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Posts Tagged ‘Approfondimenti tattici’

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Chi segue il calcio con un’attenzione minima che va oltre il semplice “straparlo di calcio al bar e do un occhio alle partite della mia presunta squadra del cuore quando capita” avrà sicuramente sentito parlare più volte dei cosiddetti “giocatori di sistema”. Ovvero quei calciatori capaci di rendere anche oltre il 100% del proprio valore in determinati contesti, ma totalmente incapaci di ripetersi altrove, come pesci fuor d’acqua.

La storia del calcio stesso ci pone davanti ad un numero infinito di casi. Tra tutti ricorderete senz’altro buona parte dei giocatori del Valencia di Cuper. Gente che, come Mendieta, sembrava assolutamente inarrestabile in quel contesto. Ma poi, anche strapagata, non ha saputo nemmeno lontanamente ripetersi altrove.

Del resto è facilmente capibile questo meccanismo: quando si è ben integrati in un contesto tattico è logico che il proprio rendimento sia portato a migliorare. Cambiare contesto può quindi spesso interrompere la magia.

Definiti i contorni di quello che intendo per “giocatore di sistema”, vorrei focalizzare oggi l’attenzione sul milanista Jeremy Menez, sicuramente tra i giocatori più positivi della compagine rossonera quest’anno.

Arrivato certo non in pompa magna in estate, a parametro zero, sarebbe stato poco più di una riserva nei tanti Milan del passato (da quello del trio Gre-No-Li sino alla più recente versione ancelottiana).

La pochezza tecnica attuale dei Rossoneri, però, lo ha fatto diventare da subito giocatore assolutamente imprescindibile nel “non-contesto” tattico di Inzaghi.
Del resto nessun altro, in rosa, ha i suoi colpi. Nessuno come lui, insomma, può decidere i match con una giocata.

Fino a qui tutto bene. Ma certo, per stare nel Milan di oggi significa anche che a queste qualità sicuramente positive Menez deve affiancare degli aspetti totalmente negativi.

Tra questi, da sempre, una atavica incostanza di rendimento, in realtà in qualche modo mascherata – almeno – dal buon numero di goal realizzato sin qui quest’anno.
Ma non solo. I difetti del suo gioco sono svariati. Tra tutti sicuramente la sua vena “veneziana”: solista assoluto, predilige lo spunto in totale solitudine al cercare la manovra di squadra.

Certo, mi si potrà ribattere: in un contesto tecnicamente povero come quella milanista non può fare altrimenti.

Vero, i compagni non lo invogliano sicuramente a modificare il suo gioco. E’ altrettanto vero, però, che chi lo conosce da prima del suo sbarco a Milano sa bene che il tratto fondante del suo gioco è sempre stata una certa anarchia. Insomma, se cerchi un giocatore abile a dialogare coi compagni di certo non puoi andare a rivolgerti a lui.

In tutto ciò, però, Jeremy Menez è finito col trovare l’ambiente ideale per esprimersi proprio sulla sponda Rossonera di Milano.

Qui, infatti, ha trovato una squadra totalmente disorganizzata, con un allenatore neofita ad oggi assolutamente incapace di dare un gioco alla proprio equipe e dei compagni che, di fatto, si sono spesso aggrappati alle sue giocate individuali per provare a sfangarla.

Insomma, in un contesto totalmente destrutturato come quello rappresentato dal Milan di oggi Jeremy Menez, anarchico del rettangolo verde e solista della giocata, trova la sua massima esaltazione.

Se in una situazione organizzata i suoi acuti finirebbero col suonare stonati, infatti, nella sconclusionatezza milanista le sue prove risultano invece dei reali toccasana.

Insomma, preso sulla carta per essere inserito in una certa idea di gioco, Jeremy Menez si è rivelato essere il miglior paracadute di questo Milan proprio grazie la totale assenza di idee di gioco comuni.

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Lo scarso rendimento del Milan attuale è un dato di fatto sotto gli occhi di tutti.

Allo stesso modo credo sia palese come questo scarso rendimento sia sicuramente dovuto a limiti palesi di qualità della rosa, così come ad un allenatore che – ad oggi, almeno – non si sta rivelando all’altezza della situazione.

Quando si parla di uno sport sempre più tattico come il calcio, però, non si può nemmeno ignorare proprio questo aspetto. Spesso, infatti, la disposizione tattica di una squadra incide fortemente sulla resa della stessa nel suo complesso quanto dei singoli che la compongono.

Proprio da questo presupposto, ed in seguito alla breve analisi fatta della situazione Inter, vi propongo questo video che illustra alcune differenti disposizioni che potrebbero essere scelte da Inzaghi per provare a ritrovare un po’ di continuità da qui a giugno. Quando, personalmente, farei scattare una rivoluzione tecnica a tutti i livelli, per provare a ritrovare la via che il Milan sembra aver smarrito ormai da qualche anno…

4-3-3: il modulo utilizzato in questo inizio di stagione. Sicuramente una soluzione plausibile, visti soprattutto i tanti esterni offensivi a disposizione. Qualche dubbio, però, lo lascia il centrocampo. Ma più che una questione di modulo, in questo caso, è proprio un problema di uomini.
Questo modulo, per altro, potrebbe vedere il Faraone e Bonaventura alternarsi da una parte e Cerci ed Honda dall’altra, con Menez e Destro a far staffetta a seconda delle richieste del mister.
Trovando una miglior quadratura in fase di non possesso, sicuramente un modulo da riproporre.

4-2-3-1: anche qui il problema resta il centrocampo. Un problema in questo caso ancor più acuito dalla presenza di due soli uomini in mediana. Questo schema, però, sarebbe una scelta logica guardando il parco trequartisti, che potrebbe essere sfruttato ancora più a fondo. Del resto centralmente si potrebbero impiegare i vari Honda, Bonaventura e Suso, più lo stesso Menez…

4-4-2: modulo classico che in fase di transizione negativa permetterebbe sicuramente di coprire meglio il campo. Davanti, poi, darebbe spazio a Destro col supporto di una seconda punta mobile, che potrebbe essere rappresentata dai vari Menez, Cerci o El Shaarawy.
Sicuramente un modulo equilibrato che potrebbe dare qualche certezza in più alla squadra. Ma che, nel contempo, rischia di rinsecchire ulteriormente la fase offensiva.
In più se a sinistra Bonaventura potrebbe tranquillamente fare l’esterno – ruolo già ricoperto a Bergamo – a destra non vedrei benissimo i vari Cerci, Honda o Suso.

4-3-1-2: uno dei miei moduli preferiti in assoluto, ma che certo non si adatta alla perfezione a questo Milan. E’ presto detto: con tutti i trequartisti, soprattutto esterni, a disposizione sarebbe un delitto scegliere un modulo di questo genere.
I tempi del Milan di Ancelotti sono lontanissimi, in tutti i sensi.

4-3-2-1: anche questo è un modulo che ricorda l’epopea ancelottiana. Albero di Natale che però, per lo stesso motivo che ho citato parlando del 4-3-1-2, non sembra il modulo migliore da scegliere. Anche se certo, tra questi ultimi due sarebbe sicuramente quello che prediligerei.

3-4-3: che la difesa a tre non sia ben vista dalle parti di Milanello è un dato di fatto. Anzi, che la difesa debba schierarsi a quattro sembra essere un diktat presidenziale/societario.
Nel contempo, però, bisognerebbe avere la giusta flessibilità per cercare di far rendere al meglio il materiale a disposizione.
In questo senso, quindi, trovo che una delle soluzioni migliori in assoluto per questo Milan potrebbe essere proprio il passaggio alla difesa a 3.Il 3-4-3 mutaforma di gasperiniana ispirazione, in particolare, permetterebbe alla squadra di variare il proprio approccio tattico in continuazione a seconda della situazione di gioco. Si potrebbe così passare facilmente al 4-4-2 con lo slittamente laterale del centrale di destra (Rami) ed il conseguente arretramento della catena di sinistra (Antonelli a terzino e Bonaventura / El Sharaawy ad esterni di centrocampo). Con l’ala destra che, in questo caso, diventerebbe ovviamente seconda punta (Cerci). O trequartista (Honda, col modulo che diventerebbe un 4-4-1-1).
Ma non solo. Con l’abbassamento di entrambe le catene laterali la squadra potrebbe chiudersi ancora di più, per poi puntare tutto sul contropiede, passando al 5-4-1.

3-5-2: variante del 3-4-3, anche se dal mio punto di vista meno adatta alla rosa attuale del Milan, è ovviamente il 3-5-2 con cui la Juve ha vinto gli ultimi tre Scudetti. Certo, quella era tutta un’altra squadra. Ma del resto il gap coi Bianconeri non è tattico, ma proprio di qualità della rosa.

E voi? Quale modulo scegliereste, allenaste il Milan al posto di Inzaghi?

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Come giocherà la nuova Inter di Roberto Mancini?

La risposta sembra scontata: 4-2-3-1, con Podolski e Shaqiri larghi ed il trio Medel-Brozovic-Kovacic (al netto di altri arrivi, ovviamente) a gestirsi le altre tre posizioni.

Eppure la rosa dell’Inter lascia pensare che Mancini potrebbe anche schierare una formazione differente. Ad esempio un 4-3-3, con i due giovani croati ad agire come mezz’ali, o un 4-3-1-2, con Shaqiri trequartista ed uno tra Podolski e Palacio a sostegno del solo Icardi, i cui limiti in fase di manovra sono ben noti da tempo (anche da qui il mio paragone con Trezeguet, di cui chi mi segue su Twitter e Facebook avrà già letto).

Proprio questo è l’argomento al centro del mio ultimo video, pubblicato sul canale Youtube del blog. Date un’occhiata e fatemi sapere come, secondo voi, dovrebbe schierare l’Inter il buon Roberto Mancini…

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La vittoria con l’Inghilterra aveva ingannato qualcuno. L’Italia torna sulla terra contro Costa Rica. Anzi, sotto terra. Un goal di Bryan Ruiz condanna infatti gli Azzurri ad una sconfitta inusitata.

Troppo differente la condizione atletica delle due squadre, così i centramericani hanno buon gioco, sfruttano gli errori della nostra nazionale e fanno bottino pieno, qualificandosi con un turno d’anticipo agli ottavi di finale.

Nel video verranno analizzati tatticamente i due errori principali, nonché decisivi, del match: quello compiuto da Balotelli in uno vs uno con Navas, e poi quello che ha portato al goal partita degli avversari.

Ora sarà interessante capire se e cosa cambierà Prandelli in vista del match contro l’Uruguay, che gli Azzurri non possono permettersi di perdere.

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Il big match assoluto dell’ultimo sabato calcistico è stato il celeberrimo “Clasico“, ovvero il match più atteso di Spagna.

Che ha visto scendere in campo, davanti ad un Camp Nou gremito in ogni ordine di posto, il Barcellona del Tata Martino contro il Real Madrid di Carletto Ancelotti.Tata Martino

Match sentitissimo e appassionante, almeno nel secondo tempo. Nella prima frazione, infatti, gli ospiti hanno fatto poco e male, lasciando al solito tiki taka barcelonista il controllo del campo.

Un primo tempo rovinato – anche se non soprattutto – da due scelte effettuate dal mister italiano nel momento della scelta della formazione: giocare senza punte di ruolo (con il tridente formato da Di Maria, Bale e Cristiano Ronaldo) e, a mio avviso ancor di più, schierare Sergio Ramos come mediano, affiancato da Khedira mezz’ala destra e Modric sull’altro lato.

Se quella di non dare punti di riferimento alla difesa blaugrana era una scelta che poteva pagare dividendi interessanti (rovinata più che altro dalla scarsa vena di Di Maria, dalla condizione non ottimale di un Bale comunque voglioso di mettersi in mostra e dalla poca incisività del fenomeno lusitano), l’idea di schierare l’ex Siviglia a centrocampo, come schermo della difesa, è risultata dannosa in tutto per tutto.

In primis, diciamo subito che la “scusa” usata da Ancelotti nel post partita non regge. Praticamente l’ex tecnico Rossonero ha detto di aver schierato Ramos lì viste le non perfette condizioni di Ilarramendi. Come se l’unica opzione alternativa all’ex Real Sociedad fosse il “Tarzan di Camas”.

Invece, solo per restare all’11 sceso in campo, Carletto poteva avanzare in mediana Pepe, comunque più adatto al ruolo, schierando Ramos al fianco di Varane.

O, ancora meglio secondo il mio punto di vista, schierare un 4-2-3-1 con Khedira e Modric in mediana e la coppia Di Maria – Isco sulla trequarti affiancata, a turno, da uno tra Ronaldo e Bale (o, per tornare alla questione punta di ruolo, Di Maria in panca e Benzema fisso davanti).

Così facendo non si sarebbe visto un difensore adattato a centrocampo e si sarebbe potuto contare sulle giocate di Isco, per me uno dei giocatori più talentuosi del mondo.

Invece in quella posizione Ramos è risultato dannoso perché oltre ad essere nullo in fase di impostazione (anche da qui sono nati i problemi del Real nel primo tempo) ha sempre teso a schiacciarsi troppo sulla difesa, diventando quasi più un centrale aggiunto che non un vero frangiflutti.

Il tutto, per altro, mentre Carvajal sulla destra veniva messo in grossa difficoltà da un Neymar voglioso e ficcante.

Giudicare certi meccanismi standosene in poltrona è sicuramente facile, più che dover prendere decisioni con quel carico di responsabilità e quella pressione addosso.
Però, allo stesso tempo, che Ramos sia stato un esperimento assolutamente fallimentare è palese: non ha le caratteristiche tecnico-tattiche per potersi esprimere al meglio lì, meno che mai in match di assoluto valore come, appunto, El Clasico.Sergio Ramos

In questo senso dopo il “caso Casillas” un’altra patata bollente rischia di esplodere tra le mani di Ancelotti. Che, a quanto sembra, non gradisce troppo Ramos centrale. Il quale, a sua volta, non vuole giocare terzino.
Il mediano, come abbiamo visto e detto, non lo riesce a fare efficacemente.

Quindi, cosa ne sarà di lui? Altro escluso eccellente?

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Dopo aver parlato dei presupposti della difesa a tre, delle situazioni di palla coperta o scoperta, dello slittamento laterale e di temporeggiamento o pressione arriviamo al capitolo marcamento e copertura.

Il tutto dopo aver visto giusto ieri nella semifinale di Confederations Cup come la difesa a tre sia un sistema difensivo capace di resistere anche contro squadre di altissimo livello (in questo senso ricorderei che negli ultimi dodici mesi l’Italia ha pareggiato due volte contro la Spagna con la difesa a tre, perdendo 4 a 0 con la difesa a quattro).

Marcamento e copertura, dicevo.

Il principio è fondamentalmente semplice. Al solito la parte difficile è applicarlo in campo.

Prendiamo l’esempio di portatore di palla che avanza centralmente a palla scoperta. Come detto nell’approfondimento precedente inizialmente la linea di difesa rincula per temporeggiare

fino a che il singolo atleta nel leggere l’azione non decide che è arrivato il momento di uscire in pressione.

A quel punto il giocatore interessato per “territorialità” dovrà affrontare l’avversario in possesso di palla, staccandosi dalla linea di difesa per contrare il possessore. I due compagni, invece, si dovranno disporre a copertura in diagonale rispetto al centrale, creando quindi una linea a due.

Molto simile il discorso quando a dover uscire in marcatura è uno dei due laterali.

In questo caso il difensore esterno dovrà contrare il portatore di palla staccandosi dalla linea di difesa, che dovrà essere invece mantenuta dai due compagni di reparto, che resteranno ordinatamente in posizione di copertura.

I concetti sono quindi molto semplici da un punto di vista nozionistico ma servono molta sagacia tattica, intelligenza ed applicazione per riuscire a proporli sul campo.

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Nelle puntate precedenti abbiamo parlato dei presupposti della difesa a tre, delle situazioni di palla coperta o scoperta e, infine, dello slittamento laterale.

Oggi andiamo ad approfondire i meccanismi di temporeggiamento e di pressione che una difesa a tre si trova a dover affrontare nel fronteggiare le avanzate delle squadre avversarie.

In questo senso tornano ad essere centrali le capacità dei singoli, in particolar modo di lettura delle varie situazioni di gioco.
In linea di massima, infatti, una difesa che si rispetti deve trovarsi a rinculare di fronte ad un portatore di palla. Facendolo avvicinare sì all’area di rigore ma, nel contempo, andando ad infilarlo anche in quella sorta di “imbuto” che si viene a creare centralmente quando gli spazi, via via che si avanza, si restringono (o portandolo ad allargarsi fin dove non vede più la porta se l’attacco è portato dall’esterno).

Temporeggiamento

Come è possibile notare in questo fermo immagine, quindi, in situazione di palla scoperta la difesa rincula verso la propria area di rigore.

A seconda di dove si trova il portatore di palla – che in questo caso è assolutamente centrale – i difensori devono poi reagire di conseguenza.

Uno dei tre dovrà quindi lasciare la linea difensiva per uscire in pressione sull’avversario, andando a contrarlo in situazione di uno contro uno.

Capacità di lettura ed efficacia nell’1 vs. 1: due qualità indispensabili.

Nella situazione in oggetto, quindi, Bonucci dovrà lasciare la linea di difesa ed uscire in pressing sull’avversario, provando a rubargli palla o, quantomeno, a mettergli pressione sull’eventuale tiro.

Pressione centrale

Logico che in situazioni di questo tipo i due giocatori non interessati alla fase di pressione sul portatore dovranno lavorare sulla copertura del compagno, aspetto che approfondiremo in un prossimo appuntamento con questo approfondimento.

E’ importante comunque sottolineare come nelle situazioni di temporeggiamento e pressione tutta la linea difensiva sia coinvolta, se non in marcatura o pressing diretto, proprio in situazione di copertura passiva.

Ovviamente il discorso fatto fino ad ora vale anche quando il portatore di palla si trova ad attaccare sull’esterno.

In quel caso il difensore posizionato defilato da quella parte dovrà, anche qui, leggere la situazione, temporeggiare per provare a portare l’avversario dove non possa nuocere direttamente andando così a bagnargli le polveri, per poi uscire in pressione cercando di arginarne del tutto l’avanzata.

Pressione esterna

Indicativamente la fase di difesa passa da quella di temporeggiamento a quella di pressione nei pressi dell’area di rigore.

Ovviamente avere giocatori abili nella lettura delle varie situazioni di gioco aiuta proprio in questo senso: è possibile anticipare l’intervento se le situazioni circostanziali consigliano questa soluzione.

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Dopo aver illustrato i movimenti che le situazioni di palla coperta e di palla scoperta comportano passiamo a quelle che prevedono lo slittamento laterale della difesa, a seconda della posizione del pallone e di come questo viene trattato dagli avversari.

Partiamo quindi da un presupposto: una difesa a tre, di per sé, permette – come detto – di coprire meglio la zona centrale del campo, l’area di rigore – e quindi la porta – in particolare.

Nel contempo, però, passando da quattro a tre difensori di ruolo ecco che lo spazio che ognuno di essi si trova a dover coprire aumenta.
Proprio per questo solitamente gli esterni di centrocampo – che spesso sono veri e propri fluidificanti – si abbassano (assieme o alternativamente) permettendo così ai tre centrali di potersi trovare a coprire una porzione di campo più limitata.

Tornando all’oggetto di questo approfondimento, cosa si intende per slittamento laterale?

Di per sé, è assolutamente intuibile.

A seconda della posizione del pallone i difensori si spostano a destra, sinistra o si mantengono più centrali per farsi trovare pronti rispetto ad eventuali “imbucate”.

Osserviamo assieme questa immagine: la difesa, classicamente, è composta da Barzagli sul centrodestra, Chiellini sul centrosinistra ed il solito Bonucci centrale.

La sfera, come possiamo notare, è sul fronte destro dell’attacco bavarese, portata avanti da Robben. Così i difensori (e lo potete notare anche dalla posizione del corpo, che indica chiaramente il senso di marcia) arretrano sì, ma non solo. Slittano, appunto, verso sinistra, per chiudere lo spazio che può palesarsi di fronte al portatore di palla. Che in quel caso, quindi, dovrà prodigarsi in dribbling ubriacanti per provare a trovare il varco giusto.

In questo caso specifico, quindi, Chiellini esce su Robben, con Barzagli praticamente sul centrosinistra dell’area di rigore e Bonucci quasi in posizione di terzino, per semplificare ed esemplificare il suo posizionamento.

Ovviamente questo discorso vale pari pari anche per gli slittamenti sul fronte opposto. Se la palla è su quella fascia sarà Barzagli a dover uscire, tirandosi “a traino” anche i due compagni di reparto. Che, ancora una volta, slitteranno per tenere le giuste distanze l’uno dall’altro e togliere spazio agli avversari.

Un po’ come in questo caso (dove ad uscire è però Bonucci, incrociatosi con Barzagli… ma di questo parleremo “in un’altra puntata”): un difensore esce più sulla fascia, l’altro resta più centrale ed il terzo, opposto, stringe in mezzo.

Ovviamente le difese sono sollecitate in continuazione, in questo senso. La palla può passare da una fascia all’altra in maniera molto repentina (cambio di gioco). Esattamente come può partire centrale per poi allargarsi a seconda della decisione del portatore di palla di turno.

Proprio a seconda di queste sollecitazioni la difesa deve essere brava a reagire di conseguenza ed in maniera tempestiva.

Perché non ci vuole nulla per trovarsi da una parte

all’altra

del proprio fronte difensivo.

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E’ una finale molto godibile quella che Borussia e Bayern mettono in scena scontrandosi, prima volta assoluta per due compagini tedesche, in finale di Champions League.

Una finale che i gialloneri possono affrontare più sgombri psicologicamente rispetto ad un Bayern che arriva alla terza finale in quattro anni con due sconfitte cocenti alle proprie spalle da riscattare, oltre che i favori assoluti dei pronostici ed investimenti molto più importanti da giustificare.

Entrambe le squadre si schierano col loro classico 4-2-3-1 fronteggiandosi quindi in maniera speculare.

Ad iniziare – nettamente – meglio è il Borussia: ben messo in campo, affamato, come detto più sgombro mentalmente. Tutte cose che permettono ai gialloneri di sviluppare la propria manovra con efficacia, dando del filo da torcere a Neuer e applicando un pressing alto che mette in difficoltà gli avversari.

In questo senso l’immagine che segue spiega benissimo quanto appena detto:

Schweinsteiger costretto ad abbassarsi fino alla propria area di rigore per provare ad impostare l’azione, provando così ad alleggerire un po’ la pressione portata da Lewandowski, Reus e in generale un po’ tutti i ragazzi di Klopp.

Questa vigoria dura circa venticinque minuti. Perché il Bayern, come una formichina, lavora senza scomporsi cercando di girare l’inerzia della partita a proprio favore.

Il primo squillo i giocatori allenati da quella vecchia volpe di Jupp Heynckes lo fanno quindi proprio al venticinquesimo quando Mandzukic svetta in mezzo a due avversari trovando però un attento Weidenfeller molto attento e bravo ad alzare sopra la traversa.

Alla mezz’ora, poi, la difesa giallonera inizia a mostrare le prime crepe piuttosto importanti.

Il Bayern manovra sulla sinistra e la difesa scivola da quella parte.

Nel farlo (da questa foto si può apprezzare Schmelzer, terzino sinistro, stringere su Ribery verso il centro del campo) viene però lasciato liberissimo Robben sulla fascia opposta. Grosskreutz infatti non si abbassa con tempismo, e l’olandese volante è lanciato in profondità. Per un uomo con la sua velocità presentarsi a tu per tu con Weidenfeller è praticamente uno scherzo. Giunto in area, però, sembra rinnovare la propria maledizione da finale, sparacchiando contro al portiere avversario.

Cinque minuti e sono i bavaresi a farsi prendere d’infilata. Reus infilza la difesa con un bel filtrante fatto partire da poco prima della trequarti, con Lewandowski che si muove bene dettandogli ottimamente il passaggio per andare poi a superare Boateng, diretto marcatore, concludendo però contro Neuer, bravo ad uscire tempestivamente.

La partita è quindi molto piacevole ma i goal stentano ad arrivare. Come se non bastasse, in chiusura di primo tempo, Robben decide di mangiarsi un’altra rete:

Hummels buca malamente il lancio di Dante e l’ala olandese, dopo aver vinto anche un rimpallo, riesce a trovarsi nuovamente a tu per tu con Weidenfeller.

La maledizione sembra però farsi sempre più reale e pressante. Robben non ha la freddezza per piazzare la sfera, calcia dritto per dritto e colpisce il petto dell’estremo difensore avversario, bravo a chiudergli repentinamente lo specchio di porta.

Le emozioni principali, così, questa finalissima ce le riserva per la ripresa.

Un secondo tempo in cui il Borussia va in affanno, ballando in maniera incredibile – fino a capitolare due volte, ma sarebbero potute essere molte di più – di fronte al grande attacco bavarese.

Il match si sblocca al cinquantanovesimo.

Con una difesa giallonera che collassa.

TRE giocatori escono su Ribery. Che con un tocco mette in movimento Robben. Palla in mezzo dove a quel punto non c’è praticamente nessuno. 1 a 0 facile.

La gara però non è finita qui.

Il Borussia non ci sta. Dante commette una follia in area su Reus

e permette a Gundogan di pareggiare su rigore. Così alla maledizione personale di Robben sembra unirsi anche quella del Bayern tutto, che inizia ad aver paura di perdere la sua ennesima finale.

Finale che sembra davvero assolutamente stregata per l’ala olandese quando Subotic lo anticipa praticamente sulla linea di porta.

Eppure le cose sono destinate a cambiare proprio in chiusura. Quando Ribery riceve al limite, difende palla e prova a farla filtrare con un colpo di tacco.

Un gesto che potrebbe sembrare quasi scriteriato non fosse che Robben ha troppa voglia di riscattarsi. Così sprinta, raggiunge la sfera, riesce in qualche modo a bucare la difesa e fredda l’uscita di Weidenfeller. Per un goal che rompe sia la sua maledizione che quella della sua squadra, ora a quota 5 Coppe dei Campioni al pari del Liverpool e dietro alle sole Real e Milan.

Una vittoria meritata quella del Bayern, sia prendendo in considerazione l’intero percorso (annichilite Juventus e Barcellona), sia per la partita in sé. Dove a parte i primi venticinque minuti di difficoltà i ragazzi dell’ormai ex Heynckes hanno dimostrato la propria superiorità.

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Dati i presupposti necessari ad applicare la difesa a tre scendiamo più nello specifico andando a vedere le varie situazioni di gioco ed il relativo comportamento che una difesa ben impostata deve tenere per svolgere al meglio il proprio compito.

Il tutto prendendo ad esempio la difesa della Juventus: come già spiegato questo particolare tipo di difesa è usato praticamente solo in Italia. E la squadra che giocando così ha fatto meglio è, appunto, la Juventus.

Partiamo quindi dalle situazioni di palla coperta e palla scoperta. Quelle cioè in cui la difesa non si trova normalmente già direttamente coinvolta nell’azione ma deve comunque reagire a seconda della posizione del pallone e del comportamento del portatore di palla.

La questione in questo caso è piuttosto semplice e si ripete più volte durante il match. Fondamentalmente, ad ogni azione avversaria.

La situazione di palla scoperta è quella in cui il portatore di palla può muoversi con discreta – se non completa – libertà con la possibilità di verticalizzare in qualsiasi momento e tagliare fuori, quindi, la linea difensiva.

In questo caso, come è possibile vedere dalle immagini, i difensori “scappano” verso la propria area di rigore, andando a “coprire” la porta.

Come si può notare da questo fermo immagine l’avversario porta palla e punta l’area avversaria. Ha campo davanti a sé, un compagno che fa movimento e detta l’eventuale passaggio ed un avversario – Pirlo, nel caso – che sta arrivando a chiuderlo. La palla, però, è da considerarsi assolutamente “scoperta”.

I difensori, così, “rinculano” verso l’area di rigore. Solitamente questo tipo di movimento è “chiamato” dal centrale. Il tutto per evitare che un eventuale lancio possa tagliar fuori tutta la difesa.

Il giocatore, infatti, potrebbe far partire da un momento all’altro un lancio per i compagni. Un po’ come in quest’altra situazione:

La palla è scoperta – nel fermo immagine, anzi, sta proprio per essere calciata – e gli attaccanti fanno movimento per dettare il passaggio al compagno. Come visibile qui sopra, quindi, Barzagli, Bonucci e Chiellini scappano verso la propria area, per non farsi prendere d’infilata.

Ovviamente a seconda della situazione la difesa deve reagire in maniera differente. In quest’altra situazione di gioco i tre rinculano tenendo la linea compatta. Con l’avversario che ha appena superato di slancio un centrocampista, però, i difensori dovranno essere bravi a leggere la situazione e reagire di conseguenza. Uno dei tre si staccherà per contrastare il portatore di palla, gli altri due lo copriranno (tenendo sempre un occhio ai rispettivi avversari, ma di queste situazioni specifiche parleremo più avanti).

Non sempre, però, le azioni di gioco sono lineari. Capita così che da una situazione di palla scoperta, come nei casi appena illustrati, si possa passare ad una situazione di palla coperta. Il tutto, in linea di massima, accade grazie al buon gioco dei centrocampisti, che vanno in pressione sui portatori provando a schermare la difesa.

Così se quando il portatore si trova in situazione di palla scoperta la difesa si trova a dover rinculare verso l’area, in quella di palla coperta succede l’opposto, con una sorta di “rimbalzo” nel senso opposto.

Perché?

Semplice. Se quando la palla è scoperta i tre devono evitare di farsi tagliar fuori e andare a proteggere porta ed area di rigore, quando la sfera è coperta i difensori devono andare a togliere spazio agli attaccanti.

Così in situazione di palla scoperta la difesa “corre ai ripari”. In situazione di palla coperta reagisce in maniera più “aggressiva”, mettendo in qualche modo sulla difensiva gli attaccanti avversari.

Che, se lenti a reagire, possono finire in situazione di fuorigioco in un baleno:

Fondamentalmente, quindi, si tratta di una sorta di partita a schacchi. In un certo momento è l’attaccante a dettare il movimento del difensore, che rincula per non farsi infilare. Subito dopo deve essere la punta a correre ai ripari, rimbalzando verso il centrocampo per non restare in offside.

Ovviamente queste situazioni sono quasi “banali”. Capitano diverse volte ad ogni match, praticamente in continuazione, ed è dato per assodato che un sistema difensivo, per essere anche solo considerato tale, debba aver automatizzato senza problemi questi movimenti. Che sono comunque i primi da curare, proprio per la loro ripetitività.

Non leggere bene le situazioni può infatti portare da una parte a farsi infilare con troppa facilità (con linea alta, taglio della punta e lancio del portatore a palla scoperta), dall’altra ad una situazione di frattura tra i reparti (con palla coperta ed i centrocampisti che escono in pressing i difensori non possono restare bassi, ma salire per mantenere così le giuste distanze tra i reparti).

Fondamentale, comunque, anche la rapidità con cui si legge un’azione. Perché il passaggio da palla scoperta

a palla coperta

è normalmente pressoché repentino. Altrettanto rapida dev’essere la reazione della linea difensiva.

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