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Posts Tagged ‘Real Madrid’

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E’ notizia di questi giorni che il Real Madrid, dopo aver ufficialmente smentito la trattativa per Pogba tramite il proprio sito internet, sarebbe interessato ad acquisire le prestazioni sportive del talentino pescarese Marco Verratti, attualmente in forza al Paris Saint Germain.

La notizia in realtà non è del tutto nuova. Già un anno fa, infatti, si parlava del possibile passaggio del giocatore esploso sotto la guida di Zeman alla corte del Re di Spagna, trasferimento poi però non concretizzatosi nei fatti nonostante ci fosse il beneplacito di Carlo Ancelotti.

Oggi il tecnico italiano di fatto non c’è più, essendo stato rimosso dalla guida della squadra un anno prima della scadenza naturale del contratto. Chi sarà il suo sostituto non è ancora dato saperlo, ma è ormai chiaro come una potenza del marketing come il Real Madrid si muova sul mercato spesso a prescindere da vere e proprio valutazioni tecnico-tattiche.

Eppure proprio le valutazioni tecnico-tattiche dovrebbero essere il faro guida di una società che voglia muoversi sul mercato.

Lo scorso anno Ancelotti aveva trovato la quadratura del cerchio schierando la sua squadra col 4-3-3 con Di Maria e Modric mezz’ali e Xabi Alonso in mediana, riuscendo così a vincere la famosa Decima coppa dei campioni nella storia del Real. Un traguardo inseguito a lungo e raggiunto proprio grazie alle alchimie tattiche di quello che è oggi uno dei migliori tecnici al mondo.

Poi in estate il mercato stravolse completamente il lavoro fatto in stagione, spazzando via due terzi del reparto nevralgico della squadra: Di Maria finì al Manchester United, Xabi Alonso raggiunse Guardiola in Baviera ed in entrata il Real mise a segno i colpi Kroos e James Rodriguez.

Se da un punto di vista del talento si può dire che questa duplice operazione non ha indebolito la squadra, è logico invece dire che sul piano dell’impostazione tattica qualche problema è stato creato.

Di Maria prima che venisse “reinventato” mezz’ala da Ancelotti era un esterno offensivo. Nel nuovo ruolo, però, dimostrò di sapere giocare alla grande, di dare grande sostanza al reparto senza comunque peccare dal punto di vista della qualità di gioco.

La stessa cosa non è invece riuscita con James, trequartista/ala piuttosto leggero per pensare di potersi adattare a mezz’ala di centrocampo senza risentirne.

Così tutti i vari tentativi messi in atto da Carletto non hanno portato i risultati sperati. Del resto non tutte le ciambelle riescono col buco. Sapendolo, perché distruggere un giocattolo che funziona sperando di poterne assemblare un altro uguale con pezzi però totalmente diversi?

Tutto questo per dire cosa?

Semplice, che da un punto di vista tecnico-tattico l’eventuale acquisto di Verratti avrebbe un suo perché. Con Kroos in mediana, il pescarese potrebbe formare con Modric un’ottima coppia di mezz’ali. Non che il risultato sarebbe assicurato, ma di certo il centrocampo Blanco assumerebbe così un senso migliore rispetto a quanto visto negli ultimi mesi.

Eppure… eppure se potessi consigliare io al piccolo genietto di Manoppello dove andare a giocare gli direi senza dubbio: “Barcellona!”.

Certo, nessun giocatore può pensare di andare da una squadra ed imporre la propria presenza. Il Barça ha comprato Rakitic meno di un anno fa e non è affatto detto che sia interessato ad acquistare un’altra mezz’ala per la sua squadra, potendo schierare la coppia Iniesta-Rakitic, tutt’altro che disprezzabile.

Però… però credo che proprio il contesto tattico del Barcellona potrebbe essere decisivo per far fare a Marco un ulteriore salto di qualità.

Il Barça, infatti, gioca con un 4-3-3 che vede nel possesso palla e nel palleggio il proprio punto di forza.

Verratti ha un bagaglio tecnico superiore alla media dei suoi pari ruolo, e pur non essendo oggi paragonabile ad Iniesta e pur senza avere il bagaglio di esperienze di Rakitic potrebbe sicuramente provare a dire la sua anche in un contesto così competitivo come quello Blaugrana.

Del resto proprio in virtù delle sue qualità tecniche Verratti potrebbe incastonarsi a meraviglia in un sistema di gioco che prevede una grande capacità di palleggio. Lui che quest’anno ha avuto medie di passaggio superiori al 90% potrebbe vedere esaltate queste proprietà tecniche indiscutibili. Ed una volta che ti trovi a recitare da protagonista in una squadra del genere il salto di qualità è praticamente automatico…

Certo, il Barcellona ad oggi deve fare i conti con il blocco del mercato, che riguarderà la prossima sessione di mercato. Da gennaio potrà comprare, ma a quel punto – con Verratti che avrà già giocato in Champions con il Psg – difficile pensare possa puntare giocatori di questo tipo.

Quindi che fare?

Beh, fossi nel suo agente cercherei contatti con l’area sportiva del Barcellona, per capire se un giocatore di 23 anni con le sue caratteristiche ed il suo potenziale può interessare i Blaugrana.

Così fosse lascerei il mio assistito un altro anno a Parigi, per continuare nel proprio percorso di crescita: provare a diventare sempre più leader della squadra, vincere un’altra Ligue 1 e magari tentare l’assalto al gotha della Champions League.

Poi, tra dodici mesi, cercherei di chiudere il trasferimento in Blaugrana.

Del resto a quel punto Iniesta avrebbe 32 anni già compiuti, ed è indubbio che prima o poi il Barça dovrà iniziare a pensare anche alla sua sostituzione (così come ha pensato di sostituire Xavi con Rakitic già da questa stagione).

E chissà che a quel punto Verratti non possa diventare un top player di livello mondiale, capace di guidare per mano anche la nostra Nazionale sino a tornare a livelli degni della nostra storia…


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Chi mi segue da un po’ (magari anche su Facebook Twitter, dove sono inevitabilmente molto più attivo che sul blog) è senza dubbio a conoscenza della mia sconfinata passione per il calcio giovanile. Che recentemente mi ha portato a guardare, ad esempio, un torneo internazionale di dodicenni. E che nel corso degli ultimi due anni mi ha invece fatto scrivere altrettanti libri sui giovani talenti disseminati in giro per il mondo (l’ultimo dei quali, “La carica dei 301″, è acquistabile al modico prezzo di soli 99 centesimi).

Proprio partendo dalla mia passione per il calcio giovanile, non potevo certo lasciar passare sotto traccia l’orientamento di mercato preso dal Real Madrid. Che in questi ultimi mesi, dopo aver preso l’ennesima stella – James Rodriguez – a suon di milioni, si è messo a porre un pochino di basi anche per il futuro.

Il tutto andando ad ingaggiare, in giro per il mondo, alcuni ragazzi di buon valore e potenzialità assolutamente interessanti che potrebbero tornare utili nei prossimi anni.Giovani Real

  • Martin Ødegaard
    Di lui ne ho – ovviamente – già parlato nel mio ultimo libro, “La carica dei 301″. Un classe 98 con qualità eccellenti ed un talento davvero notevole. Il problema, in casi del genere, è che un po’ la crescita fisicoatletica non va sempre come si spererebbe, un po’ le pressioni che avere tutti i riflettori addosso comportano possono finire col bruciare il ragazzo. Che, bene ricordarlo, ha da poco compiuto 16 anni.
    Talento e tecnica, comunque, restano indiscutibili.
  • Mink Peeters
    Altro classe 98, altro giocatore spiccatamente offensivo. In questo caso parliamo di un giocatore di scuola olandese (è passato sia dalle minors del PSV che dalle giovanili dell’Ajax, da cui il Real lo ha prelevato), tutto mancino, che predilige giocare sulla fascia per trovare più spazio per le sue incursioni palla al piede. Piuttosto innamorato della sfera, è comunque in possesso di una grande visione di gioco e di una certa facilità di assist. Ottimo in fase di rifinitura, può agire anche centralmente, come trequartista classico.
    Anche in questo caso, pur non essendo famoso come Ødegaard (anzi, in Italia credo che lo conosciamo davvero in pochi, posto che non ho mai sentito nessuno parlarne), talento e tecnica restano indiscutibili.
  • Lucas Silva
    Il mediano brasiliano è invece già più “stagionato”. Classe 93, tra meno di un mese compirà 22 anni. Ex Cruzeiro, ama giostrare davanti alla difesa ed è abbastanza utile in entrambe le fasi. Come tipologia di gioco mi ricorda un po’ Xabi Alonso, insomma: si spende per schermare la difesa, ma nel contempo ha anche una tecnica discreta abbinata ad una certa visione di gioco e capacità di far girare il pallone.
    Certo, devono cercare di non fargli fare la fine che ha fatto Casemiro…
  • Marco Asensio
    Una joya tra le più quotate, nel floridissimo panorama giovanile spagnolo. Classe 1996, parliamo di un centrocampista spiccatamente offensivo che può giocare sia da trequartista che da ala (prevalentemente a sinistra), abbinando tecnica e rapidità di gambe a grande inventiva.
  • Abner
    Altro protagonista de “La carica dei 301″, Abner – classe 96 – è un terzino sinistro brasiliano che in passato è stato molto vicino alla Roma. A dispetto dell’interesse dei Giallorossi la scorsa estate è sbarcato a Madrid, per giocare nel Castilla. Atleticamente dotatissimo, è un fluidificante che ama scorrazzare lungo la propria fascia di competenza e supportare molto la manovra offensiva, come da tradizione Verdeoro.
  • Augusto Batalla
    1996 che è anche l’anno di nascita di Augusto Batalla, portierino scuola River che secondo alcune fonti sarebbe stato già acquistato dalla Casa Blanca. Campione sudamericano under 17 due anni fa, oggi sta disputando il torneo continentale under 20. Reputato tra i migliori giovani estremi difensori del Sud America (e da qualcuno del mondo), deve cercare di non ripercorrere le orme di Albano Bizzarri, che nel 1999 sbarcò a Madrid accompagnato dalla promessa di diventarne leader indiscusso per fallire poi miseramente…

A questi giovani, secondo alcune voci di mercato, potrebbe poi unirsi l’ormai famosissimo Hachim Mastour, mediaticissimo talento scuola Reggiana da ormai due anni e mezzo in forza al Milan.

Insomma, il Real non pensa solo al presente ma prova anche a costruire il proprio futuro. C’è solo da capire se lo stiano facendo con senno o se, anche qui, si facciano prendere dalla solita voglia di fagocitare tutto il talento fagocitabile. Anche perché, parlando di giovani, ci vuole poco a bruciare un ragazzo di quest’età. E sarebbe proprio un peccato…

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Ho una sensazione. Che potrebbe essere sbagliata, per carità, ma mi sinistramente concreta: Carlo Ancelotti è un allenatore tutto sommato sottovalutato.

Intendiamoci, non dal sottoscritto. Ma l’impressione che in molti non riconoscano il vero valore di questo allenatore c’è, ed è pure forte.

Nel tempo su di lui ho letto e mi è stato detto di tutto: che non fosse un grande allenatore, che non faccia giocare bene le sue squadre, che sia un “mollo”… fino ad arrivare a stasera, quando qualcuno mi ha risposto dicendomi che con una coppia da 200 milioni come Ronaldo e Bale è facile vincere (e per l’amor di Dio, sicuramente aiuta… ma sono i discorsi che si fanno sempre e che si sono spesi in passato anche per Guardiola, Mourinho, ecc).

Eppure mister Carlo Ancelotti ha una carriera ed una bacheca da fare invidia.

Smesso di giocare iniziò come vice di Sacchi in Nazionale. Quella Nazionale che, come molti ricorderanno, si classificò al secondo posto nei Mondiali americani.

Al primo anno da “titolare”, sulla panchina della Reggiana, fece subito capire di che pasta era fatto: quarto posto e relativa promozione in Serie A.

Un po’ tutti i dirigenti d’Italia hanno però già capito che Ancelotti ha la stoffa del grande allenatore. Così se lo accaparra subito il Parma. Alla seconda stagione da allenatore centra subito il secondo posto. In quella successiva arriva invece quinto, disputando comunque la sua prima Champions League.

Si capisce comunque che è già pronto per un grande club.

Dopo due anni di Parma si prende una pausa, probabilmente in attesa della grande occasione. Che arriva puntualmente nel febbraio del 1999, quando la Juventus caccia Lippi ed affida proprio a lui la panchina. La situazione in campionato risulta irrimediabile, in Champions invece sfiora la finale fermandosi solo contro il Manchester United poi – rocambolescamente – campione.

Passa quindi due stagioni complete a Torino, raccogliendo, nel complesso, il maggior numero dei punti in Serie A in quel biennio. Il tutto però non gli basta a vincere nulla, se non una Coppa Intertoto. In campionato arrivano infatti prima la beffa di Perugia, col titolo che finisce alla Lazio, poi il secondo posto ai danni della Roma, che ne sancisce definitivamente il divorzio da un ambiente con cui Carlo sembrò comunque non legare tantissimo.

Così nel novembre del 2001 altro ingaggio in corsa, questa volta al Milan. Subentra a Terim e a fine stagione suggella un quarto posto che vale i preliminari di Champions. Coppa poi vinta l’anno successivo proprio contro la sua ex Juve. Stagione questa che verrà ricordata anche per la definitiva consacrazione di Pirlo a regista davanti alla difesa, oltre che per la vittoria della Coppa Italia.

In sette anni e mezzo di Milan Ancelotti vinse quindi un campionato, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana, due Champions League, due Supercoppe Europee ed una Intercontinentale, costruendo per altro una delle migliori squadre viste in quel periodo a livello globale (cosa di cui molti si sono dimenticati).

Il primo giugno del 2009 sancisce quindi una svolta nella vita professionale di Ancelotti, che sbarca al Chelsea. Qui nel giro di due anni centra un primo ed un secondo posto, vincendo anche una Community Shield ed una sempre prestigiosissima FA Cup.

Il 30 dicembre 2011 prende quindi il posto di Kombouaré sulla panchina del ricchissimo PSG. Perde sì il primo campionato, a discapito del sorprendentissimo Montpellier, ma vince il secondo. Certo, impresa banale, volendo. Ma nel calcio non c’è nulla di scontato.

Forse proprio il suo passaggio in Francia, con qualche chiaro scuro, rinfocola gli animi di chi non ha mai ben digerito la sua “statura”, e così le critiche aumentano e si legge qualche “allenatore finito” qua e là.

A riprova di questo ecco il suo passaggio, nel giugno scorso, al Real Madrid. Che dopo tre semifinali consecutive ha bisogno di sfatare questo psicodramma. Potendo, fosse possibile, arrivare alla “Decima” Coppa dei Campioni della propria storia.

E beh, l’impatto è subito devastante.

Ancelotti mette a tacere tutti (tranne quelli che per giustificare le loro idee parlano dei campioni a disposizione, ma del resto con delle pippe a pedali non ci vincerebbe nemmeno un Santo) ed estrae dal cilindro una stagione con i controfiocchi.

Intendiamoci, scrivo questo pezzo che tutto è ancora in gioco. Ancelotti potrebbe centrare subito un magnifico Triplete come, invece, chiudere con la sola Coppa del Re in tasca. Però la sua stagione non può che considerarsi positivissima già oggi.

Giusto per curiosità mi sono andato a rivedere un po’ l’andamento degli ultimi mister prima di lui alla loro prima stagione alla Casa Blanca. Condivido quindi con voi quanto ne è emerso, giusto per provare a fare una sorta di parallelo con quanto sta riuscendo ad Ancelotti.

Nel 1996/1997 Capello sbarcò a Madrid per aprire un ciclo. Vinse la Liga ed uscì agli ottavi di Coppa del Re. Ciò non bastò però a riconfermarlo: troppo scarno di spettacolo il suo gioco per poter essere gradito alla platea dal Bernabeu.

Il suo posto fu quindi preso da Jupp Heynckes, che portò subito in dote la vittoria della Champions League (e della Supercoppa di Spagna). In campionato però il Real finì quarto, uscendo ancora una volta agli ottavi di Coppa del Re. Nemmeno lui fu confermato.

Il 1998 vide cadere la scelta su quel volpone di Hiddink, che venne però esonerato. Al suo posto finì Toschak, capace di saltare nella prima metà della stagione successiva.

Qui, l’arrivo di Del Bosque. Che nel suo primo pezzo di esperienza trascinò la squadra fino a centrare la Champions. In Spagna però le cose andarono male, con i quarti di coppa ed un misero quinto posto nella Liga.

Un bottino anche peggiore a quello di Heynckes, che gli valse però la conferma. Così alla prima stagione disputata per intero Del Bosque vinse sì la Liga, ma perse le finali di Supercoppa Europea e di Intercontinentale, fermandosi al primo turno di Coppa del Re e venendo eliminato nelle semifinali di Champions.

Per trovare un nuovo esordiente su questa panchina dobbiamo quindi spingerci al 2003, quando il timone passò nelle mani di Queiroz. Il quale vinse la Supercoppa di Spagna. E basta. Battuto in finale di Coppa del Re, fuori ai quarti di Champions, quarto in campionato.

La stagione successiva vide quindi alternarsi tre allenatori: saltati Camacho e Remon la stagione fu condotta in porto da Luxemburgo, a sua volta esonerato dopo quattordici giornate del campionato successivo.

Nel 2006 nuova “prima”, in qualche modo, di Capello. Che a dieci anni di distanza trovò una squadra piuttosto diversa rispetto a quella che lasciò alla fine degli anni novanta. Nonostante questo si confermò campione della Liga, uscendo però agli ottavi sia nella coppa nazionale che in Champions.

Stagione bissata perfettamente da Schuster l’anno successivo, con in più, però, l’aggravante di aver perso la Supercoppa nazionale.

Nella stagione 2008/2009 sbarcò quindi a Madrid, ma solo a partire dalla decima giornata, Juande Ramos: secondo nella Liga, fuori agli ottavi di Champions e ai sedicesimi di Coppa del Re. Esattamente il bottino raggranellato da Pellegrini la stagione successiva.

Nel 2010, quindi, lo sbarco dell’Alieno Mourinho. Che al suo primo anno non fece né bene né male. Evitando però una stagione da zeru tituli solo grazie alla coppa spagnola, con la squadra fermata al secondo posto in campionato ed in semifinale nella massima competizione europea.

E Ancelotti? Come detto dopo aver messo in bacheca la Coppa del Re eccolo arrivare in finale di Champions (risultato che mancava da una dozzina d’anni) e a giocarsi la Liga con Atletico Madrid e Barcellona. Ricordo infatti che il Real si trova al terzo posto a sei punti dai cugini, ma con una partita in più da disputare. Virtualmente, quindi, l’Atletico decide del proprio futuro. Ma l’aggancio in vetta è lontano un solo passo falso compiuto dai Colchoneros…

Insomma, difficile forse che Ancelotti riesca a centrare un Triplete che avrebbe davvero un sapore storico. Però altrettanto vero e concreto che la stagione compiuta dal mister di Reggiolo e dal suo Real è qualcosa comunque di notevolissimo.

Da un punto di vista del gioco, poi, non si può forse dire che il Madrid sia la squadra più spettacolare al mondo. Ma il suo gioco, sicuramente abbastanza essenziale, è comunque un buon mix di difensivismo e fase offensiva. Non un puro e semplice Catenaccio.

Certo, il suo Milan, fatto da grandi palleggiatori, era capace di ben altro. Ma del resto anche quel meccanismo venne assemblato col tempo. E forse chissà, i giocatori oggi a sua disposizione non gli daranno nemmeno mai la possibilità di ricostruire un gioco corale così sopraffino come fu in Rossonero.

Molto più individualista, questo Real ha comunque i tratti somatici della grande squadra. E l’eventuale “Decima” potrebbe suggellarlo, andando ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, a zittire e smentire i soliti “criticoni”…

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Il big match assoluto dell’ultimo sabato calcistico è stato il celeberrimo “Clasico“, ovvero il match più atteso di Spagna.

Che ha visto scendere in campo, davanti ad un Camp Nou gremito in ogni ordine di posto, il Barcellona del Tata Martino contro il Real Madrid di Carletto Ancelotti.Tata Martino

Match sentitissimo e appassionante, almeno nel secondo tempo. Nella prima frazione, infatti, gli ospiti hanno fatto poco e male, lasciando al solito tiki taka barcelonista il controllo del campo.

Un primo tempo rovinato – anche se non soprattutto – da due scelte effettuate dal mister italiano nel momento della scelta della formazione: giocare senza punte di ruolo (con il tridente formato da Di Maria, Bale e Cristiano Ronaldo) e, a mio avviso ancor di più, schierare Sergio Ramos come mediano, affiancato da Khedira mezz’ala destra e Modric sull’altro lato.

Se quella di non dare punti di riferimento alla difesa blaugrana era una scelta che poteva pagare dividendi interessanti (rovinata più che altro dalla scarsa vena di Di Maria, dalla condizione non ottimale di un Bale comunque voglioso di mettersi in mostra e dalla poca incisività del fenomeno lusitano), l’idea di schierare l’ex Siviglia a centrocampo, come schermo della difesa, è risultata dannosa in tutto per tutto.

In primis, diciamo subito che la “scusa” usata da Ancelotti nel post partita non regge. Praticamente l’ex tecnico Rossonero ha detto di aver schierato Ramos lì viste le non perfette condizioni di Ilarramendi. Come se l’unica opzione alternativa all’ex Real Sociedad fosse il “Tarzan di Camas”.

Invece, solo per restare all’11 sceso in campo, Carletto poteva avanzare in mediana Pepe, comunque più adatto al ruolo, schierando Ramos al fianco di Varane.

O, ancora meglio secondo il mio punto di vista, schierare un 4-2-3-1 con Khedira e Modric in mediana e la coppia Di Maria – Isco sulla trequarti affiancata, a turno, da uno tra Ronaldo e Bale (o, per tornare alla questione punta di ruolo, Di Maria in panca e Benzema fisso davanti).

Così facendo non si sarebbe visto un difensore adattato a centrocampo e si sarebbe potuto contare sulle giocate di Isco, per me uno dei giocatori più talentuosi del mondo.

Invece in quella posizione Ramos è risultato dannoso perché oltre ad essere nullo in fase di impostazione (anche da qui sono nati i problemi del Real nel primo tempo) ha sempre teso a schiacciarsi troppo sulla difesa, diventando quasi più un centrale aggiunto che non un vero frangiflutti.

Il tutto, per altro, mentre Carvajal sulla destra veniva messo in grossa difficoltà da un Neymar voglioso e ficcante.

Giudicare certi meccanismi standosene in poltrona è sicuramente facile, più che dover prendere decisioni con quel carico di responsabilità e quella pressione addosso.
Però, allo stesso tempo, che Ramos sia stato un esperimento assolutamente fallimentare è palese: non ha le caratteristiche tecnico-tattiche per potersi esprimere al meglio lì, meno che mai in match di assoluto valore come, appunto, El Clasico.Sergio Ramos

In questo senso dopo il “caso Casillas” un’altra patata bollente rischia di esplodere tra le mani di Ancelotti. Che, a quanto sembra, non gradisce troppo Ramos centrale. Il quale, a sua volta, non vuole giocare terzino.
Il mediano, come abbiamo visto e detto, non lo riesce a fare efficacemente.

Quindi, cosa ne sarà di lui? Altro escluso eccellente?

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Robert Lewandowski4 a 0, 4 a 1.
Una duplice scoppola praticamente impronosticabile alla vigilia che pone oggi il calcio tedesco alla ribalta, con le due compagini teutoniche capaci di “scalpare” in maniera così fragorosa e decisa le due nobili del calcio spagnolo.

Insomma, sembrerebbe proprio che la Germania – che già a livello di nazionale sta lavorando molto bene ed era indubbiamente una delle favorite nel corso dell’ultimo Europeo, dove però si fece addomesticare dall’Italia prandelliana – si candidi a faro del movimento calcistico europeo (e mondiale) per i prossimi anni.

Il tutto grazie ad un lavoro di programmazione che parte da lontano e di cui si stanno iniziando a raccogliere frutti importanti negli ultimi anni.

Tutto ciò sembra – ma attenzione, aspetterei a celebrare un funerale che qualcuno sta già imbandendo troppo frettolosamente – coincidere con il declino del calcio spagnolo, praticamente “pigliatutto” nel corso degli ultimi anni.

Una Spagna che a livello di rappresentative nazionali ha saputo infilare un incredibile filotto Europeo – Mondiale – Europeo con la maggiore, mai riuscito prima di allora a nessun’altra nazione nella storia del calcio.
Ma non solo. Tantissime le vittorie anche a livello giovanile: Europeo under 21 nel 2011, sei degli ultimi undici Europei under 19 (più un secondo posto, quindi in finale otto volte su undici), due degli ultimi sei Europei under 17 (più un secondo posto, quindi tre finali su sei).

Spagna che si è posta un po’ come riferimento anche a livello di club, soprattutto grazie a quel Barcellona che ha letteralmente dominato l’Europa negli ultimi anni, con ben tre delle ultime sette Champions in bacheca (Barça capace per altro di arrivare sempre in semifinale, tranne nel 2007… praticamente, sette semifinali come risultato minimo nelle ultime otto Champions League!).
Ovviamente, non solo Barcellona. Basta scorrere un po’ le ultime edizioni della coppa per rendersi conto di come il Real sia pur sempre alla terza semifinale Champions consecutiva.
E ancora, cinque delle ultime otto Europa League sono state vinte da squadre spagnole. Con l’ultima finale addirittura giocata da due compagini iberiche (idem nel 2007).

Insomma, un vero e proprio dominio.

Che forse non potrà essere ripetuto in tutto e per tutto da una Germania il cui campionato ha peculiarità diverse, in primis la capacità del Bayern Monaco di acquistare quasi sempre i migliori talenti della Bundesliga, ovviamente impoverendo le altre squadre che così oltre a rappresentare un pericolo minore in patria perdono propulsione anche in Europa.

Però se il “palleggio” e l’offensività tipica del calcio spagnolo hanno segnato diciamo l’ultima decade, di certo programmazione ed incisività di quello tedesco potrebbero segnare la prossima.

Personalmente però, come detto, aspetterei a suonare le campane a morto nei confronti degli spagnoli. Che magari nella prossima generazione non avranno i Xavi e gli Iniesta (magari…), ma che sicuramente stanno continuando a lavorare nella giusta direzione.

Quindi, forse, più che soppiantare il calcio spagnolo potrebbe nascere un bel dualismo, che potrebbe portare in futuro molte sfide appassionanti come quelle degli ultimi due giorni (certo, se il Borussia Dortmund continua a smobilitare sarà il solo Bayern a tenere alto il vessillo tedesco, almeno in Champions).Thomas Muller

E in tutto questo l’Italia, incapace di programmare come fatto da spagnoli e tedeschi, resta a guardare. Aggrappata al suo blasone e ad una supremazia tattica che però, forse, iniziano a non bastare più.

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Da sportivo non posso che essere piuttosto triste, dopo questa serata di Champions che speravo di vivere diversamente.

Per due motivi.Cristiano Ronaldo

Il primo è facilmente intuibile a chiunque abbia guardato la partita: un’espulsione ingiusta ha cambiato il corso di un match fino a quel momento condotto – sia nel punteggio che in campo – dallo United, che non è poi stato capace di tenere botta in dieci contro undici ed ha dovuto abbandonare anzitempo la competizione.

Il secondo è invece un po’ più strettamente inerente al gioco e si rifà al fatto che anche in situazione di parità numerica la partita era tutt’altro che bella, con due squadre scese in campo certo non alla ricerca dello spettacolo che, globalmente, restava ben al di sotto delle attese che un “United – Real” dovrebbe dare.

A tenere di più il possesso del pallone sono gli ospiti, che però risultano inefficaci negli ultimi venti metri.

Molto meglio le ripartenze dei Red Devils, che trovano in Welbeck l’uomo dalle accelerazioni brucianti ed il solo palo a negare a capitan Vidic la via del goal.

Da quel volpone di Ferguson e dallo stratega Mourinho, però, non ci si poteva onestamente aspettare più di una partita piuttosto bloccata, con ritmi sì discreti ma non certo spettacolare.

A sbloccare il risultato ci pensa quindi Sergio Ramos, che però sbaglia porta e manda lo United in vantaggio.

Vantaggio meritato ai punti perché nonostante possesso e gioco non certo spettacolare sono proprio i padroni di casa, come detto, a combinare qualcosa in più.

Poi l’espulsione di cui parlavo in apertura a girare le sorti di un match che magari il Real avrebbe vinto lo stesso. Ma non è coi se e coi ma che si fa la storia.

Arrivato il rosso a Nani Mourinho si scuote un po’ dal torpore in cui sembra essere piombato e tira fuori immediatamente dal cilindro una carta importante per tentare di ribaltare il match: Luka Modric.

Che non a caso segnerà il pareggio con un bolide da fuori area, splendido goal che vedrà la sfera colpire il palo interno prima di spegnersi in rete.

I grandi giocatori in campo sono tanti e qualche numero spettacolare è quindi scontato. Se molto bello risulta il goal realizzato dal centrocampista croato, almeno altrettanto apprezzabile è l’azione che porta al raddoppio che consegna il passaggio del turno in mani madridiste: Higuain triangola in area con Ozil, che gli rende palla di tacco. Il fendente basso della punta argentina taglia tutta l’area di rigore fin sul secondo palo, dove il solito Ronaldo gira la sfera in porta, rifiutandosi poi di esultare davanti ai suoi ex tifosi.

Le premesse, insomma, sono state bene o male rispettate. Gara piuttosto bloccata, poco spettacolare, emozionante solo a strappi ma dagli altissimi contenuti tecnici.

Unica nota stonata una decisione arbitrale che va a macchiare il passaggio del turno del Real Madrid, sancendo di fatto la disfatta di uno United che cede dal punto di vista nervoso, prima che fisico, alla vista di quel rosso.

Permettetemi, a margine di questo match, di incensare il grandissimo Ryan Giggs, autore oggi della sua millesima gara in carriera.Ryan Giggs

Un giocatore che fin da piccolo amai moltissimo (uno dei miei preferiti in assoluto, all’epoca in cui iniziò ad imporsi nel calcio mondiale) e che ha interpretato come pochissimi altri al mondo, almeno negli ultimi vent’anni, il ruolo di ala.

Quanto avrei voluto vederlo in Italia…

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Manchester City eliminato dalla Champions League. Ancora una volta.

In realtà era una notizia che ci aspettavamo un po’ tutti un paio d’ore fa. Del resto con due soli punti guadagnati in quattro match sembrava davvero difficile che i Citizens di Mancini potessero sovvertire i pronostici.

City che per altro non fa molto nemmeno per provarci. La prima frazione di gioco è tutta appannaggio madridista. Nella ripresa invece ci si prova, a ribaltare il match. Riuscendo però a trovare solo il pareggio. Su rigore.

Prima di dare il via all’analisi uomo per uomo un solo, ultimo, appunto: hai solo la vittoria a disposizione. Giochi in casa. E scendi in campo col 5-3-2 nonostante tu abbia a disposizione uno dei migliori attacchi del globo (riuscendo per altro a prendere goal dopo soli nove minuti)?

Mancini… Mancini…

Manchester City

Hart 6
Vivacchia salvando anche su Ronaldo, dopo il miracolo di Nastasic, il possibile colpo del K.O.

Maicon 5
I tifosi interisti che hanno guardato questa partita certo non saranno poi così tristi nel pensare che Maicon non difende più la loro fascia di destra. Completamente addormentato sul goal madridista, quando non segue Benzema che, tutto solo, ha buon gioco a trovare la rete del vantaggio. Solo l’ombra di ciò che era un paio d’anni fa.

Zabaleta 6
E’ l’unico tra i difensori Citizens a capirci qualcosa in quella “banda del buco” che è la difesa inglese nel primo tempo. E’ lui il giocatore con più tackle e più palle rubate. Un motivo ci sarà.

Kompany 5
Dovrebbe essere l’uomo in più della retroguardia, appare invece un pugile suonato molle sulle gambe.

Nastasic 6
Nonostante la gioventù prova a rimanere in partita. Sufficienza meritatissima per via del goal salvato sulla linea, che avrebbe probabilmente chiuso il match già nel primo tempo.

Kolarov 5
Come? Giocava anche lui?
(Dal 45′ Javi Garcia 5
Una percentuale di passaggi riusciti da far invidia a Xavi e Pirlo: 91%. Solo che finché non cerca la giocata smarcante è capibile che abbia percentuali del genere. E tutto sommato pure inutile.)

Tourè 6
Il miglior mediano del mondo abbandonato a sé stesso. Che tristezza. Non lo conosco personalmente, ma credo sia tra i primi ad augurarsi il licenziamento di Mancini.

Nasri 5
Si perde nella pochezza del primo tempo Citizens. Esce quando i suoi stanno iniziando a provarci.
(Dal 60′ Tevez 5,5
Prova a dare un po’ di pimpantezza agli attacchi Sky Blues.)

Silva 7
Migliore dei suoi assieme ad Aguero. Prova a dare pimpantezza e brio ad una squadra piatta.

Dzeko 5
Sbaglia tantissimo, soprattutto passaggi (circa uno su due quelli errati). Nel complesso fa davvero troppo poco, pur giocando tutti e novanta i minuti a disposizione.

Aguero 6,5
Come detto, il migliore tra i suoi con Silva. Prova a combinare qualcosa ma nel deserto di idee che è il City manciniano anche i talenti rischiano di combinare poco. Nonostante questo è l’unico a calciare più di due volte (quattro). E, a differenza del compagno di reparto, non sbaglia un passaggio. Qualità. Sprecata.
Certo, quel goal mangiato a un metro dalla porta grida ancora vendetta…

Real Madrid

Casillas 7
Buona parte del merito di questo pareggio che sancisce l’eliminazione del City è suo. Miracolo su Aguero.

Arbeloa 5,5
Partita sufficiente rovinata dall’espulsione con tanto di rigore del pareggio annesso.

Pepe 5,5
Partita senza infamia e senza lode. Ma evitate di dargli la palla tra i piedi in fase d’impostazione.

Ramos 6
Idem come sopra. Senza la postilla sulla gestione della sfera.

Coentrao 6
Certo, in Fifa12 era praticamente il miglior terzino del mondo. Cosa che poi non si conferma nella realtà. Disputa comunque un buon match, affrontato con attenzione.

Khedira 5,5
Tanto tanto cuore. Ma troppa approssimazione. Avrebbe sul destro la palla del K.O., ma zappa clamorosamente il terreno regalandola ad Hart.

Alonso 6
Davanti non si fa mai vedere, nonostante sia anche dotato di una bella “castagna”. In fase di possesso non gestisce la sfera come sa fare, essendo tra i migliori registi al mondo (ovviamente ben dopo i “mostri” Xavi e Pirlo). In fase di non possesso, però, è la vera diga della squadra. Peccato si limiti a fare solo il mediano.

Di Maria 6,5
Tra i migliori in campo pur senza brillare. Ma del resto in una partita complessivamente – lasciatemelo dire – così brutta basta poco per risaltare!
(Dall’89’ Albiol s.v.)

Modric 5,5
Ah, giocava anche lui? (cit.)
(Dal 68′ Callejon 5,5
Non dà sostanza.)

Ronaldo 7,5
Migliore in campo per distacco. E del resto credo che questa notizia non stupisca nessuno. Peccato solo non abbia attorno a sé un impianto di gioco che ne possa esaltare fino in fondo le caratteristiche. Cosa che invece accade a Messi.

Benzema 6,5
Ci prova quattro volte, centrando lo specchio una sola. Basta e avanza.
(Dal 75′ Varane s.v.)

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In un calcio italiano sempre più povero di talento, che dopo aver salutato Nastasic ed aver incassato il doppio no di Berbatov ieri ha salutato oggi Maicon, non si può pretendere che le nostre squadre acquistino chissà che top player.

E quindi se la Juventus per puntellare (rinforzare sarebbe una parola grossa) il proprio attacco si trova a scegliere tra Bendtner e Borriello il Milan si trova di fronte ad un bivio per quanto riguarda il puntellamento del reparto nevralgico: il centrocampo.

In via Turati starebbero infatti dibattendo su quale debba essere l’ultimo mediano (perché di giocatori di qualità non se ne parla) ad irrobustire il reparto Rossonero.

Da una parte Nigel De Jong, ormai ai margini del Manchester City, dall’altra Lassana Diarra, che Mourinho farebbe partire volentieri.

E poco importa se solo qualche settimana fa a lasciare Madrid è stato Nuri Sahin, regista turco, questo sì, in grado di far fare il salto di qualità al reparto milanista.

Ad essere in vantaggio, tra i due prescelti, sarebbe l’olandese, già braccio destro – in nazionale – di un altro Oranje recentemente passato da Milano: Mark van Bommel.

L’ex Ajax è un discreto faticatore di centrocampo. Qualità relativa, fors’anche meno del suo predecessore, corsa tanta. Botte ancor di più.

Il top da inserire in un centrocampo muscolare, insomma.

Visti i limiti della rosa milanista, però, ecco che dovrebbe prendere maggior forza la candidatura di Diarra. Che, come sappiamo, può agire con discreta efficacia anche sulla fascia, in particolar modo agendo da terzino. Insomma, oltre a fare il suo sporco lavoro là in mezzo potrebbe anche coprire l’eventuale assenza di Abate. Cosa che un De Sciglio qualsiasi, soprattutto in un momento così difficile per la società Rossonera, può fare senza dubbio con molta più difficoltà.

La soluzione migliore, comunque, sarebbe una: prendere entrambi i giocatori. Perché la rosa attuale non garantisce una grandissima copertura. E se già la qualità è poca una serie di infortuni come quella dell’anno passato potrebbe, in questo momento, mettere a rischio anche un’eventuale qualificazione all’Europa League.

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Radiomercato parla di una possibilità interessante per il centrocampo del Milan. Che orfano dei senatori (Ambrosini escluso) deve rifondarsi quasi da zero.

In questo senso non è certo un brutto colpo quello che ha visto l’arrivo di Riccardo Montolivo da Firenze. Che, contornato dagli acquisti di Traorè e Constant dà un po’ di sostanza ad un reparto che solo un mese fa aveva un problema non da poco anche solo a livello numerico.

Questi acquisti, però, non rendono certo quello milanista un centrocampo di grande livello. E se ormai non si può sperare che le nostre squadre competano con le superpotenze (economiche) europee va detto che nemmeno a livello italiano si può dire sia un reparto competitivo.

Proprio per questo l’eventuale inserimento di Nuri Sahin, regista turco che dopo aver fatto faville nel Borussia Dortmund è passato – con poca fortuna – al Real Madrid, darebbe un plus importante a livello di qualità. Che se non colmerebbe la differenza che c’è oggi tra il centrocampo milanista e quello di altre squadre (come il Barcellona parlando di Europa, o la Juventus parlando di Italia) sarebbe comunque un buon primo passo in questo senso.

Nuri Sahin regista turco, dicevo.

Discrepanza notevole, non trovate?

O solo io penso che non abbia avuto senso cedere Pirlo adducendo motivazioni tattiche (non per nulla il fenomeno bresciano è stato poi rimpiazzato da Van Bommel, giocatore con ben altre caratteristiche) per poi comprare un giocatore che, pur con differenze tecniche evidenti, ha un tipo di gioco molto simile ad Andrea?

Insomma, cedere un regista dicendo che non si vuole usare un giocatore con quelle caratteristiche. Per poi, poco dopo, acquistarne uno molto simile.

Questo sarebbe sbugiardare in pieno Massimiliano Allegri. Sbugiardarsi, visto dalla sua prospettiva.

Non so, personalmente credo che se alla base della cessione di Pirlo c’era già sicuramente una volontà, esplosa poi in pieno quest’anno, di ridurre il tetto ingaggi è altrettanto vero che si percepiva come Allegri non gradisse Andrea centromediano metodista, preferendolo mezz’ala.

In questo senso mi pare chiaro come o Allegri abbia cambiato totalmente idea, e dovrà essere pronto ad ammettere l’errore compiuto con la cessione di Pirlo, oppure il Milan è semplicemente in balia degli eventi e sarà pronto a comprare un qualsiasi giocatore di qualità possa arrivare a cifre abbordabili.

Segno, in quest’ultimo caso, della netta involuzione del nostro calcio.

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Nome: Mikel Zatón Escudero
Data di nascita: 15 aprile 1996
Luogo di nascita: Barakaldo (Spagna)
Nazionalità: spagnola e basca
Altezza: 174 centimetri
Peso: 65 chilogrammi
Ruolo: ala sinistra, attaccante
Club: Athletic Bilbao (Cadets)
Scadenza contratto: –
Valutazione: –

CARRIERA

Nascere a Barakaldo, città basca da quasi 100mila abitanti, significa avere un po’ la vita segnata.

No, nessuna storia triste tipo ragazzini che nascono nelle favela. Quanto più un legame a doppio filo con lo sport che spesso porta alla nascita di atleti di buon livello.

Due, in particolare, le discipline cui Barakaldo è legata: ciclismo e calcio.

Alle due ruote la città che diede i natali allo scrittore Juan Manuel de Prada ha regalato David López García, Héctor González, Isidro Nozal e Javier Otxoa.

Al calcio, invece, il terzino sinistro Asier Del Horno (ex Athletic, Chelsea e Valencia, oggi al Levante), il portiere Iñaki Lafuente e il centrocampista Javier González Gómez (ritiratisi lo scorso anno), l’attaccante Mikel Dañobeitia (attualmente in forza al Logroñés) e Josep Lluís Núñez, Presidente del Barcellona tra il 1978 ed il 2000.

Non solo: la città che ha dato i natali a Zatón è anche sede di una discreta squadretta di calcio, che attualmente milita in Tercera División (quarta serie spagnola): il Barakaldo Club de Fútbol, la squadra in cui il ragazzo ha iniziato a giocare e da cui è stato acquistato dall’Athletic.

Insomma, nascere a Barakaldo vuol dire nascere in una città di sportivi. E Mikel ha voluto continuare la tradizione.

Così oggi, a pochi giorni dal compimento del suo sedicesimo compleanno, Zatón  è al centro di una rovente battaglia di mercato.

Prodotto di uno dei settori giovanili più floridi dell’intera Spagna (basti pensare a Fernando Llorente o alla recente esplosione di Iker Muniain), l’Athletic Bilbao, Mikel Zatón Escudero è seguito da diversi club.

Liverpool su tutti, a quanto si vocifera in Inghilterra. Ma non solo: un vero e proprio “Clasico” di mercato lo vedrebbe al centro dei desideri di Real Madrid e Barcellona, che vorrebbero assicurarselo prima che il suo prezzo lieviti troppo.

Non deve stupire, comunque, che il ragazzino di Barakaldo sia già al centro di queste guerre di mercato. Né dovrà stupire l’eventualità che, alla fine, l’Athletic riesca a tenerlo in squadra, vista la particolare situazione che si vive nei Biancorossi di Bilbao.

Non deve stupire perché quest’anno, inserito nei Cadetti dell’Athletic, Zatón sta facendo davvero il diavolo a quattro.

Il ragazzo, numero 19 sulle spalle, ha infatti disputato 28 match nella Cadets Basque League, campionato che la sua rappresentativa ha provato a vincere quest’anno (a una giornata dal termine sono sei i punti di svantaggio sulla Real Sociedad), realizzando ben 25 reti.

Score notevole che ne fanno una delle giovani punte più interessanti dell’intero panorama calcistico spagnolo.

Zatón che partì subito forte alla prima di campionato, con una tripletta rifilata proprio ai “cugini” della Real Sociedad.

Da lì in poi buona continuità, per lui. Una rete all’Antiguoko e nessuna alla Real Union. Tripletta nel 19 a 0 allo Zaramaga e bocca asciutta contro il Santutxu. Goal all’Eibar, tripletta al Getxo, rete al Romo. Pausa contro il Barakaldo, club della sua città, prima di tornare al goal nel 4 a 0 casalingo con il Durango. Tre match a secco, poi di nuovo in rete nel 3 a 3 con l’Alaves. Altre tre partite senza goal prima della doppietta al Real Union e della tripletta allo Zaramaga. Piccola pausa con il Santutxu e goal all’Eibar e al Getxo. Poi altre due partite senza centrare il bersaglio grosso, prima di freddare il suo Barakaldo. Altra partita a secco ed ennesima tripletta, questa volta al Lengokoak. Bocca asciutta contro l’Ariznabarra e goal al Danok Bat. Niente reti con l’Alaves e… vedremo cosa combinerà nell’ultima di campionato, contro l’Indartsu.

Prestazioni notevoli che sono valsi all’Athletic il miglior attacco del campionato.

Insomma, uno score che ha ingolosito i palati di molti osservatori. Vedremo quindi la prossima estate se il ragazzo si farà convincere dalle proposte delle grandi di Spagna o che arrivano dall’estero… oppure se, alla fine, l’orgoglio basco prevarrà, ed il prossimo anno Zatón proverà a ripetersi nei Junior National.

CARATTERISTICHE

Mancino sì, ma con un destro più che accettabile.

Capace di svariare lungo tutto il fronte d’attacco, ama giocare in particolar modo al centro, dove può sfruttare la sua capacità di “sentire” la porta, che un po’ decentrato a sinistra.

La facilità di dribbling di cui è in possesso lo rendono attaccante temibile e temuto, anche se, nel complesso, a impressionare di più è proprio il feeling con la porta, con cui sembra vivere in simbiosi.

IMPRESSIONI E PROSPETTIVE

Presto per dire dove possa arrivare, vista la sua giovanissima età.

Di certo fossi in suo padre, o nel suo procuratore, gli intimerei di restare a Bilbao.

Inutile girarci intorno: posto che l’Athletic punta – ancora, per ora – solo su giocatori baschi o comunque fatti in casa le possibilità di arrivare ad esordire nella Liga sarebbero infinitamente maggiori lì che altrove.

E allora bene continuare il proprio percorso di crescita in un centro giovanile attento e soprattutto con la fiducia di tutto l’ambiente attorno a sé.

E chissà che un giorno non troppo lontano non lo vedremo duettare con Llorente e Muniain nell’attacco della prima squadra…

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