortuna ha portato alla Spagna (ed allargando il discorso, con la sola sostituzione di Valdes con Casillas, al Barcellona guardiolano dei miracoli) sta ormai entrando nel libro dei ricordi e la squadra ha risentito oltre modo della cosa.

In questo forse ha contato proprio lo stress derivato da una stagione che per i più è stata logorante, tra una Liga decisa solo all’ultima giornata ed una Champions che, appunto, ha portato ben due spagnole in finale.

Immagino però che ora in Spagna si apriranno i processi, ed il primo a salire sul banco degli imputati non potrà che essere il C.T., Del Bosque. Capace sì di sfruttare l’onda lunga dei successi barcelonisti per mettere in cascina Mondiale ed Europeo in rapida successione, ma anche incapace di cogliere i segnali di fine di un’epoca, non rinnovando una nazionale che avrebbe avuto bisogno di freschezza per reggere una ennesima prova così logorante, soprattutto da un punto di vista mentale.

Mai, nella storia recente, una squadra campione in carica si era presentata con così tanti reduci dall’edizione precedente ad un Mondiale, e questa scelta non ha – evidentemente – pagato.

Del Bosque che è il primo imputato per un motivo semplice: se nessuno di noi, da fuori, poteva immaginare un crack così fragoroso dell’equipazo spagnolo, lui, da dentro, non può non essersi accorto di nulla.

E a seguire, su quel banco, ci finiranno un po’ tutti.

Casillas, autore di due prestazioni mostruosamente brutte. Uno dei migliori portieri dell’ultima decade, senza ombra di dubbio. Troppo arrugginito per poter continuare ad essere arma in più, si è addirittura rivelata una trappola per i suoi.

Piquè, che senza la transizione negativa implicita nel cosiddetto “tiki-taka” si è dimostrato quello che io, prendendomi anche diversi insulti, ho sempre pensato fosse: un difensore normale, tecnicamente dotato oltre la media e forte di un buon fisico. Ma pur sempre un giocatore normalissimo.

Ramos, autore di una stagione strepitosa e probabilmente arrivato scarico a livello mentale a questo pur importantissimo appuntamento (dopo aver vinto già tutto in Nazionale, però, probabilmente sentiva più il “dovere” di vincere la Decima, che non di rivincere il Mondiale… ma sono meccanismi inconsci in cui è difficile entrare).

E via con Xavi, come detto ormai solo un ex giocatore (ben si capisce, ora, perché nel suo futuro prossimo c’è il Qatar), Iniesta – da cui ci si aspetta sempre un guizzo che negli ultimi mesi invece sembra non voler arrivare più – e Pedro (altro orfano del tiki-taka), Silva (uno dei migliori dei suoi) e Diego Costa (subissato giustamente di fischi dai suoi connazionali brasiliani, dopo il “grande tradimento”).

Su quel banco ci finiranno tutti ed è da quel banco che la Spagna dovrà trovare la forza di aprire un nuovo ciclo, inserendo quelle forze fresche che già ci sono all’interno del movimento iberico, ed aspettavano solo il momento giusto per emergere.

Del resto non dimentichiamolo: solo un anno fa la nazionale under 21 spagnola demoliva i parietà italiani nella finale dell’Europeo di categoria, mettendo in mostra un gran gioco e diversi talenti importanti.

Tra questi possiamo citare i due principali, ovvero sia Isco e Thiago Alcantara, già pronti a raccogliere in qualche modo l’eredità del duo Xavi-Iniesta.

Ma non solo questi due potenziali fenomeni. A livello giovanile la Spagna ha messo in mostra tanta qualità, con ragazzi di talento come De Gea, Montoya, Carvajal, Moreno, Illarramendi, Muniain, Morata, Jesè e molti altri. Davvero una nidiata, e parliamo solo di quelli che si sono già affacciati concretamente al mondo del professionismo, molto promettente, che potrebbe non far rimpiangere del tutto i fenomeni andati (o in declino).

Certo, ogni ricambio generazionale può comportare dei problemi. E proprio in questo dovrà essere brava, la Spagna: effettuare questo ricambio senza costernare i vecchi, comunque sempre autori di epiche battaglie e grandi trionfi, né bruciare i giovani, che devono avere il tempo anche di sbagliare, nel caso.

Venendo alla partita di stasera, solo un paio di considerazioni vorrei portare alla vostra attenzione, a margine del fatto che la squadra ha dimostrato ancora una volta di essere assolutamente scarica sia da un punto di vista mentale che fisico.

In primo luogo, il dato relativo ai passaggi. Giusti solo nell’83% dei casi. Un dato se vogliamo non bassissimo, ma che stride rispetto al passato. Pensate ad esempio al dato MEDIO (quindi sviluppato su più partite) avuto due anni fa, nell’Europeo che gli spagnoli vinsero contro di noi in finale: in quel caso le Furie Rosse ottennero un 88% di passaggi giusti.
Insomma, un calo atletico e mentale che si è riflesso anche in campo, in uno dei fondamentali che ha caratterizzato di più questa squadra nel suo ciclo d’oro.

Poi, un altro dato a mio avviso molto – forse ancor più – significativo. Nonostante i molti buoni colpitori di testa (da Diego Costa a Sergio Ramos, passando per Martinez e Busquets) gli iberici non sono riusciti a dominare nel gioco aereo contro LA PIU’ BASSA tra le formazioni presenti in Brasile.
Così se il Cile aveva mostrato contro l’Australia come proprio questo fosse il suo punto debole, vincendo solo il 27% dei contrasti aerei, Del Bosque ed i suoi non ne hanno saputo approfittare, non sfruttando la – bassa – statura dei difensori cileni, con la Roja che è riuscita a vincere ben il 42% di questa fattispecie di contrasti.

Insomma, non solo le emozioni ma anche i numeri parlano di fallimento.

Un fallimento che i più maligni già attribuiscono, com’era scontato, alla fine di un’altra era, quella di Eufemiano Fuentes, almeno teoricamente interdetto dalla possibilità di esercitare per quattro anni.

Beh, io non so e non posso sapere – esattamente come “loro” – quanto potesse esserci di vero dietro alle accuse di doping mosse da più parti contro l’intero movimento sportivo spagnolo, con nazionale calcistica ed ancor più Barcellona in particolare. Di certo però so che al di là di questi due “attori” (che comunque fino a solo un paio di stagioni fa – ovvero PRIMA del fisiologico “appassimento” della propria dorsale – dominavano il mondo e l’Europa) il mondo sportivo – ed in particolare calcistico – spagnolo continua ad ottenere grandi risultati. Prova ne è appunto il fatto che entrambi i trofei europei sono volati in Spagna, capace per altro di qualificare tre squadre su quattro in finale.

Insomma… un collasso di queste proporzioni, davvero, era inimmaginabile. Ma nulla è perduto.

Credo che di fronte ad una fine così dolorosa di una generazione che ha segnato – se non rivoluzionato – il calcio mondiale, non si possa che deputare un minuto di raccoglimento in silenzio, e poi un applauso. L’onore delle armi è dovuto, a campioni di questo calibro. A prescindere dalla simpatia o antipatia che nei loro confronti si può provare.

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Non sono un esperto di Paesi Baschi, pur seguendo da sempre – e con un occhio di riguardo – le gesta dell’Athletic Bilbao, alfiere di una intera popolazione.
Però immagino che da quelle parti stiano trovando un motivo in più per sperare in una futura separazione dalla Spagna.

La storia che vi racconto oggi è questione recente, di pochi giorni fa. Quando cioè il piccolo SD Eibar ha battuto l’Alaves in un match valevole per la quarantesima giornata di Liga Adelante (la seconda divisione spagnola) ottenendo la matematica promozione nella Liga BBVA.

Guadagnandosi quindi, sul campo, la possibilità di sfidare due giganti del calcio mondiale come Real Madrid e Barcellona, oltre al rampantissimo Atletico Madrid del Cholo Simeone e, perché no, dare vita ad un interessantissimo derby con l’Athletic Bilbao.

Perché ho specificato “sul campo”?

Perché il piccolo Eibar – meno di 28mila abitanti – potrebbe vedere sfumare un diritto acquisito col sudore della fronte a causa di un decreto Reale promulgato quindici anni fa. Secondo cui, in soldoni, il capitale sociale dell’SD Eibar non sarebbe sufficiente a poter iscrivere la squadra alla prossima Liga.

Una vera e propria beffa per una società serie e sana (non risultano debiti, paga gli stipendi sempre in maniera puntuale) che nonostante un fatturato di soli 400mila euro l’anno (ovvero, l’ammontare del bonus che un singolo giocatore del Real Madrid ha percepito per la vittoria della Champions League) è riuscita nell’impresa di effettuare un doppio salto mortale nel corso di due anni.

La scorsa stagione, infatti, gli Armeros vinsero la Tercera davanti alle squadre B di Villareal ed Almeria.

Quest’anno, quando siamo praticamente giunti al termine di un campionato molto combattuto, l’Eibar guida la classifica con un punto di vantaggio sul nobile decaduto Deportivo La Coruna, ma soprattutto ha sette punti di vantaggio sul trio Las Palmas – Barcellona B – Sporting Gijon. Che, a due partite dal termine, significa promozione sicura.

O meglio, non così sicura proprio in merito a questa gatta da pelare che il Presidente del club, Alex Aranzábal, sta provando a risolvere.

Per farlo è necessario l’ingresso in società di nuovi soci. Che, con l’apporto di capitale fresco, permettano all’Eibar di regolarizzare la propria posizione rispetto al succitato decreto Reale, potendosi quindi iscrivere a tutti gli effetti alla Liga 2014/2015.

Armeros che dovrebbero aver tempo fino all’8 agosto per espletare quanto necessario. Un tempo credo sufficiente a liberarsi anche di questo inghippo, coronando così una splendida favola sportiva.

Senza grandi nomi tra le proprie fila, e basandosi appunto su una gestione oculata e corretta della società, l’Eibar ha infatti compiuto una sorta di miracolo, arrivando a meritarsi l’ingresso nell’olimpo del calcio spagnolo.

Sancito da una rete di José Ignacio “Jota” Peleteiro, capace di stendere il Deportivo Alaves e far partire la festa.

Allenatore della squadra è il bilbaino Gaizka Garitano, che dopo aver passato cinque anni all’Athletic girovagò un po’ per il paese, passando cinque stagioni anche nello stesso Eibar, oltre che tre nella Real Sociedad.

Appese le scarpe al chiodo nel 2009, quindi, subito fischietto al collo e via con tre anni da vice proprio negli Armeros, di cui, dal 2010 al 2012, ha allenato anche la squadra B.

Poi, la promozione a coach del primer equipo. E questo doppio, fantastico, salto mortale in avanti.

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Robert Lewandowski4 a 0, 4 a 1.
Una duplice scoppola praticamente impronosticabile alla vigilia che pone oggi il calcio tedesco alla ribalta, con le due compagini teutoniche capaci di “scalpare” in maniera così fragorosa e decisa le due nobili del calcio spagnolo.

Insomma, sembrerebbe proprio che la Germania – che già a livello di nazionale sta lavorando molto bene ed era indubbiamente una delle favorite nel corso dell’ultimo Europeo, dove però si fece addomesticare dall’Italia prandelliana – si candidi a faro del movimento calcistico europeo (e mondiale) per i prossimi anni.

Il tutto grazie ad un lavoro di programmazione che parte da lontano e di cui si stanno iniziando a raccogliere frutti importanti negli ultimi anni.

Tutto ciò sembra – ma attenzione, aspetterei a celebrare un funerale che qualcuno sta già imbandendo troppo frettolosamente – coincidere con il declino del calcio spagnolo, praticamente “pigliatutto” nel corso degli ultimi anni.

Una Spagna che a livello di rappresentative nazionali ha saputo infilare un incredibile filotto Europeo – Mondiale – Europeo con la maggiore, mai riuscito prima di allora a nessun’altra nazione nella storia del calcio.
Ma non solo. Tantissime le vittorie anche a livello giovanile: Europeo under 21 nel 2011, sei degli ultimi undici Europei under 19 (più un secondo posto, quindi in finale otto volte su undici), due degli ultimi sei Europei under 17 (più un secondo posto, quindi tre finali su sei).

Spagna che si è posta un po’ come riferimento anche a livello di club, soprattutto grazie a quel Barcellona che ha letteralmente dominato l’Europa negli ultimi anni, con ben tre delle ultime sette Champions in bacheca (Barça capace per altro di arrivare sempre in semifinale, tranne nel 2007… praticamente, sette semifinali come risultato minimo nelle ultime otto Champions League!).
Ovviamente, non solo Barcellona. Basta scorrere un po’ le ultime edizioni della coppa per rendersi conto di come il Real sia pur sempre alla terza semifinale Champions consecutiva.
E ancora, cinque delle ultime otto Europa League sono state vinte da squadre spagnole. Con l’ultima finale addirittura giocata da due compagini iberiche (idem nel 2007).

Insomma, un vero e proprio dominio.

Che forse non potrà essere ripetuto in tutto e per tutto da una Germania il cui campionato ha peculiarità diverse, in primis la capacità del Bayern Monaco di acquistare quasi sempre i migliori talenti della Bundesliga, ovviamente impoverendo le altre squadre che così oltre a rappresentare un pericolo minore in patria perdono propulsione anche in Europa.

Però se il “palleggio” e l’offensività tipica del calcio spagnolo hanno segnato diciamo l’ultima decade, di certo programmazione ed incisività di quello tedesco potrebbero segnare la prossima.

Personalmente però, come detto, aspetterei a suonare le campane a morto nei confronti degli spagnoli. Che magari nella prossima generazione non avranno i Xavi e gli Iniesta (magari…), ma che sicuramente stanno continuando a lavorare nella giusta direzione.

Quindi, forse, più che soppiantare il calcio spagnolo potrebbe nascere un bel dualismo, che potrebbe portare in futuro molte sfide appassionanti come quelle degli ultimi due giorni (certo, se il Borussia Dortmund continua a smobilitare sarà il solo Bayern a tenere alto il vessillo tedesco, almeno in Champions).Thomas Muller

E in tutto questo l’Italia, incapace di programmare come fatto da spagnoli e tedeschi, resta a guardare. Aggrappata al suo blasone e ad una supremazia tattica che però, forse, iniziano a non bastare più.

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E’ un’Italia ordinata quella che scende in campo a Siena contro i campioni europei in carica a livello di under 21.

Privato di numerosi cardini della propria squadra (da infortuni e convocazioni “maggiori”) Mangia deve arrangiarsi dando fondo alla profondità del parco giocatori a disposizione per un undici titolare che vede il solito Bardi essere preferito a Perin, con una linea difensiva composta – da destra a sinistra – da De Sciglio, Capuano, Caldirola e Frascatore ed un centrocampo dove si disimpegnano Sala, Crisetig, Marrone e Saponara. Davanti confermata la coppia De Luca – Immobile.

Curiosità, invece, per quanto riguarda Deulofeu, stellina della cantera Blaugrana definito come la stella più lucente cresciuta alla Masia nel dopo Messi.

E se la Spagna sta dominando il calcio mondiale ad ogni livello non è certo un caso. Detto-fatto ecco l’Italia costruire una buona azione, con un tiro di Crisetig dal limite facilmente parato, e sul ribaltamento di fronte l’imbucata centrale per Rodrigo che scatta sul filo del fuorigioco, salta facilmente Bardi e segna la dodicesima rete (in dieci partite) in under 21.

Come non bastasse poco dopo la mezz’ora ecco il raddoppio: difesa altissima, Deulofeu la buca con un filtrante per Sarabia che scatta poco oltre il centrocampo arrivando palla al piede fino in area, dove restituirà palla all’ala Blaugrana che depositerà facilmente in rete a porta vuota.

All’intervallo si arriverà quindi sul 2 a 0 per gli ospiti, frutto di un’Italia solo discreta davanti (comunque incapace di pungere) e assolutamente orribile, almeno a tratti, dietro, dove il meccanismo del fuorigioco non funziona e la linea a quattro sembra traballare più che mai, lasciando praterie in cui i vari Deulofeu, Rodrigo, Sarabia ed Isco (grande qualità complessiva) sguazzano beati.

A scuotere una ripresa tutto sommato monotona ci pensa proprio uno “spagnolo”, l’ex interista Longo. Che ben imbeccato da un lancio d’esterno di Sansone s’infila alle spalle di un avversario per battere Marino con un bel tocco “da futsal” sul secondo palo.

Il goal della punta in prestito All’Espanyol scuote gli Azzurrini, che salgono in cattedra e, anche complici le tante sostituzioni spagnole, provano a ricucire il risultato.
Così nell’arco di una manciata di minuti Gabbiadini (ancora una volta gli è preferito De Luca) si rende pericoloso un paio di volte, ma senza fortuna.

Spagna che non vuol però restare a guardare. Così Marc Bartra, difensore centrale scuola Barça, sale palla al piede, scambia con un compagno al limite dell’area e cerca di bucare Bardi con un tocco a tu per tu, che vede però il portiere livornese mettere una pezza con la manona sinistra.

Iberici che però alla mezz’ora traballano come non mai. Nel giro di pochissimi secondi infatti l’Italia sfiora per due volte il goal: dapprima Longo difende benissimo palla e serve De Sciglio, che è fermato solo da una respinta di un difensore sulla linea. Poi, sul prosieguo dell’azione, arriva il diagonale di Gabbiadini, che è messo in angolo dal buon tuffo di Marino.

A cinque dal termine Longo salta Bartra grazie ad un rimpallo (ed aiutandosi con una mano) per non riuscire però a bucare l’estremo difensore avversario.

Allo scadere arriva il 3 a 1. Muniain taglia la difesa con un filtrante che imbecca Alvaro. Bardi saltato facilmente, goal.

Si chiude così un match in cui l’Italia ha messo in mostra limiti evidentissimi soprattutto in fase difensiva, con capitan Caldirola autore di una brutta prova, Capuano e Frascatore a far certo non molto meglio ed il solo De Sciglio, spostato a centrocampo con l’entrata di Donati, a “salvarsi”.

Maluccio nel complesso un po’ tutti i titolari. Indubbio dire che l’Italia giovi di numerose sostituzioni (Sansone, Gabbiadini e Longo danno quel quid in più là davanti che permette all’Italia di giocarsela e, forse, perdere immeritatamente).

Rimandata la Spagna. Palese che le Furie Rosse, comunque un po’ raffazzonate (basti pensare che Muniain parte in panchina), avrebbe ben altro approccio in un match ufficiale.
E, nonostante questo, ne fanno tre.

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Spagna – Francia, riedizione del quarto di finale dell’ultimo Europeo.

In questo caso, però, si tratta di una semifinale, e siamo a livello di under 19.

Si fronteggiano comunque due grandissime squadre, nonché scuole calcio.

Da una parte l’ormai pluridecorata Spagna, che oltre ad aver imposto il proprio dominio a livello di nazionale maggiore con due Europei ed un Mondiale nell’arco di quattro anni continua a dettar legge anche a livello giovanile.

Dall’altra una Francia che anche grazie al grande apporto ricevuto da immigrati e colonie riesce sempre a presentare nazionali, in special modo giovanili, interessanti, piene di giocatori già formati in particolar modo da un punto di vista fisico-atletico.

Transalpini che si schierano col 4-4-2 con la riserva di Salvatore Sirigu tra i pali, Areola, una linea difensiva a quattro composta da Foulquier, Samnick, Umtiti e Digne ed un centrocampo arricchito dalla presenza di Veretout, Ba, Pogba e Kondogbia. In attacco, quindi, Bahebeck a supportare Vion.

Classicamente spagnola, invece, la disposizione in campo delle Furie Rosse, che esattamente come la nazionale maggiore giocano senza una vera punta di ruolo, relegando capitan Juanmi in panca.

Così Lopetegui schiera Arrizabalaga a difesa dei pali con Joni terzino destro e Grimaldo sull’out opposto. Ramalho ed Osede sono i centrali di difesa. A dare dinamicità al centrocampo ci pensano invece Campana e Torres, con Niguez libero di inventare. Il tridente, “tipicamente atipico”, vede infine la presenza di Deulofeu, Jesé Rodriguez e Suso.

Al terzo minuto di gioco Pogba, capitano della nazionale francese e promesso sposo juventino, rischia di perdere palla incaponendosi un po’ troppo in tocchi leziosi al limite per poi tagliare benissimo la difesa con un tocco filtrante, cercando lo scatto di Bahebeck. Che però non capisce, e non sfrutta l’occasione di portare subito avanti i suoi.

E’ comunque una Spagna che palesa tutti quei limiti che aveva già mostrato nella Fase Elite contro l’Italia, in una partita in cui una nazionale Azzurra con tante defezioni (ancora devo capire perché i vari Romanò, Crisetig e compagnia restarono a casa) rischiò quasi di battere i parietà iberici.

E’ infatti da subito la Francia, guidata dai sapienti piedi di Paul Pogba, a cercare il possesso di gioco. Non solo: gli spagnoli sono da subito timorosi e anziché aggredire con la loro classica veemenza il portatore di palla restano schiacciati nella propria trequarti.
Il tutto non certo per una scelta tecnico-tattica impostata dall’alto: si sentono infatti chiare in tutto lo stadio le voci di Lopetegui, che continua ad incitare i suoi ad uscire in pressing.

Spagna che intorno al quarto d’ora prova quindi a rialzare la testa e si fa in effetti subito pericolosa. Samnick, difensore dalle potenzialità interessanti ma un po’ troppo portato all’intervento in scivolata, fa fallo sul lato destro della sua area di rigore. Capitan Campana si porta quindi sul punto di battuta e centra un pallone che Osede incorna di testa, mandando però di poco alto sopra la traversa.

Reazione immediata della Francia, con Foulquier che crossa dalla trequarti ma vede il suo pallone respinto da un difensore. La palla si impenna e quando cade è colpita al volo da Veretout, che si coordina benissimo ma trova pronto Arrizabalaga.

Gli spagnoli faticano quindi ad imporre il proprio gioco, non riuscendo a mettere in campo il loro classico “tiki-taka”.
Nonostante questo le capacità tecniche non mancano, come dimostrano intorno al ventiquattresimo minuto quando Deulofeu converge da sinistra ed appoggia a Niguez che, in posizione di centravanti, libera subito di prima intenzione Jesé Rodriguez, imbeccato nello spazio tra Samnick e Foulquier: stop e tiro immediato, grande risposta di Areola.

Come si dice, però, il calcio è spietato e la legge non scritta “goal sbagliato, goal subito” si fa sentire spesso.

Così i Bleus provano a riportarsi avanti e affondano con Foulquier, che è però chiuso in angolo una volta penetrato in area di rigore. Sulla bandierina si presenta Bahebeck che centra il pallone sul secondo palo dove Pogba decolla sopra la testa del diretto marcatore – Ramalho, uno dei due centrali – per colpire secco sul secondo palo, trovando il corpo di Osede. Che respinge senza nemmeno volerlo e soprattutto senza controllare il pallone, permettendo a Umtiti di avventarcisi e bucare Arrizabalaga per l’1 a 0.

Da lì alla fine del primo tempo la Francia, che dopo la mezz’ora perderà Bahebeck per infortunio (sostituito da Bosetti), andrà in totale controllo della partita, riuscendo a non lasciare grandi occasioni agli avversari e giochicchiando senza grandissime pretese il pallone.

La ripresa si apre un po’ sulla stessa falsariga. Con la Spagna che riesce quindi a rendersi pericolosa solo dopo dieci minuti di gioco, e su corner: Deulofeu centra, Osede stoppa in mezzo all’area e calcia male cercando il secondo palo con Ramalho che ci mette il tacco per provare a correggere dentro lo specchio di porta, senza fortuna.

Il pareggio arriverà comunque di lì a poco.

All’ora di gioco la Spagna trova il varco giusto, partendo da lontano. Osede recupera un pallone lanciato in una zona di campo morta e lo consegna a capitan Campana, che scende fin sulla propria trequarti per far ripartire l’azione. Tre passaggi dopo è Alcacer, appena entrato al posto di Suso, a trovarsi la palla tra i piedi sulla trequarti avversaria, resistere alla pressione Pogba e far partire un filtrante che s’infila nello spazio tra Samnick e Foulquier, dove Deulofeu è bravo ad infilarcisi per andare a freddare l’uscita poco convinta di Areola. 1 a 1.

Il goal subito affossa un pochino, mentalmente, i francesi. Che iniziano a scricchiolare.
Provano ad approfittarne gli iberici, con Deulofeu che al settantaduesimo salta il diretto marcatore (Samnick) sulla trequarti e fa partire un tiro sporco, non certo irresistibile, che finisce sul palo alla sinistra di un Areola che aveva battezzato fuori la traiettoria.

Il mattone sulla faccia dei transalpini ce lo mette quindi lo stesso Alcacer, che dopo aver servito a Deufoleu l’assist del pareggio sfrutta il cattivo posizionamento della difesa francese per andare a depositare in rete il cross di Grimaldo. Con Umtiti che stringe troppo sul primo palo e si fa sorpassare dal pallone e Digne che non fa la diagonale.
Dodici dal termine, Spagna che ribalta il risultato: 2 a 1.

La mattonata in faccia risveglia i Galletti, che si riversano all’attacco. Lasciando però voragini dietro.
Passa poco più di un minuto dal goal di Alcacer che lo stesso Paco parte in contropiede e filtra per Deufoleu, che si trova al limite dell’area con, sul destro, il colpo del K.O.

La giovane star della Masia, però, non è abbastanza fredda, cerca ancora di battere Areola con un tocco alla sua sinistra ma questa volta il portiere di origine filippina del PSG si distende con convinzione, bloccando il pallone e tenendo vive le speranze dei suoi.

Per provare a recuperare una situazione nera più che grigia Mankowski consuma gli ultimi due cambi, inserendo Ngando e Plea in luogo di Ba e Veretout.

E i frutti potrebbero essere raccolti all’ottantasettesimo quando la difesa spagnola dimostra tutti i suoi limiti sui calci piazzati: palla sul secondo palo, Samnick la sbuccia di testa ma finisce proprio sui piedi di Umtiti che calcia di prima intenzione con decisione trovando però, dritto per dritto, l’opposizione di Arrizabalaga.

Il goal è però nell’aria e a segnarlo, ricordando un po’ la semifinale Mondiale del 98, è ancora un difensore: Samuel Umtiti. Che sfruttando un batti e ribatti da corner si trova il pallone ad un passo dalla porta e non deve fare altro che depositarlo in rete trovando quel pareggio che spedisce le due squadre ai supplementari.

Eppure nell’ultimo minuto di recupero il solito Deulofeu avrebbe la possibilità di qualificare i suoi alla finalissima: partendo da larghissimo a sinistra scatta in velocità e si accentra seminando il panico nella difesa avversaria e scaricando palla a Rodriguez, per poi sovrapporglisi sulla destra creando un corridoio buono. Ricevuto il passaggio di ritorno del compagno madridista, però, Deulofeu difetterà ancora una volta con la conclusione, moscia e centrale, facile preda di Areola.

Pochi i sussulti nel primo tempo supplementare. Giusto allo scadere Alcacer è imbeccato bene in area ma a pochi passi dalla porta calcia contro Areola, trovandone la pronta opposizione.

Nella ripresa però la Spagna passa ancora. Bosetti gestisce male palla al limite dell’area e fa scattare un contropiede fulminante con Alcacer che prende palla nel cerchio di centrocampo e punta l’area in velocità. Giunto al limite serve quindi, alla sua sinistra, Deulofeu, che stavolta trova la porta, bucando Areola per il 3 a 2.

La Francia però non ci sta e attacca. La Spagna ha una difesa più che perforabile. Così al centosedicesimo minuto di gioco Digne centra da sinistra, Ramalho buca l’intervento in scivolata e Pogba s’infila dietro a tutti sul secondo palo, realizzando in spaccata. 3 a 3.

Si finisce quindi ai rigori.

Campana: alto
Pogba: goal
Suarez: goal
Plea: goal
Rodriguez: goal
Umtiti: parato
Alcacer: goal
Kondogbia: parato
Deulofeu: goal

Dove ad imporsi, grazie agli errori dei mancini Umtiti e Kondogbia, è la Spagna. Che arriva quindi in fondo anche a questo torneo continentale, confermandosi come la prima forza Europea ad ogni livello.

Aiutata, in questo caso, dalla fortuna.

Venendo rapidamente ai singoli… male Deulofeu, tra i giocatori più forti e attesi di questa nazionale, per un’ora di gioco. Quando si accende, però, sono dolori, e cambia la partita da solo.

O meglio, la cambia in coppia con Alcacer, che entra nella ripresa ed è assolutamente decisivo.

Male invece la difesa, dove i due difensori centrali non danno mai impressione di essere troppo affidabili ed in cui i terzini non contribuiscono alla fase difensiva se non col compitino.

Nella Francia restano invece interessanti le qualità di alcuni giocatori come Areola (da capire però dove possa arrivare), Digne (il Debuchy della mancina), Samnick (doti atletiche di primissimo livello) e Pogba, che ora dovrebbe sbarcare a Torino.

Dove, se ricalcasse quanto fatto vedere in questo Europeo, si vestirebbe da vice-Pirlo.

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La finale di ieri, nel bene e nel male, passerà alla storia.

Un po’ perché un 4 a 0 non si verifica certo spesso in partite di questa importanza. Un po’ perché non era mai successo che una nazionale riuscisse a vincere due Europei di fila, tantomeno con un Mondiale in mezzo. Un po’ perché la nostra nazionale non era accreditata della finale. E, infine, perché l’Italia è alla terza finale persa, su quattro disputate, negli ultimi 18 anni (Usa 94 ed Euro 2000 le altre).

Questa, però, era assolutamente segnata in partenza. Ancor prima che dalla condizione precaria degli Azzurri dalla strapotenza iberica, che pur non essendosi notata nel derby contro la Spagna era palese sarebbe uscita contro di noi.

Perché diciamolo chiaro: l’Italia contro la Germania ha compiuto un mezzo miracolo e strameritato di vincere. Ma i demeriti tedeschi sono stati altrettanto palesi.

E’ stata proprio la squadra di Low, forse schiava di un complesso d’inferiorità ormai atavico, a metterci in condizioni di vincere, attuando un gioco (verticalizzazioni per una punta statica e traversoni dalla trequarti che difficilmente potevano impensierire difensori come i nostri) assolutamente alla nostra portata.

Il tiki-taka spagnolo, invece, non poteva che far collassare l’ambaradam.

In questo le colpe sono anche – e soprattutto – di Prandelli.

Intendiamoci: onore a lui, che ha saputo comunque guidare alla grande questo gruppo là dove nessuno si aspettava potesse arrivare.

Detto ciò, però, come ha ammesso proprio oggi gli è mancato il coraggio di rivoluzionare la squadra sul più bello, cercando di ovviare a stanchezza ed acciacchi.

Con un risultato chiaro: asfalto spagnolo sulle rovine della squadra che aveva ridicolizzato gli inglesi per poi imporsi alla grande sui favoritissimi tedeschi.

La Spagna era comunque palesemente più forte, certo. Onore a loro.
Peccato solo per quei sospetti di doping che qualcuno continua a muovere all’indirizzo dell’intero movimento sportivo spagnolo. Speriamo solo tra qualche anno non si finisca con lo scoprire l’irreparabile…

Onore alla Spagna, dicevo, ma è giusto sottolineare i demeriti dei nostri, in particolar modo di Prandelli.

Chiellini era palesemente fuori condizione. Infortunatosi prima di iniziare l’Europeo, ha dovuto combattere per un mese contro sé stesso prima ancora che contro gli avversari.
Peggiore in campo dell’11 titolare contro la Germania, sarebbe dovuto rimanere in panca ieri. Per dare spazio a quel Balzaretti che è stato una delle rivelazioni assolute di questo torneo.

Non è certo un caso se l’1 a 0, quello che inizierà ad aprire le prime vere falle nella comunque fragile impalcatura Azzurra, arriverà proprio dalla sua parte.
La pesantezza in quello scatto con cui proverà a chiudere Fabregas è l’istantanea perfetta dell’errore commesso da Prandelli. Che poi sarà costretto a toglierlo dal campo a metà del primo tempo, infortunato.

Altro errore, fondamentalmente quello su cui gli spagnoli hanno potuto costruire la loro vittoria, è l’aver inserito la coppia Balotelli-Cassano.

Difficile lasciarli in panchina dopo quanto fatto vedere in semifinale, siamo d’accordo. Ma regalare due giocatori agli avversari in fase di non possesso è stata la vera sconfitta Azzurra.

Perché logico che così poi i centrocampisti si trovano sempre da soli in mezzo a tre avversari ed il giropalla spagnolo diventa più che elementare.

Fondamentalmente hai due opzioni per attaccare il possesso spagnolo: pressare come fanno loro, che raddoppiano pure le foglie anche oltre la metàcampo, oppure creare grandissima densità quantomeno all’interno della tua trequarti. Impedire quindi si crei anche solo il più piccolo spiraglio. Cosa che fece benissimo l’Inter del Triplete, giocando con undici uomini dietro la linea del pallone. Cosa che non ha saputo fare minimamente ieri l’Italia, pur essendo, dicono, la maestra del catenaccio.

Niente catenaccio, dunque, ma nemmeno la propositività delle ultime partite. Un mix letale che ha portato i nostri, per di più acciaccati e palesemente fuori partita a livello mentale, a subire una batosta che ha preso le forme della goleada quando Prandelli ha compiuto l’ultimo errore di una sua personalissima serata ultra negativa: l’inserimento di Motta al posto di Montolivo.

Inserimento sbagliato per diversi motivi: sul 2 a 0 non ha senso mettere un mediano per un trequartista. Contro gli spagnoli non ha senso mettere in campo il giocatore più statico della squadra. E, ultimo ma non meno importante, non puoi sprecare la terza sostituzione per inserire il più fragile tra i tuoi giocatori.

Detto-fatto Motta dopo pochi minuti abbandona il campo in barella. Stiramento, strappo. Chissà. Fattostà che lì non solo finisce la partita degli Azzurri, ma inizia il dilagamento spagnolo, che resterà negli annali per sempre.

Serata storta, insomma, per Prandelli e per i suoi. Cui va però riconosciuto il merito di esserci arrivati fino alla finale di Kiev. Risultato impensabile solo ventiquattro mesi fa, dopo il tracollo sudafricano.

Ora vedremo in che direzioni andrà questa nazionale.

Perché il secondo posto odierno dovrebbe essere un punto di partenza e non di arrivo, certo. Ma è altresì vero che il faro di questa squadra, Andrea Pirlo, ha ormai 33 anni. E che se non si troveranno alternative valide i prossimi tempi potrebbero non essere così solari.

Prima di chiudere questa parentesi europeo per tornare poi nei prossimi giorni a parlare di squadre di club mi permetto un paio di considerazioni.

Innanzitutto quel benedetto carro. Su cui non c’era quasi nessuno ad inizio Europeo, su cui è salita quasi tutta Italia durante la partita con la Germania, da cui sono scesi praticamente tutti ieri sera.

Un carro su cui io ho messo radici da vent’anni. E da cui non scenderò certo oggi.

Perché si può vincere e si può perdere. Si può meritare o demeritare. Si possono sparare bolidi all’incrocio o sbagliare formazioni. Ma l’Italia resta l’Italia e l’Azzurro il colore in cui mi specchio da quando sono nato.

Nella buona e nella cattiva sorte su quel carro ci resterò. Criticando quando sarà il caso di farlo, come è giusto, incensando quando i ragazzi mi faranno rimanere a bocca aperta, come dopo la partita giocata contro la Germania. Ma sempre e comunque col mio posto ben saldo sotto al sedere.

E spero che come me ce ne siano tanti. I tifosi occasionali si occupino d’altro.

Ma non solo.

Basta moralismi banali e basta sorrisini sciocchi.

Da una parte mi sono dovuto sorbire per un mese una campagna anti-competizione da parte di chi aveva preso molto male – anche giustamente – il massacro dei cani avvenuto in Ucraina. Roba come “voi esultate loro no”, con tanto di foto cruente sicuramente di poco gusto.

Il fatto è semplice: bisogna saper scindere i due discorsi.

L’Europeo è una cosa. Il gioco del calcio è una cosa. La mia nazionale è una cosa.
Gli errori di un governo, come in questo caso quello ucraino, TUTT’ALTRA.

Sono due mondi che per quanto si siano sfiorati in questo caso non devono entrare in contatto.

Inutile dirmi che non devo esultare se la mia nazionale vince, in rispetto di quei poveri cani. Perché io rispetto ne porto. Ma so scindere le questioni veramente importanti dallo sport. Cosa che tutti questi falsi moralisti non riescono a fare.

Il tutto poi, ovviamente, è solo un “dagli all’italiano”. Non un solo link su Facebook ho visto ieri che dicesse agli spagnoli di non festeggiare. Come se i cani ucraini si sentissero offesi solo dalle nostre esultanze, eventualmente.

Per quanto riguarda i sorrisini, invece… capisco il fatto che ci sia chi non concepisca che una persona come me o tanti altri vedano il calcio, pur sapendolo distinguere bene dalle cose realmente importanti, la propria vita.

Però Dio o chi per esso ha voluto che effettivamente ci sia chi brucia di passione. Che sia per il calcio, un qualsiasi altro sport, una forma d’arte o altro poco importa. Il dato di fatto resta uno: il calcio è la mia vita. Se la mia nazionale perde ci resto male. Non per questo non riesco a capire cosa voglia dire la crisi economica e soprattutto culturale che stiamo attraversando, la morte di una persona, o altro. Anzi.

Però… beh, però se dovete venire a consolare chi brucia di passione con quei sorrisetti alla “ti prendi male per una partita, sei un povero ignorante” lasciate perdere.

Perché non siete voi a dover compatire noi. Ma noi a compatire chi come voi è tanto arido da non saper cosa voglia dire vivere di qualcosa.

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Come ampiamente preventivato, almeno dal sottoscritto, la nazionale Campione d’Europa e del Mondo in carica non si abbassa a biscottare il risultato con la Croazia e l’Italia, imponendosi sull’Irlanda, passa il turno, approdando ai quarti di finale.

Mix di emozioni unico, che solo la nazionale ha sempre saputo darmi.

L’inizio è piuttosto stentato. Per i primi venti minuti abbondanti gli Azzurri sono contratti, bloccati dalla paura, non riescono a distendere nervi e gioco.

Poi qualcosina migliora. L’Italia inizia a provarci.

L’ennesima rivoluzione compiuta da Prandelli, che ad inizio Europeo passò dal 4-3-1-2 delle qualificazioni al 3-5-2 ben conosciuto da molti dei convocati, non porta i frutti sperati in termine di qualità di gioco.

Modulo a parte colpisce la decisione di mettere Thiago Motta trequartista: lento, compassato, peggiore in campo tra gli Azzurri, peraltro fuori ruolo.

Per sbloccare la situazione non possiamo quindi che affidarci ai calci piazzati (sarà un caso, ma tre dei quattro goal realizzati dall’Italia fin qui arrivano proprio su situazioni di calcio da fermo).

Così Cassano, forse il meno abile nel gioco aereo dell’11 prandelliano, spizza sul primo palo un pallone che colpisce la traversa interna e si spegne nettamente oltre la linea di porta, prima di essere ricacciato con forza da un difensore irlandese.

E’ l’1 a 0 che accende i sogni dei tifosi.

Nella ripresa, sofferta ben oltre il lecito, qualcosa l’Italia costruisce.

Prima del raddoppio firmato Balotelli, però, la tegola: Chiellini si fa male ed è costretto ad abbandonare il campo. Bruciando un cambio a Prandelli (che così finirà col non sostituire Motta, preferendo far rifiatare le due punte) e soprattutto giocandosi, pare, come minimo la partita dei quarti di finale.

Cronaca assolutamente spiccia. Ma del resto i dati parlano chiaro: 20 milioni (o forse più…) di italiani davanti alla tv per guardare la partita. Non devo certo essere io ora, a quasi ventiquattr’ore dalla fine della stessa, a raccontare come siano andate le cose.

Qualche considerazione sparsa, però, è giusto farla, per dare il mio taglio alla partita stessa.
E allora via al brainstorming.

Balotelli mette in mostra ancora una volta tutto sé stesso. Nel bene e nel male.
Da una parte il giocatore bizzoso, sempre vagamente svogliato e strafottente. Dall’altra il giocatore puro istinto, che quando si ferma a riflettere troppo rischia l’errore (come contro la Spagna), ma che quando deve agire guidato solo dal suo istinto raramente sbaglia. E il goal di questa partita ne è la prova lampante.

Poi Balzaretti. Terzino a mio avviso nel complesso modesto, solo discreto, che ieri però mette una garra prettamente sudamericana al servizio di una squadra impaurita e mai troppo coraggiosa nemmeno nei momenti di maggior impeto. Prestazione maiuscola la sua, nettamente tra i migliori in campo. E in tanti, ora, si chiederanno con ancor maggior vigore e convinzione il perché di Giaccherini titolare nelle prime due del Torneo.

Giù il cappello anche di fronte alla prestazione messa in campo da Daniele De Rossi. Che tornato a metà campo, zona a lui più consona, torna ad essere decisivo abbinando quantità e qualità.

Bene, molto bene, anche il rientrante Barzagli. Miglior centrale difensivo italiano per distacco, oggi.
E lo dico cospargendomi il capo di cenere. All’epoca del Mondiale, da lui vinto da comprimario, mai avrei pensato ad un suo possibile rendimento a questi livelli. Esattamente come al suo approdo alla Juventus stortai il naso, pensando all’ennesimo buco nell’acqua.
Non posso che ricredermi.

Abbastanza bene anche Abate, sicuramente non inferiore a Maggio a livello di rendimento, e Marchisio, che non riesce ancora ad esprimersi al cento per cento delle sue possibilità ma che non demerita mai.

Solo così così, questa volta, Andrea Pirlo. Giocatore però imprescindibile.

Capitolo a parte per gli attaccanti: Di Natale ci prova ma non è sfruttato secondo le sue caratteristiche, Cassano ha una scarsissima autonomia, Balotelli è Balotelli.

Motta, invece, dovrebbe accomodarsi in panchina.

Diamanti, infine, variabile importante. L’avrei voluto vedere almeno a partita in corso contro i croati. L’avrei anche fatto partire titolare ieri. Può ritagliarsi il suo spazio.

Difficile dire dove potrà arrivare questa squadra, a maggior ragione senza nemmeno sapere, ancora, quale sarà il prossimo scoglio. A vederla in campo, ieri, comunque, si direbbe non potrà andare oltre i quarti di finale.

Ma c’è sempre un però.
E come ben sappiamo è soprattutto la compattezza, che potrebbe aumentare col passare dei giorni, la forza della nostra Nazionale.

Quindi chissà…

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Il tempo è poco, la tensione tanta. Perché il brivido Azzurro mi ha sempre scosso da dentro in maniera dirompente. E ad ogni grande competizione è sempre la stessa storia… nel bene e nel male.

Troppe chiacchiere si sono fatte in questi giorni.

Logico aver paura, ma la mancanza di rispetto che in tanti hanno avuto nei confronti di Spagna e Croazia, mettendo le mani avanti su di un possibile biscotto insultando così la correttezza e la sportività di questi due popoli, e, non meno, dell’Irlanda, snobbata manco fosse un mix del peggio di Andorra e San Marino, mi ha abbastanza nauseato.

Due sono, dal punto di vista di chi scrive, le cose importanti oggi:

– battere l’Irlanda (prima cosa, fondamentale, anche solo per riscattare un Europeo comunque finora sottotono);

– rispettare chi si ha di fronte.

Punto.

Perché il colmo sarebbe che la Spagna o la Croazia la spuntassero, servendoci su di un piatto d’argento la possibilità di passare il turno, e noi non andassimo oltre un pareggio con l’Irlanda del Trap, che dopo due sconfitte nelle prime due giornate sicuramente vorrà lasciare all’Olanda il triste primato degli zero punti in classifica.

E in questo senso fa riflettere il comportamento di Cesare Prandelli, piuttosto impanicato.

Perché dopo aver effettuato delle convocazioni per continuare, palesemente, sulla strada del 4-3-1-2 ha deciso, all’ultimo, di stravolgere il modulo. Commettendo poi diversi errori di valutazione nella scelta degli uomini da schierare dall’inizio quanto dei cambi da attuare a partita in corsa.

Vistosi mettere con le spalle al muro, con un solo risultato utile per sperare di passare il turno, eccolo tornare sui suoi passi, rivoluzionare la difesa e tornare alle origini, con il modulo che ci ha permesso di volare all’Europeo.

Nonostante tutto questo “rebelott”, come si direbbe dalle mie parti, l’Italia parte favorita stasera.

Diamo quindi per buono che gli Azzurri ce la facciano.

Serve che dall’altra parte, possibilmente, una delle due squadre si imponga sull’altra.

O, quantomeno, che non pareggino con due o più goal per parte.

In questo senso io vedo scarsamente probabile l’eventualità di un biscotto. Un po’ perché tutti gli occhi del mondo saranno puntati su quella partita, vista la pressione mediatica di cui è stata caricata.

Un po’, soprattutto, perché conto tanto sull’orgoglio in particolar modo spagnolo.

Del resto che figura ci farebbero i Campioni d’Europa e del Mondo in carica se biscottassero una partita con la comunque nettamente inferiore Croazia per estromettere la certo non irresistibile Italia?

Oggettivamente una figura barbina.

Poi certo, nel calcio tutto è possibile e qualcuno, come Marca, addirittura rispolvera vecchie ruggini – calcistiche – del passato, citando la gomitata di Tassotti a Luis Enrique, per sottolineare come dei rancori non ancora sopiti potrebbero esserci. Rancori che potrebbero portare all’accordo con la Croazia.

Io a tutto questo non credo.

Penso anzi che le possibilità di qualificazione, a bocce ferme, vedano la Spagna nettamente favorita per il passaggio del turno, seguita proprio dall’Italia. Con la Croazia, quindi, sfavorita rispetto agli Azzurri.

E ripeto: innanzitutto vincere. Perché non ci sarebbe beffa più grande, nemmeno il biscotto, di una Spagna che distrugge i croati con l’Italia che non riesce a battere l’Irlanda e deve uscire mestamente dal torneo…

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